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Autore: Dean Lucas    21/06/2014    1 recensioni
Delphi è la prescelta, poiché sul suo corpo è inciso il futuro degli uomini.
Gavri’el è il prescelto, poiché è destinato a trovare il Bastone di Adamo.
Sargon è il prescelto, perché è l’erede del regno di Akkad.
Matunde è il prescelto, perché è il gigante nero dell’impero nubiano.
Babu non è un prescelto, è solo un nano impertinente e pavido.
Lei invece è la Sfinge, altera e bellissima, la creatura più preziosa dell’universo.
Sullo sfondo di un mondo antico e misterioso, oltre le porte del tempo, un viaggio e la lotta contro un male che affonda le proprie radici nella Genesi.
Un viaggio che ha come meta la salvezza dei Figli dell’Uomo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’opera è giunta fino ai giorni nostri, tradotta dal greco antico e tramandata negli scritti di Sesto Giulio Africano e di Eusebio, vescovo di Cesarea. In essa sono elencati tutti i re dell’Antico Egitto, dall’alba della Prima Era fino all’epoca faraonica.

Secondo gli Aegyptiaca, l’Egitto cominciò la sua straordinaria storia nel 30544 a.C., quando la Dynasteia degli Dei allignò su quelle terre.
Gli Dei regnarono durante una primeva età dell'oro, prima di affidare il proprio scettro alla stirpe per metà divina e metà mortale dei loro figli nati dall’unione con gli umani.
Nell’Antico Testamento e nel Libro di Enoch questi esseri, generati dall’unione dei Figli di Dio con le Figlie degli Uomini, sono chiamati Nephilim.
I Figli di Dio sono conosciuti col nome di Elohim.
 


Prologo
 
Antica Grecia.
In un’epoca dimenticata dagli uomini.
 
Intrappolata in una fenditura nella roccia, buia e fonda, l’Elohim attendeva con impazienza da millenni la sua preda inconsapevole.
Era ferita, sconfitta, destinata a un’agonia eterna.
Mani giovani e incaute si aggrapparono al bordo della cavità rocciosa dov’era imprigionata. Minuscoli frammenti si sgretolarono e caddero, echeggiando tra le pareti di pietra.
L’attesa era finita. Eterea e sinuosa, l’Elohim risalì dalla fenditura, strisciando e tendendosi più che poteva.
Ora che era giunto il momento, esitava. Si chiese ancora una volta se quel sacrificio fosse necessario. Non le importava di uccidere se stessa, dopotutto un frammento del suo spirito sarebbe vissuto per sempre dentro la sua vittima.
Poi vide gli occhi di quella creatura, puri e innocenti come la preghiera di un bambino. Solo chi era puro poteva guardare dentro il nero abisso del futuro degli uomini senza perdersi o sporcarsi.
L’Elohim sorrise. Prima di morire, avrebbe dato ai Figli dell’Uomo una speranza.
 
***
 
La brezza portò con sé l’aroma penetrante della resina che colava dalle cortecce degli alberi e l'odore di umido che saliva dalle fronde bagnate. Minuscole gocce d’acqua imperlavano ancora le foglie. La terra odorava di pioggia.
Quella mattina l’aria era attraversata da uno strano fermento: gli dèi erano adirati, eppure Delphi ne ignorava il motivo.
Un refolo più forte fece svolazzare la tunica sopra le ginocchia, spargendo i folti riccioli sul volto. Delphi si voltò di scatto, come se il vento avesse bisbigliato il suo nome, e vide gli squarci tra le nubi bianche e grigie che si rincorrevano tra le montagne. Un’incredibile alba di perla la sorprese.
Sul suo volto da bambina si disegnò un sorriso. Per sette giorni e sette notti la tempesta si era abbattuta sul villaggio, sgretolando la terra e le rocce, dando forma a torrenti selvaggi, trascinando nella sua furia alberi e fango.
Aveva atteso a lungo che la pioggia cessasse, pregando senza sosta gli dèi e prendendosi cura del gregge del padre. Le povere bestie erano ormai logorate dalla fame e da tempo avevano esaurito le scorte di fieno.
Delphi abbandonò i margini del bosco e ridiscese di corsa il pendio, fino a imboccare il sentiero che conduceva ai prati del pianoro sottostante. Non appena raggiunse la stradina che scendeva a valle, s’arrestò, delusa. Un rigagnolo d’acqua serpeggiava proprio sotto i suoi piedi, mentre i calzari di cuoio affondavano nel terreno molle: il sentiero aveva raccolto l’acqua piovana dalle colline che lo fiancheggiavano, tramutandosi in un orrido pantano.
Anche ora che la loro furia si era placata, gli dèi si accanivano sul villaggio. Senza un pascolo gli animali sarebbero morti, come avrebbero fatto?
Delphi raccolse in fretta qualche ciuffo d’erba per l’agnello più giovane e si precipitò a casa. Corse l’ultimo tratto a perdifiato, e quando raggiunse il recinto, il padre era ancora intento a muovere le pecore all’interno dello steccato.
«La strada è allagata» gridò ancora trafelata dalla corsa. «Non possiamo scendere a valle, il gregge rimarrebbe intrappolato nel fango!»
Il padre la guardò con l’espressione rassegnata del pastore avvezzo a lottare contro i capricci degli dèi.
«Non ci resta che il versante opposto, bambina mia, verso le montagne. In quei boschi gli animali troveranno di che saziarsi con rovi e felci.»
Delphi aggrottò la fronte. «Nessuno ha mai portato un intero gregge ai piedi del monte. Gli dèi saranno ancora più in collera se le bestie brucheranno nei loro giardini.»
«Allora imploreremo il loro perdono, figlia mia. E quando giungerà il tempo, offriremo come risarcimento una delle nostre pecore.»
 
***
 
Lungo il tragitto, mentre il padre e i cani scortavano rumorosamente il gregge verso le montagne, Delphi chiamò con un fischio l’agnellino che aveva adottato. Il cucciolo le trotterellò incontro, impaziente di brucare il cibo che avrebbe ottenuto a quel richiamo.
Era così piccolo che arrivava appena al ventre delle pecore. Delphi porse alla bestiola l’erba che aveva raccolto, ridendo quando le bagnò il palmo con la lingua rosea. Poi accarezzò a lungo il vello non ancora cresciuto, candido e luminoso come la neve.
Quando alzò nuovamente lo sguardo, davanti a lei si stagliavano le pendici del Monte Parnaso.
Delphi fu percorsa da un brivido, eppure non sentì freddo. Nascosta dalla foschia perenne, secondo la leggenda la cima della montagna accoglieva la dimora degli dèi. Si guardò intorno. Ora le sembrava di trovarsi in tutt’altro posto: il leggero freddo della mattina era scomparso, la brezza si era quietata. Il terreno si stava asciugando sotto i caldi raggi del giorno, mentre nell’aria si spandeva l’odore fresco del muschio. Le pecore pascolavano placidamente, brucando ogni stelo d’erba che si annidava tra le rocce.
Delphi giocava ancora con i cani, quando il padre la chiamò a gran voce. Capì che era giunto il momento di spostare gli animali e fare ritorno a casa.
Era stata una magnifica giornata. La tempesta che aveva cancellato il cielo per giorni era scomparsa, l’indomani sarebbero scesi a valle e il suo piccolo sarebbe stato felice di brucare i prati bagnati dalle piogge.
Aiutandosi con le dita, diede voce al fischio che usava per chiamare l’agnellino. Attese qualche istante ma l’unica risposta che ottenne fu il lamento del vento.
Delphi provò ancora, e ancora, scrutando con impazienza ogni pecora, ma il cucciolo non si fece vedere. Ogni istante più inquieta, corse verso le rocce più lontane sicura che il piccolo stesse riposando sotto la loro ombra. Corse avanti e indietro fino a sfiancarsi. Non lo trovò.
Disperata, raggiunse in fretta il padre. Gli occhi le si riempirono di lacrime. «L’agnello è scomparso!»
«Quel piccolo sciocco si sarà allontanato verso i dirupi.» L’uomo osservò il sole già basso all’orizzonte. «Ti aiuterò a cercarlo, figlia mia, ma non ci resta molto tempo.»
Delphi si spinse insieme al padre fino alle pendici del monte, inerpicandosi sulle sporgenze rocciose e chiamando l’agnellino senza sosta. Erano ormai pronti a desistere, quando udirono un belato nelle vicinanze di una cavità naturale nella roccia.
Delphi si precipitò in quella direzione. «È qui! Grazie agli dèi l’abbiamo trovato!» La gioia si smorzò di colpo non appena vide che l’animale era intrappolato nel fossato e non era in grado di risalire.
Delphi si sporse dal bordo della cavità. La povera bestiola tremava scossa dai brividi, come se una belva non visibile la stesse minacciando.
«Per tutti gli dèi, cosa ti succede piccolo mio? Cosa ti spaventa?» Il belato disperato dell’agnellino risuonò agghiacciante alle sue orecchie. «Padre, non può uscire da solo! Dobbiamo tirarlo fuori di lì!»
Atterrito da un timore superstizioso, l’uomo non osava avvicinarsi. «La montagna rivendica la vita di questa povera creatura, figlia mia. Abbiamo promesso agli dèi un’offerta, non interferire col loro volere.»
Delphi inorridì al pensiero di abbandonare il cucciolo, né poteva sopportare di udirne i lamenti senza far nulla. Si trascinò sul bordo del fossato e si lasciò cadere all’interno.
Una parvenza di luce strisciò sulla superficie irregolare del suolo, laddove si apriva una fenditura. Il manto candido dell’agnellino e le pareti di roccia evaporarono davanti a suoi occhi.
Fu il buio.
 
***

«Delphi, torna indietro! È pericoloso, in nome di tutti gli dèi, torna qui!»
Nello stesso istante in cui raggiunse il fondo del fossato, la mente di Delphi si ottenebrò. Il silenzio rotto soltanto dai battiti incontrollabili che martellavano nel petto, il sudore che le lasciava una scia ghiacciata sul dorso. Sentì dentro di lei crescere l’attesa.
Qualcosa l’abbrancò nella sua morsa. Delphi sbarrò gli occhi. Non poteva vederla, poiché era incorporea e invisibile. Eppure, sul braccio avvertì le impronte taglienti delle sue spire, attorcigliate più volte intorno all’esile polso.
Una miriade di schegge luminose investì e travolse la sua mente. Arrivò il dolore, insieme a immagini di volti e luoghi sconosciuti. Epoche intere le scorrevano davanti agli occhi, nascendo e consumandosi nello spazio di un istante. Le sembrò di impazzire.
Strillò, afferrò la veste con le dita, vi si aggrappò, la strappò. Affondò le unghie nella carne. La sofferenza non cessava.
Incredula e impotente, sentì altri graffi e altri tagli lacerarle la pelle attorno a una caviglia. Gridò finché ebbe fiato e non smise di urlare, mentre i solchi di nuove ferite le incisero i fianchi, il ventre e la schiena. 
All’improvviso i frammenti di luce che turbinavano nella mente si arrestarono e divennero un’unica straordinaria visione: vide il cielo, silenzioso e immenso. Era buio e terso, ma nessuna stella palpitava all’orizzonte. Era giorno, eppure il sole non illuminava e non scaldava la terra. Splendeva, invece, una luce che non aveva mai visto prima.
Il dolore l’abbandonò, le immagini svanirono. Ritornò a scorgere le pareti di roccia e la piccola pecora che la fissava atterrita.
Tremava ancora, quando dalle piaghe vide trasudare gocce di sangue che al contatto con la pelle evaporarono insieme al sudore. Le abrasioni sul corpo parvero raffreddarsi come metallo incandescente immerso nell’acqua, rivelando al loro posto una trama sorprendente e intricata di simboli.
Un pallido riflesso di luce tremolò sulla superficie irregolare della roccia e si spense. Delphi crollò a terra, finalmente priva di sensi.
 
***
 
Quando il pastore trovò la forza per riaversi da quell’incubo, si tese oltre i bordi del fosso, afferrò la figlia per una mano e la trascinò a sé. Era sconvolto e intimidito dai misteriosi simboli che si torcevano attorno al corpo della ragazza. Era accaduto qualcosa che trascendeva la sua comprensione, ma più di questo non sapeva se si trattasse del dono di un dio o della sua maledizione.
In preda all’angoscia e invocando tutti gli dèi di cui era a conoscenza, l’uomo abbandonò il gregge e si precipitò al villaggio, con la figlia svenuta tra le braccia.
Chiamò a gran voce aiuto, e i saggi accorsero intorno al pagliericcio dov’era stata adagiata la ragazza.
Delphi si svegliò e la prima cosa che vide fu la folla stretta intorno al suo capezzale. C’erano gli anziani con le lunghe barbe bianche e i bastoni di legno nodoso. C’erano i volti curiosi delle donne che si allungavano nel tentativo di scorgere qualcosa. Qualche bambino piangeva.
Sollevò una mano davanti agli occhi e restò sgomenta: una spirale di minuscoli simboli le avvolgeva il polso, risalendo lungo l’avambraccio. Si snudò l’altro braccio e un’altra striscia di segni si attorcigliava dal gomito fino alla spalla.
La madre era lì, accanto a lei. Singhiozzava e le accarezzava i capelli.
«È stata maledetta dagli dèi!» urlò qualcuno.
«Non può sfuggire alla loro ira, la ragazza è stata marchiata» gemette una seconda voce di donna. «Attirerà la sventura sul villaggio!»
«Solo il suo sangue placherà le divinità» strillò un’altra.
Delphi ascoltava senza riuscire a capire, le voci vorticavano nella mente ancora confusa. Alle sue spalle, i sacerdoti salmodiavano inni agli dèi, gli anziani del villaggio discutevano ad alta voce. La madre le posò una pezza intrisa di unguento sul polso e cercò in tutti i modi di lavare via i segni, ma questi erano impressi in modo che non potevano più essere cancellati.
All’improvviso, dal consesso dei saggi Delphi vide emergere una donna. La sua lunga chioma non era bruna come i capelli di tutti gli umani, ma scintillava come oro immerso nella luce. Gli occhi non erano dello stesso colore della terra come in ogni Figlio dell’Uomo, ma riflettevano lo stesso azzurro del cielo. Quando la guardò, Delphi sentì le lacrime inumidirle le guance. Schiuse le labbra per parlare, ma la meraviglia e la paura glielo impedirono.
Ti ho aspettato a lungo, bambina mia, così a lungo...
La voce della donna le giunse senza che le labbra si muovessero, morbida come un raggio di sole al mattino. Le mani della sconosciuta si allungarono su di lei e Delphi arretrò terrorizzata, eppure non sentì il suo tocco sulla pelle. Gli uomini continuavano a discutere e a gridare, nessuno sembrava notare ciò che stava accadendo.
Tu mi vedi con gli occhi della mente.
Delphi batté le palpebre e deglutì. La voce ammaliante della donna risuonò dentro di lei, rispondendo a ogni domanda prima ancora che riuscisse a formularla.
I simboli apparsi sul tuo corpo non sono ferite. La tua pelle è stata incisa dai grafemi, la parola scritta degli Elohim.
Il sorriso incantevole della sconosciuta le riscaldò il cuore.
Tu sei colei che era predestinata. Un tempio sorgerà col tuo nome e un nuovo ordine di sacerdotesse tramanderà a voce e sul proprio corpo le parole della profezia. Il futuro dei Figli dell’Uomo dipende da te, bambina mia. Ascolta attentamente le mie parole. Fa’ come ti dirò.
 
***
 
Delphi si alzò in piedi e si schiarì la gola. «Silenzio, stolti! Fate silenzio! E tu, madre, invano cerchi di mondare il dono degli dèi come fosse sudiciume. I simboli apparsi sul mio corpo sono la parola scritta degli dèi.»
Espressioni di stupore e di paura si levarono intorno. Gli abitanti del villaggio distolsero gli sguardi, poiché tutti sapevano che la parola scritta era proibita agli umani. Lei non attese che il brusio si quietasse e proseguì imperterrita:
«Ho visto in sogno il futuro e gli dèi hanno catturato per sempre quella visione, adoperando il mio corpo come una stele. Ascoltate!»
Quando Delphi pronunciò le parole che le aveva rivelato l’Elohim, non immaginava che erano solo una parte della terribile verità incisa sul suo corpo. Era lontano il giorno in cui avrebbe compreso il significato di ciò che era: la Stele dei Sogni.




La trama vi intriga o vi piace?
Aspetto le vostre recensioni! grazie mille :)
  
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