La
mattina dopo Jellal si svegliò con
una doppia certezza: avrebbe consegnato l’articolo a Makarov
e in serata
sarebbe andato all’Amnesia.
Dovette constatare anche un’altra
cosa: Laxus aveva avuto ragione. Non sapeva se quel senso di benessere
che
provava fosse causato dai tre cocktail assunti –
perché ne aveva bevuto anche
un terzo, giusto per alimentare la scia di calore che si portava dentro
– o dal
ricordo di Scarlet, ma era come se una nuova energia gli stesse
scorrendo nelle
vene e questo bastava per rianimarlo.
Una volta in ufficio, terminò il pezzo
entro la pausa pranzo delle due. Il collega fotografo non si era presa
la briga
di venire – e Jellal pensò che, se fosse andato a
trovarlo a casa, lo avrebbe
beccato a poltrire a letto – e così rimase da solo
per tutto il tempo. Fu
interrotto solo dall’arrivo della caporedattrice Ultear
Milkovich, andata a
complimentarsi con lui per l’articolo che aveva appena finito
di leggere, e poi
si preparò per tornare nel suo appartamento, aspettando
impazientemente che
scoccassero le nove per potersi mettere in marcia e recarsi al night
club.
-Fernandes!-.
Una voce maschile lo aveva bloccato
proprio nel momento in cui stava per uscire dalla redazione.
-Gray-, salutò il collega. -Di nuovo
al lavoro?-.
-Da stamattina, già-, rispose il
ragazzo. -Makarov mi ha richiamato con urgenza e mi ha assegnato uno
speciale
sull’inquinamento urbano-.
-Mi dispiace che ti abbia rovinato le
ferie-.
-No, non è questo il problema-.
Jellal lo guardò attentamente. L’espressione
di Gray era indurita, come se fosse stato adirato.
-Che c’è, allora?-.
-Prima di mettermi a lavorare per il
nuovo servizio ho bisogno di consegnare a Lluvia le foto che ho
scattato sulle
Alpi-.
-Quindi?-.
Gray inspirò, ora palesemente
infastidito: -Quindi mi faresti un piacere se mi dicessi dove
è stato messo il
rullino che Makarov ha consegnato a Laxus-.
Jellal alzò le spalle: -Non ne ho la
minima idea. Perché lo chiedi a me?-.
-Perché è da stamattina che provo a
chiamare quell’imbecille, ma non si è mai degnato
di rispondermi. Il cellulare
è staccato, il telefono di casa squilla a vuoto. Dove si
è cacciato?-.
-Sei sicuro che non abbia portato il
rullino in sala sviluppo? Mi aveva detto di essersene
occupato…-.
-Anche se fosse, le foto non si trovano.
E io ne ho bisogno, altrimenti Lluvia non potrà consegnare
il nostro articolo.
Sai che per lei è un periodo di prova, no? Questa
è già la seconda possibilità
che il Direttore le concede e se dovesse andare male anche stavolta
probabilmente la butterà fuori. E tutto perché
quell’idiota del tuo amico non
sa fare il suo lavoro!-.
-Gray, cerca di calmarti-, sbottò
Jellal, poggiando entrambe le mani sulle spalle del collega. -Se vuoi
posso
provare a richiamare Laxus di nuovo-.
-È inutile, non risponde!-.
-Allora saliamo di sopra e
controlliamo per bene. Dai, darò una mano a te e Lluvia-.
-Ti devo un favore-, lo ringraziò
l’altro, precedendolo sulla rampa delle scale che portava
agli uffici.
Dal canto suo e senza farsi notare,
Jellal sospirò, afflitto: per quella sera Scarlet avrebbe
dovuto attendere.
***
L’indomani
non fu migliore.
Aveva trascorso il giorno prima tra le
fotografie che Gray aveva ritrovato – e che erano sempre
state in una cartella
riposta da Laxus proprio in sala sviluppo – dando anche
preziosi consigli
all’inesperta Lluvia, mentre adesso si trovava nel proprio
ufficio a scrivere
un pezzo di repertorio sull’incidenza che il consumo di
sigaretta aveva sullo
sviluppo del cancro ai polmoni. Makarov glielo aveva commissionato
all’ultimo
minuto, proprio quando Jellal aveva finalmente pensato di essere
libero, e il
Direttore si era anche raccomandato di finirlo entro le nove di quella
sera
stessa. Giusto in tempo per la stampa notturna del quotidiano che la
mattina
seguente sarebbe stato in tutte le edicole di Magnolia.
Nonostante sapesse di doversi
concentrare per cavare fuori un articolo che fosse almeno presentabile,
i
pensieri dell’uomo non facevano che correre
all’attraente Scarlet. Sembrava
passata un’eternità da quando l’aveva
vista per la prima volta e il bisogno di
incontrarla di nuovo diventava sempre più forte. Era
arrivato addirittura al
punto di sognarla, segno che la donna aveva davvero fatto breccia nel
suo
cuore. Oltre che in altre parti del corpo,
come aveva pensato la sera prima, mentre era a letto cercando di
prendere
sonno.
Due sere da solo, nel suo
appartamento.
Due sere in cui sarebbe potuto andare
al night club, ma il destino – o semplicemente i suoi
colleghi e superiori –
gli aveva remato contro.
Alle quattro del terzo giorno, Makarov
lo convocò nel proprio ufficio. Jellal entrò con
passo pesante, senza sapere
perché improvvisamente si sentisse così a
disagio. Insomma, non aveva motivo di
preoccuparsi: aveva lavorato duramente, si era distinto in
più di un’occasione,
era sempre disponibile quando gli si chiedeva di intraprendere lunghi
viaggi
per documentare avvenimenti importanti o scene di vita
quotidiana… Doveva stare
calmo.
-Voleva vedermi, Direttore?-.
-Siediti-, lo invitò il superiore,
mantenendo un tono di voce tale da non far capire a Jellal quali
fossero le sue
intenzioni. -Volevo discutere con te di una decisione importante-.
-Devo iniziare ad allarmarmi?-, provò
a scherzare il giornalista. Sfortunatamente, però, la sua
battuta non sortì
alcun effetto.
-Ho letto l’articolo di Lluvia
Lockser-.
Makarov si fermò e Jellal trasalì.
-Come…?-.
-Mi è sembrato davvero molto buono,
nonostante la ragazza sia solo agli inizi-.
L’altro riprese a respirare
normalmente: -Se posso parlare con sincerità, Direttore,
credo che quella ragazza
abbia grandi capacità. Deve solo affinare la tecnica e fare
esperienza-.
-Infatti-, concordò Makarov. -Ecco
perché mi sono accorto che quella non era tutta farina del
suo sacco-.
Jellal ingoiò a fatica un grumo di
saliva. Il suo superiore manteneva uno sguardo severo e le mani
intrecciate
sotto il mento, segno che l’intera redazione sapeva non
promettere nulla di
buono.
-Direttore…-.
-Fernandes, ti conosco da dieci anni.
Ho imparato ad apprezzare il tuo stile e dopo un decennio trascorso a
leggere i
tuoi pezzi, così come quelli dei tuoi colleghi, so
distinguere bene cosa ha
scritto la signorina Lockser e cosa invece è tuo.
Espressioni, vocaboli usati
più frequentemente… Tutti voi siete come libri
aperti, per me. Quindi conferma
la mia certezza: sei stato tu ad
aiutare la praticante?-.
Jellal annuì e abbassò gli occhi sulla
scrivania del Direttore.
-Bene. E ora veniamo alla decisione
che devo prendere-.
Makarov rimase in silenzio finché il
giornalista non ebbe la forza di rialzare lo sguardo, poi
continuò:
-Normalmente un comportamento come il tuo sarebbe in qualche modo
punito. E
credimi quando dico che ho meditato a lungo se applicare o meno una
sanzione
nei tuoi confronti-.
Jellal trattenne di nuovo il fiato, il
cuore sul punto di uscirgli dal petto per fuggire dalla finestra alle
spalle
del Direttore.
-Ma personalmente ritengo che sia
sbagliato agire in questo modo; sarebbe davvero controproducente se
decidessi
di licenziarti per una sciocchezza del genere. No, no, ti
dirò la verità: credo
che tu ti sia comportato come un leader-.
Il giornalista strabuzzò gli occhi,
incredulo.
-Hai agito correttamente. Hai aiutato
una collega che aveva davvero bisogno di te; soprattutto, hai aiutato
una
ragazza alle prime armi, che quindi ha la necessità di farsi
le ossa in questa
professione. Una praticante come Lluvia Lockser non potrebbe mai
migliorare se
non ci fosse qualcuno come te a spiegarle dove e cosa sbaglia. Inoltre,
ti sei
sforzato di farle maturare uno stile tutto suo: ecco cosa ti rende
leader.
Un'altra persona probabilmente si sarebbe limitata a suggerirle parole
non sue,
con l’unica preoccupazione di consegnare il prima possibile
l’articolo. E
parlando esclusivamente del tuo operato, mi ritengo davvero
soddisfatto: i tuoi
ultimi pezzi sono stati magnifici. Hai la stoffa per diventare il
simbolo di
questa testata. Ed ecco perché vorrei proporti come nuovo
caporedattore della
sezione Attualità. Te la senti di assumere questo incarico?-.
Jellal, con la bocca secca per lo
stupore, non riuscì ad articolare una parola.
-Prendi-, Makarov gli porse un
bicchiere di plastica con dell’acqua fresca.
Bevve con la stessa foga con cui due
sere prima aveva ingollato i tre super alcolici. La differenza stavolta
fu
netta: il liquido gelido diede nuova vita alla sua lingua, mentre i
cocktail
gli avevano bruciato la gola come se avesse ingoiato dei carboni
ardenti.
-Direttore, non so davvero cosa…-.
-Basta un sì o un no-. Adesso il
superiore gli sorrideva, incoraggiante.
-Ne sarei onorato-, esalò alla fine
Jellal, stringendo ancora tra le mani il bicchiere.
-Bene, allora. Da domani ti
trasferirai accanto all’ufficio di Ultear e con lei
discuterai del nuovo
assetto della sezione. Sarete una squadra formidabile, insieme-.
Jellal annuì con un cenno della testa,
optando per non rivelare a Makarov quali tensioni corressero tra lui e
la
caporedattrice Milkovich. Si limitò a ringraziare il
Direttore per
l’assegnazione del nuovo incarico, che segnava
l’inizio della sua scalata
professionale all’interno del giornale.
-Posso andare?-, chiese, dopo che il
superiore ebbe definito altri particolari.
-Certamente. Per stasera ti lascio
libero, visto che hai passato gli ultimi due giorni in redazione-.
Si congedarono l’un l’altro e Jellal,
soddisfatto come poche altre volte nella vita, uscì
dall’edificio con un gran
sorriso stampato sul volto.
Finalmente si sentiva felice.
E la ciliegina sulla torta sarebbe
stata rivedere Scarlet di lì a poche ore.
Non si sarebbe lasciato scappare
quell’appuntamento per nulla al mondo.
***
Era
tornato a casa a notte fonda.
Era da poco passata l’una quando si
liberò della camicia e crollò sul letto, stanco,
ma entusiasta. Non riusciva a
smettere di sorridere: il viso della bella cantante, quella sera
avvolta in un
abito nero che aveva fatto sbizzarrire la sua immaginazione, tornava
davanti ai
suoi occhi non appena li chiudeva, rendendogli praticamente impossibile
dormire.
Si era presentato all’Amnesia
in perfetto orario e aveva
occupato lo stesso tavolo che Laxus aveva fatto riservare la prima
sera. Aveva
aspettato che Scarlet facesse la sua apparizione ordinando degli
analcolici – e
per questo ringraziò il fatto di essere solo e non in
compagnia di un amante
del liquore come il suo amico – senza badare alle altre
ragazze che giravano
tra i tavoli e si esibivano sul palco. E alla fine, dopo
un’ora e mezza
trascorsa a brindare in parte alla sua promozione, la donna era
arrivata,
svuotandogli la testa da qualsiasi altro pensiero o preoccupazione.
Aveva
cantato soavemente e come lei sola sapeva fare, tanto che Jellal, perso
completamente nei suoi brillanti occhi castani, si era detto che
avrebbe voluto
essere svegliato ogni mattina da una voce così bella. Aveva
lasciato la propria
fantasia a briglie sciolte, ma non aveva lasciato che questa prendesse
il
sopravvento. Al contrario, aveva sempre mantenuto il contatto visivo
con
Scarlet e poco alla volta si era convinto che lei lo stesse davvero
fissando
con l’identica intensità con cui lui la osservava.
Il loro era un gioco di
sguardi che molti avrebbero invidiato; ma in quel momento il
giornalista si
chiese se in fondo quello non fosse sul serio solo un gioco.
D’altronde quella
donna era pagata per intrattenere il suo pubblico e molto probabilmente
il suo
contratto la invitava anche a flirtare con chi la guardava. A patto che
il
flirt rimanesse, appunto, solo un gioco legato al proprio lavoro.
Fu con quell’ultimo pensiero che
Jellal si addormentò. Un dubbio si era improvvisamente
insinuato in lui e una
punta di gelosia andò a venargli il cuore: a quanti altri
uomini aveva rivolto
quegli occhi? A quanti altri aveva sorriso come aveva sorriso a lui? E
il
giornalista, da parte sua, cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato una
terza volta
o si sarebbe lasciato scivolare alle spalle quell’esperienza,
nonostante questa
avesse le sembianze di Scarlet?
Il suo sonno fu agitato, eppure al
risveglio aveva già accantonato le domande che si era posto,
certo di dover
riandare da lei.
Una volta in ufficio incontrò Laxus.
Non lo vedeva da tre giorni e lo salutò con una
cordialità che il collega aveva
dimenticato, talmente lontana era l’ultima volta in cui aveva
visto contento
l’amico.
-Ehi, che ti succede? Sto via per un
paio di giorni e ti ritrovo in forma smagliante!-, lo prese in giro il
fotografo.
-Già. Non mi sono mai sentito così
bene-.
-Che ti avevo detto? Dai, concedimi
una parte del merito-.
-Forse-, sorrise Jellal. -Ma la vera
sorpresa è un’altra-.
-Cosa?-.
-Makarov mi ha promosso a
caporedattore per l’Attualità-.
-Amico, congratulazioni-, Laxus lo
abbracciò, sinceramente felice per lui. -Mi chiedevo se e
quando il Direttore
avrebbe riconosciuto il tuo lavoro-.
-In parte è stato anche grazie a te se
ho raggiunto questo traguardo-, confidò Jellal, staccandosi
dal collega. -Se
non fosse stato per il rullino che hai sviluppato, ma che Gray non
riusciva a
trovare…-.
-No, no, vacci piano. Raccontami
tutto. Diamine, non mi aspettavo che tre giorni di assenza potessero
sconvolgere la vita della redazione!-.
Jellal non nascose alcun dettaglio.
Riferì dell’arrabbiatura di Gray, di come lui
avesse aiutato Lluvia con il suo
articolo e del colloquio avuto con Makarov. Prese in giro
l’amico per non
essere stato reperibile per tutto il tempo e Laxus, a corto di scuse,
dovette
ammettere che sì, aveva trascorso due giorni in stato
comatoso a letto per riprendersi
non solo dalla mezza sbornia del night club, ma anche dalle fatiche del
viaggio
in Perù. D’altra parte, né lui
né Jellal avevano avuto tempo di fermarsi da
quando avevano fatto ritorno.
-Posso farti una proposta?-, domandò
Laxus al termine del resoconto.
-Dimmi-.
-Visto che finalmente sei tornato a
essere il Jellal che conoscevo, che ne diresti di festeggiare la
promozione
come fanno i veri uomini?-.
-Cosa intendi per “festeggiare”?-.
Il collega lo squadrò: -Alcol. Musica.
Bella compagnia. Sei interessato o preferisci rimanere a casa a
prendere
polvere?-.
-Locale?-.
-Hai davvero bisogno che te lo dica?-.
Non servirono altre parole.
***
-Un tavolo per due. Il
sette, visto
che d’ora in poi saremo di casa-.
Laxus sorrise con fare seducente alla
bionda che già tre giorni prima li aveva accolti
all’Amnesia. Aveva detto
quella frase per stuzzicare l’amico, poiché
credeva che avesse accettato di tornare al night club solo per
compiacerlo.
Ignorava del tutto che Jellal avesse fatto una capatina la sera
precedente:
quello era l’unico dettaglio – un dettaglio fondamentale
– che il collega aveva eliminato dal racconto fornitogli
quella mattina.
-Pensavi che non avresti messo più
piede in questo posto, eh?-, continuò Laxus una volta che
furono seduti.
-Lo penso ancora-.
-A-ah, Jellal. Ricordi la legge della
seconda volta?-.
-È solo una stupidaggine-, ribatté il
giornalista. Peccato che sapesse lui per primo che fino a quel momento
le
teorie dell’amico si erano rivelate vere.
-Allora, vogliamo brindare?-, proseguì
il fotografo, chiamando una cameriera.
-Solo perché te lo meriti-, lo prese
in giro Jellal, afferrando il cocktail che la nuova venuta gli porgeva
e
portandoselo alle labbra subito dopo averlo fatto cozzare con un
tintinnio
contro quello del collaboratore.
-È incredibile vederti così felice-,
notò Laxus, studiando l’espressione rilassata
dell’altro. -Penserei che hai
anche trovato una donna, se non sapessi già che è
impossibile-.
-Perché? Non sarò un dongiovanni come
te, ma sarebbe facile avere una ragazza, se lo volessi-.
L’amico sorrise, bevendo un altro
sorso del cocktail: -Jellal, lo sai meglio di me che sei un timido di
prima
categoria. Se davvero fossi capace di trovare una donna e tenertela
stretta, a
quest’ora avresti adocchiato almeno un paio di bei
bocconcini. Come quella lì,
per esempio-.
Laxus indicò con discrezione un punto
alle spalle di Jellal, che provò a voltarsi per vedere a chi
si stesse
riferendo.
-Non così in fretta!-, lo rimproverò
il fotografo, dandogli un buffetto sul braccio. -Girati lentamente.
È quella
con la minigonna bianca, dall’altra parte della sala-.
Il giornalista impiegò un buon minuto
prima di capire chi fosse la persona che stava cercando. La
osservò servire ad
alcuni tavoli e poi tornò a rivolgersi all’amico:
-Molto carina, sì-.
-Carina?-, sbottò Laxus, spalancando
gli occhi come se Jellal avesse appena pronunciato un’eresia.
-Una bomba,
vorrai dire!-.
-Mi dispiace, ma non è il mio tipo-.
-E chi ha detto che deve essere il tuo?-,
lo fermò l’altro.
-Oh, be’…-.
-Su, sbrigati a vuotare questo
bicchiere!-, lo sollecitò Laxus, bevendo fino
all’ultima goccia del proprio
drink.
-Ehi, datti una calmata-.
-Muoviti! Prima che serva quel tavolo
laggiù in fondo!-.
Jellal obbedì. Sentì la bocca andare
in fiamme e gli occhi bruciare, ma resistette stoicamente mentre
l’amico alzava
una mano per attirare l’attenzione della bella cameriera.
-Sta venendo da questa parte-,
sussurrò il fotografo. -Ammira il maestro in azione-.
Jellal si costrinse a reprimere una
risata. Non che non conoscesse le principali tecniche di abbordaggio
che Laxus
usava, ma lo divertiva vederlo comportarsi in modo tanto spudorato.
Inoltre,
c’era sempre la possibilità che la prescelta se ne
andasse rifiutando
categoricamente le avances del playboy di turno e il giornalista non si
sarebbe
mai perso uno spettacolo esilarante come l’espressione
dell’amico nel momento
del rifiuto.
-Posso fare qualcosa per voi,
signori?-.
Ora che si era avvicinata, Jellal si
rese conto di quanto fosse alta la ragazza. Le sue gambe longilinee
erano
risaltate dalla minigonna stropicciata che indossava, così
come il seno
prosperoso veniva esaltato da una scollatura che non sarebbe mai stata
accettata se avesse lavorato in un normale bar; lunghi capelli le
coprivano la
schiena nuda.
-Sarebbe tanto gentile da portarci
altri due gin? Il mio amico ha sete-, spiegò Laxus,
mostrandole un sorriso
smagliante che Jellal considerò fin troppo finto.
-Certamente-.
La cameriera si allontanò in direzione
del bancone e si confrontò con lo shaker, tenendo gli occhi
di Laxus
costantemente incollati addosso.
-E questo sarebbe l’approccio del maestro?-,
lo prese in giro Jellal,
liberando la risata che aveva trattenuto.
-Sta’ a guardare-.
-I vostri cocktail-, annunciò la
ragazza di ritorno, poggiando sul tavolino i due bicchieri.
-C’è altro di cui
avete bisogno?-.
-Mi scusi, signorina, ma… Potrebbe
soddisfare una piccola curiosità?-.
-Dica pure-, sorrise lei cordiale.
-Mi stavo domandando quale fosse il
nome scelto per indicare una bellezza come la sua-.
Ci mancò poco che a Jellal non andasse
di traverso il liquore che stava sorseggiando.
“Laxus”, pensò, facendo correre lo
sguardo dall’amico alla cameriera, “ora hai davvero
esagerato. Se non se ne va
adesso…”.
-Mirajane, signor…?-.
-Laxus Dreyar, fotografo
professionista-, rispose prontamente lui, estraendo dal taschino
interno della
giacca un biglietto da visita che Jellal immaginò si
portasse dietro solo in
occasioni come quella.
-Fotografo, ha detto?-.
La ragazza, arrossita nel sentirsi
rivolgere l’iniziale domanda e nel dover rispondere,
sembrò animarsi
improvvisamente. I suoi occhi brillavano.
-Attualmente lavoro per il Fairy
Magazine di Magnolia, ma ho anche esperienza nel campo della moda-.
-Davvero?-.
Da quel momento in poi, Jellal fu
estromesso dalla conversazione. Laxus e Mirajane parlarono per minuti
che a lui
parvero interminabili, ma che corrisposero a una manciata di secondi
dalla
prospettiva dei due interlocutori. Sembravano quasi due vecchi amici
che si
rincontravano inaspettatamente dopo tanto tempo: ognuno cercava di
sapere
qualcosa di più dell’altro, rilanciando una
domanda dietro l’altra. Alla fine
del discorso – interrotto proprio sul più bello
dalla bionda che Mirajane
chiamò Lucy – Laxus aveva ottenuto il numero di
telefono della ragazza e le
aveva strappato la promessa di rivedersi, qualche volta.
-Visto?-, gonfiò il petto con fare
orgoglioso. -Ecco come si fa, caro mio. Impara dal più
grande seduttore di
tutti i tempi-.
-È stata fortuna-.
-No, amico mio. È tutta strategia-.
Laxus gli fece l’occhiolino e bevve di
nuovo, poi aggiunse: -Be’, io ho fatto la mia conquista. Tu,
invece? Stai
aspettando che il tuo angelo di fuoco
compaia da dietro il sipario?-.
Aveva fatto di nuovo centro. Non che
fosse difficile, visto che Jellal non aveva smesso di controllare
l’orologio da
una mezz’ora a quella parte.
-La sua esibizione sarebbe dovuta
terminare dieci minuti fa-, disse a denti stretti il giornalista. -Ma
di lei
non c’è ancora traccia-.
-Abbiamo tutta la serata davanti. Dai,
sono sicuro che tra poco sarà qui-, provò a
consolarlo l’amico.
Invece non ci fu nulla da fare.
Alle due il locale chiuse e tutti i
clienti sciamarono fuori, pronti a tornare a casa. Di Scarlet neanche
l’ombra.
-Mi dispiace-, disse Laxus, dando al
collega una pacca sulla spalla mentre si allontanavano verso
l’auto. -Avrei
voluto che fosse tutto perfetto, visto che siamo venuti apposta per
festeggiare
te-.
Jellal non proferì parola. Di colpo la
sua gioia era svanita nel nulla ed era sprofondato di nuovo
nell’apatia.
-Mira, devo correre subito a casa. Mi
hanno appena telefonato dall’ospedale-.
-Cos’è successo?-.
-Natsu. Si è sentito male mentre era
in discoteca con un gruppo di amici-.
-Oddio!-.
-Mi dispiace, ma non posso
riaccompagnarti a casa. Probabilmente passerò tutta la notte
in ospedale e…-.
-Cara, non preoccuparti per me. Mi
farò dare uno strappo da qualcuno, tranquilla. Ora,
però, promettimi di
rimanere calma e lucida: Natsu ha bisogno di te-.
-Ci vediamo domani sera-.
-Se ci dovessero essere dei problemi
parlerò io con il signor Ichiya-.
-Grazie davvero. Sei un’amica-.
Jellal e Laxus videro la giovane Lucy
salire in macchina e sparire nella notte con un’espressione
sconvolta.
Mirajane, rimasta sulla porta d’ingresso del locale,
seguì la sagoma della
vettura finché non divenne del tutto invisibile.
-Serve aiuto?-, domandò il fotografo,
abbandonando l’amico e avvicinandosi alla cameriera.
-Oh, Laxus. Credevo che fossi già
andato via-.
-Ero sul punto di ripartire, in
realtà. Cos’è successo?-.
Jellal li osservò parlare. Soltanto
allora si rese conto che era bastato un niente a farli passare
dall’uso del lei al tu.
-Il fatto è che non ci sono mezzi per
tornare a Magnolia-, stava dicendo Mirajane, -e chiamare un taxi
significherebbe aspettare un’ora. Ma mi converrà
telefonare subito, se voglio
velocizzare i tempi-.
-Qual è il problema?-, la interruppe
Laxus. -Posso darti un passaggio, se vuoi. Anch’io abito in
città e non mi
creerebbe alcun disturbo aggiungere qualche altro chilometro a quelli
che devo
comunque fare-.
-Sicuro che non…?-.
-Fidati di me-.
-Ma… E il tuo amico? Prima mi hai
detto che la tua macchina ha solo due posti a sedere-.
-Chi, Jellal? Tranquilla, non c’è
problema. È grande e grosso: chiamerà un taxi e
si farà riprendere. Giusto?-.
Giusto un accidenti. Ecco cosa avrebbe
voluto urlargli. Lasciarlo lì, sperduto nel nulla, pur di
riaccompagnare a casa
una ragazza appena conosciuta: ecco uno dei comportamenti che odiava di
Laxus.
-Veramente…-.
Non continuò la frase. Il collega gli
stava rivolgendo uno sguardo a metà tra il minaccioso e il
supplichevole, così
che alla fine Jellal si ritrovò a dire
“Sì, fate pure. Mi arrangerò da
solo”.
-Visto? Anche lui è d’accordo-, Laxus
sorrise a Mirajane. -Dai, ti riporto in città-.
-Dammi solo un secondo. Vado a
prendere la borsa-.
La ragazza corse di nuovo dentro il
locale. Nel frattempo fu Jellal a rivolgere al fotografo
un’occhiata degna del
più pericoloso serial killer.
-Erza, chiudi tu! Ci vediamo domani!-.
Mirajane comparve proprio nel momento
in cui Laxus mimava al collega un inudibile “Sei un vero
amico”. Corse verso la
vettura e l’uomo, da vero – presunto, come
pensò Jellal – gentleman di altri
tempi, le aprì lo sportello, invitandola ad accomodarsi. Poi
fece lui stesso il
giro dell’auto e si mise al volante, salutando
un’ultima volta il giornalista
prima di partire con un ricercato rombo del motore.
“Esibizionista ed egoista”, si disse
Jellal, prendendo dalla tasca esterna della giacca il cellulare.
“Vediamo un
po’ cosa si può fare per questo taxi”.
Bip!
Rabbrividì:
quel suono preannunciava la sua
fine.
Chiuse gli occhi, certo di non voler
vedere la scritta apparsa sullo schermo del telefonino. Ma poi, dandosi
dello
sciocco, sbirciò la schermata e il suo timore si
concretizzò in un incubo.
Batteria
scarica
Ebbe solo il tempo
di leggere quelle
due parole, prima di vedere il display rabbuiarsi. Ora sì
che era finito.
Come sarebbe tornato a casa? Laxus lo
aveva abbandonato al suo triste destino, il cellulare era morto
esattamente nel
momento del bisogno e lo spiazzo in cui si trovava era buio e deserto.
Non c’era nessuno. Se ne erano andati
tutti.
“No, aspetta”.
L’attenzione di Jellal fu catturata
dalle finestre ancora illuminate del locale.
Cosa aveva detto Mirajane?
Erza,
chiudi tu.
Significava che c’era ancora una
persona all’interno. E che quindi, una volta chiesto il
permesso, avrebbe
potuto usare il telefono del night club.
Rinvigorito da quella speranza, Jellal
avanzò a passi rapidi verso l’ingresso ed
entrò. La sala era completamente
vuota, sebbene le luci fossero quasi tutte accese. Tavoli e sedie erano
stati
riordinati, così da essere già pronti per la sera
dopo.
-C’è nessuno?-.
Non una risposta.
Il giornalista si fece strada nel
locale, sorpassando il bancone del servizio alcolici e avvicinandosi al
palco.
Ora l’Amnesia aveva
assunto un
aspetto spettrale che per un secondo lo fece rabbrividire.
-C’è nessuno?-, ripeté, stavolta con
minor convinzione.
Il sipario era calato sui divertimenti
messi in mostra fino a un quarto d’ora prima; le tende
oscillavano appena.
E l’immaginazione prese il
sopravvento.
Jellal si figurò la scena che quella
sera non era avvenuta: una sorridente Scarlet avanzava nella sua
direzione
intonando una di quelle canzoni che sembravano essere state scritte
apposta per
lui. Non smetteva di fissarlo e finalmente l’uomo fu certo
che i suoi occhi si
rivolgessero davvero a lui, che non l’aveva soltanto sperato.
Poi le cortine si spostarono sul serio
e la fantasticheria si trasformò in un reale sogno a occhi
aperti.
Davanti a lui, sul palco, era di colpo
apparsa Scarlet.
La vera
Scarlet.
In
carne e ossa.
-Signore, serve
aiuto?-.
Jellal non rispose,
tanto era lo
shock. Ma se fosse stato in grado di pronunciare una frase di senso
compiuto,
sarebbe stato indeciso se chiederle di chiamare un cardiologo o un
bravo
psichiatra.