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Autore: Feel Good Inc    10/09/2008    13 recensioni
"... Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me, è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..." La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: "Per favore... addomesticami," disse.
[Antoine de Saint-Exupéry, "Il piccolo principe"]
Può la forza di una promessa intaccare il buio di chi ha perso tutto, anche la speranza?
"A volte il cuore vede cose che gli occhi non vedono."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Li Shaoran, Sakura Kinomoto | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Through your eyes

Questa è la fanfiction più lunga che io abbia scritto finora. Alcune mie amiche, tra cui la mia adorabile sorellina virtuale Soili (Sakura182blast), mi hanno consigliato di aspettare che Erika indicesse il prossimo concorso ufficiale di EFP, per cercare di partecipare con questa ff; fino a ieri ero ancora decisa a seguire il loro consiglio, ma una serie di circostanze mi ha fatto cambiare idea. In primo luogo, mi sono resa conto che in genere in questi concorsi si inviano ff ben più brevi di questa; inoltre, ho promesso a me stessa di dimostrare qualcosa ad una persona cui voglio molto bene, e credo che questa storia possa essere il modo migliore per farlo.

Perciò, chiedo infinitamente scusa alle mie dolcissime Melania, Francesca e Soili, che tanto hanno sostenuto questa ff e la possibilità che facesse una bella figura in un concorso… Vi ringrazio ancora per quanto credete in me, e spero solo che non ve la prendiate troppo se me ne sono uscita così all’improvviso pubblicandola!

Ringrazio te in particolare, Soili, perché mi hai sostenuta passo passo e ci hai creduto sempre. E anche se conosci già la storia, non posso fare a meno di dedicartela, insieme a tutta la mia amicizia.

Infine… Un Grazie anche a Te…

Perché so che la leggerai, e so che capirai.

 

Nota: per questa storia ho preso degli spunti, più o meno specifici, da alcune fonti che ci tengo a citare.

La spada magica – Alla ricerca di Camelot

Un film di animazione che personalmente adoro.

Una bambina, di Torey L. Hayden

Un libro duro come la realtà ma poetico come una favola.

Niente di vero tranne gli occhi, di Giorgio Faletti

Un capolavoro di uno dei miei scrittori preferiti.

 

Non mi resta che augurare a tutti una buona lettura… E scusarmi per l’introduzione chilometrica!

 

 

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Through your eyes

«Io vedo con gli occhi tuoi…»

 

 

1

Everything’s changed

 

Que les choses ont changé

Que les fleures ont fané

Que le temps d’avant, c’était le temps d’avant

 

Céline Dion, Pour que tu m’aimes encore

 

 

 

Domenica 2 settembre

 

L’automobile si fermò con un sibilo di pneumatici. Il ragazzo avvertì la lenta frenata della vettura, ma rimase immobile. Nessuna reazione poteva sfiorarlo. Era ancora fermamente contrario a quel viaggio.

«Siamo arrivati.»

La voce di sua madre. Bassa, dolce, affettuosa. Non era mai cambiata. Lei no.

Ancora una volta non si mosse. Voleva restare lì, nel suo buio, per sempre. Non aveva senso tentare. Non aveva nessun senso scendere da quella macchina, inoltrarsi in quel paese sconosciuto, andare di nuovo incontro al mondo. Non per lui. Non più.

Suo malgrado, teneva i sensi all’erta. Si accorse subito che il vecchio maggiordomo scendeva dall’auto, pronto ad aprirgli la portiera.

«L’aiuto io, signorino.»

No, lui non aveva bisogno d’aiuto. Tutto ciò di cui poteva aver bisogno era andato perduto. Non aveva senso tutto questo. Non voleva scendere, accidenti.

Tutto era cambiato. E faceva male. E non sarebbe mai più stato come prima.

L’uomo gli teneva aperto lo sportello, e ora gli sfiorava delicatamente una spalla. Lui non si mosse. Non aveva intenzione di darsi per vinto, di piegarsi.

«Tesoro.» La voce di sua madre vibrò di nuovo nell’abitacolo, intrisa di quello che doveva essere pianto represso. «Shaoran. Ti prego.»

Odiava sentirla così. Odiava sentirla e basta. Odiava sentire, sentire, e non poter fare altro.

Tutto è cambiato.

Sospirò. A quanto pareva, non aveva scelta. Non ce l’aveva più da un pezzo.

Scostando la mano del maggiordomo, tese una gamba, incontrando con il piede il suolo ghiaioso di un vialetto. Si alzò lentamente in piedi, uscendo all’aperto, ascoltando l’ennesimo sospiro che sua madre aveva emesso negli ultimi mesi.

Odiava ascoltarla sospirare. Odiava ascoltarla e basta. Odiava ascoltare, ascoltare, e non poter fare altro.

Tutto è cambiato.

Shaoran sollevò di poco il viso, incontrando una brezza leggera. I suoi occhi vuoti erano fissi sulla città straniera di Tomoeda, ma non erano in grado di vederla.

 

a

 

Quella casa doveva essere un’altra delle numerose residenze estive della famiglia Li. E pensare che lui non ne aveva mai saputo nulla. Ma ciò non toglieva il fatto che lui non voleva averci niente a che fare.

Non voleva starsene lì ad aspettare. Non aveva senso. Per quanto sua madre fosse convinta che quella fosse la cosa giusta, lui voleva solo abbandonarsi al buio, all’oblio, al silenzio. Non voleva tornare a ciò che non aveva più, non voleva nemmeno sperarlo. Non sarebbe mai più stata la stessa cosa. Lo sapevano tutti, maledizione. Allora perché costringerlo in quella stupida, assurda, inutile aspettativa?

Il letto era comodo, ma non era il suo letto.

La casa apparteneva alla sua famiglia, ma non era sua.

Lui non aveva niente, non era niente, non vedeva niente.

Rimase seduto sul soffice materasso ancora per qualche minuto, ascoltando i passi cadenzati del maggiordomo, dall’altra parte del muro, intento a sistemare i bagagli. Con ogni probabilità, sua madre si era rinchiusa in una delle stanze di quella villa apparentemente sconosciuta, e ora si abbandonava al sonno per non soccombere alle solite lacrime che tentava di tenergli nascoste.

E lui? Dov’era lui? Cosa faceva, cosa pensava, cos’era?

Era tutto sbagliato, solo di questo era certo.

Tutto è cambiato.

Si decise. Si alzò cautamente, saggiando il pavimento con i piedi. Percorse il perimetro della stanza che gli avevano affidato, una mano costantemente al muro, fino a trovare la porta. Cercò la maniglia, la sfiorò, aprì lentamente l’uscio e percorse a ritroso il tragitto che lo aveva condotto lassù, scendendo dalla scalinata con prudenza.

Quando si sentì giunto al piano inferiore, la voce affannata del solitamente imperturbabile maggiordomo lo raggiunse.

«Signorino Shaoran? Dove sta andando?»

Fuori, fuori da tutto questo!

Non rispose. Si limitò a riprendere a camminare lentamente, sempre accanto alla parete.

«Signorino Shaoran, sua madre non sarebbe affatto contenta. Lasci almeno che io l’aiuti…»

Si irrigidì all’istante, fermandosi, percependo la vicinanza solerte dell’uomo alle proprie spalle.

«No, Wei, lasciami andare da solo.»

«Ma signorino…»

«Niente ma. Almeno tu, lasciami fare ciò che voglio!»

Silenzio. Aspettò una reazione, cercando di non lasciar fluire la propria collera frustrata.

Quando parlò di nuovo, il maggiordomo aveva un tono sommesso e rattristato.

«Come preferisce, signorino.»

Con un brusco cenno del capo, il ragazzo riprese a muoversi. Arrivò infine all’uscio principale, che tirò a sé e spalancò. Uscì, impaziente, chiudendosi la porta alle spalle, lasciandosi dietro tutto, la casa silenziosa, il sonno fiducioso e ristoratore di sua madre, lo zelo preoccupato del maggiordomo, tutto, come aveva già fatto prima, quando tutto era cominciato.

L’aria di Tomoeda era quella di una tranquilla cittadina giapponese, in una comune domenica mattina degli inizi di settembre, e sembrava volerlo accogliere a sé, al pari della stessa speranza che aveva mosso sua madre, quella che lo aveva indotto ad accettare di lasciare Hong Kong. Ma lui non apparteneva a tutto questo. Lui non vedeva tutto questo… Non vedeva.

Con la stessa cautela, portando un piede davanti all’altro, Li Shaoran percorse il vialetto della villa che non sapeva di possedere, addentrandosi su un cammino invisibile ai suoi vani occhi vuoti, ancora una volta solo con i propri pensieri e i propri ricordi.

 

 

 

 

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Lo so, come inizio è un po’ enigmatico… I primi capitoli saranno ugualmente brevi, spero solo che non vi annoino troppo.

Un’altra cosa (più che altro, una preghiera che vi rivolgo fin da subito): non uccidetemi per ciò che ho fatto a Shaoran…

Grazie ancora per l’attenzione e a chi deciderà di recensire.

Sayonara minna!

   
 
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