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Autore: Lacus Clyne    17/07/2014    1 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio! :) Nuovo aggiornamento, finale del capitolo!! :D *mordi e fuggi* Alla prossima settimana, finalmente da casa!! *_*

Buona lettura!!

 

 

 

 

Durante la mattina, nonostante sembrassi uno zombie morto di sonno per via del fatto che avevo dormito poco, decidemmo di dividerci per cercare di capire quale fosse la nostra situazione. Damien e Jamie si recarono come da programma presso la banca di Darlington per saperne di più sulla loro mamma. Evan e Arabella, accompagnati da un Ruben che inizialmente non voleva saperne di fare il terzo incomodo, ma poi, rassicurato da Violet, si era arreso, avevano optato per un giro turistico nella nostra cittadina. Avrei voluto unirmici, ma a me spettava un altro compito. Assieme alla mamma, Victor e per la prima volta, con mio grande orgoglio, papà, avrei dovuto riaccompagnare Violet a casa. Rivedere i luoghi che adoravo alla luce del sole, assaporare la calda aria di luglio che tanto metteva voglia di mare, era persino meglio di quanto avessi provato nel rimettere piede fuori dallo Stonedoor. Mentre percorrevamo le vie del centro, illustravo a papà e a Victor i vari posti che per me e per Violet avevano importanza, dalla via principale che di sera era tutta illuminata al parco in cui le famiglie adoravano trascorrere i pomeriggi, lo stesso in cui avevo incontrato Shemar, mesi prima. Era una gioia per gli occhi poter osservare la vita che andava avanti nelle sue forme più disparate, felice di aver finalmente trovato il posto migliore in cui vivere. Papà osservava ogni cosa a tratti perplesso, soprattutto nel notare i modi di vestire, decisamente più rivelatori di quelli a cui era abituato, ma sempre interessato a conoscere le storie che gli raccontavamo. E per me, avere questa possibilità era quanto di più entusiasmante potessi chiedere.

Quando arrivammo a casa di Violet, la mia amica prese un bel sospiro. Affrontare i suoi genitori dopo due mesi d’assenza non era certo cosa semplice, nonostante l’intervento di Victor, che cercò di tranquillizzarla. Ma la conoscevo e sapevo fin troppo bene che quando Violet era in pena per qualcosa, non c’era modo di farle passare l’ansia se non affrontando direttamente la questione, motivo per cui alla tensione si era aggiunta la sua impazienza. Il corridoio corredato dai bouganville rampicanti era più folto del solito, tanto che la mamma suggerì di darci una potatura non appena possibile, mentre Victor fu dell’idea che vedere il colore così vivo dei fiori fosse un belvedere e di conseguenza, sarebbe stato un peccato tagliarli. Papà, chiamato in causa dalla mamma, fece spallucce.

- Non so nemmeno che fiori siano, Celia.

- Bouganville, Greal. Oh, ma perché mi affanno a chiedere a te che sei un insensibile calpestatore di amarillidi?

Sbottò, e quel commento strappò un sorriso sia a me che a Violet. Alla fine, rassicurata dalla mamma, la mia migliore amica prese coraggio e suonò il campanello.

Inutile dire che l’attesa sembrò interminabile e mi ritrovai persino a pregare che i genitori di Violet non avessero deciso di prendere un aereo per la Gran Bretagna, ma poco dopo, la porta si aprì e la mamma di Violet si affacciò. La sua espressione si tramutò di colpo. Se aveva aperto con aria sconsolata, nel vedere la figlia, che sobbalzò nel chiamare sua madre, in quel momento finì con lo sgranare gli occhi e urlare al marito di raggiungerla perché Violet era tornata. Vederli corrersi incontro, piangendo di felicità e di sollievo, mi ricordò quando avevo ritrovato la mamma, tanto che ne cercai lo sguardo. Sembrava sollevata anche lei e sorrideva.

Poi, passati i primi, concitati momenti di ritrovo, finalmente potemmo fare le presentazioni. Così, davanti a un the freddo che benedissi e a dei buonissimi tartufi gelato che mi commossero quasi fino alle lacrime, mentre Violet riempiva di coccole il suo adorato volpino Tutankhamon che non la smetteva più di fare le feste alla padroncina ritrovata, Victor e la mamma raccontarono ai signori Hammond quello che era accaduto. Sulle prime, passata momentaneamente la felicità del ritrovo, la mamma di Violet aveva rimproverato alla figlia di non aver avvisato, cosa che aveva intristito la mia dolce amica, che si era poi giustificata dicendo che temeva la loro reazione per un gesto così sconsiderato. La mamma se ne prese la responsabilità, scusandosi per la sua ulteriore mancanza e infine Victor raccontò la sua versione, affermando di essere stato ricoverato per l’impianto di un bypass coronarico e dunque, anche la mamma aveva avuto poco tempo per i contatti. Per di più, la verecondia con cui raccontavano quella storia, non soltanto aveva colpito i genitori di Violet, ma me e papà, che ci guardammo in più di un’occasione. Mi chiesi quali pensieri stessero attraversando la sua mente all’apparenza imperturbabile. Alla fine, in ogni caso, la discussione veleggiò serenamente verso altri argomenti, tra cui quello relativo all’identità di mio padre, che aveva sicuramente incuriosito la signora Hammond. D’altro canto, se c’era una cosa che colpiva particolarmente, al di là del colore di suoi occhi e del suo fascino, era l’aura di solennità che possedeva. Questo mi fece segretamente piacere.

- Greal è un nome piuttosto particolare… non si sente tutti i giorni.

Notò il padre di Violet, grattando col polpastrello i baffi scuri.

Papà annuì un po’ perplesso.

- Beh… credo di poterlo definire un po’, come dire… ricercato.

Disse, mentre Violet e io ci scambiammo un’occhiatina divertita.

- E lei cosa fa, signor Greal?

Alla domanda della signora Hammond, percepimmo pericolo.

- Ecco… io…

- Mio genero lavora con me. Gli ho chiesto di occuparsi della mia galleria d’arte nonostante sia più un esperto d’armi che un appassionato di pinacoteche e spesso si ritrova in viaggio. Oh, mia figlia non me lo perdona, sapete?

Victor, con naturalezza da fare invidia a un premio Oscar, sorrise serafico cavando d’impiccio papà. Certo che però, una galleria d’arte… effettivamente presto o tardi avremmo dovuto parlare anche di lavoro, ma non vedevo bene mio padre ad occuparsi di ricerche e stime di opere d’arte. Stando a quello che sapevo, d’altro canto, era un militare. Ecco, forse lavorare nelle forze dell’ordine non sarebbe stato male per lui. In ogni caso, la momentanea e provvidenziale spiegazione di Victor servì a placare la curiosità dei genitori di Violet e su suggerimento della mamma, ci ritrovammo a parlare della Gran Bretagna e dei nostri studi, compresi i progetti per l’estate che avrebbero previsto il recupero dei crediti.

Alla fine, dopo una lunga mattinata trascorsa a chiacchierare e ad approfondire conoscenze reciproche, ci congedammo. Nell’abbracciare Violet, che mi chiese di prendermi cura per un po’ del povero Ruben, provai un’insolita sensazione di preoccupazione. La mia amica sembrava aver paura di non riuscire a gestire la situazione.

- Non temere, Violet… Ruben sapeva bene che non sarebbe stato tutto così semplice, qui…

I suoi grandi occhi color caramello si fecero improvvisamente più lucidi. Le sorrisi, perché conoscevo anch’io quella sensazione.

- Violet, ascolta. Ruben ha detto che se fossimo sopravvissuti a tutto, lui sarebbe venuto con te e sarebbe stato al tuo fianco per sempre… è vero, non lo conosco certo bene quanto te, ma una volta, mi ha detto che per un capofamiglia nulla è da prendere alla leggera… se ha rinunciato a tutto pur di stare con te è perché ti ama davvero e credimi, lui non mente. Per questo, fidati dell’amore che provate l’uno per l’altra… servirà tempo, ma alla fine, sono sicura che tu e il tuo bel principe azz--, no, forse Lord rosso ci sta meglio, riuscirete a coronare tutti i vostri sogni!

Nel tentativo di rassicurarla, mi resi conto che effettivamente, Ruben aveva preso una decisione davvero molto difficile da perseguire. Sicuramente, Violet avrebbe dovuto affrontare in privato i suoi genitori e le conseguenze delle sue azioni. Ruben, purtroppo, non era previsto e in quel momento, non sarebbe stato ben accetto. In un certo senso, ero piuttosto dispiaciuta di questo, dal momento che da vero gentiluomo qual era, il Lord del rubino sarebbe certamente piaciuto ai genitori di Violet (che d’altro canto, già conosceva), ma le sfavorevoli circostanze del ritorno a casa avrebbero fatto passare in secondo piano qualunque fidanzato potenziale. Violet, da parte sua, sembrò comunque rincuorata dalle mie parole e assentì, poi mi scoccò un affettuoso bacio sulla guancia.

- Grazie, Aurore… grazie davvero, amica mia…

Senza smettere di sorriderle, le strinsi forte le mani.

- Ti voglio bene, Violet.

Quando finalmente tornò a sorridere anche lei, ci congedammo e tornammo a casa.

Quella sera stessa, affrontai il discorso anche Ruben, aiutata da Evan, che si rivelò piuttosto convincente, con mia sorpresa. Non fu facile, inizialmente, perché il senso di colpa al pensiero che Violet potesse avere dei problemi coi suoi genitori a causa sua aveva attecchito e sembrava non voler lasciare il povero Ruben. Spesso si ritrovò a portare le mani alla testa, lamentandosi di essere stato frettoloso a portare con sé la mia amica. Compresi che la ragione di quelle parole era la consapevolezza che se le fosse accaduto qualcosa, i suoi genitori avrebbero perso quella figlia meravigliosa che lui tanto amava. Evan, sospirando, gli aveva dato una pacca sulla spalla, dicendogli che Violet era testarda al pari di me e dal momento che con i testardi era impossibile ragionare, avrebbe trovato comunque un modo di varcare la Porta di Pietra. Il fatto che avesse incontrato lui e non una qualche guardia imperiale malintenzionata era già un motivo sufficiente per non sentirsi in colpa. Quantomeno ne era nato qualcosa di buono e dal momento che Ruben l’aveva protetta sempre e comunque, non aveva alcun motivo di temere, perché nel nostro mondo, Violet non correva alcun rischio. Ruben, perplesso, aveva chiesto a mio fratello se avesse evitato di metterla in pericolo proprio per questa ragione. Effettivamente, sia quand’era Liger, che quando era salito al trono, non aveva mai nociuto in alcuna maniera a Violet. Evan, stupito da quell’osservazione, mi aveva rivolto un’occhiata dubbiosa chiedendomi cosa ci avesse trovato Violet in lui. Mi misi a ridere, mentre Ruben si accigliò, pronto ad attaccare briga. In realtà, le sue preoccupazioni ebbero termine in un momento più preciso, ovvero quando poté parlare con Violet per telefono. Era divertente vederlo alle prese con un apparecchio che per noi era assolutamente normale, mentre per lui era qualcosa di particolare. In realtà, aveva già avuto modo di vedere il cellulare della mia migliore amica, quindi in qualche modo non era a digiuno, ma non l’aveva mai usato, per cui ogni tanto appariva incredulo e affascinato al tempo stesso. Evan mi raccontò che anche per Arabella era stato così, tanto più che aveva passato l’intera mattinata a osservare e a stupirsi delle sconcertanti meraviglie che incontrava lungo la strada e chiedeva in continuazione di cosa si trattasse, proprio come una bambina alla sua prima gita scolastica. Con mia grande soddisfazione, quella sera ognuno aveva avuto qualcosa da raccontare su come avessimo trascorso il primo giorno a casa. Victor inoltre, ci comunicò che da lì alla fine della settimana avrebbe fatto ritorno a Longridge, nella sua tenuta,  per far fronte a impegni di lavoro. Quella comunicazione colpì particolarmente la mamma, che desiderava trascorrere più tempo con il suo papà adottivo, ma Victor la rassicurò per poi pregarci di volerlo raggiungere presto, affinché anche Evan e io potessimo rivedere i luoghi in cui eravamo vissuti da bambini. E poi, con un sorrisetto divertito, mi disse che non vedeva l’ora di mostrarmi le fotografie che ritraevano mio fratello, me e la mamma negli anni di cui non ricordavo praticamente nulla e questo mi suscitò un grande entusiasmo. Sapevo che non avevamo foto di allora perché la mamma era negata con la tecnologia, mentre in realtà, qualcosa c’era ed era custodita da Victor. Ero davvero felice all’idea di poter conoscere finalmente anche quella parte del mio passato e quando il signor Rhodes ci disse che aveva pensato, a tal proposito, di portare con sé alcune foto che potessero servire a rendere più credibile la nostra storia in caso di problemi, non stetti più nella pelle. E così, potei finalmente vedere alcune di quelle preziose foto che mi scaldarono il cuore. La mamma, incredula e commossa, si rivide nella sua ventina, coi capelli ancora molto lunghi, intrecciati così come li ricordavo appena, mentre abbracciava un timido e piccolo Evan, o mentre accarezzava dolcemente il suo pancione di quasi nove mesi. Per papà e per Arabella, vedere quelle foto per la prima volta fu ancora più intenso. Mia sorella si commosse spesso, sorridendo e chiedendo i dettagli relativi alle scene che vedeva, mentre il sorriso sul volto sempre serio di papà lasciava intendere la sua felicità in quel momento, accanto a quell’antica tristezza che la mamma cercava di smorzare nel cercare la sua vicinanza e nel raccontargli del mio primo sorriso, della prima volta che assieme a Evan mi aveva fatto il bagnetto, quando Victor aveva preso in braccio me e mio fratello, il giorno del mio primo compleanno. E papà aveva gli occhi quasi lucidi, nel vedere Evan che mi stringeva forte, in una foto in cui era un po’ più grande e la mamma aveva tagliato i capelli ed era accanto a Victor. Quella foto in particolare si riferiva a poco dopo che Evan aveva recuperato i suoi ricordi. Quel giorno stesso, ci spiegò la mamma, partimmo per il nostro primo viaggio. Ma c’era anche qualcun altro che aveva trascorso con noi quel momento e che sembrava molto concentrato. Avevo alzato spesso lo sguardo, incontrando gli occhi di smeraldo di un pensieroso Damien, e sul finire di quella lunga sera, ci eravamo ritrovati seduti sui gradini di casa a sorseggiare un the freddo.

- Somigliavi molto a tua sorella da piccola, sai?

Disse, poggiando le mani sul pavimento di pietra.

- Davvero? E io che credevo di somigliare di più a mio padre…

Damien mi guardò con la coda dell’occhio, arricciando le labbra, poi si ricompose, tirando fuori dalla tasca una foto e allungandomela. Stupita, la presi, riconoscendo una Grace più grande e diversa da quella del quadro che ritraeva lei e un neonato Damien, ma certamente lei. Aveva i capelli scuri legati in una coda alta e mossa e portava un tailleur nero. A giudicare dallo sfondo, doveva essere in un parco.

- E’ tua madre…

Damien annuì.

- Cosa c’è, Damien? Quando fai così hai qualcosa che ti frulla nella testa…

Notai, riconoscendo in quella reticenza la stessa che aveva quando pensava che Liger fosse Evan.

- Pensavo che in questi anni si fosse risposata o qualcosa del genere… quand’è andata via, ho cominciato a credere che si fosse rifatta una vita, in qualche modo. Del resto, il matrimonio con mio padre non è mai stato così sereno e considerando l’idea che avevo di William Ealing, ero andato avanti con questa convinzione… invece lei non l’ha mai fatto. Ha continuato  a vivere da sola, spostandosi di tanto in tanto e continuando a dipingere. Ho trovato anche delle foto dei suoi quadri, documenti che riguardavano alcune mostre. I critici hanno detto che i suoi dipinti regalavano l’immagine di mondi diversi. Ora so il perché. Il ricordo del suo mondo d’origine è sempre stato vivo in lei. Ma non è la sola cosa che mi ha colpito…

Incuriosita, mi sporsi verso la seconda foto che tirò fuori dalla tasca. In questa, c’era un quadro che raffigurava due bambini. Entrambi erano seduti su un dondolo. Uno dei due aveva degli stupendi occhioni azzurro cielo, capelli corvini e un sorriso innocente nonostante le finestrelle nei dentini e sembrava voler urlare a gran voce qualcosa, con il braccio in aria per attirare l’attenzione di qualcuno in particolare. L’altro, più grande, aveva il controllo del dondolo e sorrideva, a sua volta. Gli occhi color smeraldo erano inconfondibili e sentii d’improvviso una stretta al cuore.

- Oddio, Damien… questi siete tu e Jamie!

Esclamai.

Damien alzò gli occhi al cielo.

- L’ha intitolato “I’ll be with you soon”, Aurore. Ricordo bene quel giorno. Jamie aveva tre anni e mezzo allora. Ci avevano portati al parco e la mamma ci aveva chiesto di posare per un suo schizzo. Persino mio padre sembrava rilassato quella mattina. C’era un bel sole, era primavera inoltrata e il gioco di luce attraverso le fronde degli alberi aveva affascinato mia madre. Ricordo che aveva una blusa bianca e una gonna svasata verde chiaro che si agitava quando lo spostamento d’aria del dondolo la investiva. Jamie allora aveva urlato: “Mamma, papà, venite anche voi!”, e la mamma aveva sorriso, promettendoci che ci avrebbe raggiunti presto. Dio, non avrei mai creduto di rivedere quel quadro…

Ero abituata a vedere i momenti di sconforto di Damien e ogni volta che accadeva, sentivo di dover essere forte anche per lui. Ma quella volta era diverso. Damien non era triste e nemmeno sconfortato. Era sopraffatto da troppe emozioni. Abbassò la testa,  rannicchiandosi e coprendosi con le braccia. Quel ricordo doveva essere importantissimo per lui e l’averlo ritrovato così doveva averlo sconvolto al punto tale che non riusciva a elaborarlo. Guardai la foto di Grace, che sul retro, recava l’indicazione del nostro anno e del luogo in cui era e poi guardai la foto del quadro, che esprimeva un amore che andava oltre ogni confine e oltre la lontananza. Era la promessa che una madre aveva fatto ai propri figli. Lei sarebbe stata presto con loro, di nuovo. Pensai a Victor, che come esperto d’arte, forse in passato aveva avuto modo di conoscerla, ma non aveva mai detto nulla in merito. E abbracciai forte Damien, sentendo che sotto la scorza da despota, quel bambino di otto anni stava tremando.

- Mia madre, Aurore… mia madre non si è mai dimenticata di noi…

Quelle parole mi toccarono fin nel profondo.

- No, amore mio, no… tua madre vi ha sempre voluto bene e vi ha promesso che presto sarete insieme… devi soltanto raggiungerla… ora puoi farlo…

Damien annuì, soffocando un singhiozzo, mentre fui io a liberarlo per lui, sentendo le lacrime pungermi gli occhi. Affondai la guancia nei suoi capelli ribelli, poi trovai la sua tempia, imprimendovi un bacio. Damien sollevò appena il viso e i suoi occhi lucidi incontrarono i miei. Era così dolce la sua espressione, che mi fece tenerezza. Poco per volta, finimmo per ritrovarci l’uno delle braccia dell’altra, fronte contro fronte, a guardarci prima, poi a baciarci. Ero incredula se provavo a riflettere su quanto il mio cuore potesse contenere tanto amore senza scoppiare, su quanto fosse giusto e naturale lo slancio con cui ci protendevamo, su come non soffocassi nonostante le labbra di Damien mi impedissero di respirare. Non ne avevo bisogno, in realtà. Quando lui mi baciava, era la mia stessa aria. Non avevo bisogno d’altro. Mi ritrovai con le mani nei suoi capelli, a cercare ancora e ancora i suoi baci, i suoi occhi puntati nei miei, il suo sorriso, mentre anche lui, un po’ stupito, mi chiedeva come facessi a farlo sentire in quel modo. La verità era che mi chiedevo la stessa cosa nei suoi confronti. E forse, che quando ami davvero qualcuno, non hai bisogno di nulla che non sia lui. Quando il nostro gioco finì, gli sorrisi.

- Devi andare, Damien… tua madre ti sta aspettando…

Damien annuì, poi socchiuse gli occhi e prese un respiro.

- Sono stato preso a Princeton. Evan aveva ragione. Le ammissioni sono uscite ad aprile.

Sussultai a quella rivelazione e il battito del mio cuore accelerò.

- C-Cosa?

- Alla fine, i miei crediti e i miei voti sono stati sufficienti. Ho lavorato molto per riuscirci. Sin dalle medie, perché volevo arrivare in alto. E ora sono a un passo così dall’obiettivo che mi ero prefissato. E’ soltanto che… ora… è tutto così…

- … Strano?

Gli feci eco, riflettendo su quanto la normalità della nostra vita fosse stata sconvolta al punto da renderla distante e quasi fuori luogo. Damien scosse la testa.

- Confuso. Non so cosa fare. Se accettassi dovrei sbrigarmi a iscrivermi e organizzare il trasferimento. Ma d’altro canto, mia madre è a Limerick ora e se per caso di spostasse rischierei di perdere le sue tracce. So che non dovrei avere dubbi su cosa fare, ma la verità è che quando abbiamo lasciato tutto, è stato come se avessi accettato la possibilità che avrei anche potuto non far più ritorno a casa. Ed ero pronto anche a questo, purché avessi avuto Jamie con me. Ma ora siamo qui e la vita che avevamo lasciato è tornata con tutte le sue implicazioni.

Accarezzai la sua guancia e mi guardò stupito.

- Cos’è più importante ora per te, Damien?

Gli domandai.

Nel sentirsi messo alla prova, aggrottò le sopracciglia. Rimase per qualche istante a soppesare pro e contro, così com’era abituato a fare, poi tornò a guardarmi.

- Vorrei rivederla. Mia madre, intendo.

Sorrisi e assentii.

- Allora lascia stare tutto. Poi perdere un semestre non è così grave, penso… con le tue capacità, recupererai alla grande. Ma se ora non ascoltassi il tuo cuore, finiresti per pentirtene per sempre. E non è solo per la promessa che hai fatto a Jamie, è anche per te stesso. Hai sempre desiderato chiedere a tua madre il perché della sua decisione e ora ne hai l’opportunità. Ma soprattutto, sai che per lei siete ancora la cosa più importante. Come lo è lei per voi. Lasciatelo dire da una che si è infiltrata di nascosto nel palazzo di diamante gremito di guardie pur di incontrare la sua mamma.

Risi.

Damien sgranò gli occhi, sconvolto, poi si mise a ridere a sua volta, lasciando scivolare via le mie paure. Adoravo sentire la sua risata sincera.

- Tu sei matta.

- Grazie. Ti ricordo che mi sono infiltrata anche a palazzo Dobrée per ritrovare un certo Damien Ealing…

Dissi, orgogliosamente.

- Oh, quello che era convinto che fossi in combutta con Lionhart Warrenheim e che ti ha baciata a tradimento… davvero poco cavaliere, non c’è che dire.

Arrossii d’imbarazzo, ritraendomi un po’. Damien inarcò il sopracciglio.

- P-Però poi è tornato il mio Damien…

Nel sentire le mie parole, sorrise dolcemente e le sue braccia mi attirarono nuovamente a sé.

- Sempre. Per sempre, Aurore.

Sgranai gli occhi, sentendo le guance bollenti e la testa che mi vorticava. Ogni volta che la sua voce si faceva così seria e le sue braccia mi serravano con tanta forza da farmi gemere, mi sentivo mancare la terra sotto ai piedi e il mio cuore si lanciava al galoppo senza timore di esplodere.

- Damien…

- Tornerò presto. Da te.

Mi aggrappai alla sua maglietta, affondando il viso nella sua spalla, la stessa che recava ancora la traccia della ferita inflitta da Evan. Dallo scollo, era ancora visibile. Sentire quelle parole mi rincuorò. Alla fine, pensavo che preso dai suoi propositi, Damien non avesse tenuto in considerazione più di tanto la nostra storia, ma mi sbagliavo. E quel per sempre mi aveva commossa fino alle lacrime.

- Ti amo, Damien Warren…

Mormorai, stringendolo forte a me, inebriandomi quanto più possibile di quel profumo così rassicurante che avevo imparato a riconoscere tra mille e ad amare. Damien mi scostò delicatamente, sollevandomi il viso con le dita. Vidi le sue labbra a pochi millimetri dalle mie e cullata dolcemente dall’intensità del sentimento che provavo, mi apprestai ad accoglierle, quando fummo interrotti da un’imbarazzata voce femminile. Entrambi ci guardammo e ci voltammo verso la grande porta a vetro scorrevole, adombrata dalla tenda leggera appena scostata. Arabella, con in mano una brocca quasi vuota di the, ci aveva scoperti. La sua espressione così candidamente stupita ci fece sorridere.

- S-Scusate, non volevo disturbarvi…

- E’ tutto a posto, tranquilla.

La rassicurò Damien.

- Come mai hai quella brocca in mano?

Le chiesi, perplessa.

- Stavo andando a lasciarla e ho sentito delle voci… eravate voi…

Sorrise, io annuii.

- Allora vi lascio in pace…

Si scusò, con un cenno della testa. La luce del lampione vicino alla porta accese i riflessi più chiari dei suoi capelli.

- No, aspetta, Arabella!

Esclamai di getto, suscitando lo stupore sia di mia sorella che di Damien.

- Chiama anche Evan… stiamo un po’ qui, tutti insieme. Che ne dici?

A quella proposta, Damien sospirò, poi annuì.

- E’ una bella serata, è un peccato rimanere dentro.

Suggerì.

Arabella, entusiasta, accettò, e ben presto la sentimmo chiamare a gran voce il nome di Evan. Sorrisi, stiracchiandomi e rivolgendomi di nuovo a Damien.

- Ti dispiace?

Damien alzò gli occhi al cielo, poi mi arruffò i capelli.

- Considerando che ogni volta che stiamo per baciarci c’è qualcuno che ci interrompe, direi che ho superato il dispiacere già da un po’.

Rispose, sogghignando. Ma prima che potessi rispondergli, e in realtà dovevo ammettere che aveva ragione da vendere, approfittò del momento e mi rubò un bacio veloce che mi impedì di andare oltre. Poco dopo,  Arabella tornò insieme a Evan. Ruben e Jamie, invece, avevano preferito ascoltare i racconti di Victor e dei miei genitori.

- Rinforzi arrivati.

Ci salutò Evan, aspettando che Arabella prendesse posto accanto a me prima di sedersi. Damien sollevò a mezz’aria il braccio con fare teatrale.

- Direi che la nostra battaglia può avere inizio, allora.

- Non parliamo di battaglie, eh?

Gli feci eco supplicante, mentre Arabella, sorridendo, prese le foto di Grace.

- E’ così bella… chi è?

Domandò. Evan si sporse a guardare le foto.

- Mia madre. Si chiama Grace.

- Detta anche Gracie.

Puntualizzai, sorridendo.

- Invece questi siete tu e Jamie, immagino. Lo stile è lo stesso dei quadri di famiglia che ho avuto modo di vedere.

Aggiunse Evan.

Damien annuì.

- Mia madre dipingeva da quand’era molto giovane. Tutti i quadri più importanti sono opera sua. A parte quello dei Devereaux, nonostante lo stile sia simile.

- Sono davvero meravigliosi… è un grande dono… anche a me piacerebbe saper fare qualcosa…

Confessò Arabella, restituendo le foto a Damien, che le ripose nella tasca.

- Avrai tempo per trovare la tua strada, vedrai.

La tranquillizzai, pensando che in tutti quegli anni, prigioniera del suo stesso corpo, non aveva mai potuto fare nulla di sua volontà. Ma ora che finalmente era libera, Arabella poteva vivere davvero e aveva tutto il tempo per scoprire e sperimentare. E soprattutto, aveva Evan accanto. Li osservai. Evan gravitava attorno ad Arabella come se da lei dipendesse la sua stessa esistenza. Era sempre pronto a regalarle il suo sorriso più dolce, e se in un piccolo e recondito puntino del mio cuore la gelosia faceva capolino perché ero abituata ad averlo solo per me, il resto era felice perché sapeva che anche per mio fratello, che aveva sempre sacrificato la sua felicità per la mia, finalmente c’era qualcuno che lo amava così come meritava. E anche se la nostra situazione era piuttosto sui generis, ero certa che per entrambi era giunto il momento di vivere serenamente, liberi da qualunque fardello, semplicemente come due ragazzi di vent’anni che si amavano senza riserve.

- Ah, Kensington.

Mi voltai verso Damien, pensando che non avrebbe mai e poi mai abbandonato la sua formalità nei confronti di Evan, che del canto suo, non ne sembrava dispiaciuto.

- Ho dato un’occhiata anche per te, a scuola. Sembra proprio che saremo in due a diplomarci, quest’anno.

Rimasi a bocca aperta nel sentirlo, poi mi voltai verso Evan, stoico fino all’impossibile.

- Ti diplomi! Evan, ti diplomi anche tu!

Urlai.

- Non gridare, non ce n’è bisogno.

Protestò, accigliandosi.

In realtà, il motivo della mia reazione eccessiva, al di là dell’entusiasmo, era il fatto che mio fratello, notoriamente molto poco appassionato di studi scolastici, fosse riuscito a conseguire il diploma. In tutta onestà, avrei scommesso che non avrebbe superato l’anno.

- Dì la verità, Aurore. Pensavi sarebbe stato bocciato. Non è così?

Mi smascherò senza troppe remore Damien.

Beccata, avvampai, per poi impietrire. Se si era messo in testa di vendicarsi per la storia del compito di biologia, dovevo ammettere che aveva scelto il pretesto più adatto. Arabella, accanto a me, non sembrava aver colto l’importanza del momento.

- Che significa bocciare? Ha a che fare con i fiori?

Domandò, l’innocenza fatta persona. A quella domanda, sia io, che anche Damien ed Evan raggelammo. Poi Evan le posò una mano sulla spalla, con fare accondiscendente.

- No, Arabella, quello è sbocciare. Bocciare significa… ehm… perdere l’anno scolastico. Per fortuna, nonostante i nostri viaggi continui ho studiato a sufficienza per raggiungere almeno il minimo. Non che non mi piaccia lo studio, è solo che avevo altri progetti in testa. E dunque, Aurore, nonostante la tua poca fiducia nei miei confronti, non dovresti avere dubbi sul fatto che anch’io ce l’abbia fatta.

Concluse, punto nell’orgoglio, lanciandomi un’occhiataccia bieca. Gesticolando colpevole, mentre Arabella cercava di ricollegare i pezzi, annuii.

- Piuttosto, cosa farai adesso?

Domandò Damien.

Evan raccolse tra le dita il Thurs, posando su di esso lo sguardo. Effettivamente, mi aveva già detto che non aveva progetti per il futuro, considerando ciò che voleva fare.

- Se vuoi saperlo, Warren, non ne ho la più pallida idea. Credo che avrò bisogno di un po’ di tempo per riorganizzare pensieri e azioni per il futuro. Ma di una cosa sono più che sicuro. Non voglio più sprecare un attimo. Mi è stata data una seconda possibilità e voglio sfruttarla a pieno. Ora che la mia famiglia è finalmente completa, adesso che le persone che amo e che hanno creduto in me anche quando io stesso non ero in grado di farlo sono al mio fianco, so che finalmente potrò imboccare la strada per il futuro, qualunque esso sia.

- Evan…

Mormorai. Sentirlo parlare in quel modo mi rese felice. I nostri amici, in un mondo ora così lontano, si stavano dando da fare per creare il futuro sulle basi che Evan aveva posto col suo stesso sacrificio. E adesso che il suo destino si era compiuto, una sfida ancor più grande lo attendeva, nel mondo a cui aveva fatto ritorno. Non ci sarebbero stati imperi dispotici da distruggere, né antiche profezie da realizzare. Al contrario, era giunto il momento di prendere le redini della propria vita e di prepararsi a costruire un futuro secondo le proprie possibilità. Era così per Evan, come per Damien. Così anche per tutti noi. Per me. E sapendo di avere accanto le persone che amavo più della mia stessa vita, durante quella notte, decisi che anch’io mi sarei impegnata per lasciare un segno, un’impronta tangibile della mia presenza nel mondo. Quel mondo della luce a cui avevamo fatto ritorno dopo tante peripezie. Mi ero resa conto di essere cambiata nel corso di quei mesi lontana da casa, di aver acquistato una forza che mai avrei creduto di avere. Evan aveva ragione. Non avevo più bisogno che qualcuno mi tendesse la mano. Ora ero pronta a farlo io stessa. E avevo scoperto di essere molto più coraggiosa e intraprendente di quanto pensassi. Sollevai gli occhi al cielo, ritrovando in quei percorsi di stelle, la strada costellata di diamanti che portava al cuore della Croix du Lac e pensai a lei. Helise, tutti abbiamo fatto ritorno alle nostre vite. Spero che anche tu, ora, abbia potuto trovare la pace che invocavi da così tanto tempo. Sai, su una cosa avevi ragione. Alla fine del dolore, c’è solo una via d’uscita perché esso possa avere termine. Ma non è la morte. E’ la rinascita. E con essa, la consapevolezza che la vita è imprevedibile, ma quando ci dà una seconda possibilità, lo fa per permetterci di realizzare qualcosa di importante. Qualcosa che ci faccia sentire parte del mondo a cui apparteniamo. Qualcosa che ci permetta, così, di camminare a testa alta verso il domani.

  
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