Libri > Fiabe
Segui la storia  |       
Autore: Aching heart    02/09/2014    1 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
16. The moment of truth (part I)

Nell’enorme salone del castello tutti aspettavano con impazienza, a dire il vero più per l’ansia di mettere qualche boccone prelibato sotto i denti che per il desiderio di assistere al fidanzamento. I lunghi tavoli erano disposti a ricoprire l’intero perimetro della sala, e su di essi erano deposti  posate, piatti e bicchieri ancora irrimediabilmente vuoti. I giocolieri e il giullare di corte facevano del loro meglio per intrattenere gli ospiti e distogliere la loro attenzione dall’attesa, ma nulla potevano contro il rimedio per eccellenza alla noia: il pettegolezzo. Nessun reale si era ancora presentato alla cerimonia, e si vociferava che ciò fosse dovuto al fatto che nessuno sapeva dove il principe Stefano fosse andato a finire. Questa era un’assenza alquanto ghiotta per le dame di corte, poiché non faceva che renderle assolutamente certe dei sospetti che serpeggiavano fra di loro fin dall’arrivo della principessa Helena. Esse sospettavano – senza neanche dover sforzare la loro immaginazione, per giunta – che il principe non fosse per nulla entusiasta del suo imminente matrimonio e che preferisse dedicarsi ad attività più piacevoli e con altre compagnie piuttosto che con quella della sua promessa sposa. E per quanto i mariti di tali nobildonne avessero impegni ben più importanti che stare ad ascoltare le loro fantasie, pure non potevano non constatare che il principe Stefano era più che disinteressato alla principessa Helena. In breve, tutti i nobili della corte erano convinti che il principe avrebbe presto messo al mondo più bastardi che eredi.
Solamente l’ingresso – finalmente – dei reali fu in grado di mettere momentaneamente a tacere il frivolo vociare dei commensali. I tonfi delle sedie e delle panche che venivano spostate e i fruscii degli inchini non furono in grado di coprire la voce del ciambellano che annunciava Re Uberto, la Regina Mariah e la coppia reale. Quali che fossero i sospetti generali o i desideri del principe, Stefano porgeva il braccio a Helena con un’aria di naturalezza, e la principessa sorrideva soddisfatta. Si dovettero tuttavia separare a causa dell’assegnazione dei posti, che li vedevano rispettivamente a destra e a sinistra del Re, mentre la Regina era seduta accanto a sua figlia.
Prima di dare inizio al banchetto, Uberto guardò in modo eloquente suo figlio, che seppe cosa doveva fare. Il principe si alzò e prese un respiro profondo, segno equivocabile di grande emozione o di grande insofferenza, e si rivolse alla sua fidanzata.
-Mia adorata, non sorprendetevi se quanto sto per fare non tiene alcun conto del cerimoniale di corte, ma in quanto vostro promesso sposo non posso che desiderare di essere il primo ad offrirvi il mio dono, che spero sarà un degno pegno del mio affetto.
A quelle parole un paggio si recò di fronte alla principessa, reggendo un piccolo vassoio cosparso di petali di rosa sul quale troneggiava uno scrigno in oro e intarsi di madreperla. Helena, alzatasi a sua volta, si protese ad aprire lo scrigno, che rivelò contenere un meraviglioso anello nunziale d’oro, sormontato da un diamante finemente tagliato e contornato da piccoli zaffiri. I suoi occhi si illuminarono a quella vista, ma l’emozione rischiò di sopraffarla solo quando Stefano riprese a parlare.
-Permettetemi di offrirvi questo anello e con esso la promessa del mio cuore e della mia corona.
-Principe Stefano, mi fate l’onore più grande che possa esistere. Accetto il vostro pegno, e vi offro insieme il mio cuore e la mia corona.
Lo scrigno fu richiuso e portato al sicuro nella stanza della principessa, mentre il banchetto aveva finalmente inizio, con gioia di ognuno meno che di Stefano. Non poteva non pensare a Carabosse e sentirsi colpevole, e il disagio lo rese silenzioso e inappetente.  Ad ogni modo, quando si fu abbandonato sulla sua sedia, il padre gli accarezzò affettuosamente la mano adagiata  sulla tovaglia. Uberto era soddisfatto.

***

Carabosse aprì lentamente gli occhi, la mente annebbiata dal sonno. Si rese conto di essersi addormentata nella stessa posizione in cui si era gettata sul letto, ore prima, e adesso si sentiva indolenzita e a corto d’aria a causa del corpetto. Si alzò con la testa che le girava leggermente. Doveva aver dormito un bel po’, perché dalla finestra non entrava più alcuna luce, se non il debole bagliore delle torce accese nel cortile. Si affacciò e osservò l’insistente via vai di servitori, cocchieri e stallieri. Non era diminuito rispetto al mattino, sebbene ormai la festa dovesse essere iniziata da ore. Chissà per quanto ancora sarebbe andata avanti, mentre lei era come prigioniera, lassù.
Sebbene gran parte dell’ansia e del nervosismo le fossero stati risparmiati dal sonno, la colse un fastidioso malessere al pensiero di Stefano, piani più giù, fra le braccia della sua inconsapevole rivale. Il non vederli era un sollievo, certo, ma allo stesso tempo acuiva la sua gelosia, facendole immaginare il peggio. La tentazione di infiltrarsi al banchetto era forte. Aveva promesso a Stefano che sarebbe rimasta nella sua stanza, era vero, ma come sarebbe riuscita a mantenere la parola data? Del resto era abile a nascondersi, a passare inosservata. Sarebbe stato facile…
Carabosse cercò di opporsi a quell’idea, ma l’alternativa – rimanere all’oscuro di tutto, divorata dalla gelosia, mentre l’uomo che amava festeggiava il suo fidanzamento – la spingeva ancora di più ad agire. Non era fatta per stare in gabbia, lo sapeva fin troppo bene dopo anni di prigionia sulla Montagna Proibita. Stefano non poteva impedirle di essere libera di andare dove le pareva, a casa sua, per giunta.
Carabosse non perse altro tempo ed abbandonò la stanza, diretta verso la sala della festa.

***

Il banchetto era prevedibilmente degenerato. Nel salone disseminato di possenti candelabri in ferro battuto l’atmosfera era calda, festosa e invitante. La musica era allegra e frenetica: molti ballavano, e i pochi rimasti seduti eccedevano col vino e con le chiacchiere, mentre i buffoni di corte, decisamente ubriachi, pensavano a divertirsi con le serve.
L’unica a sembrare sobria come all’inizio della festa era la Regina Mariah, che era stata troppo impegnata a supervisionare quanto e cosa mangiasse e bevesse sua figlia per godersi il banchetto.
Uberto si stava momentaneamente dilettando con un grasso e succulento tacchino, abbondantemente innaffiato da del buon vino rosso, e con la vista di suo figlio che ballava con Helena. Da quando le danze erano state aperte quasi non avevano fatto altro, e almeno l’assenza di allegria sul volto di Stefano poteva essere scambiata per stanchezza.
Il Re non avrebbe mai creduto che si potesse essere così sciocchi da credere alle false professioni d’affetto di Stefano: si sarebbe visto lontano un miglio che il principe stava fingendo spudoratamente, ma finché Helena e soprattutto sua madre fossero state soddisfatte lo sarebbe stato anche lui.
Portò ancora una volta il calice alla bocca e constatò che era vuoto; si guardò intorno alla ricerca del suo attendente, ma non ne vide traccia. Uberto decise di rimandare al giorno dopo la punizione, così si sporse sul tavolo e allungò il braccio pesante verso la caraffa, versandone il contenuto nel suo calice. Fu allora, mentre aveva la testa rivolta verso il basso, che Uberto percepì una strana sensazione, come se qualcuno lo stesse osservando così insistentemente da perforargli la nuca con lo sguardo. I rimasugli del suo antico addestramento da cavaliere lo misero in allerta, e lui si guardò intorno con circospezione, ma non vide nessuno finché non si girò e riconobbe immediatamente, sebbene non la vedesse ormai da quattordici anni, la fata Niamh. La sua figura si stagliava poco distante, ma nessuno a parte lui sembrava vederla. Lei lo guardò in maniera eloquente, e il Re si alzò per raggiungerla. Niamh tuttavia non rimase lì dov’era, ma lo condusse in una stanzetta attigua, pressoché vuota, in penombra.  
Quando si trovarono uno di fronte all’altra, Uberto si inchinò alla fata, che rispose con un cenno del capo.
-Vostra Eccellenza, quale onore. Sono anni che non ho il piacere di una vostra visita.
-E ancora ne avreste fatto a meno, Uberto, se non fosse per una vicenda ben poco piacevole, per voi almeno. Ma prima, voglio congratularmi per questa cerimonia… era da molto tempo che non ne vedevo una così fastosa.
Uberto capì dove la fata voleva andare a parare e si affrettò a rispondere:- Voi mi lusingate, ma nulla di questa festa è così elegante da poter essere ritenuto degno della vostra presenza, mia signora… ma il matrimonio di mio figlio, quello sarà senz’altro un evento tale da poter essere ricordato negli anni a venire, se voi e le vostre sorelle avrete la compiacenza di volervi prendere parte. Sarebbe un immenso onore.
Niamh rise brevemente. – State tranquillo, Uberto, sappiamo bene quale alta considerazione avete di noi. Saremmo liete di prendere parte ai festeggiamenti del matrimonio di vostro figlio, se… se essi si terranno, effettivamente.
-Temo di non comprendervi, mia signora – fu la preoccupata e un po’ minacciosa risposta di Uberto.
-Ditemi, vostro figlio è convinto di questo matrimonio? E’ assolutamente disposto a sposare una ragazza che voi avete scelto per lui?
-Mio figlio non ha voce in capitolo. Forse il matrimonio con la principessa Helena Harrington non è ciò che desidera, ma la sposerà comunque, perché questo è il suo dovere. E in ogni caso non ho timori, Eccellenza: mio figlio ha già dato prova della sua sottomissione alla mia autorità. Sono soddisfatto del suo comportamento.
-Davvero? E lo sareste anche se sapeste che vostro figlio ha un’amante, qui nel castello?
Uberto rimase impassibile. – Farà comunque il suo dovere. Se egli desidera un’amante, io di certo non gli vieterò di averne.
-Oh, ma l’amante di Stefano è molto particolare… sì, speciale. Credo di poter affermare a ragione che potrebbe persino indurlo a venir meno ai suoi doveri.
-Cosa ve lo fa pensare?
Ma Niamh non diede subito soddisfazione alla sua curiosità Anzi, rispose alla sua domanda con un’altra domanda. – Ditemi, Uberto, avete notizia di Elsa e di sua figlia?
Uberto, leggermente confuso dal repentino cambio di discorso, rispose:- No, Eccellenza, nessuna notizia. Per quanto ne so potrebbero benissimo essere morte entrambe.
-Ci siete andato vicino. Elsa è morta. Sua figlia no.
-Poco importa. Sulla Montagna Proibita, da sola, non sopravvivrà a lungo.
-Temo che siate in errore. Carabosse adesso è ben lontana dalla Montagna Proibita, sapete.
-Impossibile! Come ha fatto ad andarsene?!  – esclamò con rabbia, ma poi parve riflettere e calmarsi. – Per quale motivo avete tirato in ballo quella ragazzina? Credevo che voleste parlarmi di mio figlio e della sua amante…
-Oh, è così. Ma si dà il caso che quella ragazzina, come la chiamate voi, e l’amante di vostro figlio… siano la stessa persona.
-Non è possibile – fu la lapidaria risposta del Re.
-Io vi avevo avvertito, Uberto. Ve l’avevo detto:  una donna ferita è una donna pericolosa. E questo non vale meno per la figlia che per la madre. Elsa ha imbastito la vendetta, Carabosse la porterà a compimento. E’ riuscita a circuire vostro figlio a tal punto da farsi portare al castello, e non mi stupirei se riuscisse a convincerlo ad opporsi alla vostra volontà.
Uberto espirò sonoramente, con indignazione e rabbia. – Non permetterò che accada.
-Faccio affidamento sulla vostra risolutezza – rispose la fata, poi prese congedo. – Avrei desiderato che le circostanze del nostro incontro fossero più piacevoli, ma…
-Non ha importanza, Eccellenza, lo saranno la prossima volta. Lo saranno senz’altro.

***

La testa di Carabosse fece capolino da dietro un’imponente colonna di pietra del salone. Nessuno si era accorto della sua presenza, erano tutti troppo impegnati a divertirsi per prestare attenzione ad una ragazza – all’apparenza una cortigiana – come tante.
Non aveva fatto fatica ad individuare Stefano, che ballava con Helena. Da quando era scesa dalla sua stanza non l’aveva visto fare altro, quei due erano sempre insieme, e per quanto fosse dolorosa quella visione, Carabosse non riusciva a distaccarvi lo sguardo. Li fissava come ipnotizzata. E quando, finalmente, si guardò un po’ intorno, scoprì di aver completamente perso di vista Uberto. Non era più seduto al suo posto, ma non sembrava neanche essere in qualche altra parte della sala… Carabosse iniziò a temere sul serio: se lì c’era qualcuno in grado di riconoscerla, ne era sicura, quello era Uberto.
Si spostò da una colonna ad un’altra, dove aveva una visuale migliore sulla sala, ma intuì di aver commesso un passo falso: il via vai dei servi era più attivo in quella zona, quindi era d’intralcio, e ciò significava più possibilità di essere notata.
Rimase indecisa sul da farsi per qualche momento e poi stabilì di tornare indietro, ma era giunta quasi a destinazione quando con suo sommo orrore scorse Uberto trascinarsi pesantemente verso la colonna che lei aveva quasi raggiunto. Non sembrava averla vista, ma di certo non poteva rischiare che le passasse di fianco.
Il malessere che provava da quando si era svegliata crebbe d’intensità mentre il terrore l’attanagliava. Chiuse gli occhi e pregò il cielo di restituirle la sua lucidità, ma il cuore non faceva che battere sempre più forte, mentre sudori freddi colavano lungo la sua schiena. La posta in gioco era più alta che mai: non era più Stefano, era la sua stessa vita. Come in un incubo sentì il suo respiro farsi affannoso e riconobbe che stava avendo un’altra crisi di panico. Il terrore, il malessere la stavano letteralmente paralizzando, ma man mano che Uberto si faceva più vicino era quanto mai vitale muoversi. Intraprese una lotta con se stessa per il controllo del proprio corpo e sembrò vincere: riuscì a fare un passettino indietro, alla cieca, e andò tutto bene, così continuò a indietreggiare, mentre un leggero tremito iniziava a scuoterle le mani.
Ad un tratto sentì di urtare qualcosa, sentì un’imprecazione, dei rumori… cercò di voltarsi e l’unica cosa che ottenne fu quella di ritrovarsi a terra, in mezzo a coppe e piatti sporchi destinati alla cucina, mentre un servo che evidentemente Carabosse aveva urtato stava in piedi, bianco in volto per il pensiero che sarebbe stato punito, e poi rosso per la rabbia, perché non era stata colpa sua.
-Non è possibile, guarda cos’hai fatto! – le urlò contro, mentre lei rimaneva a terra. L’urto l’aveva rallentata, aveva attirato l’attenzione su di lei, ma il suo effetto fu benefico. – Tutto a terra, e mi hai anche macchiato la camicia… - continuò a gridare il ragazzo, ma le sue grida la riportavano alla realtà, istigavano la sua rabbia, la spingevano a reagire. Improvvisamente, però, il ragazzo ammutolì.
-Cosa succede qui? – tuonò una voce alle spalle di Carabosse, che sgranò gli occhi e trattenne il respiro.
-Vostra Maestà – si mise in ginocchio il servo, di colpo piagnucoloso – Non è stata colpa mia, Maestà, è stata questa ragazza, mi è venuta addosso… ha scaraventato tutto a terra…
Una calma glaciale scese su Carabosse. Di colpo sparì tutto: il respiro affaticato, il battito accelerato, il tremore alle mani. Rimasero solo lei e la sua rabbia spietata. Si levò in piedi, ma ancora diede le spalle ad Uberto.
-Chi sei tu che neanche mostri rispetto al tuo sovrano?! – ruggì il Re.
Carabosse si voltò lentamente e guardò l’uomo negli occhi. Non c’era modo di nascondersi, non più, ma non lei non ebbe paura. E quando Uberto vide i suoi occhi verdi e sprezzanti, la riconobbe immediatamente.
-Tu! – esclamò, gonfiandosi per la rabbia. Carabosse lo guardò con sfida e disgusto. Qualunque cosa provasse per Stefano, Uberto rimaneva un essere spregevole che non meritava altro che il suo disprezzo. Lei era la principessa, lui il traditore, l’usurpatore. – Come osi presentarti qui?! Saresti dovuta morire su quella montagna! – continuò Uberto, quasi ringhiando.
Il servo che si era inginocchiato sgaiattolò via, impaurito, approfittando del fatto che Uberto se la stesse prendendo con la ragazza.
-Sei solo uno sporco traditore – sibilò Carabosse, con gli occhi che mandavano lampi.
A quelle parole la rabbia di Uberto esplose. Con un ringhiò alzò il braccio e le tirò un possente schiaffo.
Carabosse non ebbe neanche il tempo di chiudere gli occhi, prima che il colpo si abbattesse su di lei… ma il dolore che si aspettava non arrivò. All’inizio non riuscì a collegare le immagini nella sua mente, ma dopo un istante fu tutto chiaro e il cuore prese a batterle di nuovo forte come non mai.
Stefano aveva fermato suo padre.

***

Stefano aveva ballato tutta la sera con Helena e non ne poteva davvero più, così al termine dell’ultimo ballo si era inchinato e le aveva chiesto di perdonarla, ma lui avrebbe preferito riposare. Lei aveva risposto con dovuta cortesia, per nulla scontenta, perché quel giorno era stato denso di gioia per lei, e in fondo anche lei si sentiva stanca, gracile com’era.
Una volta tornati a tavola, Helena era stata assorbita dalle domande di sua madre, così il principe era stato liberato dalla prospettiva di essere costretto a parlare con quella ragazzina che ormai riteneva odiosa. Tuttavia guardandosi intorno aveva scorto Carabosse e, davanti a lei, suo padre. Era stato invaso dal terrore: non sentiva quello che le diceva, ma le sue espressioni e i suoi gesti erano inequivocabili. Si era alzato e si era diretto verso di loro, appena in tempo, perché suo padre si era sdegnato con lei a tal punto da alzare il braccio, per caricare un colpo. Aveva temuto per la sua amata, in quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa perché non le venisse fatto del male. Aveva coperto in un attimo quel che restava da percorrere ed aveva bloccato con notevole forza il braccio del padre proprio mentre stava calando.  
Dentro di sé aveva un miscuglio di emozioni: sollievo perché a Carabosse non era stato fatto del male, paura per essersi opposto a suo padre, ma soprattutto rabbia verso di lui per aver cercato di colpirla. Tanta era la rabbia che tremava, mentre ancora teneva saldamente il braccio del padre, che era incredulo, deluso ed arrabbiato. Non avrebbe creduto che Stefano sarebbe arrivato a tanto per quella sgualdrinella, ma evidentemente Niamh aveva ragione. Chissà cos’altro avrebbe potuto fare, sotto la sua influenza.
-Padre, vi prego di abbassare questo braccio – disse Stefano a denti stretti.
Uberto si sottrasse dalla presa del figlio e lo guardò come se fosse pazzo.
-Ti rendi conto di quello che hai fatto? Di come hai sfidato tuo padre? E per chi, per giunta!
-Per la donna che amo – ribadì il principe, frapponendosi fra il padre e Carabosse, che lo guardava con gli occhi lucidi.
-Che ami – sbuffò Uberto. – L’amore è ingannevole, Stefano, e dannoso. Ed è solo un’illusione.
Stefano decise che quella era una discussione che dovevano affrontare lui e suo padre da soli, così si voltò indietro verso Carabosse e le disse: - Ritorna in camera tua, ti raggiungo presto.
-Oh, no – intervenne Uberto, sprezzante – falla rimanere, vedrai che avrà molte cose interessanti da dire.
Il principe non gli diede ascolto, ma insistette perché lei tornasse in camera, e stavolta Uberto non fece altro che mandare due guardie con lei per sorvegliarla.
-Semplice precauzione – disse in risposta allo sguardo di suo figlio. – Quando avremo parlato capirai.
-Parliamo, allora.
-Non qui –  disse contrariato, guardandosi attorno. Avevano già dato troppo spettacolo, anche se sembrava che in pochi si fossero accorti della scena. La musica continuava, in molti ballavano e fortunatamente Helena e Mariah sembravano ancora intente nella loro conversazione. – Seguimi – gli disse, e lo guidò nella stessa sala dove poco fa aveva parlato con Niamh.
Carabosse non era ancora giunta in cima alla scalinata quando si volò indietro e guardò Stefano seguire suo padre con sicurezza, ma sapeva che non sarebbe durata a lungo. Uberto gli avrebbe detto tutto, lei aveva perso la sua occasione. I suoi occhi già lucidi si riempirono di lacrime di disperazione.
Quando le guardie la obbligarono a voltarsi e a continuare a salire, lei non oppose neanche resistenza, ma si lasciò trascinare.
Era finita.






Angolo Autrice: Sì, in ritardo come al solito. Non ho scusanti, spero solo che il capitolo vi piaccia. Ho dovuto dividerlo in due parti altrimenti sarebbe stato troppo lungo. La "grande rivelazione", quindi, avverrà nel prossimo capitolo. Come la prenderà Stefano? Si accettano scommesse :3
So che pubblico sempre con molta distanza da un capitolo all'altro e che questo può infastidirvi,  ma mi piacerebbe ricevere un vostro parere sulla storia e sui capitoli in particolare. Sarebbe davvero un toccasana per la mia misera autostima.
Ringrazio quelli che hanno messo fra le ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi e VanEss per aver recensito.
Alla prossima!

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Fiabe / Vai alla pagina dell'autore: Aching heart