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Autore: Amor31    29/08/2014    5 recensioni
Per il giornalista Jellal Fernandes l’ultimo periodo è stato un inferno.
Vedendolo stressato e con il cuore a pezzi, il collega Laxus decide di aiutarlo a ritrovare l'amore per se stesso e per il proprio lavoro.
E quella che doveva essere una semplice serata tra amici sarà l'inizio di un cambiamento che rivoluzionerà per sempre la vita di entrambi.
- In sottofondo “Why don’t you do right” di Peggy Lee -
- Ultimo capitolo accompagnato da "Peach Lady" di Yuk-Cheung Chun -
- Storia partecipante al Contest "La guerra del Raiting" indetto da missredlights sul forum di EFP -
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza Scarlet, Gerard, Luxus Dreher, Mirajane
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Striptease






Capitolo I

 
Era un pomeriggio torrido. Il ventilatore era stato impostato al massimo fin da prima mattina, ma nell’ufficio si faceva comunque fatica a respirare.
Jellal Fernandes se ne stava seduto non troppo comodamente alla sua scrivania e teneva gli occhi fissi su una decina di pagine di appunti presi durante il suo ultimo viaggio. Stavolta il Direttore Makarov gli aveva assegnato uno speciale su una tribù indigena sperduta in una remota zona del Perù e dopo due settimane passate per lo più a masticare radici e tuberi arrostiti, era finalmente tornato alla civiltà, ringraziando il Cielo per l’esistenza di elettricità e acqua calda.
Ora, di nuovo al lavoro, il suo compito era battere a macchina l’articolo che aveva già preso forma nella sua testa; certo, non era facile concentrarsi con quel caldo afoso e la camicia zuppa di sudore incollata alla schiena, ma avrebbe fatto bene a darsi una mossa, se davvero desiderava tornare a casa e concedersi una rivitalizzante doccia fredda.
Sbuffò e rilesse attentamente le due righe che aveva appena aggiunto, cancellandole un secondo dopo, insoddisfatto; si rese conto di non star mettendo il proprio cuore in quello scritto e si passò entrambe le mani tra i capelli in preda alla disperazione.
Toc toc
Ebbe appena il tempo di alzare gli occhi sulla porta, aperta senza alcun permesso dal suo più stretto collaboratore.
-Si può?-, domandò Laxus Dreyar, avanzando verso la scrivania con un sorriso stranamente cordiale che insospettì subito Jellal.
-Potresti anche chiuderla-, gli disse con tono stanco, alludendo alla porta alle sue spalle.
-Dio, questa stanza sembra una fornace! Lascia passare un po’ d’aria-.
-Ho acceso il ventilatore, se non te ne sei accorto. Se la lasci aperta, andrà dispersa tutta la frescura-.
Laxus si lasciò scappare un ironico Ah-ah prima di chiudere la porta e compiacere il collega. Poi fece il giro della scrivania e si pose alle sue spalle, sbirciando l’articolo: -Makarov vuole il servizio pronto per domani sera. Pensi di farcela?-.
Jellal non rispose. Evidenziò e cancellò qualcosa, corresse di nuovo e infine fece aderire la schiena sudata alla poltroncina girevole su cui era seduto. Chiuse gli occhi per alcuni secondi, prima di replicare: -Sì, non dovrei avere problemi. Hai digitalizzato le tue foto?-.
-L’ho fatto stamattina-.
-E allora perché non te ne sei tornato a casa?-.
-Makarov mi ha affidato i rullini di Gray. Ha deciso di prendersi una pausa dal lavoro proprio nel momento più adatto-.
Era evidente che le parole di Laxus tradissero un certo risentimento, ma Jellal preferì non approfondire la questione.
-Dove è stato?-.
-Sulle Alpi per un articolo sullo sci. Noi sbattuti in Amazzonia…-.
-Perù-, lo corresse l’altro.
-Amazzonia, Perù… Quello che è! E lui in escursione in montagna. Makarov deve avercela con noi-.
Da bravo collega, Jellal avrebbe dovuto dire qualcosa come “Noi saremo in copertina” oppure “Ci affidano compiti difficili perché siamo più bravi ed esperti”, ma l’afa gli aveva assorbito gran parte delle energie e preferiva di gran lunga impiegare le rimanenti per portare a termine il suo articolo.
-A ogni modo-, proseguì Laxus, capendo che l’altro non avrebbe aperto bocca, -mi sembri parecchio stressato. Qualcosa non va?-.
-Tutto bene-, rispose a denti stretti Jellal, pigiando mollemente le dita sulla tastiera.
-Ha chiamato Meredy, poco fa-.
L’uomo trasalì, fermandosi nuovamente: -Cosa voleva?-.
-Ti cercava. A quanto pare non le avevi detto di essere tornato-.
-Già-, annuì dopo qualche istante, riprendendo a scrivere.
-E mi ha detto che era preoccupata anche perché non riusciva a contattarti, visto che il tuo cellulare risultava sempre irraggiungibile-.
-Vero anche questo-.
Laxus fissò la nuca del collega, indeciso se prenderlo a schiaffi o se parlargli ragionevolmente. Optò per un compromesso.
-Ascoltami bene-, disse in tono minaccioso, facendo voltare la poltroncina e obbligando Jellal a guardarlo negli occhi. -Meredy è tua sorella. È tutto quello che ti è rimasto. E vorresti estrometterla dalla tua vita?-.
-Non è questo il punto-.
-E allora cosa?-.
Jellal abbassò lo sguardo, ma strinse i pugni. Poteva forse dire al collega di essere geloso della sua cara sorellina? Poteva forse dire che le cose erano un tantino cambiate da quando la ragazza era andata a convivere con il giovane e rampante avvocato Lyon Bastia?
-Meredy è adulta e responsabile per se stessa. Non c’è bisogno che si preoccupi per me. Dovrei essere io a prendermi cura di lei, visto che sono suo fratello maggiore, ma so che non ha più bisogno della mia protezione, sempre che ne abbia mai avvertito la necessità-.
-Jellal?-.
-Che c’è?-.
-Sei un idiota. Lo sai, vero?-.
-Può darsi-.
-Da quanto tempo non esci con una ragazza?-.
E ora cosa c’entrava quella domanda con il discorso precedente?
-Scusa, ma non credo di aver capito il nesso-.
-Limitati a rispondere-.
Stizzito e ancora allibito, Jellal ripensò a come aveva vissuto nell’ultimo periodo. Calcolò qualcosa sulla punta delle dita e poi disse: -Tre anni-.
-Cosa?!-.
-La risposta che volevi. Tre anni-.
-No, no, no, fammi capire-, scosse la testa Laxus, incredulo. -Stai dicendo che non frequenti nessuno da…-.
-Sì, perché? Ti sembra strano?-.
Ma certo che lo era, pensò in un secondo momento. Stava pur sempre parlando con il fotografo Dreyar, rinomato playboy della redazione. L’unico uomo – il solo che Jellal avesse mai conosciuto, almeno – in grado di collezionare una ragazza dopo l’altra senza rimanere invischiato in storie troppo complicate; il classico dongiovanni che si ripeteva a mo’ di mantra il motto “Mai più di una notte”.
-E ci credo che sei stressato!-, sbottò il collega, gli occhi ancora strabuzzati. -Tre anni! Tre. Anni!-.
In propria discolpa – perché avrebbe dovuto giustificarsi, poi? – Jellal avrebbe potuto dire che per nessuno sarebbe stato facile intraprendere una nuova relazione dopo aver a malapena flirtato con la caporedattrice Ultear Milkovich; inoltre, come avrebbe fatto a gestire o anche solo ad iniziare un’altra storia, se il lavoro lo costringeva continuamente a stare lontano da casa? Le soluzioni erano due: o comportarsi come Laxus oppure restare da solo vita natural durante. La seconda opzione gli sembrava e gli era sempre parsa la più ragionevole, visto che, nonostante le apparenze, la sua timidezza era proverbiale.
-Facciamo una cosa-, disse il fotografo suo collaboratore, passandosi una mano sul viso, quasi avesse voluto rimuovere la rivelazione sconvolgente del collega. -Prova a finire questo dannato articolo entro le sei. Se non ci riesci, e credo proprio che sarà così, evita di continuarlo a casa. Questa sera ti prenderai una bella pausa e vedrai che domani ti sentirai molto meglio-.
-Grazie per il consiglio, Laxus, ma non penso che Makarov sia dello stesso avviso-.
-A lui importa solo che sia pronto entro le sei di domani-, sottolineò l’altro. -Hai tutto il tempo per finire il tuo capolavoro-.
Jellal colse una punta di sarcasmo in quelle parole, ma preferì passarci su.
-Che ne dici di uscire? Andiamo a farci una bella bevuta in qualche locale e poi dormiamoci sopra. Ti assicuro che sarai rigenerato. Con me funziona sempre-.
Quello doveva essere il metodo che gli aveva insegnato una delle sue ultime conquiste, una certa Cana. Jellal scosse la testa.
-Sono astemio, lo sai-.
-E che importa? Ti farò portare una cola, se l’alcol ti dà problemi-.
-Laxus, te lo sto dicendo con gentilezza: non ho intenzione di uscire. Non quando ho un lavoro da terminare-.
-Quante storie!-, proruppe il fotografo. -Lo sai anche tu che non hai né la voglia né la testa per completare il pezzo. Preferisci davvero startene da solo a casa? Non sarebbe meglio se ti divertissi un po’? Se comunque non aggiungerai un’altra riga allo scritto di oggi, tanto vale uscire con il tuo migliore amico, non ti pare?-.
Un punto a suo favore.
-D’accordo-, si lasciò convincere Jellal, battendo leggermente le mani sul bordo della scrivania. -Dove ci vediamo?-.
-Oh, non preoccuparti-, lo rassicurò Laxus, allontanandosi verso la porta. -Passerò a prenderti verso le nove, se non ti crea problemi-.
-Affatto-, rispose l’altro, ostentando una sicurezza che non aveva. -Ma sei sicuro di volermi dare un passaggio? Non sarebbe meglio se…-.
-Lascia fare al sottoscritto-, lo interruppe il collega. -Vedrai, non te ne pentirai-.

 

***

 

Alle otto e mezza Jellal era già pronto.
Aveva rinunciato a proseguire nella stesura dell’articolo e si era rifugiato sotto l’agognata doccia fredda che aveva sognato per tutta la giornata, poi si era preparato e aveva dato un’ultima sistemata ai capelli, pronti a ribellarsi nonostante avesse usato qualche goccia di gel per tenerli a bada. Riflettendosi nello specchio della sua camera aveva pensato che probabilmente il suo abbigliamento fosse un po’ troppo elegante per una semplice uscita tra amici, soprattutto se si immaginava seduto al bancone di un bar o in una discoteca; il massimo dell’imbarazzo si sarebbe raggiunto nel momento in cui avrebbe chiesto una cola al posto del normale super alcolico, ma scacciò immediatamente quella scena grottesca dalla propria mente.
L’improvviso squillo del cellulare gli fece capire che Laxus doveva essere arrivato. Si affacciò allora alla finestra e adocchiò la sagoma scura dell’auto del fotografo, fermo proprio sotto casa.
-Visto? Puntuale come un orologio-, gli sorrise l’amico, non appena si fu richiuso la portiera alle spalle. -Però-, aggiunse Laxus, -sei proprio un damerino chic, stasera-.
-È troppo vistoso?-, gli domandò Jellal, guardando a disagio la giacca nera e la cravatta rossa.
-Diciamo pure che avrai parecchi occhi puntati addosso-, lo prese in giro l’altro. -Ma hai fatto bene, sul serio-.
-Dove stiamo andando?-, gli chiese allora il giornalista, osservando prima la strada illuminata dagli anabbaglianti, poi il viso del collega.
-È una sorpresa. Ti dirò, per un attimo ho avuto paura che non ci fosse posto per noi, ma a quanto pare altri due clienti hanno dato forfait all’ultimo minuto e quindi sono stato richiamato. Prima fila per delle guest star come noi-.
Senza capire una singola parola, Jellal rimase in silenzio e annuì, fissando l’oscurità oltre il finestrino alla sua destra. Laxus gli sembrava ancor più su di giri rispetto al solito e ciò non lo rassicurava affatto.
-È un locale in città?-, domandò ancora.
-Dobbiamo imboccare l’autostrada e uscire da Magnolia, in realtà-, lo informò il fotografo. -Ci impiegheremo più o meno tre quarti d’ora, prima di arrivare. Ma l’attesa sarà ripagata, oh sì-. 
-Ci sei già stato, vero?-.
-Come?-.
-Hai già visitato questo locale, immagino-.
-Ah, certo. È stato tutto merito di Gildarts Clive; te lo ricordi?-.
E come avrebbe potuto dimenticarlo? Gildarts era stato il più famoso fotografo della rivista per cui lavoravano, ma aveva lasciato il giornale per un ingaggio maggiore offerto da una redazione lontana da Magnolia. Il suo posto era stato occupato da Laxus, che da Clive aveva assorbito svariati consigli utili su come lavorare al meglio per ottenere foto perfette.
-Era un tipo bizzarro. Me lo ricordo bene-, annuì Jellal.
-La sera prima che sgombrasse il suo ufficio, siamo usciti insieme per andare a bere. E cosa ha fatto? Mi ha accompagnato all’Amnesia. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza: quel posto è il Paradiso in terra-.
-Amnesia?-. Quel nome gli risultava familiare, ma non aveva idea di dove lo avesse sentito.
-Già. Ah, se vuoi capire quello che sto dicendo, devi farci un salto anche tu. Ecco perché ti ci porto. E se neanche questo dovesse tirarti su di morale, penso che faresti bene a rivedere le tue priorità-.
L’abitacolo sprofondò nel silenzio. Jellal riprese a guardare il buio che scorreva dietro il finestrino e Laxus prestò particolare attenzione a guidare verso il casello autostradale giusto.
-Vuoi che accenda la radio?-, gli domandò il fotografo, mentre l’auto, ora sul rettilineo, acquistava velocità.
-Come vuoi-.
Di lì a qualche secondo la voce della giovanissima cantante Wendy Marvell fece tremare le casse poste alle spalle dei sedili. Laxus resistette un minuto buono – e Jellal fu sicuro che quello fosse un nuovo record – prima di cambiare stazione.
-Eh no, non mi faccio guastare la serata dall’ultima idol entrata in classifica-, borbottò il fotografo, premendo più volte il pulsante per lo spostamento di frequenza. -Una volta la radio trasmetteva canzoni decenti, non commercialate come questa-.
Per evitare di alimentare il dibattito sulla musica contemporanea, Jellal rimase zitto ad ascoltare le rimostranze finali dell’amico. Solo allora, sbirciando all’esterno, si rese conto di essere vicino all’uscita dell’autostrada.
-Siamo…-.
-Quasi arrivati, sì. Dammi dieci minuti-.
Sebbene fossero ormai fuori dal rettilineo, Laxus incrementò ancora la velocità. Probabilmente la multa lo avrebbe salassato, se nelle vicinanze ci fosse stato un autovelox pronto a rilevare i chilometri orari in eccesso.
-Non pensavo che fosse così tanto fuori dalla città-, rifletté a voce alta Jellal, notando la strada farsi più stretta e la vegetazione incrementare ai margini della viuzza. Stavano attraversando dei campi spogli e dall’aria particolarmente lugubre, complice la leggera foschia che si era levata.
-È solo un’impressione-, replicò il collega, aprendo i finestrini e facendo ricircolare l’aria nell’abitacolo. -Una volta arrivati, ti accorgerai che abbiamo semplicemente girato intorno a Magnolia e preso lo svincolo autostradale a sud. Che c’è?-.
-Niente-, disse Jellal con tono piatto. Era sicuro che l’amico si fosse reso conto della sua tensione.
-Non dirmi che stai pensando ancora a quell’articolo-, sbottò Laxus, lanciandogli una fugace occhiata prima di tornare a prestare attenzione alla strada.
-No, per carità. Sono uscito proprio per evitare di rimuginarci sopra, no?-.
-Hai richiamato Meredy?-.
-No-.
-Sei davvero cocciuto. Che ti costava…?-.
-Possiamo cambiare argomento?-, lo bloccò Jellal. L’ultima cosa che voleva era sentire una paternale. Da Laxus, per giunta!
-Amico, devi scioglierti un po’. E infatti ci sono io, qui con te! Ah, eccoci arrivati-.
Buio. Nient’altro che buio.
-Laxus, si può sapere dove siamo finiti?-, domandò preoccupato il giornalista.
-Dammi almeno il tempo di parcheggiare, no? Lo spazio per le auto si trova sul retro del locale, ecco perché non vedi nulla-.
-Chiedere al Comune di preoccuparsi dei pali della luce ti sembra una richiesta esagerata? Non farei fatica a credere che il posto sia poco frequentato-.
-Ed è qui che ti sbagli. Dai retta a me, l’Amnesia è il luogo di culto per chi cerca compagnia. Proprio come te-.
Laxus parcheggiò con una manovra fluida e uscì dalla vettura, sbattendo la portiera e incamminandosi nell’oscurità. Dal canto suo, Jellal lo seguì con la seria intenzione di chiedergli spiegazioni.
-Aspetta un secondo-, disse al suo collaboratore, costringendolo a voltarsi. -Io starei cercando compagnia?-.
-Perché, non è quello che vuoi?-, ribatté il fotografo. -Andiamo, Jellal, non fare quella faccia! Quando mi hai detto che non frequenti una donna da tre anni ho sentito il bisogno di intervenire. È per il tuo bene, capisci? Sono tuo amico, prima di essere un tuo collega, e sono stanco di vederti stressato e giù di morale. Ho semplicemente pensato che passare una serata circondato da belle ragazze ti avrebbe…-.
Ormai erano giunti di fronte all’entrata del locale. Fu allora che Jellal, smesso per un istante di ascoltare Laxus, perse completamente l’uso della parola.
Una rossa insegna al neon recante la scritta Amnesia troneggiava proprio sopra la porta d’ingresso. Accanto alla “A” di inizio parola era stata sistemata una figura femminile dalla posa provocante che lampeggiava a intermittenza, richiamando l’attenzione dei visitatori.
-Mi hai portato a un night club?!-, esclamò Jellal, sul punto di strapparsi i capelli per l’esasperazione e l’imbarazzo.
-Il migliore in circolazione, aggiungerei. Dai, entriamo-.
-No, no. Forse non hai capito, ma io lì dentro non ci metto piede. Scordatelo-.
-Non fare l’idiota e seguimi-.
-Laxus, riaccompagnami a casa. Subito-.
-Ormai ho prenotato due posti. E prenotare significa pagare pur non essendo presenti in sala. Quindi fattene una ragione ed entra. Te lo sto dicendo con le buone, ma, se preferisci, posso sempre trascinarti all’interno con la forza-.
Le proteste si protrassero per qualche altro minuto, ma alla fine il fotografo ebbe la meglio. Jellal fu costretto a entrare, mantenendo la testa bassa come un cagnolino bastonato. Si soffermò un secondo sulla porta di ingresso per leggere un avviso che vi era affisso – Vietato l’ingresso ai minori di 18 anni – e poi si addentrò nel locale, augurandosi che quella tortura finisse presto.
Luci soffuse ovunque. Luci psichedeliche che si riflettevano sulle pareti ricoperte di specchi e davano alla testa, costringendo qualcuno a chiudere gli occhi di tanto in tanto. Luci che illuminavano dal basso il lungo palco su cui si stavano esibendo proprio in quel momento tre ragazze che a prima vista apparvero nude ai loro occhi. Solo osservandole più attentamente e da vicino sarebbero riusciti a distinguere i bikini color carne che indossavano.
-Buona sera, signori-, li accolse una bionda dal completo scollacciato. -Posso aiutarvi?-.
-Abbiamo prenotato un tavolo-, si lanciò a capofitto Laxus, mentre Jellal non sapeva se guardarsi intorno o se continuare a mantenere gli occhi abbassati per tutto il tempo.
-Nome?-, domandò la ragazza, aprendo un quaderno dalla rigida copertina nera.
-Dreyar-, continuò il fotografo.
-Dreyar, Dreyar… Ah, sì-, annuì la giovane, puntando l’indice sull’ultima pagina registrata. -Siete al tavolo sette. Venite, vi faccio strada-.
I due uomini la seguirono in silenzio. Il volume alto della musica non faceva che incrementare a ogni passo che li avvicinava al palco e Jellal ebbe paura di ritrovarsi ben presto con la testa in fiamme. Cosa aveva detto Laxus? Domani ti sentirai rigenerato? Sì, come no! Una bella emicrania era proprio quello che ci  voleva per riuscire a completare l’articolo da consegnare al Direttore Makarov.
-Accomodatevi pure-, li invitò la bionda, indicando loro il tavolo prenotato.
-La ringrazio-, le sorrise il fotografo.
-Godetevi la serata-, si congedò definitivamente lei, sparendo tra la folla.
-Allora? Che te ne sembra?-, domandò Laxus a Jellal una volta che la ragazza si fu allontanata.
-Che ne penso?-.
E cosa si aspettava che gli rispondesse? Che quello era “il Paradiso in terra”, come lo aveva definito lui poco meno di un’ora prima? Non avrebbe saputo mentire neanche se costretto e quindi disse soltanto “È un disastro”.
-Amico, hai voglia di scherzare?-, rise il fotografo. -Guardati intorno: siamo in prima fila, esattamente di fronte al palco. Decine di ragazze ci sfileranno davanti praticamente nude e altre ci porteranno da bere. A proposito…-.
E smettendo per un secondo di parlare, richiamò l’attenzione di una cameriera e ordinò due super alcolici.
-Sono astemio, dannazione! Quante volte te lo devo ripetere?-, esclamò Jellal, sempre più adirato.
-Rilassati e fidati di me. Serve a farti sciogliere un po’: sei teso più di una corda di violino!-.
Ma certo che era teso! Anzi no, non teso: profondamente arrabbiato e deluso. Imbarazzato e a disagio. Se lo scopo di Laxus era prendersi gioco di lui, allora complimenti, ci sarebbe riuscito.
-Per quanto tempo pensi che rimarremo?-.
-Finché il tuo umore non sarà migliorato. Penso che ci vorrà parecchio, già-.
Jellal sbuffò, guardando distrattamente una ragazza esibirsi in una pole dance. E finalmente ebbe l’illuminazione.
-Ecco dove l’avevo sentito!-, esclamò, sovrastando appena il frastuono della musica.
-Di che parli?-.
-Del nome Amnesia. Era nell’articolo-inchiesta redatto da Levy-.
-McGarden?-.
-Quante altre Levy conosci?-.
-Uhm, dipende-.
-Comunque sia… Sì, si trattava proprio di questo locale. Ora capisco perché ce l’aveva tanto con i night club-, continuò Jellal.
-Perché?-.
-Mi sembra di aver capito che il suo ragazzo fosse un frequentatore abituale di posti come questo-.
-Fosse? Credi davvero che non bazzichi più da queste parti?-.
-Non sono affari miei-.
-Ah, certamente. Era solo per dire che chi viene una volta qui ha due possibilità: o non tornare una seconda volta oppure diventare un cliente abituale. Stai pur sicuro che il fidanzato della McGarden continua a farci una visita, di tanto in tanto. Grazie-.
Laxus si era nuovamente rivolto alla cameriera, di ritorno con due cocktail dall’aria letale.
-Bevi-, il fotografo ordinò a Jellal, ingollando metà bevanda in un sol sorso.
Il giornalista se ne tenne a debita distanza. Era già abbastanza umiliante starsene lì, sotto al palco, mentre il suo amico non perdeva un’occasione per fischiare in direzione delle ragazze in segno di approvazione. No, non avrebbe ingerito quel veleno.
Per una mezz’ora Jellal cercò di calmarsi. La voglia di urlare contro l’amico e correre fuori dal locale era tanta, ma si costrinse a rimanere seduto per una questione di decoro. Ma a metà della quinta pole dance di fila a cui assisteva, perse definitivamente la pazienza e balzò in piedi, afferrando Laxus per un braccio e strattonandolo.
-Che ti prende?-, si lamentò il collega.
-Voglio andarmene-.
-Non puoi-.
-Allora dammi le chiavi della tua auto e lasciami tornare a casa da solo-.
-Vorresti lasciare qui il tuo migliore amico? La persona che ti ha offerto la serata per…-.
-Basta con questa solfa! Ne ho fin sopra i capelli di te e di questo posto!-.
-Ehi, voi due! Fate silenzio!-.
La voce di uno sconosciuto interruppe il litigio ed entrambi i contendenti si accorsero che la musica era cessata. Un innaturale silenzio regnava ora nel locale e le luci, già fioche, si abbassarono ancor di più.
-Che sta succ…-.
-Shhh!-.
Jellal si guardò intorno, perplesso. Provò a strattonare un’altra volta Laxus, ma qualcosa lo distrasse.
Due intense luci furono proiettate sul palco rispettivamente dalla destra e dalla sinistra della sala e incrociandosi corsero a illuminare il centro della scena. Il giornalista fissò scettico il punto evidenziato, aspettandosi che dalle cortine che demarcavano il dietro le quinte uscisse l’ennesima spogliarellista in bikini. La musica, suadente come mai era stata fino a quel momento, ripartì e oltre le tende si accese una terza luce che mostrò un’ombra appena visibile. La sagoma, inizialmente immobile, prese a intonare una canzone.
 

You had plenty money, 1922
You let other women make a fool of you
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too

 

Jellal era semplicemente rimasto senza fiato.
Il sipario si era dischiuso e pian piano aveva fatto il suo ingresso una ragazza dai lunghi capelli rossi. Il pubblico era andato in visibilio nel vederla avanzare passo dopo passo, ondeggiando i fianchi sui cui teneva entrambe le mani poggiate e rivolgendo occhiate languide agli uomini che occupavano le prime file.
Jellal era tra quelli che non avevano parole per descrivere la meraviglia di cui si erano riempiti i loro occhi. Seguiva i movimenti della cantante senza battere ciglio, badando di non perdersi una singola espressione del suo delicato viso; aveva già perso interesse per il lungo abito di paillettes blu su cui aveva inizialmente concentrato la propria attenzione, anche se doveva ammettere che era alquanto difficile ignorare il profondo spacco che partiva da metà coscia, mostrando di tanto in tanto una gamba che avrebbe fatto invidia alla più quotata modella di Magnolia.
 -Perché non ti siedi?-.
-Eh?-.
Il giornalista fu distratto per un istante da Laxus, che lo fece ricadere senza troppe difficoltà sulla sedia. Un attimo dopo stava contemplando di nuovo la ragazza sul palco, che adesso pareva stesse guardando proprio nella sua direzione, puntandogli l’indice della mano destra contro.
 

You’re sittin’ there and wonderin’ what it’s all about
You ain’t got no money, they will put you out
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too


Sembrava che le parole della canzone si rivolgessero davvero a lui. Jellal ne rimase ulteriormente colpito, soprattutto perché la donna aveva praticamente smesso di far scorrere lo sguardo sul resto del pubblico. I loro occhi si incontrarono per la seconda volta ed ebbe l’impressione che lei stesse sorridendo.


If you had prepared twenty years ago
You wouldn’t be a-wanderin’ from door to door
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too


Quei capelli.
Ogni volta che la ragazza improvvisava una giravolta sembrava essere avvolta da una fiamma ardente. Era impossibile, per Jellal, non fissare quella chioma. E quando all’improvviso si rese conto di aver immaginato il suo profumo, capì di aver compiuto un passo che da tre anni si rifiutava di fare: voleva quella donna. Desiderava conoscerla, sapere come fosse arrivata a lavorare in quel locale. Si disse che forse il nome del night club lo aveva ispirato proprio lei: lui stesso, guardandola, era stato vittima di una piacevole Amnesia.

 

I fell for your jivin’ and I took you in
Now all you got to offer me’s a drink of gin
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too
Why don’t you do right, like some other men do?


La musica scemò e il pubblico esplose in un fragoroso applauso, mentre Jellal, stordito e assuefatto dalla voce della ragazza, provava a tornare alla realtà afferrando il cocktail ordinato da Laxus e mandandolo giù con un solo sorso.
-Astemio, avevi detto?-, rise il fotografo, dandogli una pacca dietro la schiena vedendolo tossire.
Sentì la gola bruciargli, ma non era comparabile al fuoco scoppiato all’altezza del suo cuore. Batteva fin troppo rapidamente e Jellal temette che il muscolo avrebbe ceduto di lì a poco.
Ancora un bell’applauso per la nostra Scarlet!”, urlò uno speaker, mentre la cantante si inchinava al pubblico, sorridendo soddisfatta e con aria raggiante prima di uscire dalla scena e sparire di nuovo dietro le quinte.
“Scarlet”, pensò il giornalista. “Mai un nome fu più indovinato”.
-Allora? Piaciuta l’esibizione?-, chiese Laxus, facendo un cenno ad una cameriera nelle vicinanze e ordinando altro alcol.
-Credi che salirà ancora sul palco prima della fine della serata?-.
-Oh-oh, qualcuno è rimasto ammaliato, qui!-.
-Sta’ zitto!-, replicò Jellal. Se c’era una cosa che lo infastidiva, era essere punzecchiato.
-No, non penso-, rispose il collega senza smettere di sorridere. Poi aggiunse, guardando maliziosamente l’amico e alludendo alla canzone appena finita: -Di’ un po’, con lei lo berresti un bicchiere di gin, eh?-.
Jellal evitò di rispondere, provocando così una seconda ondata di risate da parte di Laxus. Ma stavolta non diede peso alla cosa: stava ancora pensando a Scarlet.
“Devo rivederla”, si disse, trangugiando il secondo cocktail servito dalla cameriera senza neanche rendersene conto.
Come aveva detto anche il suo collega a inizio serata, c’erano due possibilità: tornare una seconda volta al night club o dirgli addio per sempre.
Senza riflettere oltre, Jellal sapeva già cosa avrebbe fatto.

Avrebbe cercato e trovato Scarlet a qualunque costo.

   
 
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