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Autore: Amor31    05/09/2014    5 recensioni
Per il giornalista Jellal Fernandes l’ultimo periodo è stato un inferno.
Vedendolo stressato e con il cuore a pezzi, il collega Laxus decide di aiutarlo a ritrovare l'amore per se stesso e per il proprio lavoro.
E quella che doveva essere una semplice serata tra amici sarà l'inizio di un cambiamento che rivoluzionerà per sempre la vita di entrambi.
- In sottofondo “Why don’t you do right” di Peggy Lee -
- Ultimo capitolo accompagnato da "Peach Lady" di Yuk-Cheung Chun -
- Storia partecipante al Contest "La guerra del Raiting" indetto da missredlights sul forum di EFP -
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza Scarlet, Gerard, Luxus Dreher, Mirajane
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

La mattina dopo Jellal si svegliò con una doppia certezza: avrebbe consegnato l’articolo a Makarov e in serata sarebbe andato all’Amnesia.
Dovette constatare anche un’altra cosa: Laxus aveva avuto ragione. Non sapeva se quel senso di benessere che provava fosse causato dai tre cocktail assunti – perché ne aveva bevuto anche un terzo, giusto per alimentare la scia di calore che si portava dentro – o dal ricordo di Scarlet, ma era come se una nuova energia gli stesse scorrendo nelle vene e questo bastava per rianimarlo.
Una volta in ufficio, terminò il pezzo entro la pausa pranzo delle due. Il collega fotografo non si era presa la briga di venire – e Jellal pensò che, se fosse andato a trovarlo a casa, lo avrebbe beccato a poltrire a letto – e così rimase da solo per tutto il tempo. Fu interrotto solo dall’arrivo della caporedattrice Ultear Milkovich, andata a complimentarsi con lui per l’articolo che aveva appena finito di leggere, e poi si preparò per tornare nel suo appartamento, aspettando impazientemente che scoccassero le nove per potersi mettere in marcia e recarsi al night club.
-Fernandes!-.
Una voce maschile lo aveva bloccato proprio nel momento in cui stava per uscire dalla redazione.
-Gray-, salutò il collega. -Di nuovo al lavoro?-.
-Da stamattina, già-, rispose il ragazzo. -Makarov mi ha richiamato con urgenza e mi ha assegnato uno speciale sull’inquinamento urbano-. 
-Mi dispiace che ti abbia rovinato le ferie-.
-No, non è questo il problema-.
Jellal lo guardò attentamente. L’espressione di Gray era indurita, come se fosse stato adirato.
-Che c’è, allora?-.
-Prima di mettermi a lavorare per il nuovo servizio ho bisogno di consegnare a Lluvia le foto che ho scattato sulle Alpi-.
-Quindi?-.
Gray inspirò, ora palesemente infastidito: -Quindi mi faresti un piacere se mi dicessi dove è stato messo il rullino che Makarov ha consegnato a Laxus-.
Jellal alzò le spalle: -Non ne ho la minima idea. Perché lo chiedi a me?-.
-Perché è da stamattina che provo a chiamare quell’imbecille, ma non si è mai degnato di rispondermi. Il cellulare è staccato, il telefono di casa squilla a vuoto. Dove si è cacciato?-.
-Sei sicuro che non abbia portato il rullino in sala sviluppo? Mi aveva detto di essersene occupato…-.
-Anche se fosse, le foto non si trovano. E io ne ho bisogno, altrimenti Lluvia non potrà consegnare il nostro articolo. Sai che per lei è un periodo di prova, no? Questa è già la seconda possibilità che il Direttore le concede e se dovesse andare male anche stavolta probabilmente la butterà fuori. E tutto perché quell’idiota del tuo amico non sa fare il suo lavoro!-.
-Gray, cerca di calmarti-, sbottò Jellal, poggiando entrambe le mani sulle spalle del collega. -Se vuoi posso provare a richiamare Laxus di nuovo-.
-È inutile, non risponde!-.
-Allora saliamo di sopra e controlliamo per bene. Dai, darò una mano a te e Lluvia-.
-Ti devo un favore-, lo ringraziò l’altro, precedendolo sulla rampa delle scale che portava agli uffici.
Dal canto suo e senza farsi notare, Jellal sospirò, afflitto: per quella sera Scarlet avrebbe dovuto attendere.

 

***

 

L’indomani non fu migliore.
Aveva trascorso il giorno prima tra le fotografie che Gray aveva ritrovato – e che erano sempre state in una cartella riposta da Laxus proprio in sala sviluppo – dando anche preziosi consigli all’inesperta Lluvia, mentre adesso si trovava nel proprio ufficio a scrivere un pezzo di repertorio sull’incidenza che il consumo di sigaretta aveva sullo sviluppo del cancro ai polmoni. Makarov glielo aveva commissionato all’ultimo minuto, proprio quando Jellal aveva finalmente pensato di essere libero, e il Direttore si era anche raccomandato di finirlo entro le nove di quella sera stessa. Giusto in tempo per la stampa notturna del quotidiano che la mattina seguente sarebbe stato in tutte le edicole di Magnolia.
Nonostante sapesse di doversi concentrare per cavare fuori un articolo che fosse almeno presentabile, i pensieri dell’uomo non facevano che correre all’attraente Scarlet. Sembrava passata un’eternità da quando l’aveva vista per la prima volta e il bisogno di incontrarla di nuovo diventava sempre più forte. Era arrivato addirittura al punto di sognarla, segno che la donna aveva davvero fatto breccia nel suo cuore. Oltre che in altre parti del corpo, come aveva pensato la sera prima, mentre era a letto cercando di prendere sonno.
Due sere da solo, nel suo appartamento.
Due sere in cui sarebbe potuto andare al night club, ma il destino – o semplicemente i suoi colleghi e superiori – gli aveva remato contro.
Alle quattro del terzo giorno, Makarov lo convocò nel proprio ufficio. Jellal entrò con passo pesante, senza sapere perché improvvisamente si sentisse così a disagio. Insomma, non aveva motivo di preoccuparsi: aveva lavorato duramente, si era distinto in più di un’occasione, era sempre disponibile quando gli si chiedeva di intraprendere lunghi viaggi per documentare avvenimenti importanti o scene di vita quotidiana… Doveva stare calmo.
-Voleva vedermi, Direttore?-.
-Siediti-, lo invitò il superiore, mantenendo un tono di voce tale da non far capire a Jellal quali fossero le sue intenzioni. -Volevo discutere con te di una decisione importante-.
-Devo iniziare ad allarmarmi?-, provò a scherzare il giornalista. Sfortunatamente, però, la sua battuta non sortì alcun effetto.
-Ho letto l’articolo di Lluvia Lockser-.
Makarov si fermò e Jellal trasalì.
-Come…?-.
-Mi è sembrato davvero molto buono, nonostante la ragazza sia solo agli inizi-.
L’altro riprese a respirare normalmente: -Se posso parlare con sincerità, Direttore, credo che quella ragazza abbia grandi capacità. Deve solo affinare la tecnica e fare esperienza-.
-Infatti-, concordò Makarov. -Ecco perché mi sono accorto che quella non era tutta farina del suo sacco-.
Jellal ingoiò a fatica un grumo di saliva. Il suo superiore manteneva uno sguardo severo e le mani intrecciate sotto il mento, segno che l’intera redazione sapeva non promettere nulla di buono.
-Direttore…-.
-Fernandes, ti conosco da dieci anni. Ho imparato ad apprezzare il tuo stile e dopo un decennio trascorso a leggere i tuoi pezzi, così come quelli dei tuoi colleghi, so distinguere bene cosa ha scritto la signorina Lockser e cosa invece è tuo. Espressioni, vocaboli usati più frequentemente… Tutti voi siete come libri aperti, per me. Quindi  conferma la mia certezza: sei stato tu ad aiutare la praticante?-.
Jellal annuì e abbassò gli occhi sulla scrivania del Direttore.
-Bene. E ora veniamo alla decisione che devo prendere-.
Makarov rimase in silenzio finché il giornalista non ebbe la forza di rialzare lo sguardo, poi continuò: -Normalmente un comportamento come il tuo sarebbe in qualche modo punito. E credimi quando dico che ho meditato a lungo se applicare o meno una sanzione nei tuoi confronti-.
Jellal trattenne di nuovo il fiato, il cuore sul punto di uscirgli dal petto per fuggire dalla finestra alle spalle del Direttore.
-Ma personalmente ritengo che sia sbagliato agire in questo modo; sarebbe davvero controproducente se decidessi di licenziarti per una sciocchezza del genere. No, no, ti dirò la verità: credo che tu ti sia comportato come un leader-.
Il giornalista strabuzzò gli occhi, incredulo.
-Hai agito correttamente. Hai aiutato una collega che aveva davvero bisogno di te; soprattutto, hai aiutato una ragazza alle prime armi, che quindi ha la necessità di farsi le ossa in questa professione. Una praticante come Lluvia Lockser non potrebbe mai migliorare se non ci fosse qualcuno come te a spiegarle dove e cosa sbaglia. Inoltre, ti sei sforzato di farle maturare uno stile tutto suo: ecco cosa ti rende leader. Un'altra persona probabilmente si sarebbe limitata a suggerirle parole non sue, con l’unica preoccupazione di consegnare il prima possibile l’articolo. E parlando esclusivamente del tuo operato, mi ritengo davvero soddisfatto: i tuoi ultimi pezzi sono stati magnifici. Hai la stoffa per diventare il simbolo di questa testata. Ed ecco perché vorrei proporti come nuovo caporedattore della sezione Attualità. Te la senti di assumere questo incarico?-.
Jellal, con la bocca secca per lo stupore, non riuscì ad articolare una parola.
-Prendi-, Makarov gli porse un bicchiere di plastica con dell’acqua fresca.
Bevve con la stessa foga con cui due sere prima aveva ingollato i tre super alcolici. La differenza stavolta fu netta: il liquido gelido diede nuova vita alla sua lingua, mentre i cocktail gli avevano bruciato la gola come se avesse ingoiato dei carboni ardenti.
-Direttore, non so davvero cosa…-.
-Basta un sì o un no-. Adesso il superiore gli sorrideva, incoraggiante.
-Ne sarei onorato-, esalò alla fine Jellal, stringendo ancora tra le mani il bicchiere.
-Bene, allora. Da domani ti trasferirai accanto all’ufficio di Ultear e con lei discuterai del nuovo assetto della sezione. Sarete una squadra formidabile, insieme-.
Jellal annuì con un cenno della testa, optando per non rivelare a Makarov quali tensioni corressero tra lui e la caporedattrice Milkovich. Si limitò a ringraziare il Direttore per l’assegnazione del nuovo incarico, che segnava l’inizio della sua scalata professionale all’interno del giornale.
-Posso andare?-, chiese, dopo che il superiore ebbe definito altri particolari.
-Certamente. Per stasera ti lascio libero, visto che hai passato gli ultimi due giorni in redazione-.
Si congedarono l’un l’altro e Jellal, soddisfatto come poche altre volte nella vita, uscì dall’edificio con un gran sorriso stampato sul volto.
Finalmente si sentiva felice.
E la ciliegina sulla torta sarebbe stata rivedere Scarlet di lì a poche ore.
Non si sarebbe lasciato scappare quell’appuntamento per nulla al mondo.

 

***

 

Era tornato a casa a notte fonda.
Era da poco passata l’una quando si liberò della camicia e crollò sul letto, stanco, ma entusiasta. Non riusciva a smettere di sorridere: il viso della bella cantante, quella sera avvolta in un abito nero che aveva fatto sbizzarrire la sua immaginazione, tornava davanti ai suoi occhi non appena li chiudeva, rendendogli praticamente impossibile dormire.
Si era presentato all’Amnesia in perfetto orario e aveva occupato lo stesso tavolo che Laxus aveva fatto riservare la prima sera. Aveva aspettato che Scarlet facesse la sua apparizione ordinando degli analcolici – e per questo ringraziò il fatto di essere solo e non in compagnia di un amante del liquore come il suo amico – senza badare alle altre ragazze che giravano tra i tavoli e si esibivano sul palco. E alla fine, dopo un’ora e mezza trascorsa a brindare in parte alla sua promozione, la donna era arrivata, svuotandogli la testa da qualsiasi altro pensiero o preoccupazione. Aveva cantato soavemente e come lei sola sapeva fare, tanto che Jellal, perso completamente nei suoi brillanti occhi castani, si era detto che avrebbe voluto essere svegliato ogni mattina da una voce così bella. Aveva lasciato la propria fantasia a briglie sciolte, ma non aveva lasciato che questa prendesse il sopravvento. Al contrario, aveva sempre mantenuto il contatto visivo con Scarlet e poco alla volta si era convinto che lei lo stesse davvero fissando con l’identica intensità con cui lui la osservava. Il loro era un gioco di sguardi che molti avrebbero invidiato; ma in quel momento il giornalista si chiese se in fondo quello non fosse sul serio solo un gioco. D’altronde quella donna era pagata per intrattenere il suo pubblico e molto probabilmente il suo contratto la invitava anche a flirtare con chi la guardava. A patto che il flirt rimanesse, appunto, solo un gioco legato al proprio lavoro.
Fu con quell’ultimo pensiero che Jellal si addormentò. Un dubbio si era improvvisamente insinuato in lui e una punta di gelosia andò a venargli il cuore: a quanti altri uomini aveva rivolto quegli occhi? A quanti altri aveva sorriso come aveva sorriso a lui? E il giornalista, da parte sua, cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato una terza volta o si sarebbe lasciato scivolare alle spalle quell’esperienza, nonostante questa avesse le sembianze di Scarlet?
Il suo sonno fu agitato, eppure al risveglio aveva già accantonato le domande che si era posto, certo di dover riandare da lei.
Una volta in ufficio incontrò Laxus. Non lo vedeva da tre giorni e lo salutò con una cordialità che il collega aveva dimenticato, talmente lontana era l’ultima volta in cui aveva visto contento l’amico.
-Ehi, che ti succede? Sto via per un paio di giorni e ti ritrovo in forma smagliante!-, lo prese in giro il fotografo.
-Già. Non mi sono mai sentito così bene-.
-Che ti avevo detto? Dai, concedimi una parte del merito-.
-Forse-, sorrise Jellal. -Ma la vera sorpresa è un’altra-.
-Cosa?-.
-Makarov mi ha promosso a caporedattore per l’Attualità-.
-Amico, congratulazioni-, Laxus lo abbracciò, sinceramente felice per lui. -Mi chiedevo se e quando il Direttore avrebbe riconosciuto il tuo lavoro-.
-In parte è stato anche grazie a te se ho raggiunto questo traguardo-, confidò Jellal, staccandosi dal collega. -Se non fosse stato per il rullino che hai sviluppato, ma che Gray non riusciva a trovare…-.
-No, no, vacci piano. Raccontami tutto. Diamine, non mi aspettavo che tre giorni di assenza potessero sconvolgere la vita della redazione!-.
Jellal non nascose alcun dettaglio. Riferì dell’arrabbiatura di Gray, di come lui avesse aiutato Lluvia con il suo articolo e del colloquio avuto con Makarov. Prese in giro l’amico per non essere stato reperibile per tutto il tempo e Laxus, a corto di scuse, dovette ammettere che sì, aveva trascorso due giorni in stato comatoso a letto per riprendersi non solo dalla mezza sbornia del night club, ma anche dalle fatiche del viaggio in Perù. D’altra parte, né lui né Jellal avevano avuto tempo di fermarsi da quando avevano fatto ritorno.
-Posso farti una proposta?-, domandò Laxus al termine del resoconto.
-Dimmi-.
-Visto che finalmente sei tornato a essere il Jellal che conoscevo, che ne diresti di festeggiare la promozione come fanno i veri uomini?-.
-Cosa intendi per “festeggiare”?-.
Il collega lo squadrò: -Alcol. Musica. Bella compagnia. Sei interessato o preferisci rimanere a casa a prendere polvere?-.
-Locale?-.
-Hai davvero bisogno che te lo dica?-.
Non servirono altre parole.

 

***

 

-Un tavolo per due. Il sette, visto che d’ora in poi saremo di casa-.
Laxus sorrise con fare seducente alla bionda che già tre giorni prima li aveva accolti all’Amnesia. Aveva detto quella frase per stuzzicare l’amico, poiché credeva che avesse accettato di tornare al night club solo per compiacerlo. Ignorava del tutto che Jellal avesse fatto una capatina la sera precedente: quello era l’unico dettaglio – un dettaglio fondamentale – che il collega aveva eliminato dal racconto fornitogli quella mattina.
-Pensavi che non avresti messo più piede in questo posto, eh?-, continuò Laxus una volta che furono seduti.
-Lo penso ancora-.
-A-ah, Jellal. Ricordi la legge della seconda volta?-.
-È solo una stupidaggine-, ribatté il giornalista. Peccato che sapesse lui per primo che fino a quel momento le teorie dell’amico si erano rivelate vere.
-Allora, vogliamo brindare?-, proseguì il fotografo, chiamando una cameriera.
-Solo perché te lo meriti-, lo prese in giro Jellal, afferrando il cocktail che la nuova venuta gli porgeva e portandoselo alle labbra subito dopo averlo fatto cozzare con un tintinnio contro quello del collaboratore.
-È incredibile vederti così felice-, notò Laxus, studiando l’espressione rilassata dell’altro. -Penserei che hai anche trovato una donna, se non sapessi già che è impossibile-.
-Perché? Non sarò un dongiovanni come te, ma sarebbe facile avere una ragazza, se lo volessi-.
L’amico sorrise, bevendo un altro sorso del cocktail: -Jellal, lo sai meglio di me che sei un timido di prima categoria. Se davvero fossi capace di trovare una donna e tenertela stretta, a quest’ora avresti adocchiato almeno un paio di bei bocconcini. Come quella lì, per esempio-.
Laxus indicò con discrezione un punto alle spalle di Jellal, che provò a voltarsi per vedere a chi si stesse riferendo.
-Non così in fretta!-, lo rimproverò il fotografo, dandogli un buffetto sul braccio. -Girati lentamente. È quella con la minigonna bianca, dall’altra parte della sala-.
Il giornalista impiegò un buon minuto prima di capire chi fosse la persona che stava cercando. La osservò servire ad alcuni tavoli e poi tornò a rivolgersi all’amico: -Molto carina, sì-.
-Carina?-, sbottò Laxus, spalancando gli occhi come se Jellal avesse appena pronunciato un’eresia. -Una bomba, vorrai dire!-.
-Mi dispiace, ma non è il mio tipo-.
-E chi ha detto che deve essere il tuo?-, lo fermò l’altro.
-Oh, be’…-.
-Su, sbrigati a vuotare questo bicchiere!-, lo sollecitò Laxus, bevendo fino all’ultima goccia del proprio drink.
-Ehi, datti una calmata-.
-Muoviti! Prima che serva quel tavolo laggiù in fondo!-.
Jellal obbedì. Sentì la bocca andare in fiamme e gli occhi bruciare, ma resistette stoicamente mentre l’amico alzava una mano per attirare l’attenzione della bella cameriera.
-Sta venendo da questa parte-, sussurrò il fotografo. -Ammira il maestro in azione-.
Jellal si costrinse a reprimere una risata. Non che non conoscesse le principali tecniche di abbordaggio che Laxus usava, ma lo divertiva vederlo comportarsi in modo tanto spudorato. Inoltre, c’era sempre la possibilità che la prescelta se ne andasse rifiutando categoricamente le avances del playboy di turno e il giornalista non si sarebbe mai perso uno spettacolo esilarante come l’espressione dell’amico nel momento del rifiuto.
-Posso fare qualcosa per voi, signori?-.
Ora che si era avvicinata, Jellal si rese conto di quanto fosse alta la ragazza. Le sue gambe longilinee erano risaltate dalla minigonna stropicciata che indossava, così come il seno prosperoso veniva esaltato da una scollatura che non sarebbe mai stata accettata se avesse lavorato in un normale bar; lunghi capelli le coprivano la schiena nuda.
-Sarebbe tanto gentile da portarci altri due gin? Il mio amico ha sete-, spiegò Laxus, mostrandole un sorriso smagliante che Jellal considerò fin troppo finto.
-Certamente-.
La cameriera si allontanò in direzione del bancone e si confrontò con lo shaker, tenendo gli occhi di Laxus costantemente incollati addosso.
-E questo sarebbe l’approccio del maestro?-, lo prese in giro Jellal, liberando la risata che aveva trattenuto.  
-Sta’ a guardare-.
-I vostri cocktail-, annunciò la ragazza di ritorno, poggiando sul tavolino i due bicchieri. -C’è altro di cui avete bisogno?-.
-Mi scusi, signorina, ma… Potrebbe soddisfare una piccola curiosità?-.
-Dica pure-, sorrise lei cordiale.
-Mi stavo domandando quale fosse il nome scelto per indicare una bellezza come la sua-.
Ci mancò poco che a Jellal non andasse di traverso il liquore che stava sorseggiando.
“Laxus”, pensò, facendo correre lo sguardo dall’amico alla cameriera, “ora hai davvero esagerato. Se non se ne va adesso…”.
-Mirajane, signor…?-.
-Laxus Dreyar, fotografo professionista-, rispose prontamente lui, estraendo dal taschino interno della giacca un biglietto da visita che Jellal immaginò si portasse dietro solo in occasioni come quella.
-Fotografo, ha detto?-.
La ragazza, arrossita nel sentirsi rivolgere l’iniziale domanda e nel dover rispondere, sembrò animarsi improvvisamente. I suoi occhi brillavano.
-Attualmente lavoro per il Fairy Magazine di Magnolia, ma ho anche esperienza nel campo della moda-.
-Davvero?-.
Da quel momento in poi, Jellal fu estromesso dalla conversazione. Laxus e Mirajane parlarono per minuti che a lui parvero interminabili, ma che corrisposero a una manciata di secondi dalla prospettiva dei due interlocutori. Sembravano quasi due vecchi amici che si rincontravano inaspettatamente dopo tanto tempo: ognuno cercava di sapere qualcosa di più dell’altro, rilanciando una domanda dietro l’altra. Alla fine del discorso – interrotto proprio sul più bello dalla bionda che Mirajane chiamò Lucy – Laxus aveva ottenuto il numero di telefono della ragazza e le aveva strappato la promessa di rivedersi, qualche volta.
-Visto?-, gonfiò il petto con fare orgoglioso. -Ecco come si fa, caro mio. Impara dal più grande seduttore di tutti i tempi-.
-È stata fortuna-.
-No, amico mio. È tutta strategia-.
Laxus gli fece l’occhiolino e bevve di nuovo, poi aggiunse: -Be’, io ho fatto la mia conquista. Tu, invece? Stai aspettando che il tuo angelo di fuoco compaia da dietro il sipario?-.
Aveva fatto di nuovo centro. Non che fosse difficile, visto che Jellal non aveva smesso di controllare l’orologio da una mezz’ora a quella parte.
-La sua esibizione sarebbe dovuta terminare dieci minuti fa-, disse a denti stretti il giornalista. -Ma di lei non c’è ancora traccia-.
-Abbiamo tutta la serata davanti. Dai, sono sicuro che tra poco sarà qui-, provò a consolarlo l’amico.
Invece non ci fu nulla da fare.
Alle due il locale chiuse e tutti i clienti sciamarono fuori, pronti a tornare a casa. Di Scarlet neanche l’ombra.
-Mi dispiace-, disse Laxus, dando al collega una pacca sulla spalla mentre si allontanavano verso l’auto. -Avrei voluto che fosse tutto perfetto, visto che siamo venuti apposta per festeggiare te-.
Jellal non proferì parola. Di colpo la sua gioia era svanita nel nulla ed era sprofondato di nuovo nell’apatia.
-Mira, devo correre subito a casa. Mi hanno appena telefonato dall’ospedale-.
-Cos’è successo?-.
-Natsu. Si è sentito male mentre era in discoteca con un gruppo di amici-.
-Oddio!-.
-Mi dispiace, ma non posso riaccompagnarti a casa. Probabilmente passerò tutta la notte in ospedale e…-.
-Cara, non preoccuparti per me. Mi farò dare uno strappo da qualcuno, tranquilla. Ora, però, promettimi di rimanere calma e lucida: Natsu ha bisogno di te-.
-Ci vediamo domani sera-.
-Se ci dovessero essere dei problemi parlerò io con il signor Ichiya-.
-Grazie davvero. Sei un’amica-.
Jellal e Laxus videro la giovane Lucy salire in macchina e sparire nella notte con un’espressione sconvolta. Mirajane, rimasta sulla porta d’ingresso del locale, seguì la sagoma della vettura finché non divenne del tutto invisibile.
-Serve aiuto?-, domandò il fotografo, abbandonando l’amico e avvicinandosi alla cameriera.
-Oh, Laxus. Credevo che fossi già andato via-.
-Ero sul punto di ripartire, in realtà. Cos’è successo?-.
Jellal li osservò parlare. Soltanto allora si rese conto che era bastato un niente a farli passare dall’uso del lei al tu.
-Il fatto è che non ci sono mezzi per tornare a Magnolia-, stava dicendo Mirajane, -e chiamare un taxi significherebbe aspettare un’ora. Ma mi converrà telefonare subito, se voglio velocizzare i tempi-.
-Qual è il problema?-, la interruppe Laxus. -Posso darti un passaggio, se vuoi. Anch’io abito in città e non mi creerebbe alcun disturbo aggiungere qualche altro chilometro a quelli che devo comunque fare-.
-Sicuro che non…?-.
-Fidati di me-.
-Ma… E il tuo amico? Prima mi hai detto che la tua macchina ha solo due posti a sedere-.
-Chi, Jellal? Tranquilla, non c’è problema. È grande e grosso: chiamerà un taxi e si farà riprendere. Giusto?-.
Giusto un accidenti. Ecco cosa avrebbe voluto urlargli. Lasciarlo lì, sperduto nel nulla, pur di riaccompagnare a casa una ragazza appena conosciuta: ecco uno dei comportamenti che odiava di Laxus.
-Veramente…-.
Non continuò la frase. Il collega gli stava rivolgendo uno sguardo a metà tra il minaccioso e il supplichevole, così che alla fine Jellal si ritrovò a dire “Sì, fate pure. Mi arrangerò da solo”.
-Visto? Anche lui è d’accordo-, Laxus sorrise a Mirajane. -Dai, ti riporto in città-.
-Dammi solo un secondo. Vado a prendere la borsa-.
La ragazza corse di nuovo dentro il locale. Nel frattempo fu Jellal a rivolgere al fotografo un’occhiata degna del più pericoloso serial killer.
-Erza, chiudi tu! Ci vediamo domani!-.
Mirajane comparve proprio nel momento in cui Laxus mimava al collega un inudibile “Sei un vero amico”. Corse verso la vettura e l’uomo, da vero – presunto, come pensò Jellal – gentleman di altri tempi, le aprì lo sportello, invitandola ad accomodarsi. Poi fece lui stesso il giro dell’auto e si mise al volante, salutando un’ultima volta il giornalista prima di partire con un ricercato rombo del motore.
“Esibizionista ed egoista”, si disse Jellal, prendendo dalla tasca esterna della giacca il cellulare. “Vediamo un po’ cosa si può fare per questo taxi”.

Bip!
Rabbrividì: quel suono preannunciava la sua fine.
Chiuse gli occhi, certo di non voler vedere la scritta apparsa sullo schermo del telefonino. Ma poi, dandosi dello sciocco, sbirciò la schermata e il suo timore si concretizzò in un incubo.

Batteria scarica
Ebbe solo il tempo di leggere quelle due parole, prima di vedere il display rabbuiarsi. Ora sì che era finito.
Come sarebbe tornato a casa? Laxus lo aveva abbandonato al suo triste destino, il cellulare era morto esattamente nel momento del bisogno e lo spiazzo in cui si trovava era buio e deserto.
Non c’era nessuno. Se ne erano andati tutti.
“No, aspetta”.
L’attenzione di Jellal fu catturata dalle finestre ancora illuminate del locale.
Cosa aveva detto Mirajane?

Erza, chiudi tu.
Significava che c’era ancora una persona all’interno. E che quindi, una volta chiesto il permesso, avrebbe potuto usare il telefono del night club.
Rinvigorito da quella speranza, Jellal avanzò a passi rapidi verso l’ingresso ed entrò. La sala era completamente vuota, sebbene le luci fossero quasi tutte accese. Tavoli e sedie erano stati riordinati, così da essere già pronti per la sera dopo.
-C’è nessuno?-.
Non una risposta.
Il giornalista si fece strada nel locale, sorpassando il bancone del servizio alcolici e avvicinandosi al palco. Ora l’Amnesia aveva assunto un aspetto spettrale che per un secondo lo fece rabbrividire.
-C’è nessuno?-, ripeté, stavolta con minor convinzione.
Il sipario era calato sui divertimenti messi in mostra fino a un quarto d’ora prima; le tende oscillavano appena.
E l’immaginazione prese il sopravvento.
Jellal si figurò la scena che quella sera non era avvenuta: una sorridente Scarlet avanzava nella sua direzione intonando una di quelle canzoni che sembravano essere state scritte apposta per lui. Non smetteva di fissarlo e finalmente l’uomo fu certo che i suoi occhi si rivolgessero davvero a lui, che non l’aveva soltanto sperato.
Poi le cortine si spostarono sul serio e la fantasticheria si trasformò in un reale sogno a occhi aperti.
Davanti a lui, sul palco, era di colpo apparsa Scarlet.
La vera Scarlet.

In carne e ossa
.
-Signore, serve aiuto?-.
Jellal non rispose, tanto era lo shock. Ma se fosse stato in grado di pronunciare una frase di senso compiuto, sarebbe stato indeciso se chiederle di chiamare un cardiologo o un bravo psichiatra.

   
 
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