Film > Pirati dei caraibi
Segui la storia  |       
Autore: Koori_chan    26/08/2014    4 recensioni
[L’Ottobre del 1703 era uno dei più caldi che la gente di Londra ricordasse.
Per strada i bambini correvano scalzi schiamazzando senza ritegno, e sul mercato si vendeva ancora la frutta dell’estate; il sole, che già aveva incominciato la sua discesa verso l’orizzonte, illuminava i dock di un’atmosfera tranquilla, pacifica, quasi si fosse trattato di un sogno intrappolato sulla tela di un quadro.]
Quando un'amicizia sincera e più profonda dell'oceano porta due bambine a condividere un sogno, nulla può più fermare il destino che viene a plasmarsi per loro.
Eppure riuscirà Cristal Cooper, la figlia del fabbro, a tenere fede alla promessa fatta a Elizabeth Swann senza dover rinunciare all'amore?
Fino a dove è disposta a spingersi, a cosa è disposta a rinunciare?
Fino a che punto il giovane Tenente James Norrington obbedirà a quella legge che lui stesso rappresenta?
E in tutto ciò, che ruolo hanno Hector Barbossa e Jack Sparrow?
Beh, non vi resta che leggere per scoprirlo!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Hector Barbossa, James Norrington, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Capitolo Quattordicesimo~






L’acqua sciabordava cauta contro i fianchi della nave, ma non era un suono gentile, leale. No, quello era un suono meschino e beffardo, intriso di cattiveria, proprio come il macabro sorriso sulle labbra del Capitano.
La nebbia densa e crudele sembrava filtrare direttamente dalle assi scricchiolanti fino a impregnare le ossa in un brivido incontrollabile.
Tutto a bordo di quella nave sapeva di morte, ogni cosa aveva il colore malato della putrescenza. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quel vascello, lo sentiva nell’aria, lo percepiva come il sangue nelle vene.
Si impose di rimanere salda nonostante la paura e piantò gli occhi in quelli dell’uomo, un’espressione sfrontata a nascondere il terrore.
Se doveva morire, almeno l’avrebbe fatto a testa alta.
Il Capitano mosse un passo verso di lei, facendola indietreggiare, ma il ghigno sul suo volto era scomparso, lasciando spazio ad uno sguardo cupo e spento.
- Avete perso la lingua, signorina? – incalzò, e attraverso la patina di strafottenza la giovane percepì una punta di impazienza.
Non rispose, né chinò il capo.
Rimase immobile, i pugni serrati lungo i fianchi nel tentativo di contenere i sentimenti che la stavano scuotendo con violenza.
L’uomo si avvicinò ancora, alzando una mano in sua direzione, ma si fermò di colpo quando ricevette lo sputo della ragazza in pieno viso.
- Non ho nulla da dire ad un verme come voi. – sibilò, piena di rancore.
Quello si pulì il viso con la manica della giacca e caricò la pistola, puntandogliela contro minaccioso.
- D’ora in avanti siete mia prigioniera. Non uscirete da questa cabina a meno che non sia io ad ordinarlo e qualsiasi atto di insolenza sarà punito con la morte. – sentenziò con un fremito nella voce che tradì la sua ira.
Portò una mano sulla superficie della porta e spinse appena, per poi voltarsi con un piede già oltre l’uscio.
- Sempre che non sia colto da un profondo atto di generosità. – insinuò.
- In tal caso, prima di uccidervi, potrei cedervi in prestito alla ciurma!- e, sghignazzando di fronte all’espressione inorridita della giovane, uscì sbattendo la porta, i suoi passi pesanti a rimbombare per le scale fino al ponte di coperta.
Cristal fissò per qualche istante la porta chiusa, poi, in un gesto di stizza, si scagliò contro il legno scuro assestandogli un pugno poderoso che ebbe il solo effetto di sbucciarle le nocche.
- Bastardo! Te la farò pagare! – gridò a pieni polmoni, finchè roventi lacrime di frustrazione non presero a sgorgarle lungo le guance.
Voltate le spalle alla porta, attraversò la cabina prendendo a calci tutto quello che le capitava a tiro, finchè non individuò un grosso mobile addossato ai finestroni su cui potersi sedere.
Si arrampicò lasciando cadere a terra il ciarpame che ingombrava la superficie e portò le ginocchia al petto, circondandole con le braccia.
La Perla Nera.
Quella era la nave che un tempo era appartenuta a Jack Sparrow, prima che il suo primo ufficiale gli si ammutinasse contro e lo lasciasse a morire su uno sputo di terra in mezzo al mare.
Ricordò l’ondata di disgusto che aveva provato nei confronti di quell’uomo tanto meschino quando Jack le aveva raccontato la vicenda, e la sentì rinnovarsi triplicata in seguito alla distruzione della Diablo.
Abbassò gli occhi fino ad incontare la figura appena sfocata delle sue mani lerce di sangue, e le lacrime che si erano seccate fra le sue ciglia ripresero a scorrere senza tregua, questa volta non alimentate dall’ira, ma da una disperazione cupa e profonda come l’Oceano attorno a loro.
Ripensò a Toby, a come si fosse affezionata a quel ragazzino sempre bisognoso di supervisione e tuttavia così incredibilmente solare ed ottimista.
Era stato lui a scorgere il suo corpo privo di sensi aggrappato a un’asse di legno e a dare l’allarme.
Poi il suo pensiero andò a Finn, il cuoco senza una gamba, il fiero e ironico Irlandese che amava cantare nella sua vecchia lingua misteriosa.
Adorava sgattaiolare in cucina e importunarlo finchè non sbottava in Gaelico, mulinando la sua gamba di legno in segno di minaccia.
Per ultimo rivide davanti ai suoi occhi il buon Ramirez, troppo onesto per poter sopravvivere in quel mondo spietato nel quale aveva deciso di avventurarsi.
Il suo ottimismo sembrava nutrirsi dei sorrisi dei suoi marinai, e nessun bottino lo rallegrava di più di una bella bevuta in compagnia.
Avevano trascorso assieme due anni, e adesso immaginarli freddi e morti sul fondo del mare le sembrava una cosa impossibile.
Perché la Perla li aveva attaccati? Per quale motivo lei era sopravvissuta? Perché non era affondata con loro?
Fu un istante, e le tornarono in mente le parole che le aveva rivolto Ramirez quel giorno lontano nella sua piccola e accogliete cabina.
“Dios vi ha fatto la grazia di salvarvi dalla furia dell’Oceano: la vostra vita deve valere molto.”
Forse il destino aveva in serbo altre imprese per lei?
In quel momento non le importava.
La sua famiglia era stata sgretolata dalla potenza dell’esplosione, e lei sarebbe certamente morta da lì a poco.
Qualsiasi cosa il destino avesse in mente, lei non aveva alcuna intenzione di prestargli ascolto.
Per il momento voleva solo chiudere gli occhi, dimenticare.
Appoggiò il capo sulle ginocchia e, cullata dalla stanchezza e dal rollio della nave, crollò addormentata.
Fu qualcosa di soffice a svegliarla. Sembrava una piuma, era morbido e delicato, e quando le sfregò il naso lo sentì pizzicare e trattenne uno starnuto. Aprì gli occhi di scatto, e ciò che vide la fece urlare di terrore.
A meno di mezzo centimetro dal suo naso, un paio di vispi occhietti scuri la stavano scrutando incuriositi, mentre due manine frenetiche le tiravano piano i capelli.
All’urlo improvviso della ragazza la creaturina fece un balzo all’indietro, andandosi ad arroccare su un baule, a distanza di sicurezza.
Era una scimmia. Su quella nave c’era una scimmia.
Ripresa una respirazione regolare, Cristal si concesse qualche secondo per osservare la sua bizzarra compagna di prigionia. Si trattava di una bestiola dalle dimensioni ridotte, aveva il pelo corto e castano e il muso e le mani glabri. La cosa più assurda, però, era che vestiva come un umano. Indossava un paio di minuscoli pantaloni marroni e un pacciotto rosso e oro al di sopra di una camicina dalle maniche ampie, la coda lunga e affusolata a muoversi sinuosa ad ogni movimento della bestiola.
Chissà chi era quel pazzo che aveva perso tempo a confezionare quegli abiti in miniatura…
Senza nemmeno rendersene conto, Cristal prese a far schioccare piano la lingua contro il palato, portando una mano in avanti e sfregando piano le dita fra di loro nel tentativo di richiamare l’attenzione della scimmietta.
Quella inclinò la testa di lato, indecisa se prestarle attenzione o continuare nella sua personalissima ispezione della cabina, ma dovette convenire che il ciarpame sparso per terra poteva attendere, e mosse qualche cauto passo a quattro zampe verso la giovane.
- Su bella, vieni qui! Brava… vieni qui… - sussurrò la figlia del fabbro continuando a far schioccare la lingua.
La scimmia si fermò un momento e gettò un’occhiata al di là della sua spalla destra, quasi avesse voluto chiedere il permesso ad un padrone invisibile, poi spiccò un balzo e raggiunse nuovamente il mobile su cui se ne stava appollaiata la prigioniera.
Dapprima titubante, poi sempre più decisa, la bestiola annusò le mani di quella sconosciuta e decise che non era un pericolo, posando la testolina sul suo palmo aperto.
Cristal sorrise, intenerita da quell’animaletto così fuori luogo su una nave che trasudava cattiveria da ogni chiodo.
- Ma che brava che sei! Sei proprio una bella scimmietta, sai? – fece sottovoce grattandole il capo, mentre quella emetteva striduli versi di apprezzamento.
Aveva uno sguardo così furbo e intelligente che per un momento si chiese se non capisse davvero le sue parole.
- Vedo che avete già fatto la conoscenza di Jack! –
Quella frase improvvisa la fece voltare di scatto; la scimmia spostò lo sguardo sulla porta aperta e con due balzi abbandonò Cristal per raggiungere la spalla del suo proprietario.
Il Capitano della Perla Nera le concesse una rapida grattatina dietro le orecchie, poi si chiuse la porta alle spalle, stavolta con cautela.
Jack.
Non si sarebbe affatto stupita nello scoprire che la scimmia doveva quel nome al precedente Capitano. Storse il naso di fronte all’irriverenza dell’ammutinato e incrociò le braccia al petto, alzando il mento e puntando nuovamente lo suardo fuori dai vetri incrostati di sale e di sporco.
- Avete un nome, milady? – domandò il pirata con tono mellifluo.
Cristal gli scoccò un’occhiata di fiele.
- Così come lo avrete voi, suppongo… -
Stranamente, quello parve apprezzare la risposta.
- Avete ragione, ve lo concedo. – replicò, la scimmietta che giocherellava con le piume del suo cappello.
- Il mio nome è Hector Barbossa, e sono il Capitano di questa nave. Quanto a voi? –
Cristal lo osservò attentamente.
Era alto, molto alto.
Sotto al cappello indossava un fazzoletto di un cupo verdeacqua legato a mo’ di bandana. Portava i capelli appena ondulati all’altezza delle spalle; erano stati forse color del grano, striati qua e là da qualche bagliore rossiccio, proprio come i suoi. Attorno alle labbra crescevano un paio di baffi e una barbetta del medesimo colore.
Il suo naso era dritto e grosso, e portava via un po’ della sua aura minacciosa.
Sotto un paio di sopracciglia ispide se ne stavano, spalancati di curiosità, i suoi grandi occhi blu, e per un assurdo momento si ritrovò a pensare che degli occhi di quel colore non potevano appartenere ad una persona tanto malvagia: mai, in tutta la sua vita, Cristal Cooper aveva scorto nelle iridi di qualcuno una tonalità tanto pulita e gentile, come il limpido orizzonte in un pomeriggio d’estate.
Forse Hector Barbossa era un uomo crudele e spietato, ma di certo non lo erano i suoi occhi.
Per ultima notò la cicatrice.
Era biancastra, sottile, quasi elegante, come un lungo graffio silenzioso che si allungava dall’occhio destro attraverso tutta la guancia.
Per un brevissimo quanto vivido istante, la giovane ebbe la sensazione di ricordare quel viso, quasi l’avesse già incontrato, o avesse sentito parlare di lui.
Fu solo un momento, e la figlia del fabbro si scrollò di dosso quella sensazione umida e fredda con un brivido leggero.
- Cristal Cooper. – si presentò, senza aggiungere più di quanto non le fosse stato chiesto.
- Cooper… - l’uomo si lasciò rotolare quel nome fra le labbra come fosse stato miele, assaporandone ogni sillaba, ogni vocale.
Quella deglutì, infastidita e soggezionata dallo strano interesse che l’uomo sembrava nutrire per la sua persona.
- Siete molto giovane, Miss Cooper. Com’è che una ragazzina della vostra età e bellezza si trovava su una nave pirata? –
Cristal storse il naso di fronte al complimento, sempre più a disagio.
- Cosa volete da me? – domandò in risposta, stringendosi inconsapevolmente verso la vetrata.
Barbossa dovette notare il fremito di paura nella sua voce, perché le sue labbra si tesero leggermente verso l’alto in quello che forse voleva essere l’abbozzo di un sorriso tranquillizzante.
- Niente di speciale, per il momento… - considerò, le cornee giallastre ad indugiare sulla scollatura della sua camicia.
Si portò istintivamente una mano a stringere il colletto, incontrando la fredda superficie della sua conchiglia a spirale.
Solo a quel punto, mentre il Capitano le faceva un cenno col capo e si chiudeva la porta alle spalle lasciandola sola, Cristal se ne rese conto.
L’aveva vista, aveva visto la collana.
Se prima le sue probabilità di salvarsi la pelle erano terribilmente remote, adesso si erano del tutto volatilizzate.
Doveva trovare un modo per scappare da lì, e doveva farlo in fretta.
Trascorse il pomeriggio alla disperata ricerca di un piano, misurando a grandi passi la cabina.
Era nervosa, troppo nervosa per poter riuscire a pensare come si deve, per di più sembrava che il tempo si divertisse a prendersi gioco di lei, scorrendo più in fretta del dovuto.
Quando il sole calò dietro lo strato di nebbia, aveva trovato solamente un vecchio coltello arrugginito e una pistola scarica.
Un improvviso toc toc annunciò la presenza di qualcuno alla porta, spaventandola al punto di fare un balzo indietro e puntare le armi di fortuna verso l’ingresso della cabina.
L’uscio si aprì senza che lei avesse ancora osato emettere un suono, ma invece del Capitano, si ritrovò al cospetto di due individui bizzarri e terribilmente male assortiti.
Uno era basso e tarchiato, e pochi capelli radi gli pendevano dalla testa come fili di ragnatele; l’altro era più alto e smilzo, la chioma di un biondo sporco ed insignificante e gli occhi di due colori diversi: uno era azzurro e l’altro, scheggiato e fisso, era un banalissimo occhio di legno dipinto di marrone.
Entrambi gettarono un’occhiata confusa alla prigioniera, poi depositarono sul tavolaccio che se ne stava in mezzo alla stanza una bacinella piena d’acqua e un fagottino bianco.
- Un’offerta da parte del Capitano… - spiegò lo smilzo con un sorriso imbarazzato.
Che tipo strano.
Cristal mosse qualche passo titubante verso il tavolo e raccolse lo straccetto bianco, che si rivelò essere una camica.
La squadrò con disgusto e alzò il capo, impettita.
- Non ho bisogno della sua carità. – sentenziò, fredda.
A questo punto fu l’altro a parlare, con un ghigno decisamente meno candido di quello del suo compare.
- Non è carità verso di voi, ma verso sé stesso: puzzate di morto. – spiegò con un cenno alla sua camicia incrostata di sangue.
La ragazza sgranò gli occhi e serrò le labbra, offesa, mentre il biondino guardava il suo amico con rimprovero, quasi non avesse gradito una simile espressione rivolta ad una fanciulla, poi entrambi fecero dietro front.
- Non sei stato per niente carino con lei! – sentì borbottare Occhio-di-Legno nonappena ebbero chiuso la porta.
Sbuffò e posò la camicia sul tavolo, notando un grande specchio in un angolo della cabina, vicino a quella che doveva essere la branda del Capitano, ritrovandosi a pensare che Barbossa doveva essere davvero un tipo vanitoso per tenere un simile oggetto a bordo.
Quando la sua figurà entrò nel perimetro della cornice si rese conto davvero di cosa intendessero di due pirati che erano venuti a importunarla poco prima: la sua camicia, un tempo color sabbia, era intrisa di sangue e strappata in più punti, dove la battaglia era riuscita a colpirla.
Se la sfilò e si sciacquò velocemente, indossando con riluttanza l’indumento offertole dal Capitano.
Tornò di fronte allo specchio e storse il naso, passandosi una mano sul braccio nudo per poi giocherellare con la collana.
Ah, se solo sua madre fosse stata lì con lei! Con il suo aiuto sarebbe senz’altro riuscita a tirarsi fuori da quell’enorme pasticcio in cui era andata a ficcarsi!
E mentre il suo pensiero indugiava sul volto gentile di Marion, la porta della cabina si aprì nuovamente, l’incedere lento e pesante degli stivali ad annunciare l’arrivo di Capitan Barbossa.
Si voltò lentamente per vedere l’uomo prendere posto su una sedia e posare i piedi sulla superficie del tavolo.
- Così va molto meglio, non credete? – esordì.
Cristal gli rivolse un’occhiata severa.
- Mi avete dato una camicia da donna. – si lamentò tornando a squadrare il sangallo bianco e le cuciture in filo rosso che decoravano le maniche corte e la scollatura quadrata.
- Mi è forse sfuggito qualcosa a riguardo della vostra identità? – domandò Barbossa inarcando un sopracciglio in un’ironia sfottente.
La ragazza fece una smorfia.
- Non sono abituata ad indossare abiti femminili, tutto qui. – concluse, rimpiangendo già il suo ampio camicione di lino che le nascondeva magnificamente il seno.
Silenziosa come un gatto, tornò ad arrampicarsi sul mobile a cassettoni, mentre la scimmia di Barbossa balzava accanto a lei, ben decisa a giocherellare con le sue ciocche bionde.
Continuò a giocare con l’animaletto e non levò il capo nemmeno quando un mozzo nerboruto portò in cabina una scodella di zuppa fumante.
Barbossa, che era rimasto in silenzio ad osservarla, prese finalmente la parola.
- L’ho fatta preparare per voi. Su, mangiate. – ordinò con una sfumatura che in altre circostanze sarebbe potuta sembrare anche gentile.
- Premure sprecate, Capitano. Non ho fame, mangiatela voi. –
Ma a quelle parole il viso del pirata si contrasse in una smorfia che la giovane non riuscì a classificare: era rancore, era rimpianto, e un dolore antico che la fece sentire in colpa senza motivo.
L’uomo si alzò in piedi e con un gesto della mano richiamò a sé la scimmietta.
- Fate sogni d’oro, Miss Cooper… - le augurò, il solito ghigno inquietante rimpiazzato da un’espressione seria, quasi di rimprovero.
- Chissà… - aggiunse poi.
- Forse domani vi ucciderò… -
E la cabina ripiombò nel silenzio, mentre il fumo si alzava pigro e tremolante dal piatto.
Per altri tre giorni Cristal Cooper si rifiutò di toccare cibo, limitandosi a sorbire in silenzio un po’ dello schifosissimo rum che le avevano rifilato perché non morisse di sete.
Ogni giorno Barbossa si presentava a farle visita, e ogni sera prendeva congedo con quell’inquetante e terribile frase.
- Chissà, forse domani vi ucciderò… -
Ma entrambi sapevano che quelle parole avevano perso il loro effetto intimidatorio già alla seconda sera.
Erano tante le cose che la figlia del fabbro non capiva, in primis dove diamine trascorresse il suo tempo il suo aguzzino.
Non mangiava in cabina, come si sarebbe aspettata che fosse, né vi dormiva. La giovane lo vedeva in quel luogo solamente un paio di volte al giorno, all’unico scopo di estorcerle qualche informazione.
Fu la quarta sera che l’incomprensibile routine venne spezzata da un evento che mise Cristal in imbarazzo e che lasciò Barbossa turbato.
Come sempre il pirata le aveva fatto preparare da mangiare, e come sempre la ragazza si era rifiutata di scendere dal mobile a cassettoni.
Quando stava per andarsene, però, uno strano gorgoglìo lo trattenne con una mano sulla porta.
Si voltò giusto in tempo per vedere la fanciulla tenersi la pancia in un’espressione più che imbarazzata e gettare occhiate furtive alla scodella colma di brodaglia.
- Per quanto ancora intendete portarmi rancore? –
La bionda si morse un labbro e sospirò.
Non poteva cedere, ma più che l’onore poté il digiuno e, rossa di vergogna, scese dal mobile e strisciò china verso il tavolaccio.
- Voi avete distrutto la mia nave e massacrato la mia ciurma. Dovrei forse perdonarvi? – si risolse a rispondere dopo alcune avide sorsate all’intruglio disgustoso.
Barbossa si strinse nelle spalle.
- La carità non è amica dei pirati. – si limitò a constatare, sedendosi di fronte a lei.
Trascorsero qualche minuto senza parlare, il silenzio interrotto dal rumore del cucchiaio contro il fondo della scodella, poi Cristal azzardò la domanda che più le premeva da quando si era ritrovata prigioniera della Perla.
- Voi non mangiate. Non dormite. – esordì, radunando gli sfuggevoli pensieri.
- Chi siete, davvero? –
Il Capitano trasse un profondo sospiro. Stanco e consumato, sembrava una vecchia fisarmonica piena di polvere e ruggine.
- Forse sarebbe meglio chiedervi cosa sono, Miss Cooper. – suggerì con lo sbuffo affaticato di una coscienza martoriata.
Il blu dei suoi occhi si incupì fino a diventare il fondo fangoso di una palude, mentre ricordi beffardi gli risalivano lenti su per la gola.
La ragazza deglutì l’ultimo boccone di liquido e pane raffermo, non più così certa di voler conoscere quella storia, ma ormai aveva risvegliato il fantasma di un’epoca passata, e ascoltare era la sua unica opzione.
Barbossa raccontò a lungo, le narrò di tempi lontani, di un uomo curioso e avido, intraprendente e scellerato. La Perla e il suo giovane Capitano salpavano in cerca di un tesoro, e nessun richiamo era più forte di quello dell’oro, per i gentiluomini di ventura.
Il racconto dell’ammutinamento si srotolò nuovamente di fronte agli occhi della figlia del fabbro, dipinto di tinte diverse, a volte più cupe, a volte più sbiadite. Ma il tradimento ha sempre un suo prezzo, e presto anche Barbossa e i suoi avevano dovuto venire ai patti con la loro condotta.
Il tesoro era maledetto, e gli ammutinati, abbandonando Jack Sparrow, avevano salvato la vita a lui e rinunciato alla loro.
- Ironia della sorte… - si lasciò sfuggire lei in un commento velatamente accusatore.
Barbossa però non poté negarle la ragione e annuì, i due ritagli di palude illuminati dal ricordo di qualcosa di perduto.
- Immaginate di bere e non dissetarvi, di mangiare e non sfamarvi. Immaginate di ricordare tutto, e non sentire più nulla. Né gli spruzzi dell’onda sul viso, né il calore di un fuoco scoppiettante. Nulla, Miss Cooper, se non il desiderio ardente di porre fine a quest’eterna agonia. Voler morire, e non poterlo fare. – spiegò in un soffio.
E la fanciulla comprese in uno sguardo che più di una volta, molti anni prima, l’uomo aveva cercato di essere padrone del proprio destino e ribellarsi all’ingiusta punizione.
- E come fate a… Come fate a non impazzire? – balbettò, colpita con violenza da quel dolore senza fine, quella straziante condizione di vuoto di cui era attonita spettatrice.
Il pirata si concesse un sorriso sghembo.
- Voi vedete ora le sembianze di chi fummo, ma è la Luna a mostrare la nostra vera natura: siamo cadaveri, cumuli d’ossa. Ma il forziere attende paziente, e quando ogni pezzo del tesoro sarà restituito, avremo indietro la nostra speranza, e la maledizione si spezzerà. –
Attese qualche secondo, gli occhi a indugiare sul viso pallido e sulla bocca socchiusa della prigioniera.
Solo dopo si accorse della mano piccola e affusolata posata sulla sua.
- Mi dispiace… -
La voce di Cristal Cooper parve accartocciarsi su sé stessa come un foglio di carta divorato dalle fiamme. Incenerita dall’antitesi di quel momento, fluttuò lieve nell’aria statica, depositandosi quieta e rovente sulla pelle dell’uomo.
Quello, con stupore, percepì per la prima volta il bruciore selvaggio della sincerità e si sentì sferzare il petto da quella compassione di brace che, assieme alle parole, vi si era posata senza un suono.
Prima che la ragazza potesse veder sorgere ciò che aveva bandito dal suo cuore da più di vent’anni, Hector Barbossa si alzò in piedi e abbandonò la stanza.
- Buonanotte, Miss Cooper. –
Nessuna minaccia di morte, quella sera.
Solo un’angoscia gonfia e profonda e il germe di qualcosa che avrebbe presto cambiato le carte in tavola.
Da prigioniera, Cristal Cooper divenne ospite.










I giorni si susseguirono silenziosi e ammantati dalla bruma che avvolgeva la nave come il velo di una sposa; il Capitano continuava a scendere in cabina, ma non era più un’imposizione: la figlia del fabbro sembrava quasi aspettare con impazienza le sue visite, unica finestra sulla vita al di fuori di quella stanza traboccante di oggetti.
- E fu così che quel branco di ingrati mi abbandonò a Ouessant, e sai come dicono da quelle parti… - raccontò un pomeriggio soleggiato Barbossa, osservando con aria misteriosa una delle sue mele.
- Qui voit Ouessant voit son sang!1 – esclamarono assieme con un sorriso divertito, mentre Cristal si stupiva del suo Francese perfetto e senza accento.
- Furono loro a rendere scarlatte le acque attorno all’isola. Li colse una tempesta e la nave andò a schiantarsi contro gli scogli. Uccidere l’albatros fu la mia salvezza. – continuò, lanciando il frutto alla prigioniera.
Quella lo prese al volo e vi affondò i denti con soddisfazione, il succo zuccherino a bagnarle le labbra.
Fu mentre masticava che si accorse di conoscere già quella storia.
Dove l’aveva già sentita? Era stato Gibbs? O forse si trattava di uno dei racconti di Abraham il libraio? Eppure non era la loro voce a narrare quelle vicende avventurose, nei suoi ricordi.
Rimase qualche secondo in silenzio, la mela rosicchiata ancora stretta in mano, finchè non si accorse che anche Barbossa aveva smesso di parlare e adesso fissava la sua collana con malcelato interesse.
Era evidente la sua curiosità nei confronti del ciondolo, ma in tutto quel tempo non aveva azzardato nemmeno una domanda a riguardo, quasi un’eventuale risposta lo terrorizzasse.
A volte sembrava sul punto di portare la conversazione su quell’argomento, ma quando era a un passo dalla meta virava bruscamente, cambiando discorso o lasciandola di nuovo sola nel silenzio della cabina.
- Quanto a te, Cristal, cosa ti ha portata a solcare gli oceani alla tua età? –
Ecco che ci riprovava, cauto e amichevole.
Il voi era decaduto già da un pezzo, incapace di reggere l’assurda intesa che era andata a crearsi fra vittima e aguzzino.
La verità era che Cristal sapeva che Hector non le avrebbe mai torto nemmeno un capello. Era una consapevolezza sottile e resistente come una ragnatela, la tacita promessa fra Luna e maree.
Ad ogni tramonto, ad ogni sorgere del sole, la ragazza sentiva con sempre maggiore chiarezza che il cuore nero di quel pirata dai modi teatrali e stravaganti batteva a ritmo con il suo.
Sconosciuti, vedevano nel cielo gli stessi colori, udivano nel vento gli stessi suoni.
Con Jack era felice, ma sapeva che non si sarebbero mai capiti fino in fondo. Hector era diverso, comprendeva i suoi timori e le sue speranze senza il bisogno di emettere un suono, e con un solo sguardo d’oceano sapeva trovare le risposte ai suoi interrogativi.
A volte si sentiva in colpa, una traditrice che aveva stretto un legame con l’assassino della sua ciurma, ma più le onde si aprivano a prua, più comprendeva quanto in mare non esistessero confini netti, nemmeno in materia morale.
“Il Codice è più che altro una traccia, che un vero regolamento” diceva sempre Marion, e stava iniziando a capire il vero significato di quelle parole.
- Se dovessi dire da dove tutto è incominciato, probabilmente dovrei partire da mia madre. – esordì con un grande sospiro.
- Da che ne ho memoria mi ha sempre raccontato le sue avventurose e stravaganti storie di pirati ed è così che sono cresciuta, avventurosa e stravagante, con il sogno costante di poter, un giorno, imbarcarmi e fare vela verso il mio tesoro. Inizio a credere che se non fosse stato per tutte quelle storie adesso sarei ancora a Port Royal a domandarmi quale fosse la scelta giusta… -
E fu con il solito sorriso amaro che dedicava al suo passato che raccontò di come la figlia del fabbro divenne la Figlia della Tempesta, affrontando naufragi e soldati per ritrovare la sua famiglia.
Evitò alcuni dettagli, ad esempiò l’identità del suo accompagnatore in quel viaggio ai limiti della follia, oppure tutto ciò che concerneva la collana, e infine tornò a quel giorno sulla Diablo, appena prima che la nebbia li avvolgesse nella sua morsa quieta e terribile.
Terminato il racconto, Barbossa annuì piano, quasi avesse ancora dovuto finire di incamerare tutte quelle informazioni.
- Indubbiamente una storia avvincente… - commentò poi, tornando a serrare le labbra di fronte allo sguardo opaco della ragazza.
- Mi chiedo solo se ho fatto davvero tutto quello che era in mio potere… Insomma, ho abbandonato mia madre, e… Non so nemmeno se è ancora viva o se… - ma non riuscì a terminare la frase, interrotta dalla voce del Capitano.
- Non credo che una donna capace di far perdere le proprie tracce per sei mesi abbia bisogno di protezione… Tua madre mi sembra una persona decisamente scaltra, nonostante tutto… - commentò mostrando di nuovo i denti.
Cristal si strinse nelle spalle.
- Dote di famiglia. Onestamente non credo che la ricchezza degli Hawke sia derivata esclusivamente dal sudore della loro schiena… - commentò con un ghigno: dopotutto erano una famiglia di mercanti…
Un fremito percorse le iridi dell’uomo come una folata di vento, le labbra impercettibilmente curve verso l’alto.
- Dote di famiglia… - ripeté, assorto.
- E della collana che mi dici? –
Cristal trattenne il respiro. Era succeso, finalmente la domanda era stata posta.
Di colpo, come il bagliore improvviso di una saetta, Cristal tornò indietro di sei anni, seduta al tavolo di una piccola cucina, mentre una giovane donna asciugava le stoviglie e si sbarazzava delle briciole.
“Mamma, perché indossi sempre quella collana?”
E in un istante ricordò dove aveva già sentito la vicenda dell’albatros, ricordò ciò che aveva udito a bordo della Dauntless nella sua traversata verso i Caraibi.
“Volete dire che c’è un uomo che fa saltare in aria sistematicamente tutti i vascelli che incontra?”
La voce terrorizzata di Swann mentre navigavano sempre più lontano da quella nebbia innaturale.
“Sono solo voci, ma… sembra che il Faucon sia ancora in circolazione.”
Un uomo colto dalle parole senza accento, la maledizione, un addio, molti anni prima, la morte, il ritorno.
Ogni tassello andò al suo posto e Cristal spalancò gli occhi, sconvolta dalla scoperta.
Hector Barbossa era il Faucon du Nord.
- La collana… - balbettò, come pietrificata.
- Insomma, è un oggettino strano da trovare al collo di una ragazza, non trovi? – e anziché una semplice domanda le parve la più subdola delle insinuazioni.
Cosa dire? Come reagire?
Ancora una volta, Cristal Cooper scelse di utilizzare l’arma meno conosciuta e più temuta fra i pirati: l’onestà.
- E’ stato un dono. Da parte di mia madre. – si limitò a confessare.
Barbossa le rivolse una lunga occhiata silente.
- Tua madre… - sembrava quasi che pronunciare quelle parole gli ferisse le labbra, da tanto il suono ne uscì sibilante e sofferente.
- E prima che la donasse a te, è sempre stata sua? – continuò, le mani strette attorno ai braccioli della sedia.
C’era qualcosa di strano in quella conversazione, di sbagliato.
Come se quella collana fosse stata fonte di mali indicibili, come se Barbossa ne fosse spaventato e la sua vista gli facesse ribollire nelle vene un antico rancore.
- No. Non sempre. – si affrettò a rispondere, un’inquietudine nera a montarle nel cuore.
- Un tempo apparteneva a… all’Ancien Marin. –
- L’Ancien Marin? – il pirata inarcò un sopracciglio, incuriosito da quell’appellativo.
Cristal prese una rapida boccata d’aria, forse c’era un modo di scoprire qualcosa di più mantenendosi in una posizione neutrale…
- E’ così che lo chiamavano in paese. Mia madre mi ha parlato di lui, di quando l’ha conosciuto a Rouen. E’ stato lui a consegnarle la collana e a farsi promettere di proteggerla sempre. Probabilmente già all’epoca i Filippini erano sulle sue tracce… - finse di considerare.
Barbossa parve abboccare: finchè l’avesse creduta ignorante riguardo alla sua vera identità e al significato del suo ciondolo, forse, le cose sarebbero rimaste com’erano state fino ad allora, e il Capitano non l’avrebbe ritenuta una minaccia.
- A Rouen… Capisco… E quindi ora tu la proteggi al posto suo. – trasse le sue conclusioni.
La bionda annuì.
- E’ il mio compito, ho fatto una promessa. – spiegò con semplicità.
Il Capitano si alzò in piedi e le voltò la schiena.
- Già, una promessa… - e, in un fruscio di stoffa e ricordi, la lasciò nuovamente sola con i suoi dubbi e le sue domande.
Quella sera cenò da sola, il pirata dai modi di seta non tornò a farle compagnia.
Centinaia di interrogativi vorticavano nel suo cuore come sospinti da un uragano, sbatacchiando gli uni contro gli altri e colpendo ogni pensiero sulla loro traiettoria.
Se il Faucon du Nord era ancora vivo, per quale motivo non si era messo sulle tracce della sua collana?
Questa domanda ne sollevava poi un’altra: dal momento in cui Barbossa non era morto, doveva aver contratto la maledizione prima di consegnare la collana a sua madre. Perché quindi lo aveva fatto?
Se avesse voluto indietro la collana gli sarebbe stato sufficiente ucciderla la sera dell’attacco alla Diablo, invece aveva preferito tenerla prigioniera, farsi raccontare la sua storia.
Sospirò, abbandonando la branda che aveva ormai preso ad occupare per soddisfare l’insistenza dell’uomo e dirigendosi verso il mobile.
Si arrampicò senza fare rumore e posò la testa contro i vetri sporchi delle finestre.
Qualcosa le sfuggiva, era evidente; in tutta quella vicenda c’era ancora un tassello mancante che non riusciva ad individuare.
Frustrata, levò lo sguardo fino ad incontrare un bagliore nel cielo.
Sopra la Perla Nera, nell’alto delle tenebre, la Luna sembrava ora sghignazzare beffarda di fronte alla sua insicurezza, ora contorcersi in una smorfia di dolore.
Sul ponte di coperta, nel frattempo, la maledizione mostrava  orgogliosa la sua crudeltà.














 
Note:


1Chi vede Ouessant vede il suo sangue. (Proverbio bretone relativo alla pericolosità delle acque attorno all'isola)



Eccoci qua con un nuovo capitolo.
A dire il vero qui succede ben poco dal punto di vista dell'azione, confinata alla cabina di Barbossa.
Eppure, eppure...
Il mistero inizia a chiarirsi, anche se qualche filo rimane ancora intricato.
E così il famoso e temuto Faucon du Nord è Barbossa.
E così il misterioso uomo di cui parlava Marion è Barbossa.
Insomma, Barbossa sembra essere la chiave di tutto, ma ripeto, non tutto il mistero è svelato...
Scrivere questo capitolo è stata una vera sfida, per prima cosa perchè ritengo che Hector sia un personaggio dannatamente pieno di sfumature e quindi complessissimo da trattare, e per seconda cosa perchè sono stata interrotta almeno cento volte durante la stesura... xD
In questo capitolo, quindi, oltre che a scoprire qualcosa in più sulla collana e sul Faucon, abbiamo modo di dare un'occhiata a Barbossa alle prese con una ragazzina.
E Cristal? La sua strana attrazione nei confronti del pirata troverà una spiegazione più avanti, nel frattempo godiamoci la sua espressione spaesata nel non capirci più niente di ciò che le sta succedendo. xD
Personalmente ho adorato la parte in cui lui le rivela della maledizione. Insomma. Immaginatevi un uomo come Barbossa di fronte ad una persona dannatamente trasparente come Cris... <3
Okay. La smetto.

Ps: questi due insieme sono la cosa più bella del mondo. Li adoro e scriverei di loro per sempre.
Regalatemi Barbossa.

E con ciò vi saluto e mi ritiro nel mio anfratto oscuro... xD
A presto! <3

Kisses,
Koori-chan
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pirati dei caraibi / Vai alla pagina dell'autore: Koori_chan