Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Endanger    08/07/2014    1 recensioni
Margherita e una malattia troppo scomoda a cui badare, la sua famiglia la chiama “il male”, sua nipote Alice “la cosa” e i medici “leucemia”. Lei non le ha mai dato un nome, troppo difficile persino realizzarne la presenza. A 32 anni scoprirsi fragile, mollare tutto, perdere le speranze e poi ricominciare, ripercorrere la propria vita, accettare un destino troppo duro e definitivo. Scoprire che alla domanda «perché a me?» non c’è una vera e propria risposta. Scoprire il modo per restare accanto a sua nipote ma, soprattutto, scoprire un modo per vivere e rivivere.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I

Margherita è un jeans a vita bassa.
Margherita è una gonna colorata.
Margherita è un libro sul comodino.
Margherita è un prato verde.
Margherita è una giacca di pelle nera.
Margherita è un paio di pantofole celesti.
Margherita è l’acqua fresca della sorgente.
Margherita è il fuoco nel camino in una notte invernale.
O forse era.
Chi è la ragazza che piange nel buio della stanza?
Quella non è lei.
E’ solo il prodotto della puzza di alcol che impregna l’aria, del brodino delle sei, dell’ago che scompare nel suo braccio, di quella debolezza che non l’abbandona mai, delle parole bisbigliate di sua madre, degli occhi lucidi di sua nipote, dello sguardo assente di suo padre.
Quando aveva iniziato a sentire forti mal di testa diceva «sarà lo stress», quando sopraggiunse il vomito «sarà un virus, è colpa del cambio di stagione» ma quando la febbre alta persisteva si era decisa ed era andata dal medico.
«Margherita, sarebbe meglio fare qualche analisi» le aveva detto.
Le analisi le aveva fatte, qualche settimana dopo.
«Allora dottore?»
«I globuli bianchi sono alti mentre i globuli rossi e l’emoglobina sono bassi.»
«Quindi?»
«Dobbiamo fare una biopsia per esserne certi..»
«Certi di cosa, scusi?»
«Potrebbe trattarsi di leucemia»
«Ah»
Scappò via. Nessun sentimento. Solo un nodo all’altezza dello stomaco.
Lungo il tragitto verso casa continuava a ripetere «Non è vero» talmente tante volte che finì per crederci davvero.
Isa l’aveva chiamata, una, due, tre volte prima che lei si decidesse a rispondere.
«Pronto Isa! Come stai?»
«Perché non rispondevi? Com’è andata?»
«Cosa? »
«Come cosa? Ma ti senti bene? Parlo delle analisi..che ti ha detto il dottore?»
«Ma niente, tutto a posto. Dice che devo riposarmi un po’»
«Sei sicura che sia tutto a posto? Ti sento strana»
«Sì, tranquilla. Devo chiudere adesso, ci sentiamo»
«Va bene. Ciao Marghe»
Respirò profondamente più volte. «Non ho detto una bugia, in fondo il medico non è sicuro. E poi è vecchio, si sarà confuso»
La situazione degenerava, aveva mentito alla sua migliore amica e parlava da sola. Bisognava fare una scelta, forse era meglio non sapere, forse era solo uno scherzo del destino o forse sognava.
Scese dall’auto parcheggiata, ormai, da mezzora sotto casa ed entrò nell’appartamento. Tutto era come lo aveva lasciato prima di uscire , ogni mobile era al suo posto, il divano azzurro ingombrava ancora il salotto, il tavolo rotondo era ancora al centro della cucina, il disegno di Alice, sua nipote, era ancora attaccato con un magnete sul frigo, non era cambiato niente, a parte lei.
Le venne in mente il rumore del vaso verde di sua madre quando, urtandolo, lo aveva buttato giù, il suono che fa un’unità compatta che si frammenta, che si distrugge, tanti piccoli cocci che si dividono, si separano, proprio come lei in questo momento, distrutta.
Si era seduta e aveva iniziato a guardarsi le mani e aveva continuato così per ore.
Quando aveva deciso di fare la biopsia erano passate settimane e settimane da quel giorno, aveva dovuto cedere, stava troppo male persino per reggersi in piedi e aveva dovuto confessare tutto alla sua famiglia e alla sua amica che l’avevano minacciata. Però quando aveva visto il grosso ago, che serviva per prelevare il midollo osseo dal femore, era quasi svenuta e aveva detto «ora sarete contenti, io non ci volevo venire qui» ma lo sapeva che era la cosa giusta da fare.
Alla fine il prelievo aveva soltanto confermato quello che tutti già temevano, leucemia acuta, una forma di cancro che arriva all’improvviso, è così era successo, come un uragano che trascina tutto e tutti al suo passaggio.
L’avevano di corsa ricoverata.
Si gira dall’altro lato del letto alla ricerca di un fazzoletto per asciugare le lacrime che continuano a scendere ininterrotte.
Si ferma come fulminata, gli occhi gelati, fissa la foto che Alice aveva lasciato sul comodino, «Così sono sempre con te» le aveva detto.
E’ una foto dell’estate scorsa, si abbracciano e ridono per qualcosa che adesso non riesce più a ricordare.
«Ti disturbo?»
«Isa! Che ci fai qui?»
«Che bella accoglienza Marghe! Sono venuta a trovarti, volevo sapere come stai»
«Sì, scusami. Puoi abbracciarmi?»
Isabella non se lo fa ripetere due volte, con due grandi falcate e subito di fronte a lei, i capelli biondi cadono leggeri sulle spalle, un velo di mascara risalta gli occhi nocciola, ed è bellissima avvolta delicatamente nel vestito verde, uno spiraglio di colore in mezzo alla tristezza ed alla monotonia della stanza. La stringe forte tra le braccia e Margherita adagia la testa sulla sua spalla come aveva fatto tante altre volte, si abbandona lentamente mentre con gli occhi chiusi respira il suo profumo alla vaniglia e si sente a casa, protetta.
«Ho paura» dice in un soffio.
La sua amica non risponde subito, le accarezza lentamente i capelli, dall’alto verso il basso e poi dice «Sono qui» e lei scoppia a piangere, di nuovo.
Aspetta che si calmi, si stacca lentamente e, continuando a guardarla negli occhi, avvicina la sedia e si accomoda vicino a lei.
La guarda soltanto e lei capisce.
«Sono malata. Ti rendi conto? Mi è piovuto tutto addosso all’improvviso. Il giorno prima è tutto normale: ti svegli, vai a lavoro, prepari la cena, guardi la tv e il giorno dopo fai fatica persino ad alzarti dal letto consapevole che non è colpa dello stress ma del cancro»
«Sei riuscita ad ammetterlo a te stessa! E’ un grosso passo avanti. Se ti rifiuti di credere di essere malata come puoi guarire? Perché tu guarirai Margherita e continuerai a fare le stesse cose che facevi prima. Questo è solo un brutto e grosso ostacolo da superare»
«E se non ce la facessi? Ci hai mai pensato? Mi è bastato guardare la foto con Alice, guardala anche tu, è una ragazzina, non ha nemmeno 16 anni. Come faccio a lasciarla?»
«Ti ricordi quando avevamo noi 16 anni? Arrivava l’estate ed io andavo dai nonni in campagna e tu rimanevi in città. Ci disperavamo perché non sapevamo stare l’una senza l’altra. Ti ricordi cosa abbiamo fatto allora?»
«Ci siamo scritte tutta l’estate fino al momento in cui ci siamo riviste. Ma non capisco cosa centri con me e Alice»
«Penso che dovresti scriverle, potrebbe essere d’aiuto ad entrambe. Tu accetti questa situazione e lotti con tutte le tue forze e lei ti troverà lì dentro ogni volta che ne ha bisogno»
«Non so se ne sono capace, che cosa dovrei scriverci poi?»
«Quello che senti nel cuore. Le parole vengono da sole»
«Ci proverò, quando mi sentirò pronta»
«Tutto a suo tempo. Ora scusami ma devo andare, Vanessa tra poco esce da scuola e devo andarla a prendere. Se hai bisogno di parlare, in qualsiasi momento, chiamami»
«Grazie Isa»
«Stai tranquilla, andrà tutto bene»
«Ti voglio bene»
«Te ne voglio anch’io»
Esce e si chiude la porta alle spalle, finalmente le due grosse lacrime possono scendere indisturbate, aveva fatto la forte fino all’ultimo ma adesso non ce la fa più. Vedere la sua più cara amica in quel modo le provoca un dolore lancinante al cuore e una morsa nello stomaco.
Margherita e Isabella erano sempre state legate da un filo invisibile che si era formato nel tempo con l’aiuto della fiducia e della stima che aveva ognuna nei confronti dell’altra.
Si erano conosciute tra i banchi di scuola, il primo giorno al liceo, quando tutto sembrava tragicamente diverso e la paura dell’ignoto sostava sulle loro teste.
Si erano viste e si erano scelte in silenzio, si erano avvicinate agli ultimi due banchi della fila centrale e non avevano proferito parola. Di nascosto si scrutavano, si osservavano, analizzavano ogni singolo dettaglio dell’altra.
Margherita aveva ammirato quei capelli biondi e soffici che cadevano sulle spalle con piccole onde, il viso chiaro di una bambola di porcellana, gli occhi di un marrone rassicurante, il corpo esile e slanciato, le dita piccole e affusolate, tutto in lei richiamava bellezza, una bellezza pura e semplice. Desiderava anche lei essere così delicata. Ma non la invidiava, la ammirava.
Isabella, invece, osservava i capelli neri e lunghi di Margherita, la frangetta che ricadeva sulla fronte, gli occhi verdi che sembravano vedere tutto e non temere niente, le labbra carnose, il corpo solido e vigoroso. Sembrava già donna. E lei avrebbe voluto essere come lei: fiera e sicura.
Il giorno dopo si erano scambiate qualche parola «Come ha detto che si chiama quella di matematica?» «La ragazza bionda non è stata bocciata?» «Hai un fazzoletto?» «Sai che ore sono?» «Forse domani abbiamo un’ora buca»
Il giorno dopo Isa le aveva chiesto «Vieni al bagno con me?»
Ed erano diventate amiche. Inseparabili. Ogni tanto litigavano, una volta persino per un ragazzo. Si chiamava Ivan ed era il più carino della squadra di calcetto, avevano tutte e due una cotta per lui, avevano riempito intere pagine di cuori all’ora di scienze e parlavano di lui al telefono quasi ogni sabato.
Lui un giorno aveva chiesto a Margherita «Ciao, sei la sorella di Luca?» e lei aveva detto di sì anche se un fratello non ce lo aveva.
«Io mi chiamo Ivan, non è che potresti salutarmelo?»
«Si, certo. Ti vedo spesso giocare, sei molto bravo»
«Grazie Francesca, allora ci vediamo alla prossima partita» aveva fatto l’occhiolino e se ne era andato.
«Francesca eh? Sei proprio una bugiarda! Avresti almeno potuto presentarmelo» aveva detto Isa che era rimasta in disparte.
«Dai, alla partita lo incontriamo e te lo presento. Ma hai visto come mi guardava? Credo di avere delle speranze»
L’amica però non le rivolse più la parola e lei passava il tempo a fantasticare sulla partita e sul loro incontro.
Il giorno fatidico arrivò e Ivan giocava magnificamente, lei lo guardava e sperava ricambiasse il suo sguardo, lo stesso faceva Isa dall’altra parte degli spalti.
All’uscita dagli spogliatoi, però, ad aspettarlo c’era una certa Azzurra che lo baciò davanti a tutti, aveva il rossetto rosso, la gonna corta e qualche anno in più di loro due, rimasero con la bocca aperta poi si guardarono e si misero a ridere.
La loro amicizia continuava imperterrita, le univa una complicità unica e sapevano capirsi con un solo sguardo.
Gli anni delle superiori erano passati così come quelli dell’università e così via e quasi 18 anni dopo quella stessa complicità era rimasta imperturbata.
Margherita sorride amaramente al ricordo di quei tempi, alla spensieratezza che aleggiava nella sua vita, alla semplicità dei sentimenti, mentre tutto ora è terribilmente inquieto. Mille pensieri offuscano la sua mente e si ritrova incapace di comunicare ciò che prova agli altri ma, soprattutto, a se stessa.
Cosa sta accadendo alla sua vita? Si trova in una stanza d’ospedale da due giorni, i dottori dicono che prima di procedere con la chemio deve rimettersi in forze, è ancora molto debole e tutto questo pensare e piangere non l’aiuta.
Mai e poi mai avrebbe immaginato di trovarsi in una situazione simile, lei che aveva sempre avuto massime aspirazioni nella sua vita, che a 16 anni aveva già scelto la sua carriera, insegnante di lettere e storia, con una cattedra in un liceo di periferia, a contatto con i giovani, con la vita che si forma, si immaginava come una guida e un supporto per tutti, capace di ascoltare e consigliare, così come era stata per lei la sua professoressa, è così era successo anche a lei. Aveva sudato, lottato e faticato e ci era riuscita. Aveva una famiglia orgogliosa, che si era dovuta ricredere su di lei, sua nipote l’ammirava, era per lei una madre, una sorella, un’amica e l’amava moltissimo. Si trovava in una situazione economica stabile che le permetteva di vivere in un appartamento arredato con gusto.
Che cosa è rimasto di lei? Una cartellina gialla ha distrutto tutto quello che aveva costruito.
A scuola viene sostituita da una bionda cotonata alla quale non importa niente eccetto l’integrità e la perfezione delle proprie unghie. I suoi genitori e l’intera famiglia la guardano con occhi colmi di pietà, come se fosse una lebbrosa. Ed è certa che Alice non dice più «Voglio essere come la zia da grande». La casa e i soldi, poi, sono l’ultimo dei suoi pensieri.
Per tutta la vita aveva inseguito l’idea di sentirsi realizzata e indipendente.
Ed ora si sente una fallita e fatica ad alzarsi dal letto senza l’aiuto di qualcuno.
«E’ forse questo che devo far sapere ad Alice con la storia delle lettere? Che sua zia è solo una fallita?» si dice mentre dagli occhi sgorgano lacrime che le rinfrescano il viso.
«Oppure dovrei farle sapere che mi piango addosso tutto il tempo?» continua.
«O forse potrei dirle che sto diventando pazza e che parlo da sola» le lacrime non scendono più, forse si sono esaurite.
«Ma lo vedi come ti sei ridotta?» chiude gli occhi e nasconde la testa sotto il cuscino.
Poco dopo rende carta e penna dal cassetto e inizia a scrivere.

Cara Alice,

ti scrivo una lettera per dirti che sono una fallita.
Ho il cancro e non vorrei averlo, non mi piace stare chiusa in ospedale, non mi piace l’odore che si respira, non mi piacciono le lenzuola bianche e la coperta marrone, non mi piace stare chiusa qui, non mi piace pensare che forse la mia vita ha le ore contate, che tutto potrebbe finire da un momento all’altro.
Mi manca la mia vita e sono passati solo due giorni.
Mi manca alzarmi presto la mattina, fare colazione in fretta con un caffè mai zuccherato alla perfezione, mi manca il traffico, mi manca arrivare a scuola di corsa, mi mancano i colleghi psicopatici, mi mancano i miei alunni, mi mancano i “non sono preparato prof” e i “9” sul registro, mi mancano le urla e i silenzi, mi manca tornare a casa esausta, mi manca leggere a letto, mi manca bere un bicchiere di vino guardando la tv, mi manca abbandonarmi al sonno nel mio letto.
Alla tua età sapevo già cosa avrei fatto nella vita, chi sarei stata e cosa avrei fatto e la leucemia che non era presente nel progetto.
Qualcuno diceva “ le cose che accadono quando meno te lo aspetti sono le più belle”, il cancro non è per niente bello, e questa probabilmente è un’altra frasetta che ci propinavamo a vicenda nei bagni della scuola quando ancora nessun ragazzino ci aveva dato il primo bacio.
La vita in ospedale fa schifo, le infermiere sono scorbutiche e il cibo è orribile.
Ma quello che odio di più è l’orario delle visite, gente che arriva con un mazzo di fiori (come se fossi già morta) e un sorriso sofferente di circostanza.
Vorrei proprio sapere, poi, perché tra 7 milioni di persone doveva succedere proprio a me.
Credo che Dio me l’abbia fatta pagare per qualcosa.
Non saprei su chi altro scaricare la colpa..
Tanti cari saluti dalla malata e psicopatica

Zia Margherita.

Piega il foglio in tre parti e poi lo spezza più volte, butta in aria i pezzetti bianchi come coriandoli, «Adesso mi sento meglio» e si addormenta.


Angolo Endanger

Ciao a tutti e grazie per aver letto la mia storia.
Chiunque volesse contattarmi/richiedere l’amicizia/avere curiosità mi trova su facebook Endanger Efp.
Non so quando aggiornerò la storia di nuovo, credo presto perché l’ispirazione c’è grazie anche a De Gregori e ai Queen.

A presto.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Endanger