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Autore: Lacus Clyne    10/07/2014    1 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera! :) Prima parte del 22° capitolo! >_< Oscuro caro, scusa se non ti aspetto, ma ho Didattica con tanto di falce proprio di fronte a me e approfitto di un attimo per pubblicare! XD Comunque, personaggi nuovi in arrivo e confronti all'orizzonte! Cosa riserverà l'immediato futuro ai ragazzi ora che sono tornati a casa? 

Buona lettura, alla prossima!! :)

 

 

 

 

 

Pensai che non appena usciti dai sotterranei dello Stonedoor saremmo tornati ognuno alle proprie case. In realtà, la faccenda si rivelò da subito un po’ più complicata. Victor Kensington, dopo averci accolto con un sollevato “Bentornati”, ci informò che era trascorso diverso tempo da quando eravamo praticamente spariti nel nulla. Ma se per la mia famiglia e per Damien il problema sussisteva relativamente, dal momento che risultavamo all’estero, per Violet, che era letteralmente scappata di casa assieme a Ruben, si era fatta strada l’ipotesi del rapimento. La mia migliore amica, alquanto imbarazzata e preoccupata al riguardo, non nascose di aver finalmente compreso di aver esagerato un po’ troppo, decidendo così repentinamente di abbandonare tutto per venirmi a cercare. E anch’io, in qualche modo, finii per sentirmi in colpa per non aver fatto di più per rimandarla a casa quando possibile. Dopotutto, sapere che lei era al mio fianco, la mia ancora verso il mondo in cui ero nata e vissuta, mi era servito, in un certo senso, a non perdere di vista la mia realtà, quella a cui desideravo tornare, prima o poi.

Così, Victor ci chiese di seguirlo, comunicandoci di aver acquistato, proprio di recente, una proprietà a Darlington. La notizia stupì la mamma, che preso sottobraccio il suo padre adottivo, non poté fare a meno di chiedere spiegazioni in merito.

- Sapevo che sareste tornati e così ho pensato di aspettarvi direttamente qui.

Disse, rivolgendo un sorriso speranzoso alla mamma e poi guardandoci.

Io ero assieme a papà, Evan e Arabella. Damien e Jamie, accanto a Ruben e a una pensierosa Violet, sembravano incuriositi.

- Oh, a proposito. Chiedo scusa per la scortesia. Non mi sono nemmeno presentato.

Posando la mano libera sul petto e chinando appena la testa canuta, riparò al danno.

- E’ davvero un piacere fare la conoscenza della famiglia della mia cara Celia e di voi tutti. E, dolce Aurore, sei cresciuta davvero tanto. Immagino che non ti ricordi di me, non è così?

Scossi la testa, un po’ imbarazzata.

- M-Mi dispiace, ero troppo piccola per ricordare…

Tentai di giustificarmi, cercando lo sguardo della mamma, che mi rivolse un’occhiata comprensiva.

- Non preoccuparti, tesoro… è anche colpa nostra che abbiamo deciso di non rivelare nulla…

Mi rispose. Anche Evan fu dello stesso parere.

- Del resto, non che ci fosse altro modo…

Commentò.

Victor si soffermò a osservare mio fratello.

- Il piccolo Evan, diventato un giovane uomo in grado di difendere la sua stessa famiglia. Ragazzo mio, alla fine, ce l’hai fatta ad afferrare la mano della tua Arabella, che permettetemi l’ardire, è bella come sua madre alla sua età.

Entrambi i miei fratelli, che avevano effettivamente le mani strette l’una nell’altra, si guardarono. Arabella arrossì. Evan alla fine, annuì con sicurezza.

- Sì, è così, nonno Victor.

- N-Nonno Victor? Non chiami papà nostro padre e chiami nonno il signor Kensington, Evan?!

Esclamai, a voce un po’ troppo alta, forse, perché tutti si voltarono a guardarmi. Evan sembrò turbato dalla mia osservazione, tanto che non seppe cosa rispondere.

- Sensi di colpa?

Gli fece eco Damien, sforzandosi di non pungolarlo più del dovuto. Evan inarcò il sopracciglio.

- Non provarci nemmeno, Warren.

- Però è vero, in tutti questi anni Evan non ha mai chiamato Greal papà… oh, questa dovevo immaginarmela…

Commentò sovrappensiero la mamma, rivolgendosi verso papà come se se ne vergognasse. Dando prova di grande aplomb, papà non si scompose.

- Beh, dal mio punto di vista è più che legittimo. Dopotutto Evandrus sapeva bene di essere un Delacroix e non un Valdes… o un Kensington, se vogliamo essere più fiscali.

- N-Non è così… !

Si affrettò a rispondere Evan, che apparve piuttosto imbarazzato. Dovevo ammetterlo, era piuttosto strano vederlo tanto a disagio. Ma dopotutto, era più che comprensibile. A sorpresa, fu Arabella a risolvere la questione.

- Lord Warr--  Damien ha detto che Evandrus Delacroix è morto… ma che Evan Kensington non lo è mai stato davvero…

- Arabella…

Mia sorella sorrise candidamente.

- Non importa quale sia il nome di famiglia… non fa certo differenza, ora… ciò che conta è che finalmente possiamo vivere tutti insieme, di nuovo… e io sono davvero felice che le persone che amo e che mi sono sempre mancate ora siano qui… papà, mamma, Aurore… e tu, che per Aurore sei stato un fratello, per i nostri genitori un figlio… pertanto, non avere paura di aprire il tuo cuore, Evand--  no, Evan!

Quelle parole così spontanee ci strapparono un sorriso. Arabella era stata l’unica a comprendere la vera ragione dietro a quella mancanza di Evan. L’essere cresciuto come l’uomo di casa, l’incertezza per la sorte di papà, il senso di colpa che l’aveva sempre accompagnato, avevano finito col creare una sorta di distacco in mio fratello. E ora che finalmente eravamo tutti riuniti, dopo averne preso coscienza, forse non riusciva a superarlo. Papà, ad ogni modo, fu molto comprensivo. Posò la mano sulla spalla di Evan, che ne incontrò lo sguardo.

- So di non essere stato presente, e voglio che tu sappia che Celia mi ha detto tutto di te, del modo in cui hai protetto lei e tua sorella. Evan, quella notte di tanti anni fa, avrei voluto per te un futuro libero dal fardello dei Delacroix. Eppure, il destino ha voluto che tu ricordassi, che crescessi col pensiero rivolto ad Arabella, a un mondo che stava finendo. E nonostante tutto, sei diventato esattamente ciò che Victor ha detto. Non credo che avrei mai potuto aspettarmi qualcosa di diverso. Al contrario, non sono mai stato così felice di aver avuto un figlio maschio come te.

Evan ascoltò quelle parole con lo sconvolgimento nei suoi begli occhi amaranto. Non credo di averlo mai visto più in difficoltà di quel momento. Per la prima volta, ufficialmente, era stato riconosciuto come figlio da parte di nostro padre. E sotto ai nostri sguardi inteneriti e soddisfatti, alla fine, Evan fu costretto a distogliere il suo per non far vedere la sua stessa emozione. Soltanto, con la voce incrinata, annuendo dopo aver preso un respiro tremante, pronunciò le parole che mai avevo sentito dirgli, da quando lo ricordavo.

- Grazie… papà…

Sentii il cuore battermi più forte nell’udire il tono così commosso di Evan e nel vedere il sorriso che si aprì sul volto di papà. Alla fine, Victor, ritrovandosi ad annuire compiaciuto, tirò nuovamente fuori dal taschino l’orologio. La mamma lo guardò incuriosita, così come Damien, che notò la somiglianza con l’orologio che solo pochi mesi prima, Shemar gli aveva regalato, uno di quelli che aveva visto su dei libri, assieme a sua madre, da bambino.

- Vogliamo andare? Rhodes ci aspetta fuori. Oh, in realtà aspettava me, ma non c’è alcun problema, suppongo.

Disse Victor divertito,  imboccando le scale.

- Chi è Rhodes?

Domandai, perplessa.

- Russell Rhodes, il maggiordomo di casa Kensington.

Rispose prontamente Evan, mentre ci apprestavamo a seguire Victor. A quella nuova rivelazione, non potei fare a meno di guardare mio fratello.

- Anche un maggiordomo… comincio seriamente a preoccuparmi…

E stupita come non mai della nuova situazione che si era venuta a creare, finalmente, poco dopo, potei riassaporare assieme ai miei amici e per la prima volta, assieme alla mia famiglia al completo, l’aria notturna della mia tanto amata Darlington. Casa.

 

Dovevo ammetterlo. Accanto alla felicità data dall’aver finalmente potuto rivedere i luoghi che amavo e del riavere, soprattutto, mezzi di trasporto umani, non fui la sola a rendermi conto di quanto a parti inverse, per papà e Arabella fosse alquanto traumatico ritrovarsi non soltanto a notare un tipo d’architettura del tutto diversa da quella a cui erano abituati, ma anche e soprattutto, vedere sfrecciare auto e doverci salire a bordo. Persino Ruben si ritrovò a sorridere delle reazioni eccessivamente guardinghe di papà e dello spavento di Arabella ogni qualvolta un’automobile passasse per la via principale. La mamma ed Evan si dettero da fare per spiegare loro che non c’era nessun pericolo, salvo quello dato dal cercare di attraversare la strada o il salire e scendere se il mezzo era in movimento. A questo proposito, Victor si mise a ridere, affermando che la sua difficoltà invece era data dal volante a sinistra piuttosto che a destra. Proprio mentre ne parlavamo, ci ritrovammo davanti il signor Rhodes, un uomo sulla cinquantina, distinto al pari di Victor, in giacca e cravatta nonostante fosse estate e anche lui estremamente britannico nei modi.

- Bentornato, signore. E lieto di rivedervi, signora Celia, signorino Evan e signorina Aurore.

Quel “signorino Evan” strappò una risatina sotto i baffi sia a me che a Damien e Violet. Dopotutto, non potevamo non dire che Evan non aveva certo i modi del signorino. Al massimo quelli di un despota sanguinario, ma quella era decisamente un’altra storia. Mio fratello, nonostante tutto, cercò di ignorarci. E io non potei prescindere la mia personale meraviglia nel sentirmi rivolgere quel tono che mi ricordò immediatamente Shemar. Chissà se i festeggiamenti a Chalange stavano continuando…

- Rhodes, che piacere rivederla! Complimenti, non è invecchiato di una virgola!

Notò la mamma, con evidente sorpresa.

L’uomo, sorridendo cortesemente, un guizzo divertito negli occhi marroni bordati di ciglia scure, aprì la portiera della Toyota Avensis metallizzata. Nonostante la perdurante perplessità di papà e di Arabella, ci apprestammo a entrare, ma fummo bloccati.

- Aspettate, per favore.

Mi voltai nel sentire Violet con un insolito tono preoccupato.

- Che succede?

Le domandai.

 La mia migliore amica, un po’ imbarazzata, si scusò.

- Non posso venire con voi… insomma, ora che siamo tornati, non me la sento di mentire ancora ai miei genitori… saranno già fin troppo in pena…

Abbassò lo sguardo colpevole, mentre Ruben, accanto a lei, sembrava in imbarazzo. Del resto, c’era da immaginare che il legame tra loro due non fosse passato inosservato e se avessero fatto delle ricerche sul nostro amico, considerando l’esito totalmente negativo, c’era da immaginare il peggio.

- Hammond, non puoi tornare a casa ora. Come giustificherai la tua assenza effettiva? Non è passata una settimana, sono trascorsi dei mesi. E ai tuoi genitori non basterà una semplice scusa.

Le fece notare Damien, forse un po’ troppo duramente per i miei gusti e non soltanto. Ruben si accigliò.

- Ohi, Warren. Datti una calmata. Violet sa benissimo che…

- Sa benissimo che è stata irresponsabile, così come lo siamo stati noi e tu stesso nel portarla con te. Non è così semplice, Ruben. Si parla di rapimento e credimi, qui è un reato molto più grave di quanto lo sia nell’Underworld.

- Neo Esperia.

Lo corresse Ruben, con piglio seccato. Damien agitò a mezz’aria la mano.

-  Sì, sì, quello che è. Ad ogni modo, devi tutelarti, Hammond.

Riprese, rivolgendosi a una sempre più in colpa Violet. Quella sua preoccupazione mi strinse il cuore, tanto che raggiunsi la mia migliore amica, assieme alla mamma, che le accarezzò dolcemente la testa. Violet ci guardò, gli occhi lucidi. Alla fine, dopo pochi istanti, mia madre si voltò verso gli altri, sorridendo.

- Andate con Victor, ci penso io. Mi è venuta un’idea.

Papà ed Evan, nemmeno se si fossero letti nel pensiero, misero le mani in faccia.

- Allora siamo fregati.

Commentò mio fratello, suscitando lo stupore di Arabella.

- Perché?

Domandò, incerta.

- Le idee di Celia sono pericolose per l’incolumità di chiunque.

Spiegò papà, sospirando.

A quell’osservazione non potei trattenere una risatina, mentre la mamma sbuffò.

- Voi due… giuro che non appena saremo a casa la sconterete con gli interessi. Quanto a noi…

- Cos’ha in mente, signora?

Domandò Violet, perplessa.

- Da quanto manchi, tesoro?

- Da poco prima della Renaissance… non sono in grado di quantificare quanto tempo sia trascorso effettivamente…

Spiegò.

- Dovrebbero essere un paio di mesi circa.

Intervenne Damien.

- E se non sbaglio hai approfittato della gita scolastica, vero, Violet?

Domandai. Violet assentì.

- A cui però non ho partecipato…

Aggiunse.

La mamma ci rifletté un po’ su, poi scrollò le spalle.

- Diremo che sei venuta da noi. Hai approfittato della gita scolastica per raggiungerci e…

- Le ricordo che si parla già di rapimento.

Ribadì Damien, smorzando la teoria della mamma, che sbuffò.

Violet si risentì.

- Accidenti, è stata tutta colpa mia…

Mormorò Ruben, tra sé e sé.

- Non pensarci, alla fine, ciò che conta è che Violet stia bene…

Cercai di rassicurarlo, poi guardai Evan, che scosse la testa.

- Anche se usassi quella scusa, mamma, è passato comunque troppo tempo… e Violet avrebbe potuto avvertire i suoi genitori, in ogni caso, cosa che per ovvi motivi, non è accaduta.

Disse. La mamma fu d’accordo.

- Ma se dicessimo che il suo cellulare è stato rubato?

Aggiunsi.

- Scontato. Anche se fosse avrebbe potuto usare il tuo o quello di tua madre. O Skype, ad esempio.

- Cos’è Skype?

Domandò Arabella, ancora più incerta.

- E’… è un progr--  Spiegaglielo tu, Kensington.

Rispose Damien, rivolgendosi a Evan.

- Ehi. E io che c’entro?

- E’ la tua ragazza.

- S-Sì, ma perché devo spiegare cos’è?

Protestò mio fratello, preso in contropiede. Damien sfoderò il suo sogghigno, ma prima che potessero continuare la discussione, papà richiamo l’attenzione.

- Avete intenzione di cincischiare ancora a lungo? Perché non dire semplicemente le cose come stanno?

In quel momento, ci voltammo tutti verso mio padre. Per via della sua espressione seria e tremendamente convinta di ciò che aveva appena detto, compresi che per papà, vivere nel nostro mondo sarebbe stato un vero problema.

- N-Non possiamo parlare di Neo Esperia, Greal…

Disse la mamma, titubante.

- Perché?

Fu Victor a rispondere, prima che potesse farlo qualcun altro.

- Questo mondo ha perso la cognizione dell’esistenza di una dimensione differente, già da molti secoli. Solo i membri della mia famiglia, da generazioni, si sono fatti portatori e protettori di quella realtà. Signor Greal, al giorno d’oggi, sarebbe impensabile divulgare l’esistenza di un mondo diverso da questo senza generarne una crociata mediatica.

Papà valutò attentamente le parole di Victor, che alla fine, fece un cenno col capo.

- Quanto alla signorina Hammond, sono qui anche per questo. Ho provveduto personalmente a inviare Rhodes qui per valutare la situazione poco dopo la vostra scomparsa e successivamente a quella della signorina, a incontrare i suoi genitori, poco più di un mese fa. Erano naturalmente in pena, come qualunque genitore che teme di non poter rivedere il proprio figlio. Rhodes ha detto loro che al momento si trovava a Londra assieme a mia nipote, che era partita in fretta assieme a mia figlia e al fratello per venirmi a trovare, in quanto ammalato. Il motivo per cui non aveva avuto modo di contattarli era il fatto che temeva di farli preoccupare, se avessero saputo che aveva deciso così all’improvviso di prendere un aereo per la Gran Bretagna. Oh, ovviamente spero che non vi dispiacerete se mi son preso la libertà di farvi concludere gli studi tramite crediti extra che recupererete quest’estate.

 Violet e io ci guardammo, poi cercammo mia madre, che si rivolse a Victor sorridendo entusiasta.

- Questo è davvero inquietante.

Commentò Damien, trovando l’approvazione di Jamie e di Evan.

- Non ci ho capito un accidente, ma mi state dicendo che Violet è scagionata?

Domandò incredulo Ruben, mentre la speranza di riaccendeva nei suoi occhi color lavanda.

- Pare proprio di sì.

Risposi, poi strinsi le mani della mia amica, sorridendo.

- E’ tutto a posto, Violet!

Lei sorrise, finalmente rincuorata.

- G-Già… Oh mamma, davvero, non so come ringraziarla, signor Kensington… e anche lei, signor Rhodes…

Disse, rivolgendosi loro con sollievo ed entrambi fecero un cenno d’assenso.                                      

- Ad ogni modo, se volete andare ora, per me non c’è alcun problema, ma penso che vestiti in quel modo suscitereste qualche dubbio nei genitori della signorina Hammond.

Osservò tuttavia Victor.

Ed effettivamente, considerando che indossavamo ancora gli abiti tipici di Neo Esperia, non aveva certo tutti i torti. Ci mettemmo a ridere, accettando alla fine, l’invito di quello strano signore che a tutti gli effetti, era un vero e proprio benefattore. Eppure, papà sembrava ancora alquanto sospettoso.

Quando finalmente mettemmo piede a casa, una villetta a due piani nei pressi delle scuole medie di Darlington, piuttosto classica per precisa volontà dello stesso Victor, che non voleva dare particolarmente nell’occhio con la sua presenza, potemmo finalmente rilassarci. Quasi non mi sembrò vero di riavere acqua calda corrente, luci elettriche da usare a piacimento e gas persino. Non che mi dispiacesse la vita che avevo condotto nei tre mesi precedenti, anzi, ero arrivata persino ad abituarmici, ma dopotutto, casa era casa, con le sue comodità d’era contemporanea. Dopo aver benedetto una meravigliosa e rilassante doccia a base di fragrante bagnoschiuma alle more e shampoo, raggiunsi Arabella, Violet e la mamma, che mi aspettavano. Non c’erano molte stanze da letto, ma d’altro canto, era più che comprensibile. L’abitazione disponeva di una camera padronale, una seconda con due letti e una per gli ospiti. Quest’ultima era stata occupata dal signor Rhodes, che si era offerto di lasciarla libera e di dormire sul divano, oltre che di aggiungere delle brande nelle camere, ma la mamma aveva categoricamente risposto che saremmo stati noi quelli che si sarebbero arrangiati.

- Tutto bene?

Domandai, mentre cercavo di districare i capelli, nel vedere Arabella piuttosto irrigidita mentre la mamma le asciugava i lunghi capelli col phon.

- Sembra proprio che tua sorella non sia una grande fan della tecnologia…

Sorrise Violet, seduta sul divanetto color panna al lato della stanza. C’era qualcosa nel classicismo di quella casa che mi ricordava le abitazioni in cui avevamo vissuto in precedenza. Cominciavo a comprendere cosa avesse influenzato il gusto di mia madre, nel nostro mondo. Posai la spazzola sopra all’alta cassettiera su cui troneggiava un vaso allungato di clematidi bianche e rosa.

- Anche per me all’inizio è stata una tragedia, ma dopo ci si abitua.

Rispose la mamma, cercando di rincuorare al tempo stesso Arabella, che aveva persino chiuso gli occhi. Sembrava un po’ più giovane dei suoi diciannove anni, con indosso un leggero abito di cotone color pesca e le ballerine. Certo, per lei sicuramente sarebbe stato molto più difficile ambientarsi, considerando che aveva passato anni interi relegata all’interno del suo stesso corpo. Quando riaprì gli occhi, ancora spaventata dal rumore prodotto dal phon, si lamentò del fatto che non riusciva a sentire cosa dicevamo.

- E’ normale!

Esclamai, sedendomi accanto a lei, mentre la mamma indugiava accarezzando le sue lunghe e setose onde dorate. Chissà quante volte aveva sognato di farlo, ma non aveva avuto la possibilità. Scacciai quel pensiero nel vederla finalmente felice e pensai a quanto lo fossi anch’io nel vedere finalmente il mio sogno realizzato. Arabella mi guardò, sorridendo.

- Che c’è, Aurore? Sembri contenta…

Annuii, ricambiando quel sorriso.

- Lo sono!

- E sei anche mezza nuda, signorinella… dovresti vestirti, o prenderai un raffreddore.

- Ma è estate, mamma!

Protestai, notando che anche Violet e Arabella avevano messo dei vestiti leggeri. Oltretutto, non potei non pensare che eravamo a luglio e per di più, la scuola era finita. Mi chiesi cosa intendesse Victor parlando di crediti extra, ma soprattutto, quale sarebbe stata la situazione di Evan, di Damien e di Jamie. Ad ogni modo, la mamma mi distolse momentaneamente da quella riflessione.

- Lo so, ma è notte fonda ed è meglio non rischiare. Nell’armadio ci sono degli abiti anche per te, scegli pure quello che ti piace.

Mi rispose, intransigente fino all’ultimo. Non che non avesse ragione, ma dovevo ammettere che nonostante non ci fosse caldo, volevo godermi ancora un po’ la sensazione meravigliosa della doccia appena fatta. A malincuore, trovai della biancheria, pigiami e dei vestiti.

- Ce li avrà messi il signor Rhodes questi? Comincio a pensare che sia davvero imbarazzante…

Commentai, prendendo un vestito con le bretelline, color corallo.

- Credo che sia stata Mariel a suggerirgli cosa prendere. Anche se ora che ci penso, non è venuta… che peccato, mi sarebbe piaciuto rivederla…

- Mariel? C’è qualcun altro che dobbiamo conoscere, mamma?

Domandai, incredula.

La mamma sorrise, spegnendo il phon con evidente sollievo di Arabella e puntandomelo addosso.

- Sii più garbata, Aurore. Rhodes serve i Kensington da anni, è vero, ma quando Victor mi trovò assieme a Evan, si rese conto che non poteva occuparsi di una donna incinta e terrorizzata soprattutto. Per questo motivo, cercò qualcuno che potesse aiutarmi e trovò Mariel. Non lo ricordi, ma quand’eri piccola, giocava spesso con te.

Scossi la testa, sconsolata al pensiero di un altro ricordo che non avevo relativo agli anni del silenzio. La mamma se ne rese conto, così come Arabella, che si alzò e mi raggiunse.

- Su, Aurore. Abbiamo la possibilità di sapere tutto, adesso. E poi Evandr--, oh, devo abituarmi a chiamarlo Evan…

Sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. La guardai in tralice, lei sorrise raggiante.

- Dicevo, Evan e anche tu avete promesso di raccontarmi tante cose… e non vedo l’ora di ascoltarvi! Ah, naturalmente vale per tutti… anche tu, Violet… e mamma… è lo stesso anche per te e papà!

Forse per via del suo tono entusiasta e sognante, mi ritrovai ad accettare e ben presto, anche la mamma e Violet furono dello stesso parere.

Quando poi raggiungemmo al piano inferiore gli altri, verso mezzanotte, per la prima volta dopo tanto tempo vidi Evan, Damien e Jamie in jeans e maglietta e cosa non meno importante e decisamente molto affascinante, vidi papà vestito alla nostra maniera. Aveva indossato dei pantaloni neri, con la piega e portava una semplice camicia bianca con sopra un gilet antracite. Nel vederci arrivare, lasciò perdere l’esplorazione del salotto bon-ton ammobiliato in noce, marmo chiaro e divani in stoffa crema e rossa a più posti. Gli occhi d’ametista, ora un po’ più rilassati, incontrarono quelli della mamma, che aveva scelto un vestito lilla leggero e svasato e un maglioncino di cotone più scuro. La mamma gli rivolse un sorrisetto di sfida sulle cui motivazioni decisi di soprassedere per non incappare in pensieri che decisamente non volevo nemmeno immaginare. Ma d’altro canto, per quello che li riguardava, erano fin troppi anni che non si vedevano ed entrambi sembravano letteralmente voler saltare la cena che Rhodes aveva preparato e il cui profumino succulento arrivava a pizzicare le narici e l’acquolina dal soggiorno. Sospirai imbarazzata, quando fummo raggiunte dai ragazzi.

- Anche voi siete stati felici di riavere l’acqua corrente?

Scherzai, nel ritrovarmi nel bel mezzo di un déjà vu quando vidi Damien fermarsi a pochi passi da me. Il ricordo della prima volta che lo vidi vestito in modo diverso dal suo solito, a palazzo Trenchard, mi fece battere il cuore con più forza.

- Credo che assieme all’energia elettrica, sia la cosa migliore che possa esistere.

Rispose, poggiando la mano sul fianco. Jamie, accanto a lui, sbadigliò.

- Hai sonno, Jamie?

Domandò Arabella, invece. Il fratellino di Damien annuì.

- Vorrei tornare a casa, ma dopo tre mesi d’assenza, dubito che la ritroveremo di nostra proprietà…

Disse.

- Domani andrò personalmente a verificare la situazione. Oltretutto, papà ha lasciato i documenti che riguardano la mamma nella sua cassetta di sicurezza e intendo darci un’occhiata il prima possibile.

Riprese Damien, che mi parve piuttosto impaziente. Conoscendolo, sicuramente non voleva correre rischi. Eppure, una parte di me sentiva crescere il timore legato a cosa sarebbe accaduto dopo. Certo, ora che Damien e Jamie sapevano che la loro mamma era viva, ora che avevano scoperto il luogo in cui viveva da diversi anni, il loro sogno più grande era a poco così dal realizzarsi del tutto. Ne ero felice, senza dubbio, ma il pensiero che presto o tardi Damien sarebbe andato via si era affacciato ancora una volta nel mio animo, stavolta con preponderanza. E mi ritrovai a temere quella separazione. In quei tre mesi lontani da casa avevamo intrecciato le nostre vite. Ci eravamo innamorati l’uno dell’altra e su quel sentimento avevamo basato il nostro fronte comune. Ma ora, il mio desiderio più grande si era finalmente realizzato e al suo mancava ancora qualcosa. Sarei stata forte abbastanza da non lasciarmi sopraffare dall’egoismo? E sarei riuscita a lasciarlo andare? La verità era che avevo paura di perderlo. Sapevo cosa significava essere lontani e anche se si trattava di qualcosa di momentaneo, comunque, anche se eravamo a casa, finalmente, in un mondo che ci permetteva di raggiungere i quattro angoli del mondo con tecnologie svariate, temevo che la lontananza sarebbe stata molto più dolorosa di quanto potessi tollerare.

- Piuttosto, con la scuola come la mettiamo? Warren, tu formalmente sei all’estero con Jamie, ma non credo che vostro padre abbia avuto la stessa idea del signor Kensington…

Osservò all’improvviso Violet, costringendomi a rialzare lo sguardo e a notare che entrambi i fratelli si erano ritrovati a guardarsi. Si somigliavano molto quando assumevano l’espressione seria e pensierosa. Sicuramente dovevano averla ereditata da Grace.

- Questo è un bel problema… considerando che papà voleva altri studi per me ed era convinto che tu fossi morto…

Commentò Jamie, portando le dita al mento. Damien sospirò.

- Accidenti, se ho perso l’opportunità di diplomarmi per colpa sua giuro che torno a Chalange e lo elimino di persona.

Protestò, suscitando la nostra ilarità.

- Non c’è niente da ridere, la faccenda è seria. Certo, durante gli ultimi due anni ho maturato crediti in più per poter entrare a Giurisprudenza, ma non so se mi basteranno per essere ammesso a Princeton.

Princeton. Quando eravamo nell’Underworld non avevamo mai parlato di progetti a lungo termine e suonava piuttosto strano sentire Damien parlare con tanta naturalezza delle sue scelte future. Quel pensiero mi fece risentire, pensando che ero stata superficiale a non tenere in considerazione una cosa così importante. Dopotutto, anch’io programmavo di andare al college con Violet, ma non sarebbe accaduto prima di un paio d’anni. Invece per Damien e per Evan, quello che avevano frequentato senza poter finire era già l’ultimo anno.

- A meno che tu non sia stato già ammesso. Se non ricordo male, le ammissioni uscivano proprio ad aprile.

Disse Evan, incrociando le braccia. Damien, del canto suo, aggrottò le sopracciglia.

- Hai presentato una domanda anche tu?

Nel sentirlo, sia Violet che io ci voltammo a guardare Evan. A pensarci, mio fratello non aveva mai approfondito particolarmente gli studi. Era interessato giusto alla sufficienza e non avevamo mai parlato in concreto del college. Dunque, l’idea che avesse presentato delle domande d’ammissione mi sembrava piuttosto strana, soprattutto considerato che i suoi progetti per il futuro non prevedevano certamente il superare indenne il varco della Porta di Pietra. Però in quel momento, osservandolo, vedevo di nuovo il suo profilo rilassato, così simile e al tempo stesso differente da quello seminascosto dalla maschera nera di Liger e nel sentire la sua voce mentre chiacchieravamo ancora una volta di argomenti che nella avevano a che fare con il sovrannaturale, mi sembrava quasi di essere in un sogno. Arabella, accanto a me, mi chiese cosa fosse un college. Che strano, quante volte da quando avevo scoperto la verità, mi ero ritrovata a pensare come sarebbe stata la mia vita consapevole di avere una sorella che avrebbe potuto frequentare le nostre stesse scuole. Le sorrisi, notando la sua espressione incuriosita.

- E’ una specie di scuola. Ci si va dopo il liceo, qui da noi…

- E cos’è il liceo? Un’altra scuola?

Annuii, pensando al fatto che ora che eravamo tornati, avrei potuto riprendere la mia vita con la consapevolezza di essere in grado, finalmente, di poter realizzare ciò che desideravo.

- Ti spiegherò tutto con calma non appena sarà possibile. Sai, ho aneddoti divertenti anche sulla scuola. Come la volta in cui Evan mi ha scritto sul banco le soluzioni del compito di biologia…

Mi interruppi prima di andare oltre, sentendo una strana sensazione di disagio a pochi passi da me.

- Ah, quindi è così che hai passato la verifica?

Deglutii impietrita nel riconoscere la voce tetra del mio fidanzato. Mi voltai meccanicamente, pronta a imbastire una qualche brillante arringa per la difesa di mio fratello che fece spallucce, mentre Damien aveva sul volto la sua espressione da despota inquisitore. Già, Giurisprudenza sarebbe stata la Facoltà perfetta per lui.

- Qualcuno ha visto Ruben, piuttosto?

Domandò provvidenzialmente Violet e la ringraziai mentalmente per avermi salvata dal terzo grado. Effettivamente, il Lord del rubino non si era ancora visto da che eravamo arrivati. Ci guardammo intorno, mentre i miei genitori avevano raggiunto Victor e ci conversavano, quando il signor Rhodes ci pregò di raggiungere il soggiorno per la cena, ottenendo in breve la risposta al quesito. Ruben era proprio lì, impegnato a scrutare attentamente una riproduzione del quadro “La Libertà che guida il popolo” del pittore francese Eugène Delacroix. Violet lo raggiunse, mentre man mano, prendevamo posto alla lunga tavolata imbandita dal maggiordomo dei Kensington con una alquanto gradita cenetta a base di carne arrosto, patate al forno e ricche insalate il cui ricco profumo di mais era una vera e propria leccornia. Alla fine, quando avemmo preso posto, guardammo i nostri due amici, ancora in piedi.

- Ruben, Violet! Volete farci morire di fame?

Domandai.

Victor, a capotavola, si voltò a guardare i ragazzi. Accanto all’espressione imbarazzata di Violet c’era quella piuttosto confusa di Ruben.

- C’è qualche problema?

Domandò.

- No, è solo che… questo Eugène Delacroix era un tuo parente, Evandrus?

Chiese Ruben, indicando il quadro alle sue spalle. A quelle parole, non potei trattenere una risatina, subito smorzata dalla reazione di Evan, che inarcò il sopracciglio.

- Niente affatto.

Rispose, prendendo il calice e lasciando oscillare il vino rosso all’interno. Quel gesto mi ricordò la volta in cui l’avevo incontrato come Liger, a palazzo Devereaux. Anche allora aveva fatto lo stesso, liberando le bollicine d’aria nello champagne.

- E perché ha il tuo stesso nome di famiglia?

- Si dice cognome, Ruben…

Lo corresse Violet, prendendolo sottobraccio. Ruben annuì, rimanendo tuttavia concentrato su mio fratello. Mentre Rhodes aspettava che si sedessero per cominciare a servire, Victor si mise a ridere, agitando la mano a mezz’aria.

- Oh, beh, sembra proprio che abbiate un bel po’ di cose da raccontarmi e anch’io, del resto. Ma prendete posto, signorina Hammond, signor Cartwright. Si conversa meglio a pancia piena e davanti a un buon bicchiere di Barolo, non credete?

Papà, nel sentirlo, prese il suo bicchiere, dando un’occhiata al pregiato vino.

- Ti posso garantire che è davvero buono, Greal.

Lo rassicurò la mamma, che ne approfittò per brindare giocosamente e rivolgergli un dolce sorriso.

- Va bene. Mi fido, Celia.

Rispose mio padre, mentre anche Violet e Ruben, alla fine, prendevano posto.

Rhodes non perse altro tempo, servendoci la cena. Quando ebbe finito, però, Victor gli chiese di sedere a tavola assieme a noi. La nostra famiglia era riunita finalmente, e dal momento che anche lui era considerato parte di essa, doveva assolutamente partecipare alla cena. Sulle prima, l’uomo fu riluttante, ma dopo l’insistenza della mamma, che sembrava davvero affezionata a lui, Rhodes assentì. Compresi quale fosse la ragione di quell’entusiasmo nel ricordarmi di Grayling Law, il cavaliere personale di mio nonno Tantris. Probabilmente, nella figura del braccio destro del mio nonno adottivo, la mamma doveva averci ritrovato qualcosa di Grayling e questo mi faceva pensare che in qualche modo, nella disgrazia, aveva avuto la fortuna di trovare delle persone che richiamavano coloro che per lei erano stati importanti. Fui felice di vederla conversare con brio, raccontando a Victor cos’era accaduto, a volte coadiuvata da papà che spiegava, bilanciando perfettamente l’irruenza della mamma con la sua innata propensione alla diplomazia, la storia così com’era stata da dopo che la Porta di Pietra si era chiusa, così tanti anni prima. Anche Arabella intervenne, raccontando della Croix du Lac e di ciò che aveva patito. Nonostante fosse stata per così tanto tempo considerata una divinità, il pensiero di ciò che era davvero e il triste destino dello spirito senza requie della figlia dei Delacroix commosse Victor, che ci raccontò di un tempo, nel passato, in cui i Delacroix scovarono il passaggio per una diversa dimensione che ribattezzarono Underworld. Era un tempo di guerre e di gravi carestie in cui si era disposti a tutto pur di sfuggire alla morte. Damien azzardò l’ipotesi che la famiglia fosse in fuga dalla guerra dei cent’anni, combattuta in parte in Francia. Victor fu d’accordo, spiegando che originariamente, anche la famiglia Kensington avrebbe dovuto sfuggire utilizzando lo stesso varco, ma che per qualche ragione, si chiuse prima che questo fosse possibile, rimanendo chiuso per circa un cinquantennio a seguire. Quella rivelazione ci colpì particolarmente, ma Ruben si permise di dissentire, spiegando che secondo i dati storici in loro possesso, l’apertura della Porta di Pietra era avvenuta molto più spesso di quanto dicesse. Prontamente, Victor spiegò che la causa di questo era la presenza di portali in diverse zone del nostro mondo, dunque la Porta si era sicuramente aperta, ma non nel luogo da cui i Delacroix erano partiti.

- Effettivamente, l’attività in Francia si è ridotta notevolmente negli ultimi anni.

Affermò, quando a cena terminata, continuammo a parlare della questione.

- Dunque la sua famiglia monitora i portali… ma per quale motivo?

Domandò Jamie, piuttosto assonnato, ma determinato a saperne di più.

- Oh  beh. Fondamentalmente è una sorta di tradizione di famiglia. Dal momento che il portale francese non si apriva, i miei antenati si misero alla ricerca di altre vie d’accesso, scoprendone diverse. Col tempo, oltre ai Delacroix, anche altri gruppi riuscirono a varcare quella soglia, talvolta indiscriminatamente e per questo motivo, decisero di monitorare l’attività dei portali man mano che venivano trovati. Di generazione in generazione, i Kensington sono stati legati alla Porta di Pietra senza mai varcarla. Alla fine, sembra che questa tendenza stia per terminare, comunque.

Jamie scosse la testa.

- E’ davvero triste che non ci sia mai potuto andare… Neo Esperia è un mondo meraviglioso adesso… c’è magia, c’è vita… e tornerà ben presto a prosperare, ne sono sicuro. Per questo, deve andarci assolutamente!

Damien gli arruffò i capelli scuri, riprendendolo affettuosamente.

- Non essere impertinente, ora… il signor Kensington avrà le sue ragioni. E comunque sarà meglio che tu vada a dormire, piccolo… è piuttosto tardi.

Jamie si voltò verso il fratello maggiore, con uno sguardo a metà tra l’irritazione per l’esser stato ripreso, la consapevolezza della verità detta da Damien e l’aver voglia di saperne ancora. Sul volto di Victor comparve una vena nostalgica che non passò inosservata alla mamma. Gentilmente, gli prese la mano, subito stretta da un uomo che apparve improvvisamente più esitante.

- Scusate…

Disse Damien, ma senza ben comprendere la ragione dietro a quell’improvviso comportamento della mamma e di Victor. La stessa reazione ebbero i ragazzi, salvo me ed Evan, che ci guardammo.

- Non preoccuparti, ragazzo. Jamie dice il vero e mi sarebbe piaciuto vedere l’Underworld, anzi, Neo Esperia, almeno una volta nella vita, ma questo accadeva tanto tempo fa, quando ancora avevo forze e voglia di provarci. E poi, vedendovi ho ricordato mio nipote. Purtroppo non ho avuto la gioia di vederlo crescere. Mio figlio Darryl è morto assieme alla sua famiglia molti anni fa. Per un attimo, quel tuo modo di fare me l’ha fatto tornare in mente.

Si giustificò Victor, raccontando della sua famiglia con una tenerezza che conoscevamo bene. La mamma mi aveva raccontato la sua storia e quell’uomo era stato davvero molto sfortunato. Eppure, anche lui, nella sfortuna, aveva avuto una seconda chance.

- S-Signor Kensington…

Mormorai, attirando su di me l’attenzione di tutti. La mamma fu quella che mi guardò con più preoccupazione, forse per via della mia formalità eccessiva. Ma la realtà era che purtroppo non riuscivo a ricordare nulla di lui e chiamarlo nonno mi veniva difficile. Arrossii, rigirando i pollici con un po’ di nervosismo, poi incrociai i suoi occhi verdazzurri.

- Io volevo… ecco… non è facile per me, perché non ho ricordi di quand’ero molto piccola… però, volevo che lei sapesse che quello che ha fatto per noi, per la mamma, per Evan, per me anche, è davvero molto più di ciò che un nonno potrebbe fare… e anche se tra noi non c’è realmente un legame di sangue, e sa, ho imparato che questo serve a ben poco quando si ama profondamente qualcuno, beh, sono davvero felice che lei ci consideri la sua famiglia… immagino che perdere sua moglie, suo figlio… insomma, la sua vera famiglia, sia stato quanto di più brutto e difficile potesse accaderle, ma credo anche che quando si ha la forza di affrontare il dolore, di non arrendersi anche quando tutto sembra perduto, si venga ricompensati, in qualche modo… per questa ragione, grazie, signor Kens-- , no, nonno Victor!

Pronunciai quel fiume sconnesso di parole in preda all’agitazione. Quasi quasi mi era stato più semplice affrontare Lord Oliphant o la stessa Croix du Lac, ma Victor era davvero parte della mia famiglia e per quanto mi venisse difficile cercare di entrare nell’ottica d’idee di considerarlo a tutti gli effetti come una persona realmente esistente e meravigliosamente vicina alla mia famiglia, dovevo impegnarmi, così come stavano facendo Arabella, papà ed Evan. Certe cose non erano scontate, soprattutto se se ne veniva a conoscenza al di fuori dall’età in cui attribuire le parentele era quanto di più naturale e spontaneo possibile. Victor comunque annuì, chiedendomi di raggiungerlo. E quando lo feci, un po’ emozionata, sotto lo sguardo di tutti, mi accarezzò dolcemente la guancia, guardandomi con profondi occhi compassionevoli.

- Sei molto gentile, Aurore. Davvero, io non so quante volte abbia ringraziato il buon Dio per avervi mandato da me, quando credevo che oramai la mia vita fosse finita. Sai, piccola, ricordo che quando nascesti, tua madre ti teneva in braccio come se fossi il suo tesoro prezioso. Eri minuta e piangevi tanto. Evan era preoccupato, nonostante l’avessi conquistato a prima vista e mi chiese cosa potesse fare per farti tranquillizzare. Allora ripensai a Lucas che quand’era piccolo si calmava se aveva qualcosa tra le mani e quando avvicinai il dito alla tua manina, lo stringesti forte. Nonostante fossi così piccola, avevi una grande forza dentro di te, tanto che ne rimasi stupito e affascinato a mia volta. E seppi che saresti stata fonte di coraggio e di sostegno per Celia, che aveva appena abbracciato il futuro con il pensiero sempre rivolto al passato, per Evan, che giorno dopo giorno costruiva la sua nuova identità… e per me anche, perché quando la morte ha portato con sé Gladys, Darryl, Rachel e Lucas, ho capito che c’era speranza anche per me, ancora una volta…

Nel sentire quelle parole colme di profondo affetto non riuscii a trattenere la commozione. Anche la mamma aveva gli occhi lucidi, così come Violet e Arabella. Evan aveva abbassato lo sguardo,  mentre papà sembrava perso nella mancanza di quei ricordi che per natura avrebbe dovuto possedere e invece il destino gli aveva negato. Avevamo sofferto tutti quanti, era quella la verità. Eppure, nella sofferenza, ci eravamo incontrati e avevamo trovato la forza di cambiare i nostri destini. Guardai Damien e Jamie, che avevano sofferto l’allontanamento dalla loro mamma e pensai che presto, anche per loro, sarebbe venuto il momento di ricongiungersi a lei e non ebbi più paura di ciò che avrei provato quando Damien sarebbe andato via. Perché nonostante la lontananza, l’amore che ci univa era talmente profondo che nessuna distanza ci avrebbe mai potuti separare. Era così per tutti. Qualunque cosa fosse accaduta, ciò che ci era stato tolto sarebbe tornato, per vie traverse forse, inaspettate,  ma di certo, ci avrebbe resi in grado di affrontare qualunque ostacolo.

A notte inoltrata, mi svegliai per via del caldo. La mamma e Arabella dormivano nel grande letto. Mia sorella si era coperta fino al collo tanto che mi chiesi, ancora un po’ intontita, come facesse a non soffocare. Quante cose a cui avrei dovuto abituarmi e quante cose da scoprire. La mamma invece, e su questo avrei messo la mano sul fuoco, aveva rinunciato volentieri alle lenzuola. Il caldo le piaceva, ma non sopportava la sensazione appiccicosa provocata dall’umidità notturna. Mi tirai su, mentre accanto a me, sul divano a due posti che avevamo aperto, Violet riposava serena. Avevamo dormito spesso insieme e molte volte, avevo invidiato il suo sonno pacifico. Però, da quando Evan mi aveva sottratto l’ametista, non avevo più avuto incubi. Istintivamente, portai le dita alla gola. Il mio ciondolo non c’era più, sostituito invece dalla copia molto ben fatta che Milene aveva conservato. Il pensiero di quella gentilezza mi scaldò il cuore e mi chiesi se prima o poi avrei avuto modo di rivedere sia lei che Hiram. Alla fine, non avevo avuto molte interazioni con loro, ma mi ero resa conto che eravamo molto simili, per certi versi. Certo, io non ero particolarmente brava come domestica, ma quantomeno a Boer non avevo rotto alcun bicchiere. Intanto, sentendo una fastidiosa sensazione di aridità alla gola, decisi di alzarmi e di provvedere. Ormai, dovevo riconoscere di essere diventata piuttosto brava a muovermi in silenzio e soprattutto al buio, tanto che raggiunsi la cucina senza problemi. Se un tempo l’oscurità mi terrorizzava, adesso era quasi naturale per me riuscire a muovermici senza dovermi accucciare in un angolo a tremare, con gli occhi strizzati dalla paura. Trangugiai un bicchierone d’acqua fresca che mi rimise in sesto la gola, ma quando mi accinsi a posarlo nel lavandino, fui sorpresa da una voce bassa alle mie spalle che mi fece trasalire, rischiando di far cadere il bicchiere. Per fortuna, riconobbi l’agile mano che impedì il misfatto dal braccialetto in argento così familiare. Mi voltai di colpo, sibilando il nome di mio fratello.

- Ti sembra il modo, Evan? Mi hai fatto spaventare!

Evan, bicchiere ancora in mano, in canotta e pantaloni grigi, capelli legati e Thurs sul petto, storse la bocca.

- Un grazie per aver salvato il bicchiere sarebbe stato meglio accetto, Aurore.

Inarcai il sopracciglio. Touchée.

- Grazie, fratello dedito agli spaventi. Come mai in piedi?

Domandai, scostandomi per permettergli di lasciare il bicchiere.

- Fa troppo caldo, non riuscivo a dormire.

Rispose, posandolo e prendendone uno per sé. Dopo averlo riempito a sua volta, sorseggiò l’acqua.

- Forse è stato il vino…

Osservai, riflettendo su quanto fosse corposo. Evan agitò l’indice.

- No, peggio. Warren ogni tanto scalcia.

Avvampai.

- N-Non è vero! Non l’ha mai fatto!

Evan, col bicchiere vicino alle labbra, mi rivolse uno sguardo eloquente.

- Infatti. Era per metterti alla prova. Devo preoccuparmi?

- Eh? Eeeeh? Che diavolo stai dicendo tutto d’un tratto?  Davvero, non provarci nemmeno, Evan! Ti ricordo che hai legittimato il nostro fidanzamento dicendo, in modo un po’ più colorito, che Damien e io possiamo stare insieme, quindi non fare il finto sconcertato, perché se qui c’è qualcuno che non la racconta giusta, quello sei tu!

Arrossii fino alla punta dei capelli quando lo vidi lasciare il bicchiere per avvicinare il suo viso al mio. Odiavo quando cercava di mettermi in imbarazzo.

- P-Perché mi fissi?!

Sbottai, preoccupata, deglutendo. Avevo davvero bisogno di un altro bicchiere d’acqua. Evan, invece, sospirò.

- Vieni con me.

Disse, indicandomi la veranda che dava sul retro.

- Che vuoi fare in veranda?

Domandai, seguendolo. In una cosa non era affatto cambiato. Quando si trattava di dare ordini, Evan era imbattibile. Mi sarei giocata la testa pensando che se papà fosse riuscito a venire nel nostro mondo per tempo, Evan sarebbe stato senza ombra di dubbio il suo pupillo. Raggiungemmo la veranda e il fresco della notte che si stava schiarendo fu un toccasana.

- Wow, che meraviglia…

Sussurrai, nel vedere il giardinetto con aiuole di fiori notturni e due sdraio.

- Però, non si fanno mancare niente…

Osservai. Evan non replicò, ma si limitò a scrutare il cielo stellato. Era bello vedere di nuovo la volta illuminata. Mi resi conto di quanto riuscissi ad apprezzare ogni singolo momento e ogni meraviglia del nostro mondo dopo quello che avevo passato. Chissà se anche per lui era lo stesso. Mi voltai a guardare mio fratello, che stava sorridendo. Quel sorriso, così come l’avevo visto la sera della nostra ultima passeggiata a Darlington e poi quando fiducioso nel futuro, aveva guidato verso il suo cuore il nucleo della Croix du Lac. La sua espressione serena, quando l’avevamo trovato ormai privo di vita, mano nella mano con Arabella. Sentii una lacrima ingrossarsi nell’occhio e fuoriuscire. Il freschetto notturno acuì la sensazione dello scorrimento sulla guancia.

- Evan…

- Credevo che non avrei mai più visto un cielo così bello. E’ stupendo. Tutte quelle stelle, miliardi e miliardi di cuori pulsanti.

Notai che aveva portato la mano sul petto, proprio in corrispondenza del Thurs, mentre ne parlava. Quella pietra che secondo Leandrus aveva poteri taumaturgici e veniva direttamente dal passato più lontano, aveva salvato papà dalla morte ed era riuscita a riportare indietro anche Evan, compiendo un vero e proprio miracolo. Però, una parte di me continuava a chiedersi come fosse stato possibile. Il nucleo di luce pura sprigionato dalla Croix du Lac era penetrato nel suo cuore. Ricordavo bene la profonda ustione sul suo petto, nonostante l’espressione sul suo volto fosse praticamente beata.

- Evan, stai bene?

Mi guardò con la coda dell’occhio, che fremette probabilmente nel notare la mia lacrima solitaria, poi tornò a guardare il cielo.

- Sì, Aurore. Non ne ero sicuro fino a che non abbiamo varcato la soglia della Porta di Pietra, ma non credo di esserlo mai stato così tanto.

- Grazie al cielo…

Risposi, sentendomi subito più sollevata.

- Però, non so se sono a posto psicologicamente, in un certo senso.

- Che vuoi dire?

Evan sospirò profondamente.

- Ho sempre pensato che un giorno o l’altro, la mia vita avrebbe avuto termine nel modo che la profezia suggeriva. Conoscevo bene quella storia. La mia famiglia, seppure fossi troppo piccolo per ricordare con chiarezza, la tramandava da generazioni. L’eredità del cavaliere dei Delacroix, l’uomo che in punto di morte aveva giurato che un suo discendente avrebbe posto fine al dominio sanguinario del Despota. Quando mi resi conto di essere l’ultimo della mia stirpe, seppi che l’unico modo per riuscirci era scardinare del tutto quel sistema che aveva dato origine a una crudele sequenza di morti innocenti e aveva fatto sì, per giunta, che Helise Delacroix non potesse riposare in pace. E poi, quando ho scoperto che l’ultimo sacrificio era stato quello di Arabella, ebbi la conferma alla mia teoria. Per liberare lei, Helise e quel mondo dilaniato da secoli di ingiustizie, avrei dovuto accettare di prenderne il controllo, non soltanto come Despota, ma anche e soprattutto ridando vita al nucleo originale della stella che stava per morire nuovamente. Quando lo spirito di Helise è stato liberato, il sigillo si è  infranto e il nucleo mi è apparso davanti. Era di una purezza, di un calore e di una luminosità tali che la prima cosa che pensai era che mai nella mia vita avevo visto nulla del genere. E sai una cosa, Aurore? Non mi sono mai sentito così libero e in pace con me stesso come nell’istante in cui il nucleo è venuto in contatto col mio cuore. In quel momento, non pensavo che sarei morto. Pensavo che sarebbe stato un nuovo inizio, per tutto. Non so dire quanto sia durato poiché ero totalmente incapace di quantificare il tempo. E poi, all’improvviso, dolcemente, il sonno mi ha reclamato, fino a che non ho sentito, poco per volta, dei suoni confusi, ovattati, che man mano sono diventati più lineari. Non mi spiegavo se fossero passi, ticchettii, o comunque, qualcosa di ritmico, fino a che non ho avuto la chiara percezione della pulsazione. Il Thurs stava interagendo con ciò che rimaneva del mio cuore, conferendogli nuova energia. Era come essere in una sorta di stato comatoso, alla larga, ma riuscivo persino ad avvertire, se mi concentravo, l’eco lontana e carezzevole delle vostre voci. La tua, quella di Arabella. I nostri genitori. E allora ero arrivato a domandarmi se fosse quello il paradiso. Ma per uno come me, dopo tutto ciò che avevo fatto, era possibile raggiungerlo? Me lo sono chiesto spesso, in quei frangenti. Non che in realtà lo bramassi, perché anche soltanto rimanere lì, immerso nella luce più pura e più calda che potesse esistere, cullato dalle vostre voci nonostante riuscissi a udirle a malapena, mi era sufficiente ed ero convinto che non potesse esserci luogo migliore di quello. Ma poi, a un certo punto, la pulsazione è diventata più forte, più viva, e ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa che mi tirava indietro, riportandomi verso una realtà in cui le voci erano più chiare. Avevo persino riconosciuto quella di Warren e fu proprio lui che mi trovai davanti la notte in cui mi risvegliai. A onor del vero, credo di avergli fatto prendere un bell’accidenti, considerando che prima di avvicinarsi ha esclamato qualcosa di non replicabile, ma superata la fase di panico da parte sua e quella di confusione da parte mia, mi ha rassicurato sul fatto che tutto era andato bene e mi ha detto qualcosa che mi è rimasta in mente da allora.

Esterrefatta dal racconto che Evan stava facendo, non mi ero accorta di avergli stretto con forza la canotta. Ero davvero sconcertata, non so se più per il fatto che per tutto quel tempo, la sola cosa che avevo voluto, laddove il Thurs non fosse riuscito nella sua impresa, era che potesse riposare in pace o per le eventuali parole di Damien. Evan si voltò verso di me, sul volto l’espressione dolce che amavo.

- Mi ha detto: “Mai sottovalutare la forza della famiglia, Kensington. Credevi davvero che Arabella, i vostri genitori e soprattutto quella testarda di Aurore ti avrebbero lasciato in quello stato?”. E’ vero, ero davvero convinto di ciò che stavo facendo. Sapevo che la sola strada percorribile era quella e non mi importava, se questo serviva a salvare Arabella e a cambiare le sorti di quel mondo. Ma in fin dei conti, credo che anche lui avesse ragione. E la verità è che l’avevo capito già dal primo momento in cui ti ho incrociata, alla locanda di Fellner. Devo ammetterlo, mi hai fatto prendere un colpo sulle prime. E ho dovuto fare in modo che non mi riconoscessi, sotto la maschera di Liger.

Arrossii al pensiero delle volte in cui eravamo stati così vicini, del senso di paura e gelo che mi attanagliavano anche solo nel sentirlo nominare e nell’odio che avevo provato nello scoprire che era stato lui a uccidere Evan… o almeno quando lo pensavo. In quel momento, aveva tutto dell’irreale.

- B-Beh, ci sei riuscito bene… hai camuffato anche la voce, anche se ogni tanto mi suonava familiare e non ne capivo la ragione…

- Mpf. E’ perché eravate convinta che fossi un’altra persona, Milady.

Rispose, utilizzando lo stesso tono basso, seducente e ingannevole che aveva quando si fingeva Liger. Sbuffai, assestandogli un buffetto sul braccio.

- Non prendermi in giro, Lig-- Evan!

Lui ridacchiò, sorpreso della mia gaffe, mentre io ebbi improvvisamente voglia di sprofondare.

- Evan!!

Protestai, ma mio fratello arricciò le labbra in un sorrisetto.

- Ok, scusa. Quello che voglio dirti, Aurore, è che sia Warren, che Amber Trenchard, che Victor stesso hanno ragione. Tu sei forte, e il fatto che non soltanto ti sia avventurata in un mondo sconosciuto per cercare di salvare la nostra famiglia, anche se quello dal mio punto di vista è stato particolarmente irresponsabile, il tuo coraggio nell’affrontare a testa alta il nemico, senza mai distogliere lo sguardo, nonostante tutto il male, mi ha reso orgoglioso di te. Anche quando la mia maschera è caduta, tu mi hai affrontato senza timore. Quando hai bloccato la mia spada, mentre duellavo con Warren, quando ci hai raggiunti urlando di fermarmi poco prima che ponessi l’ametista al centro della Pièce di Challant e persino quando davanti alla mia irremovibilità mi hai detto che ciò che stavo facendo era perché amavo Arabella e volevo salvarla… Aurore, non hai idea di quanto tu sia stata grande ai miei occhi e a quelli di tutta Neo Esperia. Ed è anche per questo che sarei andato via tranquillo. Perché sapevo che non avevi più bisogno che fossi io a tenderti la mano. Eri perfettamente in grado di affrontare da sola l’oscurità e di fenderla, sprigionando la luce che hai nell’anima.

- Evan…

Sussurrai il nome tanto amato di mio fratello soffocata dal singhiozzo. Non mi sai mai aspettata di sentirlo parlare in quel modo, di me soprattutto, che ero sempre stata convinta di essere una palla al piede per lui. Ero diventata molto più forte, era vero, certo, ma se ci ero riuscita era soprattutto grazie a coloro che mi erano stati accanto e paradossalmente, anche grazie a lui, in un certo senso. L’aver fronteggiato prima un nemico così insidioso come Liger e successivamente, il Despota, era stata la prova più difficile che avessi affrontato in vita mia. Ma in quel momento, davanti a me non c’erano più né l’uno nell’altro. C’era solo il mio Evan, il mio adorato fratello maggiore verso cui provavo un amore che non conosceva confini. Scoppiai a piangere, cosa che non avevo fatto fino a quel momento, tentando di farmi forte dell’arrabbiatura nel suoi confronti e lo abbracciai talmente forte che lo sentii persino lamentarsi, salvo poi sospirare rassegnato e accarezzarmi dolcemente i capelli, come solo lui sapeva fare.

- Non lasciarmi più, Evan! Ti prego, non farlo più… perché non riuscirei a sopportarlo stavolta…

Lo implorai, piangendo disperata, con la testa affondata nel suo petto pulsante. Evan mi tirò su il viso, non appena ci riuscì. Sembrava davvero un ragazzo di vent’anni, visto in quel modo. Più maturo, consapevole. Dopotutto, nessuno alla sua età, nel nostro mondo, poteva vantare una vita come la sua.

- Non lo farò, Aurore. Te lo prometto, sorellina. E poi, te l’ho detto… non dimenticarlo mai. Io sarò sempre con te.

Le parole che mi aveva rivolto qualche notte prima della sua scomparsa. Annuii, mordendomi le labbra.

- Ti voglio bene, fratello mio!

Esclamai, gettandogli nuovamente le braccia al collo.

- Anch’io, piccola… anch’io.

E stretti in quell’abbraccio, mentre la notte scivolava verso la sua fine e il diffuso chiarore dell’aurora ci annunciava l’arrivo della nostra prima mattina nel nostro mondo, ebbi finalmente la consapevolezza che nulla avrebbe più turbato la nostra serenità.

 

  
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