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Autore: Tikal    19/07/2014    3 recensioni
Elisa è una ragazza solitaria, che preferisce affidare i suoi pensieri e le sue storie alle parole di un blog, dove si firma "Hope", speranza.
Una ragazza un po' fuori dal normale, con gli occhi verdi e un ciuffo azzurro, che conosce il potere e la magia delle parole, il loro incanto, affascinante e allo stesso tempo terribile.
Un incontro farà prendere alla sua vita una piega completamente nuova, che la trascinerà in un'avventura a cavallo tra il reale e il fantastico, alla scoperta del mondo nascosto sotto i suoi occhi, un mondo che non aspetta altro che essere scoperto.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6
 
– Chi sei? – la voce di Elisa uscì simile ad un sussurro soffocato. La ragazza strizzò gli occhi, cercando, nonostante la fioca luce della Luna che entrava dalla persiana chiusa, di distinguere la figura davanti a lei.
– Chi sei? – ripeté, rafforzando la presa sul volume.
La domanda rimase ad aleggiare nell’aria, invisibile, impalpabile, eppure presente, dividendo i due come un abisso.
Elisa rabbrividì. Avvertiva sotto pelle il potere che avevano quelle due semplici parole Chi sei?
Due parole capaci di unire due minuscoli istanti, che altro non sono se non le vite degli esseri umani, così brevi e fugaci.
In quel momento, Elisa avvertiva il loro peso su di sé come un macigno sul petto. Quante volte, durante il corso della nostra vita, incontriamo nuove persone? Spesso.
Quasi ogni giorno si fanno nuovi incontri, ma quasi mai si pone la domanda che tormentava così tanto Elisa in quel momento.
Chi sei?
Chi siamo noi? A questa semplice domanda cercano da secoli risposta alcune delle più grandi menti che l’umanità abbia mai visto nascere, eppure nessuno è ancora riuscito a risolvere l’arcano.
Elisa trasse un profondo sospiro, racimolando il coraggio necessario.
– Chi sei? – domandò ancora.
La terza volta qualcosa si mosse nell’ombra, vicino all’armadio, ed un ragazzo entrò nel cono di luce creato dalla Luna.
Elisa si sentì come se qualcuno le avesse appena tolto la terra da sotto i piedi, mentre uno strano mix di emozioni e sentimenti si riversava in lei. Incredulità e stupore, ma anche rabbia e paura. Ciò che la colpì di più, però, fu scoprire che, in fondo in fondo, si sentiva felice.
Perché il ragazzo davanti a lei era Andrea.
 
*
 
Un brivido freddo risalì la schiena della ragazza, mentre le lacrime le pungevano gli occhi. Chiuse le palpebre, scacciandole via. Non era quello il momento per piangere.
Sentì le sue dita rafforzare ancora di più la presa attorno al libro che impugnava come arma, pronta a fronteggiare quel ragazzo. In quel momento sapere di avere in mano un libro era la sua unica certezza.
Il ragazzo aprì la bocca per rispondere, ma non fece in tempo a proferire parola che un grosso volume dalla copertina rigida gli cadde in testa.
– Ahio! – protestò, massaggiandosi la fronte, là dove il tomo lo aveva colpito. – Perché lo hai fatto? – domandò rialzandosi con una punta di irritazione nella voce. Davanti a lui si ergeva Elisa con un altro libro già in mano e pronto ad essere utilizzato come arma.
– Non mi vengano a dire che le parole non possono ferire – ringhiò la ragazza. I capelli spettinati e gli occhi verdi accesi di determinazione le davano un’aria da folle, ma il ragazzo non sembrò scomporsi.
– Tiri sempre in testa un libro a chiunque venga a portarti delle spiegazioni? – domandò ironico. – E tu sei sempre così simpatico? – gli fece il verso Elisa. – Cosa vuoi da me? – Elisa alzò il braccio, preparandosi ad un altro lancio, ignorando la fitta al cuore che quel ragazzo le dava.
Doveva essere una coincidenza. Una dannatissima e bellissima coincidenza.
La coincidenza in questione si passò una mano tra i capelli e si avvicinò a lei, alzando le braccia in segno di pace e cercando di allontanarsi dalla portata del libro.
– Ti ho promesso delle spiegazioni e sono qui per dartele. Non sono venuto con cattive intenzioni, quindi ti chiederei di abbassare quel libro. La grande bravura della Rowling mi è bastata, non vorrei mai essere seppellito sotto la grandezza di Tolkien – Elisa sbuffò, ma abbassò comunque il libro. Quel ragazzo era decisamente simile ad Andrea.
– Scusami. Ho preso un libro a caso. Sei fortunato che non ti sia caduto addosso il peso della maestria di Paolini; Il ciclo delle Eredità non è sempre una lettura leggera. – scherzò lei. Sul viso del ragazzo si dipinse un piccolo sorriso.
Il cuore di Elisa pianse quando lo notò, ma, ancora una volta, scacciò le lacrime che, prepotenti, le bagnavano gli occhi. Era troppo orgogliosa per piangere davanti a quel ragazzo così simile ad Andrea.
Elisa riportò, a malincuore, lo sguardo su di lui. – Hai detto che sei qui per darmi delle spiegazioni. Per caso riguarda quello che è accaduto oggi pomeriggio? – un sorriso tirato si aprì sul suo volto. – Hai centrato in pieno l’obbiettivo, Elisa. – la ragazza sussultò quando udì il suo nome. – Sì, conosco il tuo nome, ti spiegherò più tardi perché. È una lunga storia, che nemmeno io conosco bene in tutte le sue sfaccettature, ma che tu devi assolutamente conoscere – prima che Elisa potesse replicare in alcun modo, il ragazzo estrasse dalla tasca dei jeans una boccetta di vetro scuro e l’aprì.
Del fumo color perla invase la stanza, avvolgendo i due ragazzi. Elisa sentì il suo cuore accelerare mentre osservava quella strana nebbia avvolgersi attorno alle sue gambe e risalire sul suo petto. Da qualche parte alle sua sinistra quel ragazzo rise, divertito dalla sua reazione. – Puoi anche aggrapparti a me, se hai paura. – la prese in giro. La ragazza puntò i suoi occhi verdi verso il punto in cui presumeva si trovasse lui, lo sguardo che lampeggiava di rabbia. – Non ho paura e posso fare benissimo a meno di te. – lo rimbeccò. Probabilmente lui alzò le spalle, borbottando qualcosa riguardo alle ragazze testarde, ma Elisa non ci fece caso. La nebbia aveva risalito il suo petto ed ora era quasi arrivata alle labbra. Presto non sarebbe più riuscita a respirare. Sarebbe morta e con lei tutti i suoi sogni, i suoi progetti, le sue ambizioni. Avrebbe perso tutto, quel poco che aveva costruito sarebbe crollato come un castello di sabbia, spazzato via dal vento e dalle onde.
No. Pensò, sorprendendosi dei suoi stessi pensieri. Solamente poco tempo prima si sarebbe lasciata andare, avrebbe lasciato che la nebbia la soffocasse. Ma adesso? Dopo ciò che era successo non avrebbe permesso ad una sciocca nebbiolina e ad un ragazzo apparso dal nulla di ucciderla. Non è questo il giorno in cui me ne andrò.
Prese un’ultima boccata d’aria, subito prima che la nebbia le arrivasse alle narici, e chiuse gli occhi. Aspettò per quelle che le parvero ore, mentre sentiva l’aria iniziare a mancarle e il panico cominciava ad assalirla.
Finché, quando le sembrava che ogni speranza di riemergere da quel limbo fosse svanita, sentì un forte strattone alla caviglia destra, come se qualcuno – o qualcosa – stesse cercando di tirarla a terra.
Elisa avrebbe voluto lottare, cercare di liberasi da quella stretta, ma qualcosa nella sua mente le suggerì di fare il contrario, di abbandonarsi ad essa, lasciarsi trascinare.
E così fece. Si fece trascinare verso il basso, sotto quella nube perlacea che l’avvolgeva, senza mai aprire gli occhi.
Si sentiva precipitare, sempre più in basso. Verso il centro della Terra.
 
*
 
Elisa riaprì gli occhi solamente quando sentì che il mondo aveva smesso di girare.
– Te lo avevo detto di stare attenta. Potevi accettare il mio aiuto. – una voce maschile l’accolse. La ragazza si girò, puntando i suoi occhi verdi in quelli azzurri del ragazzo accanto a lei. Lui le sorrise malizioso, ignorando l’occhiataccia che Elisa gli rifilò. – Ti pregherei di lasciare il mio braccio, mi stai chiudendo la circolazione. – disse. Elisa arrossì. Dopo la caduta doveva essersi aggrappata a lui mentre la testa le girava. Si diede della stupida per averlo fatto. Si spostò velocemente, allontanandosi da quel ragazzo, ma qualcosa la bloccò.
Si voltò di colpo e suoi occhi incontrarono quelli azzurri del ragazzo. Sentì una morsa stringersi attorno al suo cuore, mentre la guardava. Nei suoi occhi non si intravedeva più la scintilla maliziosa di poco prima, erano seri, quasi tristi, e ricolmi di malinconia.
Era troppo simile ad Andrea.
– Seth. – sussurrò. Gli occhi di Elisa saettarono velocemente sulla mano di lui, stretta attorno al suo polso, per poi tornare a puntare lo sguardo nei suoi occhi. – Cosa? – domandò, inclinando un poco la testa verso sinistra. – Il mio nome. È Seth – spiegò lui, senza distogliere lo sguardo. Elisa sorrise imbarazzata. – Come il dio egizio? – chiese. Seth arrossì lievemente e sorrise impacciato. – Sei una delle prime persone che capisce da dove provenga il mio nome – Elisa arrossì di nuovo e distolse lo sguardo prima che lui se ne accorgesse.
– Per me Rick Riordan è fin troppo sottovalutato, non hai idea di quanto si possa imparare grazie ad un buon libro. – lui le sorrise, forse ripensando alle pile di libri in camera di Elisa. – Sei una ragazza che legge molto. Potresti diventare una scrittrice. – Elisa avrebbe voluto scappare. Il suo sogno era un argomento delicato, non di certo la prima cosa che diceva quando incontrava una nuova persona. Probabilmente Seth si accorse dello sbaglio perché non disse più nulla. Il silenzio calò tra i due, un silenzio imbarazzante, di cui Elisa avrebbe fatto volentieri a meno.
– Dove siamo? – domandò infine, per cercare di spezzare quel silenzio opprimente. La ragazza lasciò vagare lo sguardo sul luogo in cui si trovavano.
La cortina di nebbia si diradò davanti al suo sguardo, rivelando un lungo corridoio dal pavimento in mogano.
La parete di sinistra era ricoperta di fotografie e ritratti. Elisa si avvicinò, spinta da uno strano desiderio. Tra tutti quelli appesi suoi occhi furono catturati da un ritratto in particolare: un disegno a carboncino del volto di una ragazza.
I tratti del disegno erano gentili, ma il suo volto, colto dall’artista in una strana espressione, a metà tra il preoccupato ed il divertito, era quello di una persona che ha attraversato l’inferno e che ne è uscita a testa alta. Elisa le lo leggeva dagli occhi.
Scrollò la testa, cercando di dimenticare le immagini che le si presentarono alla mente: una ragazza dai capelli rossi, il lugubre rintocco di un orologio e subito dopo lo scorcio di una torre illuminata dalla fioca luce dei lampioni.
Seth le si avvicinò, sfiorandole il braccio, cercando di farla emergere da quella specie di trance in cui era caduta. – Chi è? – Domandò Elisa, toccando appena il ritratto. – È molto bella. – Il ragazzo aprì la bocca per parlare, ma venne interrotto. Seth si portò un dito alle labbra, chiedendole il silenzio, mentre lei lo fissava confusa. – Cos.. – La ragazza si interruppe.
Il suono ovattato delle scarpe che camminano sul legno invase il corridoio, sincronizzato ai battiti del cuore impazzito di Elisa.
Il silenzio regnava sovrano, invisibile ma presente, stringendo ogni cosa tra le sue spire soffocanti, inghiottendo ogni rumore, ogni parola, ogni emozione, ogni cosa.
Elisa odiava il silenzio. Odiava il silenzio che si forma dopo la fine di una cosa, dopo che due persone che non hanno più niente da dirsi smettono di parlarsi, il silenzio delle notti passate in bianco con l’ansia che attanaglia lo stomaco.
Per lei il silenzio era vuoto, il nulla. Un’assenza di parole, di sogni, di speranze, di azioni.
Per Elisa coloro che avevano smesso di sognare erano spettri, cuori dentro ai quali il silenzio si era pian piano aggrappato, mettendo radici profonde e quasi impossibili da strappare.
La sua paura era che il silenzio avvolgesse anche il suo cuore, che le facesse dimenticare come si facesse a sognare, a vivere, a credere.
Istintivamente la sua mano cercò quella del ragazzo accanto a lei e, quasi senza accorgersene, la strinse forte. Un’ombra si affacciò sul pavimento, i contorni sfocati per colpa della tremolante luce delle lampade. La stretta sulla mano di Seth si fece più forte, mentre il proprietario dell’ombra appariva lentamente nella visuale di Elisa.
Dapprima un paio di vecchie scarpe nere e rovinate, poi le gambe lunghe ed atletiche fasciate da un paio di pantaloni beige sporchi di grasso. Elisa risalì piano con lo sguardo sul torace allenato coperto da una camicia che un tempo doveva essere bianca, fino ad arrivare al viso.
La carnagione era chiara, tipica dei paesi europei e, giudicare dalle piccole rughe che circondavano le sue labbra, era un uomo che sorrideva spesso, anche se in quel momento gli angoli della sua bocca erano rivolti all’ingiù, la fronte corrucciata in un’espressione preoccupata.
Teneva lo sguardo fisso a terra, verso i suoi piedi che si muovevano veloci sul pavimento, che, ad ogni suo passo, scricchiolava.
I capelli castani gli coprivano gli occhi, ma Elisa riuscì a scorgere una pallida cicatrice sul suo zigomo sinistro, come se avesse fatto a botte con qualcuno.
Quell’uomo aveva qualcosa di famigliare, ma in quel momento ad Elisa sfuggiva cosa potesse essere. Seth le strinse la mano, ed Elisa sentì una piccola scossa pervaderle il palmo e risalire per tutto il braccio. Emise un lieve gemito di dolore e tornò a fissare il ragazzo, distogliendo per qualche istante la sua attenzione dall’uomo davanti a lei. – Dove ci troviamo? – Tentò di nuovo, alla ricerca di risposte. Seth la scrutò per qualche secondo, incerto se dirle o meno la verità. – Siamo in un ricordo. – Mormorò alla ragazza. – Un ricordo? Come diamine hai fatto a… – Elisa fissò il ragazzo di fronte a lei, mentre il suo cervello registrava particolari che sulle prime non aveva notato: il fodero di una spada appeso a tracolla sulla schiena, una benda sporca di sangue che gli fasciava il braccio destro, un tatuaggio sull’avambraccio sinistro.
– Chi sei? – Domandò la ragazza, sentendo di nuovo il peso di quelle due parole gravare su di lei come un macigno. Seth si accigliò, guardandola con un espressione talmente seria che Elisa per un istante credé che l’avrebbe uccisa. E invece fortunatamente Seth parlò: – Sappi che potrei farti la stessa identica domanda, Elisa, eppure neppure tu sapresti dargli risposta. – I suoi occhi azzurri erano puntati in quelli verdi di Elisa, la voce che faceva trasparire una sorta di allarme. Sembrava stranamente sulla difensiva, come se la ragazza fosse stata sul punto di aver scoperto qualcosa che lui non voleva si sapesse.
E poi dicono che sono le ragazze ad essere lunatiche. Pensò Elisa mentre Seth la fissava severo.
Restarono così per alcuni istanti, gli occhi di uno puntati in quelli dell’altro, studiandosi con uno strano interesse da parte di entrambi, come due bambini che giocano a chi sbatte per primo le palpebre.
Elisa non si era per niente preoccupata del fatto di essere in pigiama fino a quel momento, ma, mentre lo sguardo scrutatore di Seth indugiava sul suo corpo minuto, coperto solamente da un paio di vecchi pantaloncini colorati e una maglia scolorita, accarezzandolo con gli occhi, desiderò, avvampando violentemente, aver avuto tempo di cambiarsi.
Le sembrava che il tempo si fosse fermato come per magia, congelato nello stesso istante in cui lui aveva puntato i suoi occhi su di lei, ma, come ogni incantesimo nelle favole, l’incanto si spezzò, non ad opera di un principe, certo, ma a causa del rumore di una porta mal oliata che girava sui cardini.
I due ragazzi si voltarono verso una porta che dava sul corridoio, osservando la testa di una donna dai capelli leggermente ingrigiti spuntare dall’uscio per chiamare l’uomo che, fino a quel momento, non aveva mai smesso di camminare per il corridoio, nervoso. – Jack, santo cielo! – Disse la donna. La sua voce era chiara e limpida, nonostante dimostrasse settant’anni. Un tempo doveva essere stata bellissima, ed il tempo, nonostante avesse portato con sé i segni tipici dell’età che avanza, l’aveva conservata tale.
L’uomo, che aveva continuato a percorrere avanti e indietro il corridoio per tutto quel tempo, alzò il viso, rivolgendo il suo sguardo verso la donna.
– Potresti smetterla di andare avanti e indietro? Mi stai facendo venire il mal di mare solo a guardarti. – Confessò lei. Jack mascherò un sorriso e si fermò. – Vedo che il tempo non ha scalfito il tuo umorismo, Elizabeth. – La donna sbuffò all’udire quel nome, ma non si scompose.
Sul volto di Jack si dipinse di nuovo la maschera di preoccupazione che aveva tenuto sin da quando aveva fatto il suo ingresso, mentre la donna lasciava cadere il silenzio tra loro.
– Avanti, sputa il rospo. – Fu l’uomo a rompere la quiete. La donna lo fissò con aria interrogativa, finché lui non parlò di nuovo. – Se sei venuta qui ci sono solo tre motivi. Il primo è che sia successo qualcosa a Dream, il secondo è che sia andato tutto bene e il terzo implica uno dei due motivi precedenti e che tu sia venuta qui per prendere di nascosto una bella sorsata di Gin. – La donna lo guardò, un sorriso sarcastico e dolce dipinto sul volto. – Dream sta bene, ed anche il piccolo. Non avrei mai pensato di diventare nonna, ho sempre creduto che voi due vi sareste fatti ammazzare prima di poter avere dei figlia. – Jack gettò gli occhi al cielo. – Per fortuna ti sbagliavi. Adesso, se non ti dispiace, vorrei vedere mia moglie e mio figlio. – Elizabeth annuì e si scansò per far passare l’uomo, richiudendo la porta dietro di sé.
– Vieni. – Sussurrò Seth. Elisa per poco non gridò. Intenta com’era ad osservare la scena, si era completamente dimenticata del ragazzo di fianco a lei.
Seth la prese delicatamente per mano e la guidò verso la porta. – È chiusa, gen… – La ragazza lasciò la frase a metà. Seth non la stava portando verso la porta, la stava portando contro la porta.
Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto, ma non accadde nulla. – Puoi aprire gli occhi. – Elisa guardò Seth, di fianco a lei. Era totalmente rilassato e non aveva ancora lasciato la sua mano. – Essendo in un ricordo siamo come dei fantasmi, quindi possiamo passare attraverso i muri, genio. – Continuò il ragazzo. – Ancora mi devi spiegare questa storia dei ricordi. – Mormorò Elisa imbronciata, staccando di scatto la sua mano da quella di Seth e portando le braccia al petto. Era solo una recita, certo, ma la sua curiosità diventava ogni secondo più accesa. Aveva semplicemente deciso che quella cosa era troppo assurda persino per essere stata partorita dalla sua mente, e quindi aveva accettato la cosa, mettendo da parte il terrore e la paura per far spazio alla curiosità. – Dopo te lo spiego, adesso guarda. – Rispose Seth, indicando le figure davanti a loro.
Su un letto matrimoniale sedeva la ragazza del disegno, Elisa ne era certa. Aveva lo stesso sguardo, la stessa piccola macchia sotto lo zigomo destro, anche se parevano passati parecchi anni da quando l’artista doveva averla ritratta. Nel disegno non doveva essere poco più grande di Elisa, ora dimostrava trent’anni.
Stringeva in braccio un piccolo fagotto, che Elisa intuì essere il piccolo di cui poco prima Jack aveva accennato. L’uomo in questione era in piedi, vicino al letto, e osservava con occhi ricolmi d’amore la sua famiglia. Jack si avvicinò alla moglie, accarezzandole la testa di ricci capelli rossi con una mano. – E’ bellissimo – Disse. – Proprio come sua madre. – La donna arrossì, ma gli rivolse un tenero sorriso. – Non essere modesto, un giorno sarà forte come suo padre. – Elisa si sentiva fuori luogo, in quel piccolo ed intimo quadretto famigliare. Le sorse spontanea la domanda se i suoi genitori alla sua nascita si fossero comportati come Jack e sua moglie, o se avessero semplicemente accettato la sua nascita, rassegnati dall’idea di dover concludere un era di divertimenti e spassi per dedicarsi a stare dietro alla figlia.
Scacciò l’idea dalla mente e puntò il suo sguardo su Seth. Il ragazzo aveva i pugni serrati e una sorta di scintilla di desiderio negli occhi azzurri, tant’è che Elisa provò pena per lui.
Non conosceva bene quello strano ragazzo, ma avrebbe giurato che c’era qualcosa che lo tormentava e lei avrebbe tanto voluto saperlo, per poter provare ad aiutarlo.
Mi meraviglio di te, Elisa. Da dove viene questa spinta di altruismo?
Fece una voce nella sua testa. Elisa non lo sapeva - o meglio, fingeva di non saperlo.
Tornò a guardare la coppia quando lo sguardo di Seth si puntò di nuovo su di lei.
– Come lo chiameremo? – Domandò la donna dai capelli rossi. – Non lo so, Dream. Un nome ti resta per tutta la vita, bisogna stare attenti quando si sceglie. – Dream sorrise. – Da quando sei diventato così saggio? – Domandò ironica al marito. – Lui alzò gli occhi al cielo, esasperato. – Lo sono sempre stato, ma tu te ne accorgi solo ora. – Dream rise, una risata argentina, che illuminò la stanza. – Che ne dici di Andrew? – Domandò. Jack si sporse in avanti, accarezzando le piccole dita paffute del figlio. – Che mi piace. Benvenuto in famiglia, Andrew.
Andrew. Elisa giurò di aver già sentito quel nome, nella sua famiglia, gridato da sua nonna a…
I pensieri le attraversarono la mente velocissimi, il suo cervello vegliò velocemente ogni ipotesi, scartandone alcune, formulandone delle altre.
Nello stesso istante Jack puntò il viso verso la porta, e la ragazza poté finalmente vedere i suoi occhi.
Erano la prima cosa che cercava in ogni persona, gli occhi dicevano tutto di tutti. Elisa poteva capire tante cose di una persona prima ancora di parlarci solo guardando i suoi occhi.
Perché gli occhi gridavano in silenzio storie celate che le parole non avrebbero mai rivelato, svelavano bugie e assicuravano la verità.   
La sua sorpresa quindi fu ancora più grande quando Jack alzò la testa, mostrandole finalmente i suoi occhi.
Verdi.
Occhi verdi, proprio come i suoi.
Le tessere del puzzle si incastrarono da sole, rivelando un mosaico tanto stupendo quanto assurdo.
Perché stava guardando negli occhi, anche se lui non lo sapeva, il suo bisnonno, Jack.
 
 
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ANGOLO DELLA PAZZA DI NOME HOPE CHE AGGIORNA ALLE DUE DEL MATTINO AUTRICE
Pensavate di esservi liberati di me, vero?
E INVECE NO.
Okay, scusate. L’ho detto che avrei aggiornato venerdì anche se non è più venerdì da più di un’ora e mezza
La devo piantare di lasciare tutti questi finali aperti, ma è l’una e mezza di notte, io ho finito di scrivere da dieci minuti, il pc sta per lasciarmi e mi devo alzare tra cinque ore, quindi non me la sento di rischiare e fare il capitolo più lungo.
Direi che sono messa piuttosto bene D:
Comunque sia spero che il capitolo vi piaccia, ecco che si scopre (circa) chi fosse il ragazzo di quel pomeriggio [per chi lo spera: no, non è Andre e nemmeno un suo gemello esperto in combattimenti (?)]
Che ne pensate del colpo di scena finale?
Se non si fosse capito, Jack e Dream sono i genitori del nonno di Elisa, Andrew.
Sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di scrivere uno spin-off su di loro una volta finita questa storia, ma sono ancora molto indecisa.
Devo dire che scrivere questo capitolo è stato divertente, almeno i battibecchi tra Seth ed Elisa (tirargli un libro in testa, poi XD)
Come al solito ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite e naturalmente chi ha recensito (scusate se non ho risposto, lo farò il prima possibile).
Un ultima cosa e poi scappo via a dormire. Domani parto e starò via fino a sabato prossimo, quindi buon per voi settimana prossima non aggiornerò.
Mi sento orgogliosa di me, stranamente le note del capitolo non hanno superato la lunghezza di una flash fic u.u
Adesso scappo a dormire, mi aspettano dieci lunghe ore di macchina con mio fratello e mia sorella che fanno i pazzi, devo essere psicologicamente pronta a tutto.
Ci si vede (si fa per dire ”^^) tra due settimane!
Un abbraccio,
Hope

 
 
   
 
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