Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: VahalaSly    21/06/2014    6 recensioni
Tra una più che incasinata famiglia, due amiche che non si rivolgono la parola a vicenda e la sua incapacità di formare una frase di senso compiuto davanti al ragazzo che le piace, Amanda non desidera altro che un po' di tranquillità.
Ma quando quello che riteneva un amico le si rivolterà contro, scatenando una reazione a catena di problemi, Amanda si ritroverà a doversi appoggiare all'ultima persona che si sarebbe potuta immaginare...
/Attenzione: è presente romance tra un minore e un adulto/
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Breathe Into Me

Capitolo Sedicesimo:
Legami di Sangue

---

E dopo la quiete, seguì il caos.

Amanda si lanciò verso Roberta, chinandosi su di lei e chiamandola, piena di terrore. Avrebbe voluto afferrarla, stingerla tra le sue braccia, ma temeva che la bambina avesse il collo rotto e sapeva che sollevarla avrebbe voluto dire peggiorare la situazione.

"Chiama un'ambulanza!" urlò alla madre, sperando solo che, per una volta, Eleonora facesse la cosa giusta. Non la guardò nemmeno correre verso il telefono, accarezzando i capelli della sorella e sussurrandole che andava tutto bene. C'era così tanto sangue. Amanda non credeva che una bambina così minuta potesse averne tanto. Cercò di fermare malamente l'emorragia con un cuscino che afferrò veloce, premendolo poi sul suo capo. Rimase lì per quella che sembrò un'eternità, pregando qualunque cosa fosse in ascolto di aiutarla, almeno per una volta, di non lasciare che l'unica cosa che ancora la teneva ancorata alla realtà se ne andasse.

Finalmente, una mano si posò delicata sulla sua spalla. Appena si accorse delle voci attorno a sé, poi un uomo le prese il braccio e lo allontanò dalla bambina, guardando Amanda dritta negli occhi e dicendole qualcosa. La ragazza continuava a fissare sua sorella, l'intero mondo ovattato. Alla fine qualcuno la sollevò di peso, posandola su una poltrona e mettendole una coperta attorno alle spalle.

Amanda osservò un gruppo di quattro persone mettere un collarino attorno al collo di Roberta, caricandola poi su una barella e legandola anche su quella. Provarono a puntarle una luce negli occhi, ma non ci fu alcuna reazione da parte della bambina. L'espressione dei medici si fece ancora più cupa, e ad Amanda venne voglia di vomitare.

Fu solo quando questi cominciarono ad uscire, trasportando delicatamente la barella, che la ragazza uscì improvvisamente dallo stato di shock in cui era caduta, sollevandosi e raggiungendoli veloce.

"Vengo con voi" disse, e lo stesso uomo che le aveva parlato poco prima annuì con un cenno del capo, lasciandola salire sull'ambulanza e sedere accanto a Roberta, ancora incosciente.

Arrivarono in pochi minuti, e non appena le porte dell'ambulanza si aprirono Roberta fu caricata su una barella con le ruote, che poi venne trascinata di corsa all'interno dell'ospedale. Amanda stava per inseguirli, ma una donna la fermò, scuotendo appena la testa. "Non ti faranno entrare" disse, guardandola con pietà. "Va a sederti in sala d'attesa, ti faranno sapere loro."

Amanda annuì, camminando verso l'ospedale come se non riuscisse nemmeno a capire dove si trovava, entrando poi dalle porte e socchiudendo gli occhi quando la luce delle lampade la colpì.

Sentì qualcuno trattenere il respiro, e quando riaprì gli occhi vide che tutti la stavano fissando, gli occhi spalancati. Un uomo seduto dietro il bancone dell'accettazione le si avvicinò di corsa, controllandola da capo a piedi.

"Signorina, sta bene? E' ferita?"

Amanda scosse la testa, confusa, ma una breve occhiata ai suoi vestiti completamente ricoperti di sangue le bastò come spiegazione. Immaginò di averne anche in faccia.

"Hanno portato mia sorella" sussurrò, cercando di schiarirsi la mente. Le sembrava che il suo intero corpo si fosse svuotato, le sembrava di levitare, galleggiando senza una precisa meta. "Devo vederla."

"Sua sorella è la bambina bionda che è appena entrata?"

"Credo-credo di sì"

L'uomo annuì, facendo un cenno ad un'infermiera lì accanto. "Porta questa ragazza a darsi una ripulita" le disse, "Poi vedi se riesci a sapere qualcosa sulla bambina che hanno appena portato dentro".

L'infermiera non perse tempo, afferrando delicatamente il braccio di Amanda e portandola con sé, il tono gentile. "Da questa parte" disse, aprendo la porta di un piccolo bagno.

"Tu lavati pure con calma, io vado a vedere come sta... "

Amanda strinse appena gli occhi. "Roberta"

"Roberta" ripeté la donna, sorridendo gentile e uscendo, richiudendo dietro di sé la porta del bagno.

Amanda si ritrovò da sola, il silenzio interrotto di tanto in tanto dal rumore di passi nel corridoio. Si avvicinò al lavandino, alzando il volto verso lo specchio e osservando il sangue rappreso sui capelli e sul mento. Come un automa aprì l'acqua, lasciandola prima scorrere sulle sue mani, poi finalmente cominciò a lavarsi il viso. Sentiva il sapore metallico del sangue sulle labbra, ne percepiva l'odore pungente, ne tastava la vischiosità sotto le dita, e quando aprì gli occhi vide come l'intero lavandino era ora macchiato di rosso.

Scivolò a terra, una mano ancora aggrappata al lavello, non curandosi dell'acqua che ancora continuava a scorrere, e rimase ferma lì a fissare il vuoto, incapace di emettere un solo suono.

Non una lacrima lasciò i suoi occhi quella sera.

 

 

Quando Luigi arrivò, circa un'ora dopo, Amanda era seduta in sala d'attesa, la testa stretta tra le mani. L'infermiera che l'aveva accompagnata in bagno era tornata dopo dieci minuti, dicendole che Roberta era in Terapia Intensiva e che avrebbe dovuto aspettare un po' per ulteriori notizie, chiedendole poi se volesse chiamare qualcuno. Amanda aveva immediatamente dato il numero di Luigi. Di Eleonora non c'era più traccia, e Amanda dubitava che avrebbe comunque mai avvertito l'uomo.

Luigi si sedette immediatamente accanto, obbligandola ad alzare lo sguardo.

"Come sta?" chiese subito, l'aspetto sconvolto. Amanda scosse la testa, notando una macchia di rossetto sulla sua camicia.

"L'hanno portata in Terapia Intensiva quasi un'ora fa, non mi hanno voluto dire altro."

"Oh, Sofia" sussurrò l'uomo, afferrandola per le spalle e stringendola in un abbraccio. Per la prima volta da anni, Amanda non si sentì infastidita dall'utilizzo del suo secondo nome, lasciandosi invece sprofondare tra le braccia del padre, rilassandosi appena. Non si era mai davvero accorta di quanto le fosse mancato fino a quel momento, il momento in cui finalmente si sentì di nuovo protetta, proprio come quando era una bambina.

"E' lei il padre di Roberta Ferri?" domandò una voce, facendoli separare. Luigi si alzò immediatamente in piedi, annuendo. "Come sta mia figlia? Si è svegliata?"

"Qualche minuto fa, sì"

"E possiamo vederla?"

"Mi dispiace, non ancora. La caduta è stata piuttosto violenta, e le ha provocato una leggera contusione cerebrale, che ha dato il via ad un'emorragia interna."

La dottoressa dovette notare il terrore negli occhi di Luigi e Amanda, perché si affretto a sollevare le mani davanti a sé.

"Sembra più grave di quanto non sia, almeno per ora. Le sue condizioni sono piuttosto stabili, e in questo momento i miei colleghi la stanno monitorando costantemente per assicurarsi che l'emorragia si sia fermata. Se tutto andrà bene, entro pochi minuti le faremo una TAC, così da controllare l'effettiva estensione del danno. La bambina sembra comunque rispondere positivamente agli stimoli esterni, quindi siamo piuttosto certi che non sia stata lesionata nessuna parte importante del cervello."

Luigi espirò rumorosamente, passandosi una mano sul volto.

"L'unico problema è che ha perso molto sangue, e per questo ha bisogno di una trasfusione"

"Posso donarlo io" disse subito l'uomo. "Sono anni che dono il sangue, so di essere idoneo"

La dottoressa sorrise, annuendo. "Era proprio ciò che speravo. Vede, il gruppo zero negativo è sempre il più difficile da trovare. Abbiamo già preso contatto con l'ospedale più vicino per farcene portare qualche sacca, ma non arriverà prima di una mezz'ora"

Luigi a quelle parole si bloccò, confuso. "Zero negativo?" domandò, corrucciando le sopracciglia. "Io... maledizione, non posso aiutarla. Io sono AB positivo, e la madre della bambina..."

"Lei è AB positivo? Ne è sicuro?" domandò la donna, che ora sembrava incredibilmente a disagio.

"Sì, gliel'ho detto. Dono il sangue abitualmente"

Amanda sentì un campanello d'allarme suonare da qualche parte nella sua testa, riconoscendo qualcosa di sbagliato in quello che aveva appena sentito. Le tornò alla mente il capitolo sui gruppi sanguigni che aveva studiato in terza, e improvvisamente spalancò gli occhi.

"Non è possibile" sussurrò, al che Luigi si voltò verso di lei, mentre la dottoressa la osservò semplicemente con sguardo carico di comprensione.

"Come?" domandò l'uomo, sempre più perplesso. Amanda aveva come l'impressione che fosse in fase di negazione, perché era impossibile che non ci fosse arrivato anche lui.

"Perché una persona sia di gruppo zero, entrambi i suoi genitori devono avere il gene 0"

"Forse Alice..."

"Entrambi, papà" disse, guardando l'uomo dritto negli occhi. Luigi arretrò appena, voltandosi poi verso la dottoressa. "Cosa state dicendo?"

"Signor Ferri, vede, potrebbe esserci la possibilità che..."

"Roberta non è tua figlia" mormorò Amanda, e sentendo immediatamente il peso di quelle parole non appena le pronunciò. "Non è mia sorella."

"E' uno scherzo?"

"Signor Ferri-"

"Le analisi devono essere per forza sbagliate, non c'è altra spiegazione"

Amanda afferrò il braccio del padre, attirandolo verso di sé. "Non hai mai fatto il test del DNA?"

L'uomo scosse la testa. "No, certo che no. Mi sono fidato della parola di Alice, non credevo..."

"Che anche lei potesse avere un amante?"

Lo sguardo di Luigi si indurì per un secondo, poi però l'uomo abbassò le spalle con fare rassegnato, chinando la testa.

La dottoressa li guardò con espressione preoccupata. "Vuole un bicchiere d'acqua?"

"No, stiamo bene" rispose Amanda per lui, aiutandolo a sedersi. "Ci faccia solo sapere al più presto le condizioni di mia sorella, per favore" disse, e sottolineò il più possibile la parola sorella. La dottoressa annuì, forse un po' più tranquilla, e si allontanò per il corridoio.

"Papà" chiamò, abbassandosi in ginocchio così da incontrare lo sguardo del padre. "Papà, non è cambiato niente."

"Tutti i problemi che ho creato" mormorò l'uomo, stringendosi la testa tra le mani. "Tutte le liti con tua madre, il matrimonio distrutto. Tutto per niente, per una bugia. Tutto per una bambina che non è neanche mia."

Amanda cercò di non ascoltare le parole del padre, dicendosi che erano solo frutto dello shock.

"Quello è il passato" disse, scandendo bene le parole. "Roberta è il presente. Roberta, tua figlia. Che non sia biologicamente tua è davvero così importante? Non vale forse ogni singolo sacrificio, che il suo gruppo sia 0 negativo o no?"

Luigi non rispose, fissando Amanda come se neanche la vedesse. Dopo qualche secondo si sollevò di scatto, rischiando quasi di far cadere la ragazza, e tirando fuori il telefono.

"Devo fare una cosa" mormorò, voltandosi verso l'uscita. "Non ci vorrà molto. Tu aspettami qui, ok?"

"Papà..."

"Tornerò tra qualche ora al massimo, poi andremo insieme a visitare Roberta. Scrivimi se ci sono novità"

"Non puoi restare?" chiese Amanda, sentendosi più fragile che mai. Voleva solo che Luigi la abbracciasse di nuovo, proprio come aveva fatto qualche minuto prima.

Ma l'uomo si limitò a scuotere la testa, sistemandosi la giacca. "Non ora, no" disse, poi si uscì a passo spedito dall'ospedale, non guardandosi indietro nemmeno una volta.

E così Amanda fu di nuovo sola.

 

 

 

Erano ormai undici quando la chiamarono, facendole sapere che Roberta era ancora sotto osservazione, ma sembrava essersi ripresa completamente. La condussero in una stanzetta al secondo piano, e Amanda sentì un'enorme sensazione di sollievo quando vide la sorella seduta sul lettino, mangiando con gusto un budino al cioccolato. La informarono che avrebbero tenuto la bambina in ospedale per altre 48 ore, poi se non ci fossero stati peggioramenti sarebbe stati libera di andare; la tac non aveva rivelato nessun danno cerebrale, escludendo la lieve contusione, perciò i medici si erano mostrati molto positivi per quanto riguardava la sua completa guarigione.

Non appena entrò nella stanza, Amanda abbracciò Roberta così forte che quasi rischiò di soffocarla. La tenne stretta a sé per qualche minuto, sentendosi come se improvvisamente il mondo fosse tornato a girare.

"Non ricorda niente della caduta," le spiegò la solita infermiera, che in quel momento stava sollevando lo schienale del lettino della bambina. "Ma l'amnesia è un sintomo piuttosto comune del trauma cranico. Potrebbe recuperare il ricordo con il tempo, o non farlo mai. Dipende anche molto da quanto è stato traumatico".

Per il bene di Roberta, Amanda sperò non lo recuperasse mai.

"Può addormentarsi?" chiese allora, ricordando di aver letto da qualche parte che i pazienti che avevano subito un trauma cranico dovevano restare svegli. L'infermiera comunque annuì, sistemando visto che c'era anche il cuscino.

"Certo. La dottoressa dovrebbe passare ogni due o tre ore a svegliarla però, per controllare che sia tutto a posto"

Roberta corrucciò il volto sentendo quell'informazione, per niente contenta di sapere che sarebbe stata svegliata più volte quella notte, ma Amanda annuì grata: non credeva che sarebbe stata capace di chiudere occhio altrimenti.

Essendo l'unica parente presente in ospedale - Luigi ancora non era tornato, nonostante i messaggi di Amanda - le prepararono una brandina accanto a quella di Roberta, e la ragazza si addormentò mano nella mano con la sorella, ascoltando il suo lento respiro fino a quando il sonno non la trascinò via.

Quando si svegliò, la mattina dopo, ci mise un po' a ricordare dove si trovasse. Osservò lo sconosciuto soffitto, la luce che arrivava dal punto sbagliato, ma fu l'odore pungente di disinfettante che la riportò alla realtà. Lanciò un'occhiata a Roberta, che anche con quel caldo dormiva sotto vari strati di coperte, poi si sollevò con un lamento, massaggiandosi la schiena dolorante.

Afferrò il cellulare che aveva poggiato sul comodino la sera prima. Le 7:51, forse Giulia non era ancora entrata a scuola. Le scrisse un veloce messaggio, spiegandole che c'era stato un incidente con Roberta e che si trovavano in ospedale, chiedendole di giustificarla con i professori e pregare la professoressa di matematica di non metterle il debito, che avrebbe rifatto la verifica che avevano segnato per quel giorno il prima possibile. Controllò poi per eventuali chiamate perse da parte di Luigi, ma l'uomo sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Fu a quel punto che si ricordò della scoperta del giorno prima, tornando a guardare Roberta. Forse era perché ora sapeva la verità, ma guardando la bambina si ritrovò a chiedersi come non l'avesse mai intuita prima.

Roberta aveva capelli biondi e lisci, mentre i suoi erano di un miele tendente al castano, mossi. Il colore l'aveva preso dalla madre, ma il mosso era generosa eredità del padre, proprio come gli occhi ambrati. Quelli di Roberta erano invece verdi, e Amanda aveva sempre dato per scontato che li avesse presi da sua madre, Alice. Anche la forma del viso era molto diversa, quella di Amanda più spigolosa, mentre l'altra era più delicata, e perfino l'altezza non corrispondeva. Amanda sapeva che ovviamente Roberta aveva ancora molto da crescere, ma per la sua età era comunque piuttosto bassa, mentre lei era sempre stata la più alta della classe, sin dall'asilo.

Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri. Serviva davvero a qualcosa pensarci? La verità non sarebbe di certo cambiata, non per lei almeno: Roberta era sua sorella, lo era sempre stata e lo sarebbe stata per sempre. Decise comunque che le avrebbe raccontato tutto non appena le cose si fossero sistemate, perché non aveva intenzione di tenerle nascosta una cosa così importante, e aspettare troppo non sarebbe servito a nulla.

Sentì lo stomaco brontolarle, così si alzò in piedi, stiracchiandosi e cercando di staccarsi i jeans che erano ormai diventati un tutt'uno con le sue gambe. Cercando di non svegliare la sorella, uscì in corridoio, guardandosi attorno alla ricerca di un bagno. Lo intravide qualche stanza più in là, e una volta accertatasi che fosse libero vi entrò, cercando di lavarsi alla bell'e meglio. Indossava ancora i vestiti sporchi di sangue, e quella visione la fece rabbrividire appena, riportandole alla mente il terrore che aveva provato appena qualche ora prima. Avrebbe voluto cambiarsi, ma dubitava che qualcuno avesse qualcosa da prestarle lì all'ospedale. Afferrò il telefono e di nuovo scrisse a Luigi, chiedendogli questa volta di passare da casa prima di tornare all'ospedale, portando un cambio per lei e Roberta. Cercò di non pensare all'agitazione che le stava provocando la mancanza di risposte da parte dell'uomo, concentrandosi invece sui capelli impiastricciati. Decise alla fine di metterli per un po' sotto il getto dell'acqua, sperando di riuscire a pulirli almeno un po', temendo di provocare un infarto a qualcuno se si fosse presentata al bar in quel modo.

Il risultato poté considerarsi quasi decente, così, dopo esserseli asciugati un minimo con un po' di carta igienica e averli legati in una crocchia, finalmente si diresse verso il bar. Aveva solo cinque euro con sé, che si era fortunatamente infilata in tasca la mattina precedente, così si prese un cornetto vuoto e un succo, più tre cioccolatini fondenti per Roberta. Restò al bar meno di cinque minuti, ma riuscì comunque a far girare verso di sé più di trenta persone, che osservavano i suoi vestiti sporchi di sangue, bisbigliando poi tra loro.

Se ne andò tenendo la testa bassa, infastidita da tutte quelle attenzioni, e continuando a guardare a terra finché non arrivò davanti alla camera di Roberta. Fu per quello che si accorse solo una volta entrata che vi era già qualcuno.

"Le dinamiche sono molto sospette" stava dicendo una voce, il tono molto grave. "Dobbiamo assicurarci che l'avvenuto sia stato effettivamente un incidente".

Amanda alzò lo sguardo, sorpresa, e si ritrovò a guardare un agente di polizia in piedi accanto al letto di sua sorella, che ancora dormiva serena. Eleonora era ferma davanti a lui, annuendo con tranquillità mentre un sorriso leggero le addolciva l'espressione seria.

Mai Amanda aveva provato l'impulso di procurare del male fisico a qualcuno, ma in quel momento dovette infilarsi le unghie nei palmi per impedirsi di saltare addosso alla madre, sbattendola a terra.

"Suo marito non era in casa al momento dell'incidente, giusto?" domandò il poliziotto, al che Eleonora scosse la testa, lo sguardo innocente.

"No, c'eravamo solo io e mia figlia Amanda"

"E la bambina"

"Sì, esatto. Io e Amanda stavamo parlando, e sa, Roberta è una bambina molto vivace. Stava correndo in giro per tutto il salone, a nulla sono serviti i miei richiami. Ad un certo punto abbiamo sentito un rumore di vetri, e quando ci siamo girate la bambina era lì" si fermò un istante, il labbro inferiore che le tremolava. "E' stato uno spettacolo orribile, mia figlia non riusciva nemmeno a muoversi. Per fortuna che io sono una persona molto lucida, sopratutto nelle situazioni difficili, perciò mi sono affrettata a chiamare un'ambulanza"

"E a fatto un ottimo lavoro signora. Ha salvato la vita di sua figlia"

"Ho fatto solo quello che avrebbe fatto qualunque madre. E ti prego, chiamami Eleonora!"

Amanda ne aveva avuto abbastanza. Con uno scatto avanzò, fermandosi proprio dietro il poliziotto e guardando la madre dritta negli occhi, senza preoccuparsi di nascondere la rabbia che vi stava ribollendo.

Il poliziotto si voltò verso di lei, curioso, e se notò il suo sguardo assassino non lo diede a vedere.

"Tu devi essere Amanda" disse, non aspettando una risposta. "Ero qui solo per controllare un paio di questioni, non disturberò oltre." Si frugò nella tasca, tirando fuori un blocchetto e staccandovi un foglio, dandolo poi ad Amanda. "Se mai sentirai il bisogno di parlare di qualcosa, chiama pure questo numero".

Eleonora osservò il bigliettino tra le mani di Amanda con preoccupazione. "Non ce n'è bisogno, ne ha già dato uno a me" disse all'uomo. Quest'ultimo non diede segno di averla sentita, dando invece una pacca sulla spalla alla ragazza ed augurando buona giornata, uscendo dalla stanza.

"Cosa ci fai qui?" chiese immediatamente Amanda, infilandosi il biglietto nella tasca dei pantaloni. Eleonora abbassò lo sguardo, facendo una smorfia. "Sono venuta a vedere come sta mia figlia"

"Meglio" rispose secca Amanda. "Non certo grazie a te".

"Non l'ho fatto apposta" mormorò quella "Non avevo intenzione di farle del male"

"Giusto, quel trattamento lo riservi a me"

Eleonora alzò lo sguardo a quel commento, assottigliando lo sguardo. "Educare i propri figli ora è diventato un crimine?"

Amanda strinse i denti, avvicinandosi appena alla donna. "No, ma riempirli di lividi lo è" sibilò, "E sono sicura che quel poliziotto sarebbe d'accordo con me".

"Non fare niente di avventato, per favore. Appena torneremo a casa ne discuteremo con calma e troveremo una soluzione"

"Tu credi davvero che io tornerò a casa con te dopo questo?" domandò Amanda, indicando Roberta che ancora dormiva nel suo letto.

Eleonora strinse le labbra, lo sguardo arrabbiato. "Quello che ti ho detto ieri non è cambiato"

"Non lo è?" Amanda avanzò ancora, e per la prima volta vide sua madre indietreggiare sotto il suo sguardo deciso. "Mettiamola così, allora: prova a toccare un'altra volta me o mia sorella, prova anche solo a cercare di avvicinarti a noi, e io ti prometto che mi assicurerò che il resto della tua vita tu lo passi in prigione".

Eleonora la fissò in silenzio, sbalordita. I suoi occhi erano spalancati, il petto che si alzava e si abbassava veloce mentre osservava la figlia piena di incredulità. Tese una mano verso di lei, cercando di sfiorarle il volto, ma la ragazza si ritrasse.

"Non sto scherzando"

Eleonora abbassò il braccio, corrucciando le sopracciglia. "Cosa ti è successo, Amanda? Eri una ragazzina così dolce. Ora non fai altro che trattarmi male! Io ci sono sempre stata per te, ho sacrificato la mia vita per crescerti. Come puoi farmi questo?"

"Lo faccio perché ti voglio bene mamma" sussurrò, scuotendo appena la testa. "Ma non te ne voglio abbastanza."

"Non-"

"Passerò tra qualche giorno a prendere le mie cose e quelle di Roberta, poi i nostri rapporti saranno ufficialmente conclusi. Puoi considerare questo un addio"

Si fissarono negli occhi ancora per qualche secondo, e alla fine lo sguardo irremovibile di Amanda vinse. Eleonora abbassò la testa, espirando pesantemente, e senza un'altra parola si diresse verso l'uscita della stanza. Amanda la sentì trattenere il respiro, e quando sollevò lo sguardo vide Alessandro sul ciglio della porta, immobile mentre scrutava la donna con espressione impenetrabile. Eleonora lanciò un ultimo sguardo alla figlia, poi superò l'uomo e uscì.

Amanda dal canto suo rimase a fissare Alessandro, troppo sorpresa anche solo per dire qualcosa. Lui la fissò di rimando per un po', poi lentamente si avvicinò, un sorriso triste sul volto.

"Da quanto sei qui?" riuscì finalmente a chiedere la ragazza, deglutendo rumorosamente.

"Abbastanza, immagino" disse lui, fermandosi davanti a lei. "Sono stato proprio cieco"

"Non avevi modo di sapere"

"Avrei potuto averlo, se solo mi fossi sforzato di più"

"E a quel punto non sarebbe cambiato niente"

Sorprendentemente, Alessandro annuì. "Hai ragione. Questa era una cosa che dovevi fare da sola" disse, sospirando e sedendosi sulla brandina di Amanda, lo sguardo fisso su Roberta. "Ma forse avrei potuto impedire quello"

"Perché sei qui, Alessandro?"

L'uomo tornò a guardarla. "Giulia mi ha fermato prima che entrassi in classe, e mi ha detto quello che era successo. Ho dovuto corrompere un paio di infermieri per convincerli a farmi entrare."

"Eri preoccupato per Roberta?"

"Per lei. E per te" mormorò, bagnandosi le labbra. "Volevo assicurarmi che stessi bene"

"Io-"

"Non intendo fisicamente, Amanda" la interruppe, lanciando un'occhiata ai suoi vestiti pieni di sangue.

La ragazza lo osservò confusa. "Perché sei qui?" ripeté, e sapeva che Alessandro avrebbe capito cosa stava chiedendo. Perché sei qui, dopo quello che mi hai detto? Perché sei qui, quando per settimane altro non hai fatto che starmi lontano?

"Voglio darti delle spiegazioni" disse. "E... voglio scusarmi".

"Ascolta, non ce n'è bisogno, ok? L'altro giorno sono stata troppo dura con te, non intendevo aggredirti in quel modo. Ho detto cose che non pensavo"

"Hai detto cose vere. Quasi tutte almeno" disse. "Ed è proprio per questo che voglio spiegarmi. Ti chiedo solo di ascoltarmi per qualche minuto, poi giuro che, se lo vorrai, non ti cercherò mai più".

Amanda non rispose, continuando a fissarlo, centinaia di emozioni che si scontravano in lei. Alessandro prese il suo silenzio come un invito ad andare avanti, abbassando lo sguardo ed espirando profondamente.

"Quando ero piccolo, mio padre era solito bere molto. Era disoccupato da anni, e questo lo portava a soffocare i suoi dispiaceri nell'alcool. Mia madre lavorava per mantenere la famiglia, e così ha cominciato a fare la mia sorella maggiore, Silvia, non appena compiuti i quindici anni.

A mio padre non piaceva essere mantenuto da due donne, era qualcosa che non riusciva a sopportare. Me lo diceva spesso quando mi portava a pescare, i pochi fine settimana in cui era sobrio, continuando a ripetermi che una donna non avrebbe mai dovuto avere più potere di un uomo. Si sentiva umiliato, pensava che mia madre e Silvia si prendessero gioco di lui con le amiche, mettendo in imbarazzo l'intera famiglia. Era per questo che, spesso, ci teneva a mettere in chiaro chi fosse a comandare in quella casa"

Amanda trattenne il respiro, capendo immediatamente dove stesse portando quella storia.

"A me non mi ha mai toccato, non aveva niente contro di me, ero il suo unico figlio maschio, ma con le mie sorelle non è mai stato così gentile. Ero troppo piccolo per fare qualcosa, troppo impaurito per fermarlo, per difenderle" la sua voce si spezzò per un istante, ma prima che Amanda potesse dire qualcosa riprese. "Mio padre morì in un incidente stradale quando avevo quattordici anni, ma la mia famiglia non riuscì mai completamente a superare gli anni passati con lui. Mia sorella Lucrezia, soprattutto. Continuò ad avere incubi ogni notte per mesi dopo la morte di mio padre, aveva paura della sua stessa ombra. Aveva appena iniziato ad andare in terapia con uno psicologo quando si buttò dal balcone di casa, due anni dopo. Lo trovai io. Sono passati dodici anni da quel giorno, ma ancora ricordo quel momento come se lo stessi vivendo ora".

"Alessandro, mio Dio..."

"Non ti sto dicendo questo perché tu mi compatisca, Amanda. Voglio solo che tu capisca come mi sono sentito quando ho visto quei lividi sul tuo volto, come mi sono sentito quando sei indietreggiata quando ho cercato di fermarti, la stessa paura nel tuo sguardo che avevo visto tante volte negli occhi di Lucrezia. E' stato come rivivere tutto daccapo."

"Sapevo che convincerti a raccontarmi chi era stato sarebbe stato impossibile, io stesso non ho mai detto a nessuno a mio padre prima d'ora. E' strano come quasi provi più vergogna la vittima del carnefice, non credi?

Quando lunedì non ti sei presentata a scuola, per un attimo ho temuto il peggio. Mi sono informato sul ragazzo di cui mi avevi parlato, ho visto il post su facebook, e ho deciso che non importava come, avrei trovato il modo di aiutarti. Non avrei lasciato che quello che era successo a mia sorella si ripetesse.

Quel pomeriggio ti ho visto dalla finestra del mio appartamento. Eri seduta sotto un albero a leggere, e ho deciso di fare un nuovo tentativo. Proprio come immaginavo, non appena ho nominato Mirco tu ti sei richiusa a riccio, ma io non ero intenzionato a mollare. Immagino fosse proprio perché non riuscivo a smettere di compararti a mia sorella che mi sentivo così protettivo nei tuoi confronti. Sentivo il bisogno di proteggerti fin dentro le ossa. Mi sembravi così fragile, allora. C'è voluto un po' perché capissi quando mi sbagliavo."

"C'è stata poi la serata al Planet. Ricordo che quando ti ho vista, la prima cosa che ho pensato è stata che eri bellissima. Non me ne ero mai accorto prima di allora, il che è un bene, immagino. Ho scacciato in fretta quel pensiero dalla mente, fingendo che non fosse mai esistito. Quando più tardi ti ho trovata, terrorizzata, Mirco che ti inseguiva, per un attimo ho fatto fatica a trattenermi. Ho dovuto concentrarmi con tutte le mie forze per ricordarmi che Mirco era uno studente, un ragazzino. Quella rabbia mi ha sorpreso, ma mi sono detto che era solo perché mi ricordava mio padre.

Poi, ecco che in macchina mi hai detto che i lividi non te li aveva fatti lui. Se non fossi stata così ubriaca probabilmente avrei pensato mentissi, ma non sembravi nelle condizioni di farlo. Ho subito pensato a tuo padre, ma mi sembrava impossibile che lo stesso uomo che avevo incontrato ai colloqui potesse fare qualcosa di simile. Quella notte, dopo averti lasciata a casa, sono rimasto sveglio a pensare a chi poteva averti fatto una cosa simile, poi al perché mi ero offerto di darti delle lezioni di guida. Sarà un ottimo modo per aiutarla a fidarsi di me, ho pensato. E' solo per questo che lo sto facendo.

Sono sempre stato particolarmente bravo a mentire a me stesso.

Il mio muro di sicurezze ha iniziato a crollare dopo il nostro secondo incontro al parco. Mentre ti ascoltavo parlare, analizzarmi come nessuno - sopratutto io - era mai riuscito a fare, per un istante, un solo istante, ho provato qualcosa che sapevo bene non avrei dovuto provare. Mi era già capitato durante la nostra lezione di guida, ma non in quel modo, e sopratutto allora avevo potuto incolpare la vicinanza. Dopotutto, tu sei una bella ragazza, e io sono pure sempre un uomo. Ma per quello che era successo al parco, no, lì non c'erano scusanti.

E così ho deciso che fosse arrivato il momento di prendere le distanze. Mi sono reso conto che forse avevo esagerato, mi ero avvicinato troppo a te. La mia intenzione era quella di aiutarti, non darti ulteriori problemi. Ero spaventato, spaventato a morte dal bisogno che provavo di starti vicino. Di nuovo ho preferito mentire, dicendomi che volevo starti accanto solo perché mi ricordavi mia sorella, che stavo interpretando male i miei sentimenti. Ho deciso di provare che avevo ragione proponendoti una nuova lezione, ma è servita solo a mandarmi ancora più nel panico. Quello che stavo provando non aveva proprio niente di fraterno, ormai era chiaro. Se solo potessi descriverti come mi sentivo, Amanda. Non riuscivo a capire cosa ci fosse di sbagliato in me. Tu ti stavi affidando a me, e io mi stavo approfittando della tua fiducia in quel modo.

Ho deciso di darmi un'altra possibilità. Avevi lasciato il telefono in macchina, perciò ho pensato che riportartelo sarebbe stata l'occasione perfetta per dimostrare a me stesso che ero abbastanza forte da combattere i miei istinti. Credo che tu sappia bene che non ha funzionato."

"Mi hai baciata" sussurrò Amanda.

Alessandro annuì. "Ti ho baciata. E farlo mi è sembrato così... giusto. Era da anni che non mi sentivo più così, era dai tempi di Veronica. Fu quel pensiero che mi fece capire - no, che finse di farmi capire - quello che provavo per te. Veronica, la stessa ragazza che mi aveva aiutato a superare il suicidio di mia sorella, che mi aveva accompagnato nel momento più difficile della mia vita. La stavo rivedendo in te. Mi sembrò chiaro al momento, quasi ovvio. I tuoi lividi non mi avevano ricordato Lucrezia, mi avevano ricordato l'amore di Veronica. Non persi tempo ad accettare quella spiegazione, troppo codardo per soffermarmi anche solo un secondo a pensare a quanto fosse ridicola.

Dentro di me sapevo però la verità, ed è stato per questo che ti ho detto quelle cose. Al momento ho pensato che lo stessi facendo perché era meglio essere sincero, ma mi sono bastate poche ore per capire che l'avevo fatto per allontanarti, terrorizzato al pensiero che se fossi rimasto con te un solo secondo in più, sarei stato costretto ad affrontare la verità. E la verità è che io ero attratto da te, Amanda. Non dal ricordo di Veronica, non dal senso di colpa nei confronti di mia sorella. Eri tu quella di cui sentivo il bisogno."

"Quella notte, quando mi sono reso conto della stronzata che avevo fatto, avrei voluto prendermi a pugni. Sono stato tentato di venire da te, così, nel cuore della notte, scusarmi e supplicarti di perdonarmi, di darmi un'altra occasione, ma sapevo di non meritarla. Se anche ti avessi raccontato la verità, non sarebbe cambiato il fatto che mi ero comportato da vigliacco, che ti avevo illusa e poi avevo mentito per salvare me stesso. Inoltre, nulla sarebbe mai potuto succedere tra noi due. Io sono il tuo professore, un uomo di ventotto anni, e tu una ragazza che deve ancora sperimentare la vita. Ho deciso di lasciare le cose così. Sapevo che probabilmente mi avresti odiato, ma ero pronto a lasciartelo fare pur di liberati dalle catene che ti avevo involontariamente messo attorno.

Ovviamente non mi sono reso conto di quanto effettivamente ti avessi ferita, come sempre troppo concentrato a pensare a me stesso, finché non abbiamo avuto quella discussione qualche giorno fa. Le tue parole mi hanno fatto capire che, di nuovo, altro non stavo facendo che proteggere me stesso allontanandomi da te, senza nemmeno darti la possibilità di scegliere.

Non voglio più farlo. Voglio che tu mi conosca davvero, Amanda. Voglio che tu conosca il codardo che sono stato, ma che non voglio più essere. Voglio che tu capisca che non ho mai avuto intenzione di ferirti, ma questo non mi ha impedito di farlo. Voglio che tu capisca che non sto chiedendo il tuo perdono, né una seconda possibilità. Non ti sto chiedendo di dimenticare quanto ho fatto, perché io di sicuro non lo farò mai. Voglio solo che tu sappia la verità, che tu sappia che io ti sarò per sempre grato per avermi obbligato a aprire gli occhi, per avermi mostrato quante bugie continuavo a raccontarmi giorno dopo giorno, per avermi reso una persona migliore."

Quando Alessandro finì di parlare, la stanza divenne così silenziosa che ad Amanda parve di poter sentire il proprio sangue scorrerle nelle vene. Era ferma in piedi, esattamente dov'era prima, eppure le sembrava che l'universo intero le fosse appena cambiato sotto i piedi. Se qualcuno le avesse detto che ora il sole sorgeva di notte e tramontava al mattino, probabilmente ci avrebbe creduto, perché non era possibile che niente fosse cambiato, quando invece era chiaramente cambiato tutto.

Alessandro era esattamente lo stesso, eppure Amanda davanti a sé vedeva un estraneo, una persona che non aveva mai visto prima di allora.

Eppure, ora aveva la sensazione di conoscere quella persona meglio di quanto potesse dire di conoscere se stessa.

"Credevo mi odiassi" riuscì a dire, sentendo la sua voce uscirle debole, quasi estranea. "Quello era facile da capire. Ora invece mi sembra di non sapere più niente"

Alessandro si alzò dalla brandina, avvicinandosi a lei e afferrandole delicatamente il viso, spostandole i capelli dietro le orecchie. "Arriverei ad odiare me stesso, prima di poter odiare te" disse in un soffio, gli occhi puntati sui suoi. "E non c'è bisogno che tu capisca tutto adesso. Hai tutto il tempo per farlo, perché questa volta io non ho intenzione di andare da nessuna parte."

"Non posso farlo di nuovo" mormorò Amanda, abbassando lo sguardo. "Non posso rischiare di nuovo. E' stato troppo, Alessandro. Non posso permettermi di essere così debole, non ora che devo essere più forte di quanto sia mai stata".

"E io non ti sto chiedendo di farlo. Sappi solo che se mai avrai bisogno di aiuto, per qualunque cosa, io ci sono. Non voglio niente, Amanda. Sopratutto, non voglio niente in cambio. Hai capito?"

Amanda annuì, posando poi con un sospiro la fronte sul petto di Alessandro. Lui rimase per qualche istante immobile, poi la strinse delicatamente a sé, accarezzandole dolcemente i capelli.

Il tempo parve quasi fermarsi, e Amanda chiuse gli occhi, respirando il profumo di Alessandro e lasciandosi cullare dal battito del suo cuore.

 

 
 

Alessandro tornò anche il pomeriggio successivo, questa volta durante l'orario delle visite, pochi minuti dopo che Michela se ne fu andata. Roberta era sveglia, ora anche circondata di fiori e dolciumi, e non appena lo vide lo chiamò entusiasta, lasciandosi scompigliare i capelli e chiedendo immediatamente notizie di Flash. Dopo che si fu assicurata che il cane stesse bene - l'uomo le spiegò che nell'ultima settimana era stato in un campo di villeggiatura per cani che faceva vergognare qualsiasi albergo a cinque stelle - insistette per giocare insieme a lui al Nintendo, ignorando le deboli proteste di Amanda che le ricordava doveva agitarsi il meno possibile.

Quando anche Giulia arrivò, portando con sé un pacco di cioccolatini e quello che pareva un enorme orso imbalsamato, i due erano ancora seduti uno accanto all'altra sul letto, discutendo su come sarebbe stato meglio fare i capelli della modella, perché no, biondi proprio non si abbinavano al vestito (e nemmeno rosa, come Alessandro aveva inizialmente pensato fossero).

"E' venuto davvero" mormorò Giulia ad Amanda, salutando l'uomo con un cenno. "Non credevo ne avrebbe davvero avuto il coraggio".

"Sì è scusato" sussurrò Amanda, sorridendo appena.

L'amica la guardò con fare accusatorio. "L'hai già perdonato!"

"Erano delle scuse molto convincenti." borbottò, aggiungendo subito: "E ho detto perdonato, non che gli sono saltata tra le braccia." Arrossì appena a quell'affermazione, sapendo che non era del tutto vera. "Gli ho spiegato che per me quello è un capitolo chiuso".

"Certo, certo. E io sono una maratoneta professionista"

Un infermiere entrò qualche minuto dopo, annunciando che l'orario delle visite era terminato. Giulia e Alessandro uscirono insieme, salutando Roberta, e Amanda poté solo sperare che l'amica non decidesse di fare qualcosa di drastico durante il tragitto.

La ragazza passò il resto del pomeriggio a chiamare Luigi, maledicendolo quando per l'ennesima volta non rispose. Cominciò quasi a sentirsi preoccupata, chiedendosi dove potesse essere finito. Quella sera Roberta sarebbe stata dimessa, e Amanda non sapeva dove sarebbero potute andare. Non aveva un soldo in tasca, e nonostante Giulia le avesse gentilmente prestato dei vestiti puliti e portato uno spazzolino e una spazzola, Amanda sentiva l'impellente bisogno di una bella doccia calda.

Aveva quasi ormai abbandonato le speranze, chiedendosi se fosse il caso di insistere perché l'ospedale tenesse Roberta almeno un'altra notte, quando suo padre bussò alla porta della camera, entrando con un sorriso sghembo e un mazzo di fiori mal nascosto dietro la schiena.

"Papà!" esclamarono entrambe le ragazze, anche se in toni completamente diversi. Luigi si limitò a tirare quel sorriso un po' di più, avvicinandosi a Roberta e stringendola tra le braccia, posando i fiori sul letto.

"Mi sei mancata, principessa" mormorò, dandole un leggero bacio sulla fronte. Roberta ridacchiò - da quando aveva battuto la testa, sembrava non riuscire a fare altro, ma i medici avevano assicurato ad Amanda che fosse normale - poi fece segno al padre di sedersi con lei.

"Veramente" disse Amanda, cominciando a dirigersi verso la porta. "Io e papà dobbiamo parlare per due minuti da soli, ok?"

Roberta annuì, e l'uomo con un sospiro si alzò dal letto, seguendo la figlia fuori dalla stanza. Amanda socchiuse appena la porta, sapendo bene che la bambina probabilmente sarebbe rimasta in ascolto.

"Dov'eri finito? Ti sto chiamando ininterrottamente da due giorni"

Luigi annuì, abbassando lo sguardo. "Lo so tesoro, scusami, ho avuto degli impegni e... sapevo che te la saresti cavata".

"Qui non si parla di cavarsela, papà. Ho bisogno del tuo aiuto." L'uomo la guardò curioso, e Amanda sospirò. "Ho detto a mamma che non torneremo a casa, né io né Roberta. Non dopo quello che è successo."

"Quello che è successo?"

"Non fingere di non sapere come Roberta sia finita su quel tavolino, per favore"

Luigi non rispose, ma la sua espressione di fece più rassegnata. "Immagino ti servano dei soldi allora"

"Non solo quelli. Ho diciotto anni, ma non sono ancora un'adulta. Non posso gestire tutto questo da sola, non ancora. Non ho nemmeno cominciato a lavorare, e non posso far vivere Roberta in un albergo, senza sapere quanto mi ci vorrà per trovare un appartamento. Ho bisogno di te, papà. Entrambe abbiamo bisogno di te. Potremmo prenderci una casa vicino al tuo ufficio, e se tu-"

"Non posso" mormorò Luigi, stringendo appena le labbra.

Amanda lo fissò incredula. "Non puoi? O non vuoi?"

"Non posso" ripeté, passandosi una mano sul volto. "Non posso perché sto per partire"

"Cosa?"

"Hanno anticipato la partenza a Vancouver. Ho l'aereo stanotte stessa"

Amanda era immobile, cercando di processare quello che le era stato appena detto. Non riusciva a credere che l'uomo avesse davvero preso in considerazione l'idea di lasciarle lì da sole, proprio nel momento in cui avevano più bisogno di lui. "Avevi detto che non era certo. Avevi detto..." si bloccò, un'idea improvvisa. Alzò lo sguardo verso il padre, sperando solo di sbagliarsi. "Quando hai accettato la proposta, papà?"

L'uomo sembrò in difficoltà. "Io... non era una cosa da accettare alla leggera, te l'ho detto. E' da settimane che ci rifletto e-"

"Quando hai accettato?"

"Due sere fa"

"Proprio quando hai scoperto che Roberta non è la tua figlia biologica. Solo una coincidenza, giusto?"

Luigi non rispose, rifiutandosi di incrociare il suo sguardo.

"Come puoi farci questo, papà? Come puoi abbandonarci proprio ora?" afferrò l'uomo per il polso, obbligandolo a guardala. "Come puoi scappare da tua figlia in questo modo?"

"Roberta non è mia figlia"

"Ma io lo sono!" sbottò, allontanandosi quasi involontariamente da lui. "Eppure sembri ricordartelo solo quando ti fa comodo".

Luigi si avvicinò a lei, il volto corrucciato in un'espressione piena di angoscia. "Sofia, ti prego, cerca di capirmi. Mi serve un po' di tempo per riflettere, per capire come gestire la mia vita".

"Almeno tu, papà" sussurrò la ragazza, allontanandosi ancora. "Credevo che almeno tu fossi dalla mia parte".

"Lo sono"

"Spero che tu sia fiero di te stesso" mormorò Amanda, voltandosi verso la porta. "Se due sere fa hai perso una figlia, ora ne hai appena persa un'altra".

"Sofia, aspetta..."

Amanda si voltò, scostandosi dalla porta e aprendola. "A te l'onore di spiegarlo a Roberta" disse. "E goditi il viaggio".

Detto questo si allontanò per il corridoio, tirando fuori il telefono dalla tasca. Lo osservò per qualche secondo, pensando e ripensando a tutte le possibili alternative che aveva, ma già sapeva che non ve ne erano, non ora che Luigi non era più lì per aiutarla. Odiava farlo, odiava doversi nuovamente appoggiare a lui, proprio ora che aveva deciso di non farlo più, ma per Roberta era pronta a fare qualunque cosa, e la bambina aveva bisogno di una casa.

Appoggiò il telefono all'orecchio, ascoltandolo suonare. Finalmente, al quinto squillo, una voce rispose.

"Pronto?"

"Alessandro, sono Amanda. Ho bisogno del tuo aiuto."

 






NdA: Mi è stato gentilmente stato fatto notare da 
Mary143 che avevo fatto un errore per quanto riguarda i gruppi sanguigni, perciò ho cambiato quello di Luigi da A ad AB. Scusate per l'errore, e grazie mille a Mary :D

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: VahalaSly