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Autore: _LilianRiddle_    21/07/2014    5 recensioni
Eccomi tornata con una nuova storia, dopo tanto tempo. Questa volta mi sono dedicata ad una Dramione, un genere che io amo da morire. E' la prima, siate clementi ^^.
Dal testo:
"- Maledizione! – esclamò, preoccupandosi ancora di più vedendo Luna poco lontano da lui, priva di sensi.
S’inginocchiò accanto al ragazzo, che stava tentando, invano, di alzarsi.
- Fermo Malfoy, fermo. – cercò di trattenerlo Hermione, con le mani tremanti e le lacrime agli occhi, troppo preda delle sue emozioni per riuscire a formulare anche il più semplice degli incantesimi di cura.
Il ragazzo la scacciò malamente, tentando ancora una volta di alzarsi.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, Mezzosangue. Ce la faccio da solo. – disse tentando di suonare cattivo e minaccioso, respingendo le sue mani.
- Zitto, Draco, zitto. – sussurrò Hermione. Il ragazzo sussultò sentendo il suo nome pronunciato proprio da lei, proprio da quella che avrebbe dovuto insultarlo e picchiarlo come avevano fatto quei ragazzi. E ne avrebbe avuto tutto il diritto, di questo era sicuro.
- Io non mi sono difeso, Hermione. – bisbigliò lui, prima di svenirle tra le braccia. "
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, James/Lily, Lily/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saving each other - How to save a life'
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Capitolo XIV.
 

Samia guardava Ron sbuffare sopra la sua pergamena. L’indomani dovevano consegnare alla McGranitt una pergamena di almeno due fogli su un argomento particolarmente importante per i M.A.G.O, che si sarebbero tenuti tra pochi mesi, e Ron aveva scritto appena mezzo foglio. Avrebbe voluto aiutarlo, avrebbe voluto scriverglielo lei, quel maledetto tema, ma sapeva che non poteva. Sapeva anche, però, che Ron non lo avrebbe mai finito da solo. Perché, per quanto fosse diventato bravo nella pratica, la guerra gli aveva fatto imparare tante cose, lo stesso non si poteva dire nella teoria, che rimaneva il suo tallone d’Achille.
Fece l’errore di guardarlo negli occhi: il suo sguardo sconsolato da cucciolo abbandonato le stringeva il cuore.
- Ti prego, cucciola, scrivimi almeno un pezzettino! – supplicò Ron.
La ragazza assottigliò gli occhi scuri. Lo sguardo sconsolato da cucciolo abbandonato non le stringeva il cuore così tanto.
- Ai M.A.G.O ci sarete solo tu e una pergamena! Lo devi fare da solo, impegnati! –
Inutile dire che l’amicizia della sua ragazza con Hermione non aveva giovato al giovane rampollo Weasley, che i compiti doveva continuare a farseli da solo.
Nonostante questo, Samia dovette ammettere che avevano praticamente passato tutto il pomeriggio in biblioteca a studiare, e che era assolutamente ora di una pausa.
Sospirò.
- Forza, Ron. Andiamo. – disse alzandosi.
Il ragazzo la guardò confuso, ma non si oppose di certo alla decisione della ragazza di interrompere lo studio. Presero le loro cose e uscirono tranquilli dalla biblioteca.
Samia prese la mano del suo ragazzo e gli sorrise.
Era bello, Ron, diverso dai ragazzi che era solita frequentare in Egitto. Non pretendeva, ma chiedeva gentilmente. Non si imponeva su di lei, affermando di essere superiore, ma la trattava come sua pari, adorandola e venerandola come la più bella di tutte le dee. Samia non aveva mai conosciuto un ragazzo così.
- Raccontami un po’ di te. – gli disse accompagnandolo verso le cucine.
Il ragazzo la guardò alzando le sopracciglia.
- Raccontarti di me? –
- Sì, di te, della tua famiglia. Sono curiosa. –
Gli sorrise, incoraggiante, mentre lui cercava le parole adatte al racconto.
- Siamo… eravamo… oh, miseriaccia, Fred è un fantasma, quindi, siamo in nove nella mia famiglia. Mamma, papà, Bill, che lavora come cacciatore di tesori per la Gringott, Charlie, allevatore di draghi in Romania, Percy, segretario del Ministro, Fred e George, loro li conosci, cioè, tu conosci George, ma Fred è uguale a lui in tutto, se non contiamo il fatto che sia un fantasma. –
Ron rabbrividì e Samia si fermò a guardarlo.
- È tornato indietro, quindi? –
- Sì, diceva che non avrebbe potuto lasciarci soli che se no chissà cosa avremmo combinato in sua assenza. È stato uno shock talmente grande che ha fatto tornare a vivere addirittura Ginny. Però… -
- Però non ti sembra giusto. –
- Esatto. Non fraintendermi, voglio bene a mio fratello e sono contento che possa parlarci ancora, sono contento di poter scherzare con lui e di farmi prendere in giro. Ha risollevato il morale di tutta la famiglia, certo, ma… ma non trovo giusto che sia tornato. Vederlo in quel modo, vederlo fantasma, ci fa capire quanto questa guerra ci abbia tolto, quanto abbiamo perso. Ci ricorda in ogni momento che lui è morto e che non tornerà, non tornerà più come prima. Ti fa sentire impotente, perché non puoi fare niente per cambiare le cose. –
Rimasero in silenzio, mentre Samia trafficava in cucina, aiutata da alcuni Elfi domestici.
- Mi dispiace molto, Ron, io… -
- Oh, non ti preoccupare ‘Mia. – disse sfiorandole la mano. – Piuttosto, tu? Raccontami qualcosa di te. –
La ragazza lo guardò e gli porse la cioccolata calda che aveva preparato. Che cosa raccontare di sé? Non aveva niente d’interessante. Non aveva fratelli che facevano lavori strani, non ne aveva proprio, di fratelli.
- Come avete affrontato, voi, la guerra? – domandò all’improvviso Ron, notando il silenzio distaccato della ragazza.
- Non l’abbiamo affrontata. –
- Non l’avete affrontata? –
- No. – un sospiro. – Quando Voldemort è tornato al potere, in Egitto si stava relativamente bene. Lì non c’è tutta questa cosa delle classi, Purosangue, Mezzosangue, Nati Babbani. Importa ben poco, alla gente. È vero anche che si sente molto la differenza tra ricchi e poveri. Non c’è una via di mezzo. O si è ricchissimi, come i miei genitori, o si è poverissimi. Quindi, quando le avvisaglie del potere di Voldemort sono arrivate fino a noi, le sue idee hanno avuto gioco facile tra le persone più povere, che vedevano nelle promesse di quel pazzo la risposta ai loro problemi. Molti sono passati dalla sua parte e quando si è sentito odore di guerra, i miei genitori hanno fatto i bagagli e se ne sono andati. Così ci siamo trasferiti in Grecia, ma quando abbiamo capito che anche lì la guerra era prossima, ci siamo trasferiti di nuovo, aspettando che le acque si calmassero. Non fare quella faccia, Ron. Non puoi giudicarli. Loro hanno fatto una scelta. –
- Ma non si sono schierati! –
- Esatto. Li devi, ci devi, capire. Non avevamo nulla per cui combattere. Voldemort non ci aveva fatto nulla, a stento sapevamo chi fosse. Harry Potter e tutta la sua storia era solo una leggenda, per noi. Voi tutti eravate solo una leggenda. E i miei genitori, da sempre calmi affaristi, hanno preferito salvare la pelle e il patrimonio, piuttosto che spendere soldi e magari farsi ammazzare in una guerra che non ci aveva mai colpiti direttamente. Per noi è stato diverso che per voi. Voi avete visto i vostri amici morire in battaglia, morire per un ideale, per un mondo migliore. Li avete visti morire per vendicare torti subiti e morti innocenti. Noi non avevamo un motivo per combattere. Il nostro mondo non era in guerra. –
- Ma se noi non avessimo sconfitto Vol… Voldemort, di certo ora anche il tuo mondo sarebbe in guerra a causa sua. –
- Sì, certo, e allora ci saremmo schierati e avremmo combattuto per il nostro mondo. Ma non è successo, voi lo avete sconfitto prima che potesse distruggerci tutti e avete subito troppo, per essere solo dei ragazzi della mia stessa età. Io non so se sarei stata abbastanza forte da sopportare tutto quello che avete sopportato voi, la ricerca degli Horcrux, la paura, la separazione dalle vostre famiglie. Io non lo so se sarei stata capace di tanto, per una guerra voluta da altri. Avete avuto un coraggio e una stupidità enormi. Dei ragazzi che hanno combattuto un mago di cui anche gli adulti avevano paura. –
Ron sorrise, ammiccando al suo indirizzo.
- È per questo che mi ami. Per il mio incredibile coraggio! –
Samia rise.
- O forse per la tua indiscutibile stupidità! –
- Ehi, ragazzina! Non si scherza con gli uomini! –
Samia, fintamente stizzita, si alzò e andò a sedersi sulle sue ginocchia.
- Ah, e cosa si fa allora, con gli “uomini”? –
Il sorriso malizioso che si dipinse sul volto di Ron fece ridere Samia.
Tornata seria, lo guardò negli occhi con un sorriso dolcissimo.
- Se ti avessi conosciuto prima, avrei combattuto al tuo fianco. –
- Se ti avessi conosciuta prima, non te lo avrei permesso. –
Samia sorrise.
- Sei sporco di cioccolato. – disse, prima di donargli un bacio dolcissimo.
 
***
 
Se Ginny pensava a quanto aveva aspettato Harry Potter le veniva quasi da ridere. Con tutta la fatica che aveva fatto per avere il ragazzo che amava, le sembrava che niente avrebbe più potuto sconfiggerla. La loro storia sembrava un’imitazione di quello che era successo ad un certo Enzo e Lucilla… o forse Lucio ed Enza…* insomma, a due protagonisti di un libro babbano di cui le aveva parlato Hermione.
Essere posseduta da un giovane e pimpante Signore Oscuro in crisi adolescenziale e quasi morire ammazzata durante il suo primo anno? Ce l’aveva.
Pulire il sangue dal viso di Harry Potter praticamente ogni primo giorno di scuola? Aveva anche questo.
Essere baciata dal suddetto Ragazzo Sopravvissuto e poi essere rifiutata in nome di non si sa bene cosa? Dannazione, aveva pure questo.
Aspettare per un anno intero il ritorno di quell’idiota di suo fratello che aveva accompagnato ancora il più idiota Harry Potter nella ricerca di solo Merlino sa che cosa? Sì, poteva dire che aveva anche questo. E meno male che c’era Hermione con loro, se no dubitava che il fratello e il ragazzo moro in ritardo che stava aspettando sarebbero tornati vivi.
Certo, una volta tornati, avevano affrontato Voldemort e la compagnia di invasati che si portava dietro, avevano visto morire tante di quelle persone che una vita intera non gli sarebbe bastata a contare, avevano visto suo fratello morto e poi, come se nulla fosse, tornato alla vita come fantasma e avevano assistito, chi più chi meno, alla totale perdita di senno di Harry Potter, che si incolpava di tutte le persone morte dal 1970 ad oggi. E che si rifiutava di stare con lei.
Ora, Ginny ringraziava di aver preso la pazienza della madre e la pacatezza del padre, perché se no avrebbe sicuramente fatto ciò che il Signore Oscuro non era mai riuscito a fare: ammazzare Harry Potter. Violentemente. Le ci era voluta tanta pazienza e tanta forza di volontà per far capire al ragazzo che non correvano alcun pericolo, che la guerra era finita, che quelle persone non erano morte a causa sua e che insieme avrebbero potuto farcela. Ne era quasi uscita pazza. Eppure, quello che aveva ottenuto, dopo tanta fatica, non era neanche lontanamente paragonabile a quello che si era immaginata, perché era sicuramente molto più bello.
Da lontano vide una massa spettinata di capelli neri. Sorrise.
- Ciao Harry. – disse andandogli incontro e posandogli un leggero bacio sulle labbra.
Appena accennò a spostarsi, però, Harry la bacio di nuovo, con passione e trasporto, come non aveva mai fatto. O, per lo meno, come non aveva mai fatto davanti a tutti. Il Bambino Sopravvissuto, infatti, era sempre molto restio a lasciarsi andare in pubblico, non voleva dare spettacolo né attirare troppe attenzione su di lui, su di loro.
- A cosa devo tutta questa passione? – chiese appena il moro la lasciò parlare.
Il ragazzo non parlò, perso in pensieri che, Ginny ci avrebbe scommesso le sue mutande preferite, gli facevano più male che bene. Presero a camminare mano nella mano per il parco interno di Hogwarts, che qua e la mostrava ancora i segni delle magie lanciate durante la battaglia svoltasi tra quelle mura.
- Pensavo che i Malandrini sono tutti morti. Mio padre e Peter Minus morti per mano di Voldemort. Sirius ucciso da Bellatrix, il professor Lupin probabilmente ucciso da Dolohov. Insomma, loro sono morti e con loro sono morte anche le loro mogli. Mamma è morta subito dopo mio padre, Tonks subito dopo il professor Lupin. Io… non so spiegarmelo, Ginny. –
- Non sai spiegarti cosa, Harry? –
La ragazza sapeva che cosa le stava per dire Harry, era un discorso che avevano fatto mille e mille volte, avvolti da un passato che non voleva cedere il passo al futuro.
- Non so spiegarmi come il loro amore possa essere ancora qui. Come esso possa rispecchiarsi in me e in Teddy. Come mai noi siamo sopravvissuti e loro no. Non so spiegarmelo. -
Ginny sospirò.
- Abbiamo fatto questo discorso così tante volte, Harry, che penso tu sappia alla perfezione quello che penso. –
- Sì, lo so. Ma è una cosa così strana. Quanto può essere forte l’amore, Ginny, se riesce a sopravvivere anche alla morte? –
- L’amore non sopravvive alla morte, Harry. L’amore e l’affetto che Sirius e i tuoi genitori provavano nei tuoi confronti, è morto con loro. Però viene ricordato dal tuo amore e dal tuo affetto nei loro confronti che continua nonostante la morte. Anche l’amore muore, se così vogliamo dire. Ma non muore il ricordo di esso. È quella la nostra forza. Se Voldemort avesse ricordato di aver ricevuto un po’ di amore nella sua vita, dubito che sarebbe diventato quello che era. –
Il ragazzo rimase silenzioso a lungo. Ginny si chiese se sarebbe mai tornato a parlarle, a volte i suoi silenzi erano così lunghi che quando poi Harry tornava a parlare la sua voce era roca e bassa. Era rimasto stupito da quello che gli aveva detto, era stupita anche lei dalla verità delle sue parole. Non si era mai resa conto di quanto esse potessero essere potenti, prima della guerra. E dopo, per un certo periodo, avevano perso del tutto il loro valore, per lei, troppo spaventata da esse anche solo per dire banalità. Ora, ora che poteva parlare senza aver paura di pronunciare un nome – Tu-Sai-Chi, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, Voldemort – che ti avrebbe portato di sicuro alla morte, solo ora capiva quanto le parole, una parola, potesse uccidere. Uccidere di gioia, di amore, di dolore, di indifferenza. Le parole, o la mancanza di esse, uccideva. E solo ora lo capiva.
- Hai paura della morte, Ginny? –
Sapeva che Harry non aveva paura della morte. Non ne aveva mai avuta, malgrado tutto.
- Hai paura di amare, Ginny? – le chiesero i suoi occhi verdi.
- No. L’amore è l’unica costante dell’uomo, Harry. Tutto il resto… tutto il resto, anche l’odio, alla fine se ne va. Penso che, in fin dei conti, Voldemort non ti odiasse più come una volta. Certo, sei stato un’odiosa spina nel fianco, ma, alla fine, era solo paura quella che ha guidato tutte le sue azioni. Una paura che, se lui fosse stato amato e avesse a sua volta amato, non avrebbe avuto. –
- Anche tu hai avuto paura. Io ho avuto paura quando ti ho sentita urlare e tentare di correre incontro ad Hagrid che mi portava in braccio. Ma dico, che cosa ti è saltato in mente?! –
Lo sguardo allucinato che Harry regalò a Ginny indispettì incredibilmente la ragazza.
- Che cosa mi è saltato in mente?! A me?! Che cosa è saltato in mente a te! Per la barba di Merlino, Harry, sei andato consapevolmente a farti ammazzare da quel pazzo Mezzosangue senza neanche dirmi addio e mi chiedi che cosa è saltato in mente a me quando ti ho visto inerme tra le braccia di Hagrid?! –
Il ragazzo ridacchiò, sistemandosi gli occhiali.
- Sei sempre molto bella quando ti arrabbi. –
La ragazza sbuffò.
- I complimenti non mi faranno cambiare idea su ciò che penso di te. –
- Ah. E che cos’è che pensi di me? –
- Penso che tu sia un idiota! –
Lo sguardo sconsolato che il moro le rivolse avrebbe fatto sciogliere anche il ghiaccio più duro. Il Ragazzo Sopravvissuto aveva imparato tanto su quell’arte da suo fratello, da quanto le riferiva Samia.
- E non guardarmi così, Harry Potter! È l’epiteto che ti meriti dopo tutto quello che mi hai fatto passare! – esclamò ridendo Ginny.
- Mi dispiace. –
L’altra alzò le spalle.
- Ti amo. –
- Ti amo anch’io. – le disse Harry prima di avvicinarsi per un bacio carico di promesse.
 
***
 
La ragazza alzò gli occhi.
- Che cosa leggi, Lin? – chiese Neville accarezzandole i capelli rossi.
- Favole babbane. – gli rispose facendogli posto affianco a lei sul telo che aveva steso sul prato davanti al Lago Nero.
- Non fa propriamente così caldo da potersi mettere seduti all’aperto a leggere favole babbane, Ashling. –
- Su, Neville. Non rompere. Si sta bene, c’è fresco, al contrario del vostro dannatissimo dormitorio, dove c’è da sperare di non morire arrostiti! –
- Eppure ‘sta notte non ti lamentavi del caldo del dormitorio, mi pare… - lo sguardo carico di malizia che il ragazzo riservò ad Ashling la fece avvampare fino alla punta dei capelli e abbassare gli occhi sul libro che teneva in mano.
Il ragazzo rise e le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Ti va di leggermi qualcosa? –
- Hai mai sentito la storia del “Tenace soldatino di stagno” di Andersen? –
- No. –
La ragazza sorrise.
- C'erano una volta venticinque soldati di stagno, tutti fratelli tra loro perché erano nati da un vecchio cucchiaio di stagno. Tenevano il fucile in mano, e lo sguardo fisso in avanti, nella bella uniforme rossa e blu. La prima cosa che sentirono in questo mondo, quando il coperchio della scatola in cui erano venne sollevata, fu l'esclamazione: "Soldatini di stagno!" gridata da un bambino che batteva le mani; li aveva ricevuti perché era il suo compleanno, e li allineò sul tavolo.
I soldatini si assomigliavano in ogni particolare, solo l'ultimo era un po' diverso: aveva una gamba sola perché era stato fuso per ultimo e non c'era stato stagno a sufficienza! Comunque stava ben dritto sulla sua unica gamba come gli altri sulle loro due gambe e proprio lui ebbe una strana sorte.
Sul tavolo dove erano stati appoggiati c'erano molti altri giocattoli, ma quello che più attirava l'attenzione era un grazioso castello di carta. Attraverso le finestrelle si poteva vedere nelle sale. All'esterno si trovavano molti alberelli intorno a uno specchietto che doveva essere un lago; vi nuotavano sopra e vi si rispecchiavano cigni di cera. Tutto era molto grazioso, ma la cosa più carina era una fanciulla, in piedi sulla porta aperta del castello; anche lei era fatta di carta, ma aveva la gonna di lino finissimo e un piccolo nastro azzurro drappeggiato sulle spalle con al centro un lustrino splendente, grande come il suo viso. La fanciulla aveva entrambe le mani tese in alto, perché era una ballerina, e aveva una gamba sollevata così in alto che il soldatino di stagno, non vedendola, credette che anch'ella avesse una gamba sola, proprio come lui. "Quella sarebbe la sposa per me!" pensò "ma è molto elegante e abita in un castello; io invece ho solo una scatola e ci abitiamo in venticinque, non è certo un posto per lei! comunque devo cercare di fare conoscenza!" Si stese lungo com'era dietro una tabacchiera che si trovava sul tavolo; da lì poteva vedere bene la graziosa fanciulla che continuava a stare su una gamba sola, senza perdere l'equilibrio.
A sera inoltrata gli altri soldatini di stagno entrarono nella scatola e gli abitanti della casa andarono a letto. Allora i giocattoli cominciarono a divertirsi: si scambiavano visite ballavano, giocavano alla guerra. I soldatini di stagno rumoreggiavano nella scatola, perché desideravano partecipare ai divertimenti, ma non riuscirono a togliere il coperchio. Lo schiaccianoci faceva le capriole e il gesso si divertiva sulla lavagna, facevano un tale rumore che il canarino si svegliò e cominciò a parlare in versi.
Gli unici che non si mossero affatto furono il soldatino di stagno e la piccola ballerina; lei si teneva ritta sulla punta del piede con le due braccia alzate, lui con pari tenacia restava dritto sulla sua unica gamba e gli occhi non si spostavano un solo momento da lei.
Suonò mezzanotte e tac... si sollevò il coperchio della tabacchiera, ma dentro non c'era tabacco, bensì un piccolissimo troll nero, perché era una scatola a sorpresa.
"Soldato!" disse il troll "smettila di guardare gli altri!"
Ma il soldatino fìnse di non sentire.
"Aspetta domani e vedrai!" gli disse il troll.
Quando l'indomani i bambini si alzarono, il soldatino fu messo vicino alla finestra e, non so se fu il troll o una folata di vento, la finestra si aprì e il soldatino cadde a testa in giù dal terzo piano. Fu un volo terribile, a gambe all'aria, poi cadde sul berretto infilando la baionetta tra le pietre.
La domestica e il ragazzino scesero subito a cercarlo, ma sebbene stessero per calpestarlo, non riuscirono a vederlo. Se il soldatino avesse gridato: "Sono qui!" lo avrebbero certamente trovato, ma lui pensò che non fosse bene gridare a voce alta perché era in uniforme. Cominciò a piovere, le gocce cadevano sempre più fitte e venne un bell'acquazzone: quando finalmente smise di piovere arrivarono due monelli.
"Guarda!" disse uno "c'è un soldatino di stagno! adesso lo facciamo andare in barca."
Fecero una barchetta con un giornale, vi misero dentro ii soldatino e lo fecero navigare lungo un rigagnolo; gli correvano dietro battendo le mani. Dio ci salvi! che ondate c'erano nel rigagnolo, e che corrente! Tutto a causa dell'acquazzone. La barchetta andava su e giù e ogni tanto girava su se stessa così velocemente che il soldatino tremava tutto, ma ciò nonostante, tenace com'era, non batté ciglio, guardò sempre davanti a sé e tenne il fucile sotto il braccio.
Improvvisamente la barchetta si infilò in un passaggio sotterraneo della fogna; era così buio che al soldatino sembrava d'essere nella sua scatola.
"Dove sto andando?" pensò. "Sì, tutta colpa del troll! Ah, se solo la fanciulla fosse qui sulla barca con me, allora non mi importerebbe che fosse anche più buio."
In quel mentre sbucò fuori un grosso ratto, che abitava nella fogna.
"Hai il passaporto?" chiese. "Tira fuori il passaporto!" Ma il soldatino restò zitto e tenne il fucile ancora più stretto. La barchetta passò oltre e il ratto si mise a seguirla. Hu! come digrignava i denti e gridava alle pagliuzze e ai trucioli: "Fermatelo! Fermatelo! non ha pagato la dogana! non ha mostrato il passaporto!."
Ma la corrente si fece sempre più forte e il soldatino scorgeva già la luce del giorno alla fine della fogna, quando sentì un rumore terribile, che faceva paura anche a un uomo coraggioso; pensate, il rigagnolo finiva in un grande canale, e per il soldatino era pericoloso come per noi capitare su una grande cascata.
Ormai era così vicino che gli era impossibile fermarsi. Si irrigidì più che potè, perché nessuno potesse dire che aveva avuto paura. La barchetta girò su se stessa tre, quattro volte e ormai era piena di acqua fino all'orlo e stava per affondare. Il soldatino sentiva l'acqua arrivargli alla gola, e la barchetta affondava sempre più; la carta intanto si disfaceva. L'acqua gli coprì anche la testa -allora pensò alla graziosa ballerina che non avrebbe rivisto mai più, e si sentì risuonare nelle orecchie:
Addio, bel soldatino morir dovrai anche tu
La carta si disfece del tutto e il soldatino di stagno andò a fondo, ma subito venne inghiottito da un grosso pesce.
Oh, com'era buio là dentro! ancora più buio che nella fogna, e poi era così stretto; ma il soldatino era tenace e restò lì disteso col fucile in spalla.
Il pesce si agitava in modo terribile, poi si calmò e fu come se un lampo lo attraversasse. La luce ormai splendeva e qualcuno gridò: "Il soldatino di stagno!." Il pesce era stato pescato, portato al mercato, venduto e portato in cucina dove una ragazza lo aveva tagliato con un grosso coltello. Prese con due dita il soldatino e lo portò in salotto dove tutti volevano vedere quell'uomo straordinario che aveva viaggiato nella pancia di un pesce; ma lui non si insuperbì. Lo misero sul tavolo e... oh, che stranezze succedono nel mondo! il soldatino si trovò nella stessa sala in cui era stato prima, vide gli stessi bambini e i giocattoli che erano sul tavolo, il bel castello di carta con la graziosa ballerina, che ancora stava ritta su un piede solo e teneva l'altro sollevato; anche lei era tenace e questo commosse il soldatino che stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva. La guardò, e lei guardò lui, ma non dissero una sola parola.
In quel mentre uno dei bambini più piccoli prese il soldatino e lo gettò nella stufa, e proprio senza alcun motivo, sicuramente era colpa del troll della tabacchiera.
Il soldatino vide una gran luce e sentì un gran calore, era insopportabile, ma lui non sapeva se era proprio la fiamma del fuoco o quella dell'amore. I suoi colori erano ormai sbiaditi, ma chi poteva dire se fosse per il viaggio o per la pena d'amore? Il soldatino guardò la fanciulla e lei guardò lui, e lui si sentì sciogliere, ma ancora teneva ben stretto il fucile sulla spalla. Intanto una porta si spalancò e il vento afferrò la ballerina che volò come una silfide proprio nella stufa vicino al soldatino. Sparì con una sola fiammata, e anche il soldatino si sciolse completamente. Quando il giorno dopo la domestica tolse la cenere, del soldatino trovò solo il cuoricino di stagno, della ballerina il lustrino tutto bruciacchiato e annerito. –
- Il soldatino e la ballerina sono morti insieme, perché erano innamorati. –
Ashling annuì.
- È sempre stata la mia storia preferita. –
- Tu moriresti per amore? –
La ragazza parve pensarci su.
- Non lo so. Sai, a parlarne così siam tutti fieri e coraggiosi, impavidi paladini della giustizia, difensori dell’amore. È che quando ci sei dentro, quando puoi davvero morire per amore, lì le cose si complicano. Io ho visto tanti combattere e morire per amore, Neville, ma continuo a pensare che quello che ha fatto Draco, quel marchio che per sempre rovinerà la sua bella pelle, penso che quello sia stato il miglior gesto d’amore che qualcuno avrebbe mai potuto fare per me. Voi Grifondoro vi sareste immolati per i vostri cari, andando incontro alla morte senza paura, non vi saresti fatti marchiare, no. Lui ha preferito salvarsi la pelle, farsi marchiare e sottostare ad un pazzo, piuttosto che abbandonarci a noi stessi. Mi sarei fatta marchiare anche io, per proteggere la mia famiglia. Lo avrei fatto, per l’amore che porto loro. Eppure. Eppure c’è anche un altro tipo di amore, che non è amore filiale o fraterno, ma è quell’altro tipo di amore che è come una malattia grave, quando arriva o rimane per sempre o ti lascia il segno. Ti cambia. Per quell’amore lì, quell’amore che ha portato zia Cissy ad amare lo zio Lucius fino alla fine, quell’amore che ha ucciso Ninfadora Tonks e Remus Lupin, quell’amore che molto probabilmente è quello che stiamo provando io e te adesso, beh, per quell’amore penso che si possa anche morire. Perché va oltre qualsiasi cosa. Va anche oltre al tempo, come l’amore del professor Piton per la madre di Harry. Per quell’amore si muore anche senza lasciare la Terra. Per quell’amore, anche una parola può uccidere. –
Neville annuì.
- Quindi tu dici che il nostro è quel tipo di amore? –
- È una dichiarazione quella che vuole, signor Paciock? –
- Sì, gradirei molto volentieri una sua dichiarazione, signorina Lloyd. –
- Te lo dimostro sempre, le parole non servono. –
- Ma mi piace sentirmelo dire dalla tua bella voce. –
La ragazza si avvicino al Grifondoro.
- Visto che ti piace la mia voce, ti farò una promessa. –
Neville annuì.
- Ti prometto che, finché morte non ci separi, ti leggerò tutte le fiabe che vorrai. –
- Le leggerai anche ai nostri futuri bambini? –
- Futuri bambini? Non ti stancherai di me prima di avere dei bambini? –
- No. –
Ashling sorrise, sfiorandogli lo zigomo.
- Allora leggerò le fiabe anche ai nostri futuri bambini. – 
















Note dell'autrice:

*riferimento al libro de "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni, che tutti di sicuro conoscono :33

Buonsalve a tutte voi, anime buone!
Ecco un altro capitolo della Dramione ed è inutile che mi diciate che non c'è neanche un minuscolo momento Draco/Hermione, questa rimane una Dramione a tutti gli effetti u.u
Non potevo mica dimenticarmi gli altri personaggi, no? E poi, devo capire bene cosa far fare a quei due testoni di Draco ed Herm.
In qualunque caso, il capitolo è stato un parto, ma il prossimo dovrebbe arrivare in tempi leggermente più brevi del solito, quindi...
Un bacio a tutti voi che mi leggete e che non vi siete ancora stufati di me,
alla prossima,
Lilian <3


 
  
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