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Autore: Outlast_Amnesia    27/07/2014    2 recensioni
Spero accorrerete in molti!
Quest'introduzione sarà un po' banale, ma sarà in grado di spiegarvi il gioco.
Non vi dico altro, capirete da soli.
Tanti saluti ;))
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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SALVE A TUTTI, SCUSATEMI PER IL RITARDO. VI PREGO DI LEGGERE CON ATTENZIONE QUESTO MINUSCOLO PARAGRAFO, PRIMA DI LEGGERE IL CAPITOLO CHE SPERO VI PIACCIA. TUTTI COLORO CHE SEGUONO LA STORIA E RECENSISCONO SONO PREGATI DI LASCIARMI O CON UNA RECENSIONE O TRAMITE MESSAGGIO PRIVATO LA LISTA DEI TRIBUTI RIMANENTI DAL LORO PREFERITO ALL'ULTIMO. IL VOSTRO PREFERITO PUO' ESSERE ANCHE IL VOSTRO STESSO TRIBUTO, SE ANCORA IN VITA. GRAZIE PER L'ATTENZIONE.



Una luce abbagliante.
Si nota solo quella, in un primo momento. Quando cerca di guardare le sue mani, i suoi piedi, il suo corpo, non vede nulla. Solo il bianco più totale, come la neve. Solo che questo chiarore è alquanto... caldo e accogliente.
-Oh, no. Non può essere successo davvero. NO!- grida una voce lontana, e alcuni passi si fanno sempre più vicini. La ragazza è stordita, quasi come fosse ebbra. Ma quella voce l'ha riconosciuta. I passi li riconosce. E di fatto, solo una figura si distingue, nella più fitta nebbia che riempie questo spazio.
-John... John, sei tu?
-Leaf, Leaf... perché? Come è... come è... successo?- replica il ragazzo, con le lacrime agli occhi e avvinghiandola fortemente.
-John, mi dispiace tanto. Mi dispiace davvero tanto. Io non avrei mai dovuto colpirti, affondarti quel pugnale nella tua soffice pelle, io... io... non avrei dovuto. Hai sofferto?- domanda Leaf, piangendo a dirotto.
-Non tanto,- le sorride lui, accarezzandole la gote destra. -Mi dispiace che sia successo anche a te. Hai provato tanto dolore, tu?
-No, è... è stato piuttosto veloce. Adesso voglio solo un tuo abbraccio.
-Vieni qui,- sussurra John, stringendola a sé. Le sue lacrime inumidiscono la candida camicia del ragazzo, ed entrambi, nel silenzio più totale, riescono a percepire il battito del cuore l'uno dell'altro.
-E' tutto finito, Leaf. Adesso non soffrirai mai più.
-Voglio solo sentirmi al sicuro, con te al mio fianco.
-Mi avrai, per l'eternità.
Ad un certo punto, la nebbia svanisce come era apparsa, e si stagliano numerose altre figure in lontananza.
-Oh, guardate un po' chi mi ha raggiunto,- esclama contento Jeremy, andando ad abbracciare Crystal. -Togliti da dosso, assassino.
-Ah, certo, parla la santarellina.
-Ehi, smettetela di litigare, io starei cercando di leggere,- li rimprovera Bricyll, mentre si passa una mano fra i morbidi capelli. Accanto a lei, Leevy e Tex chiacchierano di tutto e di più. Hanno l'occasione di parlarsi, e stanno scambiando due parole sul loro passato, che tale rimarrà per sempre. Anche tutti gli altri sono lì, chi felice, chi un po' più triste: fra questi, Leaf individua Willy, che siede su una piccola nuvola, supportando da lì la piccola Melissa, una degli ultimi dieci rimasti.
E poi, quando si volta per guardare negli occhi John, la nebbia avvolge nuovamente tutto nella sua temibile morsa.


Il sesto giorno degli Hunger Games, ricevono doni solamente Daniel, Micheal, Sophie, Damon, Shelk e Roxas. Tutti trovano degli ottimi rifornimenti che potranno usare durante la carneficina. In particolare, Sophie e Damon, i due più supportati dai capitolini, ricevono anche un coltellaccio ciascuno, in grado di ferire gravemente una persona anche solo sfiorandola. Adesso, si fa sul serio.
Tutti i giovani fissano il soffitto, prendendo segno in mente dei caduti del quinto giorno: la ragazza dell’1, Crystal, e la ragazzina del 5, Leaf. Sono rimasti solo in dieci.
Quella notte si sarebbe prospettata particolarmente fredda ed oprrimente.
-Ehi, Shelk, stai bene?
-Sì, Roxy, non preoccuparti. E’ solo stato un po’ traumatico.
-Dai, lascia che ti abbracci un po’-, propone il ragazzo. Le si avvicina, la stringe a sé con l’amore che prova una madre per il proprio bambino, specialmente nel momento in cui sta per cantargli una ninna nanna per farlo addormentare, e poi fa passare alcuni dei suoi capelli fra le sue dita. Lisci come la seta, profumati come un girasole, nonostante siano giorni che non possiede acqua per lavarseli. Lei non si divincola, e anzi, si accoccola sempre di più.
Accanto a loro, un po’ più distante, è stesa sul pavimento Melissa, intenta a pensare. “Willy, chissà come tu te la stia passando adesso lì sopra. Riesci a sentirlo? Il mio cuore batte ancora, forte, in continuazione, solo perché tu mi dai la forza per farlo. Io non smetterò mai di pensare a te, non dimenticarlo mai. Avrò anche tredici anni, ma ho finalmente compreso cosa sia il vero amore. Non lasciarmi mai, ti prego. Così come io non lascerò mai te”.
Coralyn non riesce a dormire. L’odore di morte e distruzione riempie la stanza, la luce va e viene, non ha coperte sotto le quali coprirsi. Ha ben poco con cui rifocillarsi, ma nulla per curarsi, per tenersi in forma. Nessuno sembra desideroso di cederle il proprio aiuto. Tuttavia, non si pente di aver ferito e poi condotto alla morte Crystal. Era una ragazza leggermente arrogante, voleva solo impartirle ordini e sapeva sempre lei cosa bisognava fare o dove era necessario andare. Ma, adesso che è sola, la situazione è migliorata? Affatto. Non ha più tempo per pensare. I suoi occhi si chiudono, e cade in un profondo sonno. Sarà meglio calmare la mente, dato che non sarà più facile sopravvivere.
Daniel finalmente riceve la sua medicina. Apre la boccetta, dopo aver letto il messaggio. Quest’ultimo recitava :”Spalmane un po’, non eccessivamente. Inizialmente brucerà, ma il miracolo arriverà”, con in fondo la firma sbiadita del suo mentore, Eleonor. Riusciva a sentire la voce della donna che gli gridava di vincere, di combattere finché il tempo e la fortuna glielo avrebbero concesso. Mai cedere a banali dolore, a banali ferite, quando c’è qualcuno disposto ad aiutarti. Fatti amare, combatti valorosamente, e i capitolini sentiranno il tuo richiamo. Il richiamo del bisogno. Così, dopo aver posato delicatamente il pezzetto di carta sul pavimento, comincia a cospargere l’unguento sulla ferita. Trattiene le grida, che potrebbero solo attirare malintenzionati, ma gli sembra di essersi immerso nello Stige, e di star provando tutte le pene dell’universo in una. Dopo un po’, si appoggia al muro e, con un ultimo sospiro, si addormenta.
Amy e Micheal condividono lo stesso copertino. Per fortuna, Micheal ha ricevuto questo dono, una pomata da usare in caso di infezioni, qualcosina da mangiare e un accendino. Dopo aver abbrustolito due fette di carne secca con l’accendino (cosa per la quale ci hanno messo circa un’ora), mangiano e, dopo una settimana, riescono a percepire di nuovo il sapore di qualcosa di veramente buono sul loro palato. Amy scoppia in una risatina stridula, mentre Micheal annuisce solamente. Poi, si coricano, incrociando le loro mani in una morsa non troppo stretta che può indicare il legame eterno.
Damon è chinato accanto il corpo morto, risorto e morto nuovamente di Haylee. Una ragazza che ne ha passate tante, e che aveva solo quindici anni per subire tutto questo. Non sarebbe dovuta morire. Lui avrebbe dovuto aiutarla, ma non c’è più tempo per buttarsi a terra. L’apparizione dei morti di fine giornata indica che è tardi, e che dovrebbe appisolarsi, per espellere la stanchezza dal suo corpo. Concede un ultimo bacio sulla guancia ormai ruvida di Haylee e poi si abbatte, con le gambe che hanno perso la sensibilità e le mani che ormai mostrano i primi rossori di sforzi troppo eccessivi. Fissa il soffitto in pietra, pensando a coloro che lo aspettano a casa: la mamma, che si è sposata con il sindaco lasciandolo al suo destino, Megan, la ragazza più seccante di tutto il distretto e anche la sua sorella acquisita, ma soprattutto i suoi due amici più stretti, che hanno sempre confidato in lui. E sicuramente continuano a farlo. Con quel pensiero, si addormenta piuttosto sorridente.
Nonostante l’ora, non tutti riposano.
-Tu credi che io abbia paura di te, pivello?- grida Sophie, girando attorno alla stanza e tenendo lo sguardo fisso sull’arma del nemico. Lei ha ricevuto un coltellaccio e lo ha subito impugnato, prima che Geralt potesse sfuggirle.
-No, affatto. Credo che tu sia solo troppo stolta se credi di potermi battere qui, al buio, con un insignificante pugnale e anche con qualche ferita, vedo-, replica il ragazzo, osservando le gambe di Sophie.
-Non mi fai ridere. Vedrai come sarai tu ad avere le stesse ferite. Ma prima, rispondi a questa domanda. Perché mi hai abbandonata? Perché mi hai tradita? Solo, perché?
-Perché da questo sporco gioco può uscirne vivo solo uno, ricordi? Non posso lasciarmi prendere dai sentimenti, per quanto tu mi piaccia.
-Ma... non ha senso! Tutti gli altri tributi hanno stretto alleanze, alcuni addirittura possono essersi fidanzati, e tu rifiuti di avermi al tuo fianco perché temi tradimento?
-Non si può mai essere troppo prudenti, in un mondo simile. Non volermene, ma ho dovuto farlo, anche per il tuo bene. Prima o poi questo momento sarebbe arrivato, e avremmo dovuto combattere. Io speravo di poterlo evitare, lasciando che qualcun altro uccidesse te, o, al contrario, me. Tu non sai io di cosa sono capace. Ti prego, allontanati e basta.
-Mi dispiace, ma questa è una lotta fra noi due. E solo uno ne uscirà vivo.
Sophie fa i primi passi avanti. La tensione si respira, ed entrambi prendono grosse boccate d’aria. Nessuno dei due sembra essere davvero calmo. La diciassettenne comincia a sudare, e le prime gocce le impregnano il viso. Geralt fa roteare la sua affilata arma in aria, e, per la prima volta, vede la paura nello sguardo della ragazza. Poi, in un attimo, le due armi si battono per la supremazia. Sophie indietreggia, spinta dalla troppa pressione, e poi si riavvicina, aizzando il coltellaccio contro il viso di Geralt; lui però blocca l’attacco, e con un forte calcio fa cadere su un solo ginocchio la ragazza del settimo distretto. Quando il sedicenne è sul punto di colpirla, lei rotola sul pavimento come ha imparato a fare negli anni e corre dritto nella direzione opposta di Geralt.
-Non male-, dice la ragazza.
-Puoi fare di meglio-, conclude lui.
E la battaglia ricomincia. Una piccola quantità di sangue schizza sulle pareti, e la flebile luce delle torce sul pavimento riesce ad illuminarla. Nessuno dei due sembra avere la meglio, e lo scontro prosegue per un bel po’ di tempo. Mentre il suono metallico delle armi rimbomba nella stanza, Geralt rivive la sua infanzia. Si ritrova a respirare quella brezza di quel terribile giorno. I corvi gracchiavano ripetutamente e alcuni volavano sulle teste degli avversari del ragazzo. Lo guardavano con gli occhi di chi vuole guerra, di chi vuole... vendetta. Ma Geralt non riesce a ricordare perché volessero vendetta da lui? La luna era alta nel cielo, nessuna ombra di nuvole. Le luci cittadine erano parzialmente accese, e il sudore cominciava a bagnare gli abiti dei ragazzi. Quando loro avanzarono, e Geralt assunse una posizione difensiva, la situazione precipitò.
Il suo pugnale affilatissimo è conficcato nella soffice carne di Sophie, che guarda Geralt con le prime lacrime che le scendono lungo le guance, ormai senza colorito. Non riesce a muoversi, ma abbassa la testa per osservare l’arma che le è entrata nell’addome. Si sposta all’indietro, sentendo tutto il dolore dell’universo concentrato nella sua ferita, che continua a sanguinare. Cade a terra, senza forze, continuando a piangere a bassa voce per non farsi sentire. Geralt non prova nulla: tiene lo sguardo puntato sulla sua nemica, ormai sconfitta, che non riesce ad alzarsi, né ad impugnare nuovamente la sua arma. Ha commesso nuovamente omicidio, e avrà il rimorso ancora a lungo.
-Sei... sei... stato bravo, Ge-, tossisce, sputando sangue. Quando si riprende, continua. –Geralt. Non mi aspettavo di poter perdere così facilmente.
-Vuoi che ti risparmi la sofferenza?
-Mi... mi faresti un grosso piacere.
Geralt si passa la mano proprio sotto l’occhio, provando immensa vergogna per ciò che sta avvenendo. Non cacciava una lacrima da quando sua madre era morta, e adesso, che lui ricordi, è la seconda volta che accade. Si avvicina lentamente ad una Sophie agonizzante. Le sue mani sono riluttanti, ma lui deve farlo. Deve farlo per andare avanti, per assicurarsi di non avere un’ulteriore inseguitrice. Deve farlo perché lei stessa glielo ha chiesto, nonostante probabilmente qualche sponsor le abbia mandato un medicinale. Va a controllare, ma dentro lo zaino della ragazza non c’è nulla di utile. Ormai, deve farla fuori.
Le prende la testa fra le mani, accarezzandole il pallido viso e asciugandole dolcemente le lacrime. –Mi dispiace, Sophie.
-Fallo e basta, bastardo-, dice lei, con un sorrisetto stampato sulle labbra. Quello che si vedrebbe sul volto di qualcuno che ha accettato il suo destino.
Con mano rapida, e senza troppe storie, Geralt conficca il suo pugnale nel cuore di Sophie. Quella, esalando il suo ultimo respiro, scivola sul terreno. E il colpo di cannone sveglia tutti, nell’Arena.


Melissa accende la sua torcia con qualche complicatezza iniziale e poi si schiarisce la voce.
-Ehm, ehm...- dice, attirando l’attenzione dei suoi due compagni poco distanti intenti a riscaldarsi a vicenda.
-Per rompere un po’ il ghiaccio e, diciamo, “scaldare” la situazione, avevo pensato di raccontare una bella storia dell’orrore. Vi va?-
Roxas subito annuisce, incrociando le gambe e preparandosi a tremare come una foglia d’autunno. Shelk sembra un po’ più riluttante, ma poi decide di accontentare Roxy e perciò si accomoda accanto a lui.
-Bene, allora... sì, potrei ambientarla stesso qui. Ok, sono pronta. Non molto tempo fa, in quest’ospedale psichiatrico risiedeva uno dei più pazzi assassini che il mondo avesse mai conosciuto. Era talmente pericoloso che persino i dottori gli stavano alla larga, per paura che potesse afferrarli e magari spezzare loro il collo. Un giorno, era nella cella d’isolamento per aver quasi assassinato un uomo nella sala della mensa. Se ne stava seduto come te, Roxas, a fissare la parete di fronte a lui. Ehi, Shelk, che succede?- si interrompe Melissa, fissandola negli occhi. Lei sussulta, ma poi la incita a proseguire.
Melissa sistema meglio la torcia, e poi prosegue il racconto. –Come stavo dicendo, si mise a fissare il muro che lo circondava. Le palpebre sbattevano sì e no dopo due lunghissimi minuti e le iridi erano completamente vuote, come se l’uomo fosse stato cieco solo in quegli istanti. Un potere troppo forte era racchiuso in quell’anima impura, e neppure lui riusciva a tenerlo a bada. In quel preciso istante, chiuse gli occhi ed abbassò il capo. Quando li riaprì, la mostruosità che si vedeva attraverso le sue iridi non poteva essere sopraffatta; seguì un leggero terremoto e poi un black-out. La guardia cominciò a guardarsi intorno, a stringere forte il manganello nella sua mano destra e ad avanzare alla ricerca dell’interruttore. Quando lo trovò, pigiò il pulsante senza attendere e la luce che si accese divenne rossa. Il suo sangue aveva già macchiato le pareti. L’ombra dell’assassino, impressa sulla parete illuminata, vedeva anche, in cima al suo capo, due protuberanze che finivano come le corna di un toro. Ebbene, si dice che quest’ombra oscura, ormai morta da secoli, vaghi ancora qui dentro, alla ricerca di persone da uccidere per soddisfare i suoi bisogni.
-Dai, te ne potevi inventare una migliore-, sorrise Roxy, alzandosi in piedi ed afferrando la sua torcia.
-Lo credo anche io-, concluse Shelk, anche se era chiaro che non era ciò che realmente pensava.
-Be’, ho fatto del mio meglio. Volevo solo far passare il tempo-, replicò Melissa, che sembrava un po’ arrabbiata.
-Non era male,- la interruppe Roxas, -è solo che non è credibile, dato che non sei mai stata qui dentro né conoscevi questo posto prima d’ora.
-Sì, forse hai ragione. Prenderò nota. Magari ne puoi raccontare tu una.
-Probabilmente un’altra volta-, accettò il ragazzo, andando vicino alla porta della stanza.
-Adesso però andiamo, abbiamo già passato troppo tempo qui dentro. Forse gli Strateghi vorranno farcela pagare.
-Non ci vorrebbe proprio. Su, andiamo.
E tutti e tre, come una squadra d’assalto della marina militare, abbandonano quel luogo buio e inospitale, con le torce ben puntate davanti ai loro piedi.


Coralyn vaga senza meta in una lunga stanza con delle luci al neon appese al soffitto più rotte che funzionanti. Il corridoio presenta degli schizzi di sangue contro le pareti vicine che sembrano piuttosto freschi, e questo mette un po’ a disagio il tributo. Mentre prosegue, il suo stomaco brontola e capisce che il momento di nutrirsi. Prende lo zaino che ha dietro la schiena, ci ficca dentro la torcia e poi scava alla ricerca di qualche barretta. Ne trova un paio, e ne mangia una camminando ancora nella stessa direzione. Una larga porta di vetro le appare davanti, alla sua sinistra una porticina invece fatta interamente di legno. Scorgendo dalla sua posizione una fila di cabine da bagno, entra nella porta alla sua destra, e poi, tutto d’un tratto, quella del bagno si chiude, a chiave.
-Ma cosa? Ero convinta che non ci fosse nessuno lì dentro...-, sussurra intimorita Coralyn, cercando di non guardare più in quella direzione. La stanza illuminata nella quale è entrata è arricchita di lavandini, un frigorifero, luci al neon, distributori automatici di bevande energetiche e acqua e un condotto dell’aria. Da lì, sangue che scende. Una goccia dopo l’altra, tutte insieme hanno formato una larga pozza. Ma dato che indietro non può più tornare, decide di infilarsi nel condotto.
-Menomale che ho mangiato una sola barretta-, dice sorridendo. Con un salto piuttosto forte, si aggrappa alla superficie e un paio di gocce di quell’appiccicosa sostanza le cadono sul pallido viso.
-Dannazione, guarda cosa mi tocca fare e subire.
Una volta dentro, usa la torcia per illuminare il condotto e si muove strisciando, cercando di non fare troppo rumore. La porta del bagno si apre nuovamente, qualcuno esce da lì dentro: un uomo calvo, che indossa una tuta arancione, scalzo e con una cicatrice che gli percorre tutto il viso, dalla fronte alla bocca, entra nella stanza dove prima c’era Coralyn e grida, con una voce un po’ effeminata, -Non mi avrete mai!-. Dopodiché si chiude la porta alle spalle, ma la ragazza rimane a fissare quella zona alquanto turbata.
-Ma che sta succedendo qui?
Esce dal condotto dopo pochi secondi e si lancia verso il basso, senza subire gravi danni. Ha solo bisogno di riposare. Si accomoda accanto alla parete e mangia l’altra barretta. Qualcuno da lontano si muove, ma lei sembra non accorgersene. Finito il nutrimento, si rimette in piedi e si avvicina all’unica porta accessibile, con sopra scritto “Library”.
Apre l’uscio, e tutto ciò che le sue labbra riescono ad emettere è un forte urlo, seguito da un rapido svenimento.


Damon trasporta il corpo di Haylee sulla spalla sinistra. Non è riuscito a staccarsi da lei durante quel breve arco di tempo e alla fine ha deciso di metterla in un luogo più sicuro prima che gli Strateghi se la vengano a prendere. Il corridoio che sta percorrendo è pieno di bivi, vicoli ciechi e stanze con casse di legno mai aperte. La luce della sua torcia diventa sempre più fioca, quindi deve raggiungere il prima possibile un luogo più illuminato.
Qualche movimento in lontananza lo disturba: qualcuno sembra aver afferrato una ragazza, ma da lontano è difficile riconoscerla, e poi la conduce nella stanza vicina, che però è indistinguibile. Il tonfo è così forte che la porta cade a terra, alzando una grossa nube di polvere. Damon decide di così di togliersi dalla strada, prendendo il percorso opposto. La luce della sua torcia si spegne proprio quando accede nel corridoio più luminoso che abbia incontrato dall’inizio degli Hunger Games.
-Sì, la fortuna è dalla mia parte-, sussurra fra sé e sé. Ma un altro suono lontano gli piomba nel cervello. L’Hovercraft sta venendo a prendere Haylee, e sembra essere anche molto impaziente.
-Haylee, mi dispiace tanto. Io avrei voluto fare di più per te, ma quello che ho fatto non è evidentemente bastato. Spero tu mi perdonerai da lassù.
Dopodiché lascia il corpo della ragazza sul pavimento come se lo stesse poggiando su un letto di rose per poi stendersi accanto a lei e smuovere i suoi capelli con le sue fragili e rovinate dita. Ma invece tutto ciò che percepisce è freddo, perchè la temperatura dell’Arena è appena scesa sotto zero.
-Damon Rooselvet, non ti lasceremo altri avvertimenti. Non interferire più nella raccolta dei defunti altrimenti potresti diventare uno di loro con un solo schiocco di dita. Speriamo di essere stati abbastanza chiari-, recita l’Hovercraft con la voce elettronica di una donna, piuttosto irata.
-Oh, chiarissimi-, sussurra Damon, mandandoli al diavolo nella sua mente ormai stanca.
Si avvicina triste ad una grata e nota dall’altra parte qualcuno che si muove: sembra essere un uomo, calvo, su una sedia a rotelle, con attacchi epilettici. Forse è un paziente.
Mentre Damon cerca di capire come accedere a quell’area, d’un tratto la luce si spegne. Tutta la struttura va in black-out.
-Ah, è così che volete farmela pagare? Pff.


Il suo sonno sembra non essere mai finito.
Al suo risveglio, Daniel si ritrova immerso nella più totale oscurità. Ma il suo unico pensiero è destinato alla sua ferita. Afferra il manico della sua torcia, pigia l’interruttore e si alza la manica: il dolore è svanito e la lesione è completamente cicatrizzata.
-Non ci posso credere... grazie mille, Eleonor. Non so cosa avrei fatto senza di te. Sento di poter... di poter fare tutto, adesso.
Si alza in piedi e fa un po’ di stretching per rimettere in funzione la parte precedentemente dolorante del braccio. Afferra anche la sua arma, la fa roteare e tutto sembra essere tornato ad un paio di giorni fa.
-Melissa, pagherai caro questo tuo affronto. Io credevo in te e tu invece, cos’hai fatto? Mi hai pugnalato direttamente sul braccio, come se io ti avessi fatto qualcosa. Ah, non è ancora finita.
Alla fine pensa che sia meglio smettere di parlare da solo, altrimenti potrebbero scambiarlo per un paziente e fargli anche una veloce e indolore lobotomia.
La sua torcia sembra essere ancora in buona salute, perciò la usa per illuminare un’uscita da quel corridoio. Lo percorre a tastoni, anche perché sembra essere molto ampio, e molte porte emergono di tanto in tanto dall’oscurità. Ma decreta che è meglio non fermarsi per perdere tempo, altrimenti non troverà mai i suoi avversari. Qualcosa gli dice che si sta particolarmente allontanando da loro, e non è solo una brusca sensazione del suo ego. Un odore di bruciato fastidioso proviene dalle sue spalle, e senza pensarci due volte, capisce cosa sta succedendo: gli Strateghi stanno cercando di avvicinarlo agli altri tributi, in modo tale che ci possano essere cospicui cospargimenti di sangue. Eppure appare strano, dato che sono ancora in nove. Ma evidentemente la pazienza non è un loro forte.
Daniel intuisce che nascondersi in una delle precedenti o successive stanze non servirebbe a nulla, perciò corre senza una meta precisa, pur di sfuggire alle fiamme violente e desiderose di sangue, desiderose di morte.
I suoi ultimi pensieri sono dedicati al fratellino Conan, che probabilmente adesso si starà coprendo gli occhi dalla paura. Starà gridando al fratello di farcela, di correre quanto più possibile, ma Daniel è completamente stanco. Forse sono gli effetti collaterali della medicina.
Ma un passo salva una vita, tavolta. Con un suono meccanico, una mattonella piuttosto larga si apre sotto di lui e i suoi piedi fluttuano nel vuoto, per poi cadere con un tonfo secco sul pavimento inferiore, che puzza di fogna. Le fiamme smettono di inseguirlo.


Micheal ed Amy caminano mano nella mano lungo un corridoio pieno di insidie. Effettivamente non sanno neppure loro come ci sono arrivati lì sotto, hanno solo camminato e camminato dal loro risveglio.
-E così siamo rimasti in nove, Mick.
-Eh già. Non mi aspettavo mica di arrivare a questo traguardo.
Ma Amy sta in silenzio, con il volto abbassato verso il lastricato.
-So a cosa stai pensando, ma non ti preoccupare. Io... a dire la verità, non so neppure io cosa sperare. Io so solo che ti amo, e questo è ciò che conta per me. E dovrebbe contare anche per te.
-Certo che per me è importante, ma...
-Oh, anche io ho amato un tempo. Ma quelle troie mi hanno sempre abbandonato.
I due ragazzi del Distretto 4 si voltano di scatto e si trovano di fronte l’uomo più grosso e alto che abbiano mai visto: forse superiore ai due metri per cento chilogrammi, fa spavento solo guardarlo diretto negli occhi.
-Chi... chi sei tu?
-I nomi non sono importanti, tesorino. Io voglio solo la sposa che merito da una vita, sperando che questa volta sia quella giusta.
-Amy, non lascerò che ti prenda.
-Oh, tu credi che io voglia lei? Non merita assolutamente la tua bellezza, amore mio. Vieni da me, così potrò privarti di quella lurida peluria che ti ritrovi sulla morbida pelle.
Amy sembra leggermente confusa, come se fosse estraniata dal discorso. Micheal spera di aver sentito male, al contrario.
-C-cosa hai detto? Sei forse impazzito?
-Oh, quante cose non sapete di questo posto, e neanche di me. Lasciate solo che vi mostri cosa succede alle persone che mi rispondono male.
L’enorme essere lancia una bomba di gas che esplode all’impatto e, prima che i due possano fare qualcosa, svengono. Il sonnifero ha fatto il suo effetto.

Quando Amy apre gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre, si trova in un armadietto semi-distrutto, con una piccola finestrella dalla quale intravede un tavolo interamente fatto di legno, e uno strano oggetto metallico appuntito che probabilmente gira. Si trova forse in una stanza delle torture?
L’uomo che prima li ha fatti svenire appare da una buia stanza, con un grembiule bianco da macellaio sporco di sangue appeso al suo collo e chiuso con un bel nodo poco sopra l’osso del fondoschiena. In braccio mantiene un ragazzo, completamente nudo, della sua stessa età. E realizza poco dopo che quello è Micheal.
-Micheal, Micheal! Micheal, mi senti?!
L’uomo fissa l’armadietto e inarca le sopracciglia.
-Stupida ragazzina, non può sentirti. E sta’ in silenzio, che devo prepararlo per il matrimonio. Nessuna sposa dovrebbe avere così tanta peluria sparsa per il corpo né portare aggeggi strani nei pressi dell’inguine. Di là c’è anche il vestito che indosserà subito dopo l’operazione. Ma non puoi vederlo, rischieresti di rovinarlo con il tuo torvo sguardo.
-Scusa, quale operazione esattamente?
-Oh, sei lì proprio per vedere se sopravvivrà.
A quel punto, con un sorriso da ebete stampato sulle labbra, afferra dal tavolino degli attrezzi delle stringhe piuttosto resistenti e lega il ragazzo al tavolo, con le gambe e le braccia aperte. Dopodiché, afferra un paio di tronchesi a dir poco grandi. Micheal si sveglia poco dopo.
-Che cosa sta... succedendo?-
-Shhh. Non sforzare la tua voce, tesoro. Sentirai molto dolore, ma non puoi ospitare il nostro feto se prima non sarai estremamente perfetta. Devo inciderti queste oscenità che il tuo corpo presenta perché poi possiamo vivere per l’eternità insieme, come una coppia felicemente sposata e con tanti bambini che andranno a scuola e cresceranno.
-Tu sei pazzo! Pazzo! Non toccarlo nemmeno, capito?
-Amy, Amy, aiutami!
-Non c’è più nulla che possa fare. E, con un rapido movimento, le tronchesi colpiscono l’organo sessuale maschile, per poi penetrare all’interno. Micheal grida come non ha mai fatto in vita sua, e vede la sua vita passargli davanti. I ragazzi del suo Distretto che lo prendevano in giro per la sua provenienza, i suoi genitori che lo hanno sempre amato e probabilmente non riusciranno mai a riprendersi dalla sua morte. Ma tutto ciò che sente, in quel momento, è l’amore che prova per Amy, che adesso sta strillando con le lacrime agli occhi.
Il dolore si attenua poco dopo, e la morte non è ancora sopraggiunta. Ma dopo lo svenimento, l’uomo sembra esserci rimasto un po’ male.
-Non è così che doveva andare. Amy, vero? Mi dispiace che assisterai a questo spettacolo, ma la mia sposa non è degna di indossare il vestito che le ho preparato. Con l’attivazione di una leva, quell’aggeggio rotante comincia a muoversi, e dopo, solo sangue, dappertutto.
Solo le urla di Amy riescono a sovrastare il colpo di cannone che segue la sua morte.
Dal Distretto 4, tante mani si alzano al cielo, in segno di vittoria e rispetto reciproco.



~Spazio autore
Sono qui solo per fare le condoglianze ai creatori dei tributi caduti. Mi è dispiaciuto davvero molto, forse alcune delle morti più difficili da affrontare, ma come sappiamo, gli Hunger Games li vince un solo tributo.
Addio a:

Sophie Emerson, Distretto 7.
Micheal Morgan, Distretto 4.

Se trovate errori gravi, vi prego di farmeli notare e scusate ancora per l'estremo ritardo.
Sempre con affetto,
-Outlast_Amnesia
  
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