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Autore: Shine_    26/07/2014    7 recensioni
Liam Payne ha ventisei anni, uno studio da dentista nel centro di Brooklyn e una vita molto più complicata di quel che sembrerebbe. Le cose sembrano andare sempre peggio quando, volendo fare un favore ad un amico di vecchia data, assume come stagista un ragazzino arrogante e pieno di sé, con amici altrettanto particolari.
Dal testo:
Si era vestito lentamente, allacciandosi con cura la camicia, mentre pensava all’identità di questo strano ragazzino di quasi diciotto anni che avrebbe passato con lui tutti quei mesi estivi. Sperava solamente di non finire in casini più grandi di lui.
[Ziam; una leggera sfumatura di Lirry in qualche capitolo e punk!Louis che non ci abbandona mai]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You're my end and my beginning

 

« Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you.
»

 

Primo capitolo:

 

Quella giornata era stata piuttosto stressante per Liam, Louis aveva l’innato potere di rendere nervoso ogni essere umano entrasse nello studio. Più di una mamma si era lamentata, una volta di fronte a lui, del nuovo stagista che aveva preso il posto della dolce Anne.

È troppo arrogante, gli ripetevano ogni volta.

E lui non poteva nemmeno difenderlo, ne aveva avuto un assaggio solo quella mattina, ma non poteva nemmeno prometter loro di cacciarlo. Come poteva dire che, fosse stato per lui, non l’avrebbe nemmeno accettato? Come poteva dirgli che stava solamente facendo un favore al loro sindaco?

Avrebbero solamente capito tutt’altro, messo in mezzo la politica e addio sogno di diventare dentista ed essere lasciato in pace.

Aveva quindi deciso di fare uno sconto a tutti, per andare incontro al disagio causato da quel ragazzo, e rivolto un sorriso gentile alle madri dei bambini, riuscendo a mettere a tacere tutto quanto.

Era incredibile come fosse riuscito a farsi strada in quel campo solo grazie al suo sorriso; c’erano dentisti con molta più professionalità di lui a Brooklyn e dintorni, ma quelle donne si erano subito fidate di lui e gli avevano portato sempre più clienti nello studio.

E ora quel ragazzino non poteva rovinargli tutto, lui si era impegnato - aveva passato le notti sveglio per finire quella dannata specializzazione! - e per fare un favore ad un amico stava per rischiare tutto.

Quando finalmente quella giornata stressante si concluse - aveva persino saltato la pausa pranzo per colpa degli appuntamenti fissati in modo assurdo dal nuovo stagista, che si stava sicuramente vendicando -, decise che ne avrebbe parlato a quattr’occhi con lui, prima di far intervenire il padre.

Sistemò tutti i vari strumenti, seguendo la sua solita routine, si tolse il camice, sistemandolo sull’attaccapanni in argento attaccato alla parete, e chiuse la porta a chiave alle proprie spalle, raggiungendo quello che se ne stava quasi sdraiato sulla poltrona, le caviglie incrociate sulla scrivania e le dita che si muovevano velocemente sulla tastiera del telefonino.

Si schiarì con forza la voce, vedendo che il picchiettare delle dita contro il legno non sembrava attirare la sua attenzione, e si specchiò in un paio di occhi azzurri che lo fissavano con fare quasi annoiato.

- Abbiamo finito, Payne?- gli chiese con fare svogliato, mettendo il cellulare in tasca ed alzandosi in piedi per stiracchiarsi con le braccia sollevate sopra la testa. - Posso andarmene a casa ora?-

- Sì, sì.. certo che abbiamo finito. Vedi qualcun altro qui dentro?- borbottò con stizza, facendo un ampio gesto con il braccio per indicargli la sala d’aspetto vuota. - Ma noi due dobbiamo parlare.- aggiunse, appoggiando una mano sulla sua spalla e facendolo sedere di nuovo sulla poltrona.

Cercò di non scaldarsi troppo quando lo sentì chiedere, con lo stesso tono arrogante: - Che vuoi, Payne?-

Non aveva assolutamente nessun rispetto per una persona molto più grande di lui, non aveva rispetto per nessuno. Ed era una cosa che, sicuramente prima della fine, l’avrebbe fatto esplodere.

- Desidero che tu la smetta con questo atteggiamento.- arrivò immediatamente al punto, incrociando le braccia al petto e fissandolo con un’espressione seria e decisa. - Non voglio vedere un’altra persona entrare là dentro e lamentarsi di te.- continuò, indicando alle proprie spalle e fermandolo quando stava per alzarsi. - Altrimenti sarò costretto a far intervenire David.- concluse, vedendolo sbuffare e roteare gli occhi.

Mantenne il contatto visivo, aspettando quasi una sua risposta o un suo cenno, ma si irrigidì quando sentì alla sue spalle dire: - Che fai, Lou? Mi rubi il dentista?-

Era una cosa sorprendente come, un semplice ragazzino tra i diciassette e i diciotto anni, riuscisse a fargli saltare i nervi nell’arco di mezzo secondo.

- Che ci fai qui?- sibilò, non riuscendo a restare calmo dopo una giornata stancante come quella. - Ti ho detto che qui dentro non devi metterci mai più piede.- ripeté quello che gli aveva detto molte ore prima, vedendolo appoggiare lo skate a terra e salirci sopra, dicendogli: - Niente piedi, visto?-

Liam si lasciò sfuggire un verso esasperato, sentendo la sua risatina cristallina, e lo raggiunse velocemente, prendendolo per un braccio.

- Ho detto che devi andartene, mi hai capito?- grugnì, obbligandolo a scendere dallo skate e facendo un cenno veloce e stizzito a quello che li osserva con un sorrisetto divertito. - Fuori tutti e due. Devo chiudere. Voglio andarmene a casa e dimenticare questa giornata.- insistette, riuscendo a portare fuori entrambi con estrema facilità.

Stava chiudendo il portone d’ingresso, come ogni sera, desiderando solamente di buttarsi nel letto e rimanerci per almeno due giorni, quando per puro caso riuscì a sentire i discorsi dei due.

Parlavano di un certo Chase e della “roba buona” che aveva tenuto da parte per loro, e lui poteva seriamente andare dritto e lasciarseli alle spalle. Erano solo due stupidi ragazzini che gli stavano rovinando la vita, lui si stava facendo rovinare la vita da loro per aiutare il suo amico.

Proprio quel pensiero lo fece sospirare e dire: - Non dovreste andare a casa?-

Le loro risate divertite, quasi a prenderlo in giro, lo fecero infuriare come non mai. Ma ricacciò indietro tutto perché, si diceva, una buona azione non avrebbe fatto del male a nessuno.

Ignorò il moretto, che sembrava aver preso come scopo nella vita il farlo andare su tutte le furie con semplici battutine, e si concentrò sull’altro ragazzo, che teneva le dita strette sul manico della bicicletta, e sussurrò: - Louis, tuo padre..-

Strabuzzò gli occhi, sentendosi tirare per un braccio, e fissò confuso quello che diceva: - Non è giusto! Perché non chiami anche me col nome?-

- Ragazzino, torna sul tuo coso strano.- grugnì, liberandosi della sua presa con uno strattone, e riportò tutta la sua attenzione sul più basso tra i due, che aveva un’espressione strana con gli occhi socchiusi e le labbra piegate in una smorfia di disappunto.

Roteò gli occhi quando il moretto insistette con: - Dì il mio nome, è Zayn.. sulle tue labbra suonerebbe così bene, dottor Payne.- e fece un verso frustrato, superandoli e decidendo che per quella volta un qualche aiuto al figlio del suo amico l’aveva dato.

Aveva messo tra loro una certa distanza ma, nel silenzio della sera, riuscì a sentire Louis dire: - Lascia perdere, Zay. Voglio solo fumare, bere e dimenticarmi di questa giornata.-

Si trattenne con tutte le sue forze dal voltarsi, per ribadire che la sua - di giornata - era stata la più orrenda di tutta una vita.

 

 

 

Liam quella notte non era nemmeno riuscito a dormire, troppo impegnato a pensare ad una soluzione per sistemare tutto.

Doveva tirarsi indietro? Parlarne con David? Arrendersi?

Non l’aveva mai fatto in vita sua, aveva sempre affrontato ogni sfida si trovasse davanti. E ora non poteva alzare bandiera bianca per colpa di due ragazzini casinisti.

La mattina si era svegliato con un dolore alla schiena - non aveva fatto altro che agitarsi tra gli incubi più improbabili - e si era vestito molto più lentamente del solito, aveva rischiato di perdere la metro ed arrivato con un certo ritardo di fronte all’edificio. Si stranì nel trovarsi davanti i due - che assomigliavano sempre più ai suoi incubi peggiori - con un sorriso smagliante, quasi ad aspettarlo.

- Sei in ritardo, Payne.-

- Buongiorno, dottore.-

Li sentì dire assieme, restando per un minuto a guardarli e scuotendo velocemente la testa l’attimo dopo. Erano strani, troppo strani; o forse era lui ad aver dormito troppo male e ad immaginarsi le cose.

Si passò le dita tra i capelli corti, cercando di sistemare il casino nella testa, e fissò il moretto e il suo sorriso che lasciava intravedere tutti i denti. Infilò le mani nella tasca dei jeans, indicandolo con le chiavi dello studio, e borbottò: - Non ti avevo detto che non dovevi più avvicinarti a me?-

Osservò la testa del ragazzino muoversi da destra verso sinistra, negando con le labbra piegate in un ghigno strafottente, e lo ascoltò mentre diceva: - Hai detto che non dovevo più mettere piede lì dentro. Come vedi ora son fuori, dottor Payne.-

Evitò di rispondergli - desiderando solo quel ragazzino a mille miglia di distanza da lui - e fece scattare la serratura, aprendo il portone e facendo un cenno a Louis per entrare per primo.

- In realtà son qui per un motivo.- fu la frase che richiamò la sua attenzione, facendolo voltare e fissare con un’espressione confusa il ragazzino con un piede sullo skate. Mosse la mano, invitandolo a continuare quel discorso, e socchiuse gli occhi, vedendolo avvicinarsi sempre di più.

Strabuzzò gli occhi, sentendolo dire: - Lo stai facendo lavorare troppo.- e spostò lo sguardo tra i due ragazzini, sempre più velocemente e con una smorfia sempre più allibita.

- Vuoi mettere il naso tra i cazzi miei?- grugnì, non stupendosi più di tanto nel sentire la rabbia avvampare sul viso; quel ragazzo era seriamente impossibile, non c’era bisogno di capire da chi avesse preso Louis quel fare da saccente arrogante.

Restò immobile, cercando di trattenere quella voglia di spingerlo via, ed osservò le sue dita stringersi al collo della camicia mentre sussurrava: - Oh, magari potessi. Son sicuro piacerebbe ad entrambi, dottor Payne.-

Socchiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo per calmarsi, e sibilò: - Metti giù quelle mani, non devi toccarmi.- a cui seguì il sospiro fintamente affranto del moretto e il suo: - Pensavo Louis potesse chiedere un permesso di qualche ora.-

Strinse i pugni, deciso a lasciarsi quel ragazzo alle spalle, ma non riuscì a trattenere il: - Louis non l’ha chiesto.- e, nel momento in cui gli angoli delle sue labbra si arricciarono in un ghigno, capì di essersi cacciato in un piccolo guaio.

Piegò la bocca in una smorfia, nel trovarselo di nuovo così vicino e nel non riuscire a liberarsi da lui, e lo ascoltò, quasi rapito dal suo tono di voce, mentre diceva: - Dicono che nessuno riesce a negarmi nulla.-

- Sì? Nessuno riesce a resisterti?- ripeté le sue parole, il sopracciglio sollevato e il sorriso divertito sulle labbra, e gli tenne stretti i polsi, avvicinandosi al suo viso e sussurrando: - E io ti dico che a Louis non darò nemmeno la pausa per andare in bagno.-

- Ma.. ma..- iniziò a farfugliare quello, cercando di liberarsi dalla stretta, e continuando subito dopo con: - Per favore, è importante. Ho una gara e ho bisogno di lui.-

Lo avvicinò al proprio corpo con uno strattone, percependo il suo fiato caldo contro le labbra, e sibilò: - Ho detto di no. E ora vattene prima che perda seriamente la pazienza.-

Non gli diede nemmeno tempo di rispondere, entrò nello studio e sbatté la porta alle proprie spalle, appoggiandovisi contro con la schiena. Era solo uno stupido ragazzino, arrogante e spocchioso, non poteva farsi prendere in quel modo da lui.

 

 

 

 

 

Aveva quasi finito la prima metà della giornata - la pausa pranzo si avvicinava quasi come un dono divino - e sembrava stesse andando tutto per il meglio, non contando quell’inizio turbolento.

Ma - quando tutto sembra procedere liscio c’è sempre un ma di mezzo - non appena vide entrare una signora con un sorriso quasi infastidito ed un biglietto tra le dita, capì che il buon umore sarebbe crollato molto velocemente.

- Quel suo nuovo assistente ha detto di darle questo.- la sentì dire, prese il foglietto che gli stava porgendo e lesse, in quella scrittura disordinata, un “mi son preso la giornata, Payne”.

Chiuse gli occhi, passando una mano dietro la nuca e su tutto il viso, e prese un respiro profondo per calmarsi; non poteva scoppiare di fronte ad una cliente, doveva mantenere la calma.

- Gliel’ha dato lui?- s’informò, cercando di mostrarsi calmo e preparato per una situazione simile. Vide la testa della donna muoversi in un cenno d’assenso, seguito velocemente da un: - E con modi non del tutto garbati.-

- Mi dispiace, davvero tanto. Non succederà più.- mormorò, sperando di riparare il danno ma sentendola aggiungere: - Se non riesce più a tenere un certo standard, credo le convenga provare in un altro quartiere.-

Strinse i pugni, rivolgendole un sorriso cordiale, e la osservò mentre usciva dallo studio con la mano stretta a quella del figlio.

Non poteva continuare così, doveva far intervenire David. Stava rischiando troppo, stava rischiando il lavoro e il sogno di una vita, dopo anni di sacrifici, troppi sacrifici.

 

 

- Grazie, Harry, grazie davvero.- sussurrò, stringendo la mano del ricciolino tutto sorrisi e fossette.

Non appena Liam aveva avuto un momento libero, aveva chiamato subito Anne, la sua vecchia segretaria, e l’aveva quasi implorata di trovargli una soluzione; una soluzione che poi era stata il figlio sedicenne, sempre disponibile per dargli una mano nelle faccende più semplici.

- Non c’è bisogno di ringraziare, Lì.- ridacchiò quello, parlando con la sua vocina non ancora modificata dalla crescita. - Sai che ti aiuto con piacere, piuttosto che stare a casa con quella.-

Scosse la testa con un sorriso divertito, chiudendo il portone e iniziando a camminare con lui verso la metro; si rigirò le chiavi tra le dita, infilandole successivamente in tasca, e gli diede una spinta con la spalla, scoppiando a ridere nel vederlo barcollare.

- Scambiamoci i ruoli, dai.- propose l’altro, saltellandogli di fronte e porgendogli la mano. - Io mi occupo dei tuoi bambini e tu di mia mamma con le sue voglie di frutti tropicali introvabili.-

Continuò a ridere, allungandosi verso di lui per scompigliargli i ricci e scosse appena la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore.

- Ho già i miei problemi.- borbottò infine, fissando di fronte a sé con uno sguardo pensieroso. - E con questa storia mi sto solo complicando la vita.-

Ignorò la gomitata al fianco e il: - Tomlinson, eh?- del più piccolo, preferendo continuare a camminare verso il sottopassaggio per la metropolitana.

- Lì.- si sentì chiamare, i passi del ricciolino che si affrettavano per tenere la sua andatura veloce. - Sai che non devi favori a nessuno, se sei arrivato fin lì è perché lo meriti. E basta.-

Mugugnò qualcosa tra sé e sé, non sapendo esattamente come e cosa ribattere, passando dai tornelli e incrociando le braccia al petto mentre aspettava l’arrivo della metro.

- Ricevuto, cambiamo discorso.- annuì per dargli corda, iniziando a picchiettare il piede e desiderando solo tornare a casa per potersi finalmente rilassare. - Leen come sta?-

- Aileen?- ripeté lentamente, vedendolo annuire con un sorrisino che metteva in evidenza le fossette. - Sta bene, lei sta benissimo.- ridacchiò, strofinando le dita contro la nuca. - Credo abbia fatto disperare la signora Hall. Spero non abbia distrutto nulla, altrimenti non so più a chi lasciarla.- continuò a parlare, agitando appena una mano e lasciandosi sfuggire un sospiro.

- Sai che son sempre disponibile.- saltò fuori l’altro, spingendo il gomito contro il suo fianco e sorridendogli nuovamente. - Per Leen ci sono sempre.-

Liam roteò solamente gli occhi, salendo sulla metropolitana e prendendo posto su uno dei sedili liberi, subito affiancato dal riccio che continuò a fissarlo, cercando di richiamare l’attenzione.

- Harry.- mugugnò, appoggiando il gomito contro la gamba e premendo il palmo contro il viso.

- Per favore, Lì. Questa volta non ci metteremo nei pasticci.- lo sentì insistere, le dita che gli stringevano il ginocchio e gli occhi verdi spalancati. - Che poi nemmeno l’altra volta era colpa nostra.- aggiunse subito dopo, sbuffando e piegando le labbra in una smorfia.

- E va bene!- esclamò, sollevando le braccia con fare esasperato. - Puoi venire a casa mia domani, tutta tua.- continuò a parlare, alzandosi in piedi quando capì di essere vicino alla propria fermata.

- Ma se torno da lavoro e trovo tutto distrutto..- stava parlando ad alta voce, sentendo i passi del ragazzino alle proprie spalle. -.. giuro che questa volta non la passerai liscia con qualche moina.- concluse, voltandosi verso di lui e premendo l’indice contro il suo naso. - Tutto chiaro?-

Piegò le labbra in un sorriso, non riuscendo a trattenersi nel vederlo così felice, e gli lasciò stringere le braccia attorno al collo, sentendo tutto il peso del suo corpo gravargli addosso mentre gli ripeteva tutti i ringraziamenti.

- Non farmene pentire, Har.- bisbigliò, avvolgendo le braccia attorno alla sua vita per non farlo cadere. - Mi fido ma non distruggermi casa.- concluse, liberandolo della presa e dandogli un buffetto sulla guancia.

Gli diede velocemente le spalle, prendendo il cellulare - che aveva iniziato a vibrare - dalla tasca dei jeans, e rispose alla vicina di casa che gli chiedeva dove fosse finito.

 

 

 

Si era appena fatto una doccia, mettendosi abiti più comodi, e se ne stava sdraiato sul letto con le mani intrecciate dietro la testa. La mente nuovamente rivolta agli interrogativi della sera precedente, aveva raggiunto il limite in soli due giorni e non poteva continuare così; stava rischiando l’esaurimento per colpa di quel ragazzino.

Spostò velocemente lo sguardo sulla porta, rivolgendo un sorriso dolce alla bambina, che gli mostrava il telefono tra le mani piccole, e le fece cenno di avvicinarsi, mettendosi seduto.

- È per te, Lili.- la sentì dire, osservandola mentre si arrampicava sul letto, e prese il telefono, portandoselo contro l’orecchio.

- David!- esclamò, riconoscendo subito la voce, passando le dita della mano libera tra i capelli castani della piccola. - Stavo pensando a te, ascolta..-

Era deciso a dirgli tutto, a svuotare il sacco e dirgli che così non poteva più andare, ma non appena sentì il: - Tu e Aileen come state?- ed abbassò lo sguardo sulla bambina che gli sorrideva, decise che per un altro giorno ancora poteva resistere.

- Ce la stiamo cavando, sì.- ridacchiò, cercando di restare allegro di fronte a quella che lo fissava curiosa. - Ogni tanto è complicato, però stiamo andando bene.- aggiunse, stringendosi nelle spalle e tenendo un occhio puntato su quella che si rannicchiava tra le proprie braccia.

Alla domanda sul comportamento del figlio s’irrigidì, prese un respiro profondo e sussurrò: - Anche io e lui stiamo.. stiamo venendo a patti.-

Continuarono così per altri minuti - e sembrava più una telefonata di circostanza per capire come procedeva tutto quanto che legata ad un vero interesse verso di lui - e quando chiuse la chiamata, lasciò cadere il telefono sul materasso e si sdraiò, stringendo la bambina al petto.

- Lili?-

Mugugnò tra sé e sé, invitandola a continuare, e strofinò lentamente le nocche delle dita contro la sua guancia, guardandola mentre stringeva le dita sulla sua maglia e rideva contro il suo petto, mostrando quelle fossette che tanto amava.

- Mi racconti ancora della mamma?-

- Hai lavato i dentini?- le chiese invece, puntando l’indice contro il suo pancino e ridacchiando con lei nel vederla agitarsi. Solo quando vide la sua testa muoversi in un cenno veloce, se la strinse meglio contro e socchiuse gli occhi, lasciandosi prendere dai ricordi.

- La tua mamma era la creatura più bella che avessi mai visto. Le assomigli tanto, sai? Hai il suo stesso nasino.- bisbigliò, stringendo due dita sul punto appena detto. - Ma era anche tanto puntigliosa e..-

- Cosa vuol dire puntigliosa?- la sentì chiedere con la sua vocina infantile, spostando le dita contro il suo braccio e stringendolo appena.

- Quando vuoi sempre avere ragione. Anche se Lili ti dice che sei nel torto e sbagli.- le spiegò in modo semplice, osservandola mentre ripeteva la parola e gli accarezzava la scritta sul braccio con le dita sottili.

- E papà era tanto innamorato di lei?-

Annuì velocemente, premendo le labbra contro la sua fronte, e chiuse gli occhi, sussurrando: - Tantissimo, era super innamorato. La amava ancora di più quando si comportava in quel modo.-

- Quando faceva la pun.. la puntigl-..-

Scoppiò a ridere nel vederla sbuffare, infastidita dal non riuscire a ricordare e dire quella parola, e le andò incontro ripetendo: - Puntigliosa. E sì, la amava tanto anche per quello.-

- Hai sonno, piccola?- le chiese, vedendola annuire e chiudere gli occhi, sbadigliando contro il proprio petto.

Continuò a muovere le dita tra i suoi capelli marroni, sorridendo al suo: - Ti voglio bene, Lili.- e chiuse gli occhi, addormentandosi poco dopo.

 

 

 

 

 

Angolo Shine:

Alloora, ecco il primo capitolo.

Si inizia ad entrare nel vivo della storia con l’introduzione di un nuovo piccolo personaggio. (Aileen è la mia piccola meraviglia.)

Probabilmente ad agosto metterò il secondo capitolo, così ho tempo per portarmi avanti con i capitoli e per la stesura della nuova OS.

Vado molto di fretta - non ho tempo per rispondere alle recensioni ora, ma le ho lette tutte e siete tanto dolci -, a presto!

   
 
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