Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    02/07/2014    3 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12

 

 

 

 

Note della traduttrice: Perdonate, voi che seguite, il ritardo negli aggiornamenti: ma studio universitario e lavoro mi lasciano ben poco tempo libero. In ogni modo, sarò lieta di rispondere a chi di voi invierà un messaggio, o una recensione, e ci tengo a precisare che sebbene con dei rallentamenti, la storia verrà tradotta per intero e non abbandonata.

n.a.. Attenzione: alcune scene di moderata violenza da questo capitolo in poi.

 


La tiene per il colletto alto del vestito nero di velluto, sollevandola vicina al suo viso tanto che lei riesce a contare le singole lentiggini, piazzate in modo strategico. Il sorriso di lui è incostante, trema come una fiamma; la punta affilata del naso le sfiora la guancia mentre la attira più vicino, più vicino, tanto vicino da sussurrarle all'orecchio, tua sorella è morta. Poi lui tira indietro il pugno, che picchia sul suo viso, tanto violentemente da rompere la cartilagine; tanto violentemente da vedere delle macchie luminose davanti agli occhi. Porta di nuovo la mano all'indietro, e questa volta le nocche strette a pugno dure come il ferro sbattono nel suo volto con un toc. Di nuovo all'indietro. Toc. E ancora.

Fa male, ma non riesce a muovere le braccia. Le mani sono fiacche, inerti e inutili contro i fianchi. Sembra che tutto quello a cui riesca a pensare, mentre alza lo sguardo sul suo viso, è che i suoi occhi non sono —non—

Regina Elsa, la bocca si muove, ma il timbro di voce non corrisponde, tutto preoccupazione esitante. Il pugno si spinge in avanti. Toc. Regina Elsa? Ancora. Toc.

"Vostra maestà?"

Si tira su a sedere con un rantolo. Un'ondata di ghiaccio colpisce il baldacchino blu scuro al di sopra di lei; si sfascia. La stoffa le cade in testa svolazzando, e i sostegni di legno si schiantano ai due lati del letto.

"Vostra maestà, va tutto bene?"

Le ci vuole un momento per associare la voce. Il sogno le aleggia attorno agli occhi e sulla lingua, un saporaccio di cui non riesce a sbarazzarsi. Si toglie di dosso la stoffa blu, valutando i danni; la testa le pulsa, ha gli occhi carichi di sonno. Tra i detriti accantonati in un angolo dell'armadio, e l'ormai stato rovinoso del letto, presto avrebbe dovuto decretare le proprie stanze una zona disastrata.

Tira su le ginocchia al petto, appoggiandosi le dita alle tempie e chiudendo gli occhi.

"Vostra maestà!"

"Sì!" fa di rimando, a volume troppo alto. Sussulta. "Sì, va bene, sono qui."

"Mi dispiace avervi svegliata—"

"Non mi hai svegliata," Elsa risponde, richiamando la maledizione alle punte delle dita, che lascia ferme sulle tempie. Sopprime uno sbadiglio. "Sono sveglia da ore."

"Sì, beh—Mastro Olin mi ha informato che una nave proveniente dalle Isole del Sud ha fatto porto la scorsa notte—"

Questa volta il ghiaccio, con niente che interrompa il suo corso, colpisce il muro di fronte.

Sente il respiro accelerare. Sente il panico formarsi dal fondo dello stomaco, mescolarsi disgustosamente all'alcool scadente e al cibo della taverna. "Sì. Beh, sono sicura che sia solo una nave mercantile—" comincia.

"—e due ambasciatori la attendono nella sala del trono."

Chiude gli occhi e vede le stelle, un'intera galassia, danzare, ruotare, vivere, e poi li riapre e non c'è nient'altro che la propria stanza disastrata con l'armadio rotto e il letto sfasciato. "Scendo subito."

"Sì, vostra maestà." Pausa. "Regina Elsa, posso…portarvi—qualcosa?"

Si lecca le labbra, premendosi i palmi sugli occhi.

"Puoi portarmi il Principe Albert."


"È tutto un po' troppo, no?" fa un verso altezzoso col naso, ripugnato, alzando lo sguardo sui pannelli di legno riccamente decorati che profilano il soffitto sopra di lui. "Tutto l'insieme è così…oppressivo."

Suo fratello colpisce col piede la base di una delle colonne bianche, dandogli un colpetto con lo stivale, e nota, passando, un occhio rivolto alla guardia ferma alla porta, lontana—

"Tutto legno."


Anna si rigira, e cade dal letto.

Cade prima di fronte, e poi sbatte col petto a terra, e la prossima cosa che fa è cercare di capire se quel rumore che ha appena sentito è il polso che si è fratturato o il pavimento che si è rotto. "Ahiiii," geme. "Beh, ora sono sveglia." Sbatte le ciglia guardando i bioccoli di polvere che si nascondono al buio, chiedendosi vagamente se avessero lo stesso sapore dello zucchero filato che a volte faceva il cuoco—ok, forse non sono del tutto sveglia, ugh, perché ho pensato una cosa del genere—e fa una smorfia, schiaffando le mani sui bordi del letto e mezzo tirandosi, mezzo trascinandosi in alto per posare il mento tra le coperte.

"Mi sento morire," si lamenta.

"Beh, non credo che tu sia morta."

"Arghah—" strilla, cadendo all'indietro, riuscendo a malapena a distinguere gli occhietti neri acquosi e la testa annuvolata e il naso arancione prima di essere di nuovo a terra. "Olaf!"

"Io!" Il pupazzo di neve strilla dall'altra parte del letto, lottando per avvicinarsi coi piccoli piedi rotondi e cercando di issarsi sul copriletto, che scivola. Le braccia non sono proprio adatte all'arrampicata. Anna emette un oof e non si muove, lasciando ricadere la testa sul pavimento duro e fissando il soffitto.

"Ma che stai facendo, Olaf?"

"Controllo solo, controllo solo—eccoci qui." Paf, paf, paf. Ed ecco che la guarda dall'alto, dopo aver scalato con successo il monte LettoeLenzuola. "Come stai?"

"Mhhhhbene," sbadiglia. "Che ore sono?"

"Tardi," Olaf si siede. I piedi arrivano appena al margine del letto. Le sorride.

"Tardi quanto?"

"Uh-huh."

"Olaf, tardi quanto?"

Il suo sorriso di allarga. "Uh, sì."

E' il sorriso di un pupazzo di neve che si è mangiato il topo, e Anna stringe gli occhi, arriccia le labbra, e chiede, lentamente, "Che succede?"

"Allora," Olaf batte le mani, producendo un suono secco, uno schiocco, e sbatte le palpebre rotonde, "com'è andata la serata con Kristoff?"

"Olaf!"

"Così bene, huh?" Tira un sospiro smielato. "Ma allora voi due vi amate davvero."

"A-amate? No, chi ha detto niente—ok, adesso stai saltando alle conclusioni." Anna si aggrappa in cerca di un appiglio e si alza, cercando di strofinare via dagli occhi appiccicati la sensazione di morte. I calzini scivolano un po' sul pavimento liscio.

"Che cos'è?"

"Huh?"

Olaf tiene in mano il cristallo arancione sfaccettato, osservando le sue profondità, tizzoni tremolanti, con una specie di incanto infantile. "E' così caldo," sussurra affascinato.

"Ecco, Olaf, non credo che ti faccia bene stringerlo in mano," Anna esclama, togliendoglielo—le braccia avevano iniziato a emettere fumo—e stringendoselo al petto. Ecco di nuovo il calore, che avvolge tutto, che inizia dalla punta delle dita e la percorre tutta fino alle piante dei piedi. Sospira, soddisfatta.

"Che cos' è?"

"Un cristallo di fuoco. Kristoff l'ha preso per me."

"Ma allora ti ama davvero."

Anna armeggia a disagio, e poi, con tutta la grazia di una gazzella che ha solo tre zampe, balza fino al tavolo da belletto, mormorando qualcosa a proposito di spago o nastro per fare del cristallo una collana. Trova un vecchio pezzo di spago spinto nei recessi di un cassetto, probabilmente un progetto d'arte abbandonato quando era piccola, e procede ad avvolgerne un capo più volte attorno alla base del cristallo. Inizia a misurare la lunghezza. "E' tutto quello che volevi, Olaf?" chiede, mordendosi la lingua dalla concentrazione, allungando la mano in cerca delle forbici. Continua, cupa, "Interrogatori?"

"Oh, no, non essere sciocca. Elsa ha altre visite."

"Huh?" Scivola, e le forbici quasi le tranciano il pollice.

"Uh-huh. Due uomini. Nella sala del trono."

Anna si acciglia, reggendo la collana improvvisata, e scrollando le spalle. Questo è quello che passa il convento, pensa, e poi, "Ehi, Olaf, ti dispiace uscire, subito? Devo vestirmi."


 

Elsa osserva lo specchio, e una donna bianca come la neve le restituisce lo sguardo, occhiaie sbiadite sotto gli occhi stanchi. Raddrizza le spalle, ignorando la schiena dolorante, la fatica che le rode i pensieri ai margini. Ha la mente piena di luce delle stelle.

 

"Regina Elsa?"

 

"Sì, arrivo." Si alza dal tavolino da belletto, facendosi strada tra i detriti sparsi sul pavimento. Si ferma appena prima della porta, quanto basta per stringere le mani a pugno ai lati del corpo e calmare i nervi, quanto basta per tirarsi su il pizzo ghiacciato del vestito. Poi appoggia la mano sul pomello d'oro, lo gira, e si ritrova faccia a faccia con Kai, delineato dal sole splendente nel corridoio. Scivola fuori in fretta, e chiude la porta dietro di sé.

 

"Gli ambasciatori—" comincia.

 

"Ancora nella sala del trono. Ho mandato un messaggero a convocare il Principe delle Isole del Sud, ma non è ancora arrivato—"

 

"Non mi aspettavo che lo facesse. Mandatelo in biblioteca non appena arriva. E Kai?"

 

"Sì, vostra maestà?"

 

"Fallo con riservatezza, te ne prego."

 

"Si, maestà. Certo."

 

Annuisce, la treccia che le sfiora il collo nudo. Aveva messo via quel vestito dopo quella volta in cui avevano pattinato, e non l'aveva usato da allora, ma se doveva accettare questa sfida, l'avrebbe fatto secondo le proprie regole—sta per girare l'angolo del corridoio quando sente un piccolo colpo di tosse. Volta la testa. "Sì?"

 

"Se mi permettete, maestà," e Kai sorride cortese, il mento che si riempie di rughe. Era stato sempre così cortese con lei, così come tutto lo staff—l'immagine perfetta del decoro. Sospettava che fosse per paura. "Mi sono preso la libertà di ritirare la corona di vostra nonna dalla camera blindata; So che ha—perso la sua in tutta quella confusione".

 

Non vuole dirgli che "perso" non è il termine esatto; che lanciata giù dalla montagna sarebbe stata l'espressione più appropriata. Perché era stata forgiata appositamente per lei da sua madre, tutta punte affilate e angoli rigidi. Ma si trattava di sua madre, e a Elsa non interessava poi un granché.

 

La corda è cucita a una custodia di color viola scurissimo. Kai tira i capi con attenzione ed estrae una corona che brilla ipnotica ai raggi del sole che si rifrangono sulla sua superficie trasparente. Sembra fatta di cristallo, tutta composta da fiori e stalattiti di ghiaccio, con una punta a cappio; ed Elsa tira improvvisamente in dentro un respiro, perché è decisamente meravigliosa.

 

"Era di mia nonna?" chiede, prendendola con attenzione.

 

"Fu detto al mio predecessore che è appartenuta alla prima regina di Arendelle. Ovviamente, la moda decretò ben presto che smettesse di essere indossata, ma finchè la vostra nuova corona non sarà pronta credo che possa assolvere bene il suo compito."

 

Elsa afferra il delicato cerchio di cristallo ritorto, e nel preciso istante in cui le sue dita toccano il vetro, questo inizia a risplendere di colori insoliti—blu glaciali, verdi freddi, viola intensi, forme che vorticano sotto la superficie in una maniera che le ricorda il suo palazzo di ghiaccio—poi sbatte le palpebre, e la visione svanisce. Si poggia la corona sul capo. "Grazie, Kai," sorride. "Assolverà il suo compito splendidamente."

 

"Vivo per servirvi," Kai si inchina, e ha un aspetto infinitamente soddisfatto. "Devo informare gli ambasciatori del vostro arrivo?"

 

"Sì, fallo, per favore. Ti ringrazio."

 

Kai si affretta lungo il corridoio. Lo guarda andar via, con la borsa di velluto, ormai vuota, che gli picchia contro il fianco. E’ da sola, a guardare fuori dalle finestre. Era una mattinata luminosa e splendida, ma era già così tardi; si chiede se la notte precedente sia stata uno sbaglio.

 

Ma no.

 

Si volta, allacciando le mani avanti a sé, meravigliandosi della quasi assenza di peso della corona, e poi sposta lo sguardo di lato, distogliendolo dalla città, ed ecco la porta di Anna, serrata. Si ferma davanti a essa.

 

Si morde il labbro, sollevando una mano tremante stretta a pugno.

 

E se non apre?

 

E poi la porta si spalanca da sola. Elsa sobbalza, stringendo il pugno chiuso al petto, un getto di brina che parte dal passo indietro che ha fatto e colpisce il muro dietro di lei con un thud sordo. Anna la guarda sbattendo le palpebre, la mano ancora sul pomello, e poi la sua bocca si schiude in un sorriso tutto denti.

 

"Ciao!"

 

"Ciao," Elsa sorride, mentre ancora cerca di calmare il respiro. "Mi hai spaventata."

 

"Mi hai spaventata tu, di più—ma per caso stavi per bussare?"

 

Il sorriso di Elsa si trasforma in una specie di smorfia. "…forse?"

 

"No! No, è fantastico, non credere che— Voglio che bussi. Voglio dire, puoi anche entrare e basta, ma bussare va bene. Buon inizio. Buon giorno, a proposito," Anna conclude, uscendo nel corridoio e chiudendo la porta dietro di sé. Indossa il vestito verde che aveva all’incoronazione, Elsa nota, la smorfia che diventa un cipiglio confuso—

 

Perché non aveva visto Anna indossare altro che vestiti a maniche lunghe da—quel periodo, e come faceva lei a sapere—

 

"Olaf mi ha detto che c’erano due tizi nella sala del trono. Quindi, tipo, lo sapevo che avrei dovuto fare la guardia del corpo, perché sono così—grr, sai." Fa una smorfia e alza i pugni. Elsa smorza la risata nella mano.

 

"Molto grr."

 

"Esatto. Quindi, chi hai detto che devo grrare?"

 

Elsa si lecca le labbra. Non era arrivata ancora a pianificare questa parte, la fase diglielo. Indica lo spago sfilacciato che Anna tiene attorcigliato al collo, e la brillante gemma arancione che vi è appesa. "Che cos’è?"

 

"Questo? Un cristallo di fuoco, da Kristoff," sorride fiera, ma poi le si spalancano gli occhi e continua in tono nervoso, frettoloso, "Non che abbia freddo o niente, solo perché pensavo fosse carino. Sai."

 

"Molto carino," Elsa concorda.

 

"Ok, aspetta, mi hai appena distratta. Non farlo più. Chi devo picchiare?"

 

"Non picchierai proprio nessuno."

 

"Chi devo abusare verbalmente?" corregge.

 

"Anna, ascoltami. Per favore, non—dare di matto."

 

"Dare di matto? E chi ha detto niente sul dare di matto?"

 

"Devi essere cortese. Ricorda, sei una—"

 

"Una principessa, lo so, cioè, lo so da quando ero, alta così, quindi, dimmi." Pausa. "Ma quella corona è nuova?"

 

Elsa inizia a camminare. "Adesso chi distrae chi?"

 

"Io, mi distraggo da sola."

 

Elsa sorride, stringendo le mani avanti a sé. Fa passi lenti, perché non ha alcuna fretta di scendere le scale a spirale, di entrare nella sala del trono, di presentarsi al cospetto di quei due—

 

Due—

 

"Sono arrivati due ambasciatori dalle Isole del Sud."

 

"Che cosa."

Elsa sussulta. "Due ambasciatori," ripete. "Due fratelli del re—"

 

"Altri due dei fratelli malvagi di Hans? Intendi come quel buono a nulla di Albert—"

 

"Non è così orribile come—potrebbe essere."

 

"Beh, nemmeno tu sembri troppo convinta, quindi," Anna sbuffa, strascicando il piede al suolo. "Continuano a spuntare dalla neve! Come margherite!"

 

"Ho ricevuto una lettera, poco dopo l’—incidente," Elsa continua, sentendo il bisogno di spiegarsi, "in cui c’era scritto che sarebbero stati mandati. Speravo che il Principe Albert potesse intercettarli, ma la sua nave aveva bisogno di essere riparata, e io ero—pensavo che la cosa migliore sarebbe stata aspettare," termina, vaga, lottando contro l’impulso di strofinarsi gli occhi.

 

"Voglio dire, ma chi è che fa tredici figli? Cioè, quale folle nel pieno delle sue facoltà mentali decide, oh, ehi, voglio mettere su una squadra di cricket—"

 

"In realtà," Elsa fa ai propri piedi, e non riesce a credere di stare per dirlo ad alta voce, per ammetterlo, ma—"In realtà, speravo che non sarebbero mai arrivati."

 

Anna fa un respiro profondo e chiude la bocca. Smette di camminare. Anche Elsa, un momento dopo, si ferma. Guarda in tralice il viso lentigginoso della sorella.

 

"Elsa," Anna esclama. "Non ti sto incolpando. Sono stufa delle Isole del Sud, e non ci sono neanche mai stata! Senti," e Anna fa un passo verso di lei, e le afferra la mano. "Hai fatto la cosa giusta. L’hai fatto. E adesso," Anna prende Elsa a braccetto, e i loro gomiti si toccano, e poi con la mano libera fa un saluto militare, "presenteremo un fronte unito, e diremo a quegli ambasciatori grazie, ma non ci piace quello che offrite, quindi andate a fan—"

 

"Anna!" Elsa la interrompe con una risata sconvolta, e non riesce nemmeno lontanamente a dire, Principessa, ricordi? Invece, guarda grata sua sorella.

 

Fronte unito, Elsa pensa, un sorriso piccolo e fragile.

 

Avrebbe potuto abituarcisi.


 

Kristoff apre gli occhi e vede il soffitto opaco, marrone e piatto delle stalle, e il suo mondo è pervaso dal rumore di una vanga che gratta sul rozzo pavimento di pietra. Qualcuno stava pulendo la stalla. Si agita un po’ nel mucchio di fieno, sputando fuori un paio di pagliuzze e togliendosi dagli occhi pelo di renna. Pelo di renna, ma come ci

Volta la testa, e Sven è tanto vicino da fargli respirare una lunga, bella zaffata del suo alito mattutino

Schifo

"Sven," inizia paziente, osservando gli occhi della renna aprirsi, offuscati. "Cosa avevamo detto a proposito dello spazio personale?”

"Sei tu quello che è entrato dopo che mi ero addormentato, Mister stavo – pomiciando – con – una -principessa.”

"Prima cosa, non era necessario. Seconda cosa, non stavo pomiciando con lei. Stavamo solo parlando. E roba.

"Roba tipo pomiciare”.

"Sven," Kristoff geme esasperato, spingendo via il muso dell’amico, solo per non vedere più il suo ghigno soddisfatto. Si siede in fretta, ravviandosi i capelli, e ciuffi di paglia ricadono nel suo grembo.

Probabilmente avrebbe dovuto smetterla di dormire nelle stalle.

"Ho provato a dirle che la amo," comincia, guardandosi le mani, aprendole e chiudendole tanto per, e di tutte le cose che erano successe la scorsa notte, perché pensa proprio a quello, eh?

"E?”

"E aveva l’aria di una che sta per avere un infarto, quindi non l’ho fatto”.

"Ha solo bisogno di tempo”.

"Ma quanto tempo?" Kristoff geme, cercando di alzarsi. Gli serviva proprio un bagno. "Un giorno o l’altro mi uscirà, e non potrò evitarlo.

"La ami così tanto?"

Pensa al modo in cui lei sta bene tra le sue braccia; al modo in cui parlava, parlava e parlava per ore delle sciocchezze; il modo in cui non si sentiva infastidito da lei, in cui non sentiva più il bisogno di vagare tra le montagne per stare da solo, non più—

"Sì," sospira, desiderando che le cose stessero diversamente. "Si, credo di sì."


Anna si dice di rimanere calma, si dice stai calma, ma siamo onesti, è completamente e totalmente prevenuta contro chiunque porti il cognome Isole del Sud, quindi quei due tizi erano spacciati in partenza—

Entra nella sala del trono subito dopo la sorella, passando da una porta laterale. Un ciambellano esclama, "Fa il suo ingresso, Elsa Regina di Arendelle. Fa il suo ingresso, Anna Principessa di Arendelle," e la sua voce profonda risuona in tutta la stanza vuota. Anna si concentra sulla scia dritta e scintillante che segue il vestito di Elsa, osserva sua sorella salire sulla predella e sistemarsi sul trono rigido come fosse la cosa più confortevole del mondo. Il suo viso è illeggibile—ma calmo, sereno. Anna avrebbe quasi potuto credere che lo fosse, se non fosse stato per i piccoli vortici di ghiaccio che continuavano a spuntare dalle punte delle sue scarpe col tacco di cristallo.

Per un momento dopo che Elsa si è seduta, si blocca, non essendo sicura di dove sistemarsi, ma erano un fronte unito, no? Quindi si regge le gonne con una mano e fa un passo, due, e si ferma in piedi accanto al trono rosso e a sua sorella su di esso. E poi alla fine, alla fine alza lo sguardo.

"Fa il suo ingresso, il Principe Viktor delle Isole del Sud," annuncia il ciambellano, e Anna non può fare a meno di cercare le guardie con lo sguardo, ed eccole lì, al capo opposto della sala, accanto alle porte principali—"Fa il suo ingresso, il Principe Tomas delle Isole del Sud."

"Vostra maestà," due voci identiche fanno all'unisono, nel loro tono una riverenza evidente, ed è in quel momento che la sua attenzione si concentra sulle due figure in piedi al centro della stanza, e non è possibile

Gemelli, pensa, alquanto disperata. Gemelli, sul serio

Si raddrizzano, due facce identiche che restituiscono il loro sguardo da parecchi metri di distanza, resi all'apparenza più piccoli dai lampadari dorati sotto i quali stanno in piedi, due pesci fuor d'acqua, sul pavimento di legno decorato. Si costringe a rimanere immobile, anche se all'improvviso sente l'impulso di prenderli a pugni tutti e due, perché hanno i capelli dello stesso colore di quelli di Hans—quel castano ramato, quel colore orribile, e sicuro, è di parte, ma i loro occhi hanno un'aria—strana. Sorridono educatamente, guardando oltre i nasi dritti e affilati e gli zigomi alti e scolpiti. La loro unica vera differenza, Anna riflette, lottando contro l'istinto di sputare (cosa che probabilmente non le avrebbe fatto guadagnare punti nelle grazie della sorella, e niente—) era che uno era leggermente più massiccio dell'altro.

Ma gemelli, e dai

"Principe Viktor, Principe Tomas," Elsa comincia disinvolta, senza scomporsi, e Anna, forse per la prima volta, ammira la capacità di sua sorella di stare calma, perché avrebbe voluto abbandonarsi a una crisi isterica in quel preciso istante e fare qualcosa di eroico, tipo tagliare le corde che reggevano i lampadari e oops, vi sono caduti in testa, mi spiace tanto—"Sono spiacente per l'attesa. Mi stavo occupando di altre questioni. Non mi aspettavo che arrivasse così in fretta."

"Siamo partiti subito dopo esserci occupati del nostro—sfortunato fratello," Gemello A inizia. "Volevamo presentarvi le nostre scuse più sincere, di persona."

"Ma certo," Elsa risponde, glaciale. "E magari assicurarvi che le relazioni commerciali con le Isole del Sud sussistano ancora?"

"No," Gemello B scuote la testa, allacciandosi le mani dietro la schiena, "no, davvero, Regina Elsa, siamo sul serio qui solo per scusarci del comportamento sconveniente di nostro fratello."

"Comportamento sconveniente?" Anna non si trattiene. La sua voce è aggressiva, piena di furia a malapena repressa. "Ha tentato di assassinare mia sorella."

"Anna," Elsa avverte, sottovoce.

"Non possiamo fare altro," Gemello A comincia di nuovo, un'occhiata tagliente diretta al fratello, "che offrire le nostre più umili scuse, e sperare che le nostre relazioni possano rinascere, nuove. Portiamo con noi le buone intenzioni di Re Alfons, e la speranza del nostro Paese."

Wow, come se questo non si chiamasse esagerare

"Di certo, compiremo dei passi," Elsa esclama. Anna le lancia un'occhiata. Ha la schiena rigida come lo schienale del trono, come una grossa lastra di ghiaccio, il volto duro e freddo. E' in tutto e per tutto la regina. "Verso quale direzione, è ancora da vedere."

Ed è così che facciamo le cose ad Arendelle, schifosi

"Nel frattempo, sono sicura che entrambe siate affaticati dal viaggio. Posso suggerire una visita al palazzo? E la cena, dopo, certamente."

"Un'idea deliziosa, sua maestà."

Anna non può fare a meno di fare una smorfia al pensiero di tutti e due che vagavano in preda a frenesia omicida con qualche povero disgraziato lì a seguirli—

"Mi perdonerete, se ho altri questioni di cui prendermi cura, ma mia sorella sarà più che felice di farvi da guida."

Anna ruota su sé stessa, la bocca spalancata, ma Elsa è già in piedi, lisciandosi la gonna, "A stasera, dunque," dice. Anna la segue, ancora boccheggiante, ma prima che possa essere tutta un, scusami, non mi sono offerta volontaria per una cosa del genere, questo non è un fronte unito, carissima sorella, Elsa si ferma accanto a lei e mormora, "Ti prego, Anna. Ho bisogno che tu mi dica se assumono comportamenti—sospetti."

Anna prova a far funzionare la bocca, e alla fine ci riesce, con un sonoro sospiro. "Solo avvertimi la prossima volta."

Elsa annuisce. Ha l'aria di qualcuno che si è piegato troppo. Quasi spezzato. Anna si morde il labbro, e non può farne a meno, deve chiederlo—"Perché non racconti loro di Albert?"

Elsa sbatte le ciglia. "A tempo debito."

Esce dalla sala.

Anna sospira, prendendosi un lungo momento per calmarsi e tenere sotto controllo la rabbia bruciante che era sul punto di trasformarla in una maniaca omicida—un'eroica maniaca, giustamente motivata, ma comunque una maniaca—prima di voltarsi, scendere i due scalini della predella, e affrontare gli occhi scaltri dei gemelli.

"Beh," esclama, senza entusiasmo. "Che il tour abbia inizio."


"E' in biblioteca, vostra maestà."


Elsa apre le porte bianche e trovare Albert col naso incollato alle pagine di uno dei libri non la sorprende. Sobbalza al suo ingresso, apparendo subito colpevole. Chiude il libro di scatto. "E'—ah—scusa,” balbetta, guardando su e giù. Spalanca gli occhi. "Sei, uhm," e gli si strozza la voce, diventando più acuta, e manda giù imbarazzato un colpo di tosse. Si riconcentra sul libro che ha in mano.

Scuote la testa, divertita. Una perlustrazione veloce della stanza, e sono da soli, nient'altro che un fuoco morente nel caminetto e una pila di documenti—ignorati la notte prima—sulla scrivania. "Che libro è?" chiede, cercando di mantenere un tono leggero, ma è difficile. Così difficile.

"E'—ah—Le Morte D'Arthur. Lo leggo per i duelli di spada" mormora, quasi a sé stesso, infilando con attenzione il pesante tomo tra gli altri sullo scaffale. La guarda con aria timida, alzando gli occhi da dietro ai ricci che gli ricadono sulla fronte. "Il vestito," dice.

Aggrotta le ciglia, all'improvviso imbarazzata. Guarda in giù, in fretta. "Cos'ha che non va?"

"Non ha niente che non va, non—è che—" si strattona la manica della giacca. "Sembra luce delle stelle."

E la notte precedente ritorna, investendola, il ronzio inebriante dell'alcool, la sensazione di libertà della danza, il volto di lui vicino al suo—scuote la testa. "In quel caso sarebbe un vestito poco pratico," afferma, incrociando le braccia

Rimangono così per un momento, silenziosi, immobili. Si chiede come si suppone che debba rivolgerglisi, e ha la sensazione che la sua scelta, quella che avrebbe fatto a momenti, avrebbe deciso come stavano le cose tra di loro, e si chiede perché—"Principe Albert," inizia, ed è sua impressione, o le sue spalle cascano, leggermente? Non poteva riportare alla luce la notte precedente, non poteva più far finta di non essere una regina. Adesso doveva occuparsi del problema in questione. "Principe Albert, ha visto nel porto la nave delle Isole del Sud?"

"Che, la mia, intende?"

"No. Un'altra."

"Io—io no, ma tanto, non ero molto attento alle cose attorno a me la scorsa notte o—o questa mattina," conclude, strattonandosi di nuovo la manica, guardando velocemente l'avambraccio. Aveva davvero l'aria di uno che è uscito di corsa; ma gli occhi non avevano più un'espressione entusiasta. Aveva forse pensato—

Pensato che gli avrebbe detto—

Che l'avesse chiamato per dirgli—

Scuote la testa, facendo tre passi svelti circondati da anelli di brina, e sistemandosi nella sedia dietro la scrivania. "Una nave che trasporta ambasciatori. I suoi fratelli."

"Che?"

"Li ho appena incontrati nella sala del trono. I principi Viktor e Tomas, come promesso."

"Dannazione—voglio dire—scusi, non volevo—" Albert emette un suono frustrato, passandosi le mani tra i capelli. "Non mi aspettavo, quando mi ha detto della lettera, che arrivassero così in fretta—"

"Nemmeno io."

"—ovviamente, probabilmente hanno avuto l'aiuto di mio fratello—un tocco—un pizzico di magia nera." La guarda, e i suoi occhi sono fissi, e dice, "Mi dispiace."

"Per cosa?" Elsa sospira, osservando le carte sparse sulla scrivania. "Semplicemente, sono stata troppo lenta nello stilare una risposta. Non li ha chiamati lei. Non ho," si stringe in grembo le mani a pugno, "detto loro che è qui."

"Beh, dovrò farlo. Non posso nascondermi proprio sotto il loro naso per sempre," afferma, voltandosi a guardare fuori, borbottando, ed Elsa pensa che in teoria non avrebbe dovuto sentirlo, "Per quanto lo vorrei." Alza la voce. "Hanno già annunciato il motivo del perché sono qui?"

"Quello ufficiale? Solo per porgere delle scuse." Si ferma, osservando gli angoli della bocca di Albert piegarsi verso il basso. "Stasera ceneranno con mia sorella e me. Dovrebbe unirsi a noi."

"Sì," Albert fa, distratto. "Sì, d'accordo, ma—è davvero questa? La ragione?"

"Sì," Elsa si acciglia. Vuole chiedergli perché all'improvviso sia immobile, silenzioso, tranne che per le mani che non smettono di muoversi veloci. Dice, "Progettavo—voglio dire, pensavo che il modo migliore di gestire questa situazione sia—intrattenerli per alcuni giorni, assicurar loro, almeno, che non porto rancore alle Isole del Sud, e poi rimandarli a casa." L'aria è diventata pesante e insopportabile, a un certo punto negli ultimi minuti, ed Elsa si sforza di alleggerirla, in qualche modo. "Immagino sia più cortese di cacciarli via a calci, e basta."

"Mhmm," Albert risponde, guardando ancora fuori. Il cipiglio di Elsa si fa più marcato, lo sguardo fisso sulla schiena, e non può farne a meno, le sfugge dalle labbra che tiene sempre più premute—

"Dovrebbe saperlo,  non li ritengo particolarmente affidabili."

Albert finalmente si volta, nei suoi occhi un'espressione illeggibile.

"Non lo sono,"risponde. "Mi creda."


"E questa è la galleria d'arte," Anna fa in tono piatto, esaminandosi le unghie, tentando di mantenere il batticuore al minimo, tentando di ignorare la sensazione di essere da sola con due lupi famelici. "Qui troverete l'arte."

"Affascinante," Tomas—il più magro dei due, ha imparato—biascica. "Ci dica di più, la prego."

"Sono stati dipinti," risponde. "Con della pittura."

Era, letteralmente, peggio che ballare col Duca di Weselton.

Il che diceva tutto.

"Secondo lei quanto è spesso questo vetro?" Tomas chiede, colpendo piano la finestra accanto a lui. "Di sicuro deve avere una resistenza notevole, per sopportare gli inverni che Arendelle deve affrontare."

Anna deglutisce a fatica. "I più resistenti che ci siano," risponde.


"E i preparativi per la cena?"

"Procedono, vostra maestà. Il cuoco ha preparato tre portate, e in più il dessert."

"Assicuratevi che ci sia il cioccolato." Elsa non aggiunge, perché è il preferito di Anna, e quando tornerà sarà di cattivo umore.

Ma lo pensa.


"I sacrifici che faccio per te, Elsa, ti giuro, è stato brutto quanto quelle lezioni di geografia che prendevo da piccola—no, me lo rimangio, è stato peggio—" Anna si ferma sulla soglia, e rimane a bocca aperta.

Sua sorella era alla scrivania, ma quella sottospecie di principe Albert se ne stava seduto sulla chaise longue, e leggeva un libro.

Da quand'è che sua sorella permetteva agli uomini di venire a leggere i loro libri?

"Oh, non tu," Anna abbaia, perché per quel giorno ha raggiunto la sua quota massima di sottospecie di principi. Il Principe Albert scatta immediatamente in piedi, e sul serio, i suoi occhi assomigliano davvero a quelli di Hans, davvero troppo a quelli di Hans —

"Anna!" Elsa fa, shockata.

"Devo parlarti. Da sola." E questa volta non avrebbe accettato "no" come risposta.

"Allora io—scusi, è stata—aspetterò fuori,” il principe Albert balbetta, lasciando cadere il libro sulla chaise e oltrepassandola di fretta, fuori dalla porta. Anna la chiude dietro di lui con un calcio, le mani strette a pugno, ed Elsa si alza in piedi, e una volta tanto c'è qualcosa sul suo viso—un cipiglio. Beh, bene, qualcuno doveva iniziare a parlare in maniera sensata, e se doveva essere Anna a farlo, così sia—

"Quindi può venire a palazzo, ora?" le chiede, incrociando le braccia. "Come se nulla fosse?"

"Non puoi trattare le persone così, Anna, e non mi interessa come tu ti senta nei loro confronti—"

"Ma come—Elsa, la mia fiducia verso di loro equivale più o meno alla distanza a cui riuscirei a scaraventarli via, che, fidati, non è molta." Fa un respiro profondo, forzandosi a trattenerlo fino al tre, guardando Elsa appoggiare una mano sulla scrivania e pizzicarsi la sommità del naso con l'altra.

"Fai così," inizia, gli occhi chiusi, "fai così perché ti ho costretta a fare una cosa?"

Anna fa un verso indignato. "Non riesco a crederci, sai benissimo che voglio aiutarti—prendi tutti i pesi sulle tue spalle, e poi scarichi una cosa del genere—no, Elsa, non è perché mi hai costretta a fare qualcosa, è perché ho appena passato tre ore a fare la guida turistica di quei principi, e hanno qualcosa che non mi convince." Respira a fatica. Non riesce a trattenersi. E' così furiosa—"E, ok, forse non mi sono comportata proprio benissimo, ma erano così cortesi, anche quando io non —"

"Non sei stata cortese?" Elsa sembra orripilata. "Anna!"

"—ero particolarmente interessata, e io—io—urgghah!" urla, lanciandosi sulla sedia più vicina, prendendosi la testa tra le mani. Non è arrabbiata, non davvero. Beh, forse un pochino. Ma per lo più ha solo paura, perché i gemelli le ricordavano dei lupi, lupi famelici, ma non sapeva perché, quando o come—"Mi hanno fatto continuamente domande sulla struttura del palazzo. Gli ho detto che non lo sapevo." Fa un sospiro profondo. "Non sono qui solo per scusarsi."

"Credi che non lo sappia?" Elsa sospira, e poi si abbandona, cadendo pesantemente sulla sedia, anche lei.

Un momento. Un altro. Anna alla fine dice, "Scusa."

"Non ti scusare."

"Ma poi entro qui e ti trovo con—lui!" Anna sussurra, furtiva, gesticolando in direzione della porta chiusa dietro di lei. "E  legge un libro!"

"Dovevo capire quale fosse il miglior modo di agire, per andare avanti," Elsa sfa, evasiva, e Anna stringe gli occhi.

"Legge un libro, Elsa."

"Anna, ti prego." Elsa si torce le mani. Anna si guarda i piedi, le scarpette nere, e si accorge che le dita stanno avanzando verso il cristallo che tiene appeso al collo. Si chiede cosa stia facendo Kristoff in quel momento.

Le manca.

"Non mi fido di nessuno di loro. Come si suppone che riusciamo a mandarli via?"

"Gli diamo quello che vogliono," Elsa dice, guardando fuori. "Aggiustiamo la nave di Al—del principe Albert, e facciamo le carine con gli ambasciatori. Li mandiamo a casa, e diciamo loro addio per sempre."

E non può evitarlo, è come se scivolasse via dalle labbra, così piano che all'inizio pensa che Elsa non l'abbia sentita—"Vorrei tanto che mamma e papà fossero qui."

Elsa fa, "Ma non ci sono."

Anna guarda sua sorella, e prova la stessa sensazione, di essere talmente piegata da star per spezzarsi. Chiede, "Cosa vuoi che faccia?"

Elsa chiude gli occhi ancora una volta, ed è in quel momento che Anna nota il gelo e il ghiaccio formatisi agli angoli della stanza, lungo i bordi della scrivania, ma non l'aveva sentito—non aveva sentito la temperatura calare di dieci gradi, nemmeno un brivido—si ritrova con le mani vicine al cristallo. Sua sorella finalmente riapre gli occhi e afferma, "So che vuoi essere d'aiuto."

Anna annuisce vigorosamente.

"Ho bisogno che domani porti i principi a visitare le montagne. Ho bisogno che mostri loro che sono impenetrabili."

E lo capisce. Capisce il perché. Non mettetevi contro Arendelle, non ci avrete mai. Quel genere di cose.

"Porta Kristoff con te."

"Se verrà. Convincerlo a socializzare è come convincerlo a farsi un bagno."

E, in un momento, la tensione si spezza. Anna ridacchia, ed Elsa sorride, e si guardano, e quest'ultima dice, perché sente che è la cosa giusta da dire, "Presto sarà tutto finito, e potremo ritornarcene a progettare balli."

"Magnifico."

Anna si alza in piedi, lisciandosi il vestito. "Beh, vado a cercare il mio montanaro—voglio dire, il montanaro, non è—vado a cercare Kristoff." Va alla porta. "Ma, Elsa?" Guarda indietro. "Non mi fido di lui. Non Kristoff, di lui mi fido, non mi fido di—" Fa un cenno col mento avanti a sé.

Sua sorella, dopo un momento, annuisce.

Anna apre la porta. Il principe Albert sta aspettando nel corridoio dei ritratti, strizzando gli occhi in direzione di un angolo di un quadro appeso al muro. Sobbalza sentendo il rumore, e poi prova a fare un veloce abbozzo di sorriso, che immediatamente scivola via quando lei non lo ricambia. "Ah, salve."

"Principe Albert?" sua sorella chiama.

"Si, sono—solo—mi scusi," inciampa, oltrepassando Anna, tenendosi a debita distanza, ed ecco che entra in biblioteca, e dice, "Sapeva che in uno dei suoi ritratti la pittura si sta scrostando in un angolo?"

La porta si chiude.

Anna aggrotta le sopracciglia, e pensa ai lupi.


"Dobbiamo che?"

"DiciamoportarealtridueprincipidelleIsoledelSudafareuntourdellemontagne?"

"Ma perché continuano a spuntare? Come margherite!"

"E' esattamente quello che ho detto io!" Pausa. "Allora, lo farai?"

"Immagino di sì. Solo—stammi vicina, okay?"

"Pfh, Kristoff. Credi che sia stupida?"

"No. Solo spericolata."


"Il suo castello è davvero incantevole, Regina Elsa."

"Vi ringrazio," Elsa risponde, cortese, lottando contro il ghiaccio che si forma attorno alle caviglie, e che attacca il cuscino della sedia. Di sicuro lo sapevano; di sicuro—lui gliel'aveva detto. Si concentra sui piselli. "Ma dovreste vedere le montagne—sono ancora più incantevoli in questa stagione."

"E' la calura," sua sorella interrompe con un sorriso. Elsa sa benissimo che non è un sorriso che arriva agli occhi—ma vuole ringraziarla, per il tentativo. "Quaggiù. Quando siete là sopra, è tipo—wow! Neve in estate!"

"Saremmo lieti di godere di più dei panorami di Arendelle," il più magro dei gemelli dice, ed Elsa pensa che sia lui, per qualunque motivo, il portavoce per tutti e due. "Di fatti, stavamo proprio per chiedere il permesso di visitare le campagne circostanti."

Elsa sente la bocca farsi secca. Mentiva? Stavano per chiederlo davvero? O stava solo implicando che ne avessero intenzione per, per—per—

Per fare cosa?

"Verrà qualcun altro?" il più massiccio dei due indaga, gli occhi fissi sul posto vuoto di fronte a lui, il cibo disposto e coperto.

"Credo che sia così, sì," Elsa fa, cercando di restare calma. "Anna sarà lieta di farvi da guida, domani."

"Considerato il magnifico lavoro che ha fatto quando ci ha mostrato il castello," il gemello più magro esclama, piccato, con un sorriso teso, "ne saremmo onorati."

Anna risponde cortese, ma a labbra strette. Per una volta, comunque, tiene la bocca chiusa, ed Elsa è grata—sorpresa, ma grata. "Magnifico," Elsa ripete, rompendo il silenzio. "Partirete domattina presto, allora."

In quel momento si aprono le porte della sala da pranzo, lasciando intravedere, oltre, l'ingresso illuminato dalle candele, ed Elsa si tampona la bocca col tovagliolo, gli occhi fissi sui due ambasciatori.

"Ecco il nostro quinto ospite," afferma.

"Fa il suo ingresso," un ciambellano annuncia, " il Principe Albert delle Isole del Sud!"

E così, era giunto il momento.

Si sente il suono di argenteria che sbatte sulla porcellana, e poi i gemelli scattano in piedi, le bocche spalancate dalla sorpresa mentre Albert fa il suo ingresso alla luce della sala. Ha la schiena rigida come una tavola, il volto impassibile; aveva tentato di lisciarsi i capelli all'indietro, ma già gli ricadevano scompigliati sulla fronte.

"Albert?"

"Fratello!"

I gemelli corrono avanti, lungo il tavolo, e Albert corre avanti, attraversando la sala, e si incontrano a metà, una calca di abbracci mascolini e pacche sulla schiena e sorrisi allegri. "Abbiamo temuto il peggio, dopo—"

"Non abbiamo visto la tua nave, nel porto—"

"Hans mi ha indicato direzioni sbagliate all'altezza di Corona; l'albero della mia nave è stato abbattuto da un temporale, il che spiega il fatto che non abbiate visto la nostra bandiera." Elsa sbatte le ciglia. La voce di Albert è sicura e disinvolta—diversa. I suoi occhi scattano verso di lei. Abbassa in fretta il proprio sul piatto, ma può sentire lo sguardo della sorella che le scava un buco nel cranio, e sa che Anna muore dalla voglia di dire, vedi, non mi fido, non

"Regina Elsa," Albert afferma, e lei lo guarda di nuovo. "Mi perdoni per il mio—ah, ritardo."

L'avevano concordata, la sua entrata successiva. Elsa era stata a suggerirlo, perché voleva vedere—le reazioni, ed eccoli tutti lì, pappa e ciccia—

Sorride. "Non deve preoccuparsi affatto. La prego, si sieda."

"Perdoni la nostra mancanza di decoro, Regina Elsa,” ora il gemello più magro esclama, qualcosa che scintilla attorno agli occhi. "L'entusiasmo di vedere qualcuno che pensavi morto, vivo—beh, non c'è—più grande gioia."

Elsa sorride pacata, osservando Albert sedersi al tavolo, e—

E' solo che non penso di potermi fidare di lei.


Quella notte, sogna nasi rotti.


Anna dorme pochissimo, e pensa che sia perché sa che nel castello ci sono i lupi. Almeno il Principe Albert se ne era ritornato sulla sua nave. Si sveglia all'alba, osservando il sole coronare le montagne, rosa incantevoli e arancioni accesi, prima di infilarsi il vestito invernale, e gli stivali, infilandosi con attenzione il cristallo sotto il collo alto. Kristoff non ne era stato felice.

Ci avrebbe parlato di nuovo, prima di partire. Dirgli che, cioè no, sai, almeno sarebbero stati assieme, e non sarebbe andata in giro per le montagne sola con il gemello peggiore e gemello più peggiore. Più peggio? Oh, chi se ne frega

Scivola nel corridoio.

E' vuoto. La porta di Elsa è serrata. Oltre le finestre, Arendelle sembra in pace, e vorrebbe poterla solo—solo prendere e trasportare dall'altra parte del mondo, in modo che le stupide Isole del Sud fossero a metà—più via—via

Arriva alle scale, un po' a disagio per il caldo che sente. Fa la sua solita cosa per arrivare giù, una veloce scivolata sulla ringhiera, e per almeno tre secondi vola, spinta dall'aria, aggraziata, prima di sbattere nelle braccia dell'armatura che l'attendono. Il colpo rimbomba e rimbomba e rimbomba metallicamente tra le pareti vuote, ma nessun servo arriva di corsa, nessuna guardia scatta sull'attenti.  Era quell' ora morta stranamente assurda, quell'ora in cui tutti approfittano delle ultime poche ore di sonno, e cavolo, se Anna non avrebbe voluto essere anche lei—

Scende dalle braccia vuote del suo salvatore, aggiustandosi la gonna, ed è quasi alla porta che dà sul cortile quando lo sente. Un debole mormorio. Aggrotta le ciglia, voltandosi leggermente, strizzando gli occhi verso il corridoio dietro di lei.

Preme le labbra, agitando le mani, e poi, con una scrollata di spalle, si dirige in quella direzione, curiosa, perché, cioè, nessuno poteva essere volontariamente sveglio a quell'ora—ok, era una bugia, forse Kai lo era, e qualche guardia, ma lei, che sia risaputo, sarebbe rimasta molto volentieri a letto, se non fosse stato per il fatto che era più tesa di una corda di violino e non riusciva a dormire

A causa del profondo silenzio, si ritrova a camminare con cautela, in modo da non fare rumore coi tacchi rosa degli stivali. Passo, tacco punta, passo, tacco punta, lungo tutto il corridoio, e le voci si fanno più forti. Provengono dalla galleria d'arte. Inizia a distinguere le parole, i toni di voce—

"—potrebbe essere molto conveniente."

"Sì, voglio dire—sì. Suppongo."

Anna si blocca. Uno dei gemelli.

E il Principe Albert.

Scivola più vicino al muro, il cuore che le martella nel petto.

"Su, fratello. Devi solo dirci tutto quello che sai di lei."

Anna spalanca gli occhi. Si mette una mano sulla bocca solo per evitare di urlare lo sapevo o te l'avevo detto anche se in realtà lo vuole davvero, davvero fare

Doveva dirlo a Elsa. Elsa aveva permesso a quel tizio  di leggere un libro, ed Elsa parlava con lui, ed Elsa ovviamente si stava facendo fregare dal trucchetto della parte dell'ingenuo di campagna—

Anna torna di corsa alle scale.


"Hai sentito?" Viktor chiede, aggrottando le sopracciglia.

"Controlla il corridoio."

Lo fa, infilando la testa fuori dalla porta, e Albert deglutisce, il petto che gli si stringe. "Non c'è nessuno," suo fratello risponde in un sussurro basso. Gli stivali pesanti lo riportano al centro della galleria d'arte. Albert lo guarda, e guarda Tomas, ed è osservato, da tutti gli occhi che lo circondano in quel tribunale silenzioso—guarda in su e vede Giovanna d'Arco che lo fissa con aria accusatoria.

Coraggio, ragazzo, pensa, ma è così semplice ricadere nelle vecchie abitudini con Viktor e Tomas che torreggiano su di lui, che lo minacciavano, che si prendevano gioco di lui, la felicità di facciata della scorsa notte scomparsa. Le dita si muovono verso l'avambraccio, ma per quella situazione non esiste alcun tipo di appunto. Si schiarisce la gola. Pensa alla luce delle stelle. Pensa a un ballo insieme.

"No."

La parola riecheggia. Avevano detto, la scorsa notte, avevano detto, avevano sussurrato mentre se ne andava, ti apriremo la porta, ti aspetteremo, la galleria d'arte, dobbiamo parlare

"No," ripete, a voce più alta, più sicura.

Tomas ride, ma è una risata crudele, rauca, e si pulisce un orecchio con il dito, passando un braccio sulle spalle di Viktor con nonchalance. "Ho sentito quello che penso di aver sentito?" chiede al suo gemello. "Credo di aver sentito un no."

"Lascia casa per un mese, e tutto all'improvviso pensa di avere il diritto divino di fare come vuole." Il sorriso di Viktor potrebbe tagliare il vetro.

"Pensavi che stessimo chiedendo, fratello?" Tomas chiede. Albert cerca di non richiamare alla mente il cane che aveva trovato nel bosco, il cervello spiaccicato sulle pietre, e quei ragazzi, davanti a esso, ridenti. Era stato tanto tempo prima. Invece, pensa alla luce delle stelle.

"Dico sul serio," fa, ed è sorpreso dalla sicurezza della propria voce. Si lecca le labbra, riuscendo a fronteggiare lo sguardo dei fratelli''. "Non so cosa Alfons abbia pianificato. Non so cosa voi due abbiate pianificato. Ma Hans ha fatto abbastanza danni, e dovete lasciare Arendelle in pace."  Rincuorato, fa un gran passo avanti. Era alto quanto loro. E aggiunge, sorpreso dalla propria voce, dalla sua durezza, "Dovete lasciare Elsa in pace."


Anna si fionda in camera della sorella. E' un disastro, l'armadio ancora sfasciato, e ora anche il letto, il baldacchino blu scuro sparso sul pavimento come sangue. Chiude la porta dietro di sé, chiudendo gli occhi, cercando di calmare il respiro, e quando li riapre vede tre stalattiti di ghiaccio irregolare—una all'altezza della guancia destra, una della sinistra, e una tra la piega del gomito e il fianco, tutte e tre conficcate nel muro. Ma lei non si era accorta nemmeno della differenza di temperatura.

Elsa la fissa, a occhi spalancati, una mano tesa. Un momento, due, poi, "Anna, mi—"

"No, non dispiacerti, va bene, non sono—" non le importa, ha notizie più importanti, e aveva spaventato Elsa, ecco perché—"Ho appena sentito il Principe Albert che parlava con i gemelli e hanno detto qualcosa a proposito di una convenienza, e volevano sapere da lui cosa sapesse di te—"

"Che?" gli occhi di Elsa hanno ancora un'espressione incredula, le mani che le tremano all'altezza dei fianchi, e sta cercando di alzarsi dal letto. "Anna, rallenta—"

"—mi sono alzata presto per andare a parlare con Kristoff, ma poi li ho sentiti, e non capisci—è venuto qui—Albert è venuto qui prima dei gemelli solo per scoprire i tuoi segreti! Ti sta usando! Elsa, ti prego, dimmi che non gli hai detto niente—"

"No, Anna. Gli hanno dato indicazioni sbagliate—"

"Non è vero, l'ha fatto—"

"E qualora gli avessi detto qualcosa, sarebbe una mia prerogativa—"

"Che, e quindi che stai dicendo, l'hai fatto? Come—ma per caso ti—qual è la vostra—"

"—Perché sono la regina!"

Silenzio. Anna sbatte le palpebre.

Elsa chiede, "Perché non vai a parlare con Kristoff?"

"Elsa—"

"Anna, vai a parlare con Kristoff."

"Piantala di lasciarmi fuori!"

"Non lo sto facendo," Elsa scatta, la rabbia che trapela, e sarebbe una cosa positiva, Anna pensa, se fosse diretta verso qualcun altro, ma non appena la nota, già è andata via, e sua sorella chiude gli occhi, fa un respiro profondo, e afferma, "Investigherò, d'accordo? Dove hai detto che erano?"

"La galleria," e Anna odia la propria voce, perché sembra così piccola.

"Ci vado."

"E io vado a parlare con Kristoff."

Anna apre la porta senza un'altra parola e si stringe forte tra le proprie braccia, incamminandosi per il corridoio a passi veloci.


"Lasciate Elsa in pace ," Tomas mima le parole con la bocca, ritraendo il braccio dalle spalle di Viktor. "L'hai sentito, fratello mio? Elsa. Il fratellino si è ambientato bene. Vi chiamate  per nome, ora, eh? Ma credo che tu abbia commesso un piccolo errore," Tomas conclude, passeggiando fino a uno dei quadri del muro vicino—una ragazza su un'altalena al culmine dell'oscillazione, la scarpa che vola via—"Perché la mia non era una richiesta."

Albert abbassa gli occhi. Li chiude, una sola volta. Poi li riapre, e alza lo sguardo. "Andate all'inferno." Avrebbe avvertito Elsa. "Andate all' inferno."

"Viktor," Tomas dice.

Succede così in fretta.

Uno scatto del polso di Viktor, e un pugnale sfilato dalla manica sinistra, una lama sottile dalla crudele punta ricurva, qualcosa di cui Albert ha a malapena il tempo di rendersi conto prima che scivoli tra le sue costole. La avverte come un lampo, dietro gli occhi, come un pugno allo stomaco; la punta che si infila tra osso e muscolo, che gli contorce le budella, e gli si spalanca la bocca. Il viso di Viktor è troppo vicino al suo, e sta sorridendo, e lui è lo stesso uomo che ha spappolato il cervello a un cane, che ha spinto Hans al limite, che li ha ignorati tutti—

Albert allunga una mano. E' tutto quello che riesce a fare. Allungare una mano. Vuole sfilarsi quella cosa dal torace, ma è come se le mani non gli appartengono più.

Da qualche parte, lontano, Tomas fa, "Permettimi."

E poi ecco Tomas, che si sfila un coltello dal fianco ; per la fretta, qualcosa di piccolo, che sembra vetro, cade a terra. Il tintinnio è forte, e, irrazionalmente, Albert si aggrappa al rumore, prima che il secondo pugnale gli apra uno squarcio orizzontale lungo lo stomaco. Esala un rantolo soffocato, e sente qualcosa di vischioso e metallico che gli sale alla gola. Abbassa lo sguardo. E' tutto molto metodico, molto chirurgico, pensa vagamente, tra l'oscurità che avanza; il sangue è tutto impregnato nei suoi vestiti.

Sul pavimento nemmeno una goccia.

Viktor lo lascia andare, e cade.

Albert quasi non lo avverte. Colpisce il suolo, e sa che dovrebbe, dietro la testa, ma non sente niente. Invece si scopre ad allungare la mano in direzione della fialetta che luccica al sole crescente. La vuole. Tomas la afferra per primo, intascandola con facilità. Poi suo fratello si abbassa, prendendo un pugnale; prendendo anche l'altro, con la punta uncinata. Mentre viene estratto si impiglia e tira, portando fuori le budella, e Tomas si china su di lui, e gli sussurra all'orecchio, gli sussurra—

"Il re ti porge i suoi saluti."

Giovanna d'Arco li osserva impassibile dall'alto.

 

  
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