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Autore: Princess of Dark    11/09/2014    2 recensioni
"E ho guardato dentro un emozione e ci ho visto dentro tanto amore che ho capito perché non si comanda al cuore"
Così dice Vasco Rossi nella sua famosa canzone, così alla fine la penseranno Stefan ed Evelina. Lei scontrosa, indomabile e testarda, lui presuntuoso, arrogante e irresistibile.
Tratto dalla storia: «Ti odio»
«Sai cosa diceva Shakespeare?», sorrise Stefan dolcemente, come se lei gli avesse sussurrato le più dolci parole.
«Cosa?», mormorò Evelina scossa.
«Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore. Se mi odi, sarò sempre nella tua mente»

Seconda classificata al contest "Quando le dirai..." di darllenwr
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Gli uomini che non cercano di sedurre le donne sono destinati ad essere vittime di donne che cercano di sedurli.
Walter Bagehot

«È da qui che iniziano le nostre terre». Fu Stefan ad interrompere il silenzio, facendo caso allo sguardo meravigliato della duchessa che guardava le terre di un verde brillante e vivo, così immense che si perdevano all’orizzonte confondendosi con il cielo. Da lontano, un gruppo di cavalli scorazzavano felici per il prato, lasciando che la loro criniera venisse accarezzata dal vento.
«Sono vostri quelli?». Stefan annuì orgoglioso e nel giro di dieci minuti si poté iniziare a delineare la sagoma di quella che sembrava essere la casa del conte Wilson.
«Siamo arrivati?», sorrise Nina entusiasta, saltando dal sediolino per affacciarsi e ammirare la casa lussuosa là fuori.
«Finalmente ecco il palazzo Wilson», fece Raphael tirando un sospiro di sollievo.
Non si poteva dire lo stesso di Eva che, da quando aveva iniziato a scorgere le mura, aveva sentito la pressione di un nodo allo stomaco che la stava soffocando. Per un attimo desiderò tornare indietro e rifare tutto il viaggio per ritardare questo momento. Stefan se ne accorse: le spalle di Eva erano tese, la schiena dritta, le mani intrecciate nervosamente in grembo, la bocca tirata leggermente verso il basso in un’espressione pensierosa. Anche lui si sentiva agitato, era consapevole del fatto che Evelina non sarebbe durata a lungo: sua madre l’avrebbe cacciata di casa dopo cinque minuti, suo padre l’avrebbe guardata in cagnesco pensando quale simile scherzo della natura il duca Rubliov gli aveva affibbiato.
«Tranquilla, piacerete sicuramente ai miei genitori», mormorò con una punta di ironia. La cosa sembrò poco convincente persino a se stesso.
«Non mi prendere in giro», minacciò Evelina, guardandolo storto.
Sapevano entrambi che era molto più probabile il contrario.
Un uomo alto e mingherlino accorse subito per aprire lo sportellino della carrozza e sorrise cordialmente.
«Bentornato, signore», fece con un piccolo inchino.
«Grazie, Joseph. Ti sei rimesso? Ti trovo molto più in forma della settimana scorsa», chiese Stefan scendendo un balzo dalla carrozza.
«La febbre è passata, vi ringrazio»
«I miei genitori sono in casa?», chiese il conte scendendo dalla carrozza.
«Sua madre non dorme da due giorni, era preoccupata per il vostro ritardo», sorrise Joseph, prima di voltarsi per scrutare nuovamente all’interno della carrozza. La curiosità di vedere la fidanzata del conte Wilson era troppa: voleva assolutamente sapere di chi si trattava.
Evelina si accorse che la stava fissando e si fece più indietro, infastidita, aderendo con la schiena contro il sedile.
«Tua madre è troppo preoccupata per tutto», rise Raphael prendendolo in giro, «ti tratta ancora come un bambinone», aggiunse scombinandogli i capelli.
«E piantala!», fece Stefan dandogli uno scherzoso pugno sul braccio. Risero.
«Vado a salutare gli zii», disse poi entrando in casa.
«Sono arrivati!». Evelina sentì qualcuno che urlava e s’immobilizzò. A chi apparteneva quella voce maschile?
Un ragazzo dai capelli scuri uscì dalla porta principale e corse incontro a Stefan, sorridendogli.
«Temevamo fossi scappato», scherzò lui, abbracciandolo affettuosamente per poi dargli una pacca sulla spalla. Era alto più o meno quanto Stefan, anche se di corporatura più minuta rispetto ai bicipiti del fratello.
«Ci speravate che non tornassi, eh?»
«Sai che spasso a prendersi tutte le tue ragazze», fece malizioso, voltandosi poi per salutare Raphael e Maximilian.
«Sempre la stessa testa calda, Alexander?»
«Lascio a Stefan la nomea», rise, guardandosi poi attorno come in cerca di qualcosa. «Sei venuto da solo?», aggiunse deluso.
«Sì, ho fatto un viaggetto per perdere tempo», fece ironico Stefan e il ragazzo sbuffò.
«Era un mostro e l’hai lasciata dov’era come l’ultima volta?». Scoppiarono improvvisamente a ridere al ricordo, Stefan non poté fare a meno di ripensare alla sua ultima pretendente e non riuscì a frenare le lacrime nel ripensare a quanto le stessero stretti gli abiti che ostinava a volersi mettere per sembrare più bella e seducente.
«Appena la vedrai, giudicherai da solo»
«Sono curioso! Dov’è?»
«In carrozza».
 Evelina trattenne il respiro e rimase a fissare un punto nel vuoto nell’attesa che qualcuno venisse a disturbarla. Stefan aprì lo sportello del calesse e la guardò perplesso.
«Che ne dite di scendere dalla carrozza?»
«Preferirei rimanere qui», mugolò, osservando la mano del conte protesa verso di lei. «Non era trai miei piani diventare l’animale d’attrazione che avreste dovuto portare in giro per pavoneggiarvi».
«Non vi pare di essere un po’ arrogante ora? Non siete mio motivo di vanto». La ragazza lo guardò in cagnesco prima di afferrargli la mano titubante e lasciò che Stefan la aiutasse a scendere.
Appena mise piede a terra si trovò dinanzi all’imponente abitazione in stile rustico, interamente circondato da viali alberati e piccole casupole. Sembrava una di quelle case nelle praterie uscite fuori da un romanzo.
«Stefan, stavolta ti sei davvero superato», sentì sussurrare. Lo sguardo di Evelina andò velocemente in direzione della voce, incrociando un paio di occhi azzurri che la scrutavano attentamente. Stefan si grattò la nuca imbarazzato, facendo cenno con capo verso il moro.
«Lui è mio fratello, Alexander». Il ragazzo sorrise ammaliato, accennando un inchino per baciarle la mano e lei lo lasciò fare.
«Eva»
«Evelina», corresse Stefan due secondi dopo, leggermente infastidito.
«Mio fratello è un uomo fortunato. Spero che vi troverete bene a casa nostra», fece cortese, accennando in direzione della casa.
Evelina pensò alla stranezza della situazione: Alexander e Stefan non si assomigliavano per niente. Uno biondo, l’altro scuro, uno con gli occhi miele e l’altro con gli occhi azzurri.
«Andiamo?», fece Stefan tirando un sospiro, allungando una mano in direzione di Evelina.
Si scambiarono un’ultima occhiata intensa prima che lei potesse afferrare il braccio di Stefan e avanzare verso l’abitazione.
«Vi fate chiamare Eva dagli sconosciuti?», borbottò lui sottovoce.
«Solo quelli che trovo attraenti», scherzò la ragazza, evitando lo sguardo severo di Stefan.
Quando varcarono la soglia di casa, Evelina si ricordò che se non fosse piaciuta ai suoi genitori sarebbe tornata a casa e si riaccese in lei quella speranza che la sera precedente l’aveva abbandonata.
«Finalmente!», si sentì urlare e una signora ci venne incontro. Era bassa e cicciottella, dai capelli chiari e gli stessi occhi color miele di Stefan. Indossava un abito elegante, come se si fosse preparata a lungo per un’occasione importante, come stavano a testimoniare le perle che portava al collo e ai lobi.
Stefan si dovette chinare per ricambiare l’abbraccio soffocante ed Evelina guardò Raphael che sorrideva divertito alle spalle della donna.
«Avete fatto tardi, ero così in pensiero!»
«La ruota si è rotta, abbiamo dovuto aspettare la notte prima di cambiarla», spiegò Stefan, cercando di divincolarsi dalle sue braccia grassocce. Gli occhi della donna si accorsero improvvisamente della presenza di Evelina e la scrutarono attentamente.
«Evelina?», chiese perplessa, alzando un sopracciglio.
«In persona», sorrise lei spavaldamente, stringendole la mano come usavano fare gli uomini.
«Oh, ehm… benvenuta…», borbottò la donna, tirandosi subito dietro la mano.
«Stefan!», esclamò ancora qualcuno e lui si voltò ad osservare una ragazza che gli correva incontro per buttarsi tra le sue braccia.
«July», sorrise lui felice, abbracciandola forte e facendola volteggiare in aria. La treccia nera della ragazza volteggiò assieme a lei e quando tornò con i piedi a terra si accorsero dell’occhiata fulminea di Evelina. La ragazza puntò gli occhi carbone su Eva e si sistemò il vestito.
«Io sono July, la vostra cameriera», sorrise la ragazza cortese, facendo un piccolo inchino.
«Lo vedo», fece Eva acidamente, osservando il grembiule logoro che aveva attaccato in vita, e il suo tentativo di sorridere non le riuscì molto bene. Stefan si mise prontamente tra le due che parevano volersi uccidere con gli occhi a vicenda, quasi come se volesse difendere la ragazza dalla furia omicida di Eva.
«July, mostra ad Evelina la sua camera», ordinò il conte. Lei annuì, facendole cenno con capo di seguirla. La donna seguì July in silenzio lungo i corridoi tempestati di quadri e dipinti, seguendo poi i ricami dorati dalle fantasie astratte del tappeto bordeaux che rivestiva il pavimento.
«Servi i Wilson da molto tempo?», chiese all’improvviso Evelina e vide la ragazza annuire avanti a lei.
«Sono nata e cresciuta in questa casa. Ho un rapporto speciale con questa famiglia e con Stefan». Si fermò dinanzi ad un’enorme porta e sfilò una chiave dal pazzo che aveva in tasca. «Vi lascio sola», sorrise, scomparendo nel corridoio dal quale erano venute. Evelina si guardò attorno, osservando gli interni eleganti della sua camera: un grande letto al centro protetto da una coperta color panna, un armadio in legno leccato bianco, una specchiera sulla quale erano risposti alcuni gingilli e profumini vari.
Si poggiò sul bordo del letto e tirò un sospiro, provando una strana sensazione allo stomaco. Non poteva crederci che era nostalgia di casa, dei suoi cavalli, dei fratelli Romanov, dei suoi genitori: il rapporto che aveva avuto con suo padre era sempre stato speciale ed essere andata via arrabbiata con lui le dava una strana sensazione di rimorso davvero difficile da mandare giù.
Si voltò per guardare attraverso la finestra accanto a lei e vide quell’uomo che Stefan aveva chiamato Joseph sistemare le ultime cose che c’erano in carrozza. Accanto a lui c’era Alexander, il fratello minore di Stefan: non riusciva a smettere di fissarlo mentre si passava una mano trai capelli e se a rideva con Joseph, guardandosi attorno. Ad un tratto Evelina si accorse che lui la stava osservando, doveva essersi accorto che aveva gli occhi fissi su di lui: sorrise e fece un cenno con la mano per salutarla. La ragazza ricambiò con un sorriso imbarazzato e in quell’istante bussarono alla porta. Si scostò dalla finestra e rivolse lo sguardo verso la porta che si stava aprendo senza il suo consenso: sapeva già chi si sarebbe presentato.
«Che ne dite di scendere per la cena?», sbottò Stefan facendo un cenno col capo verso il corridoio per invitarla ad uscire.
«Non vedo l’ora», sorrise maligna, alzandosi dal letto e passandogli accanto. Sentì la mano di Stefan afferrare con decisione la sua.
«Non mettetemi in imbarazzo», la avvertì e lei rabbrividì di eccitazione nel sentire il suo tono di voce molto simile ad una minaccia.
«Vi vergognate di vostra moglie?»
«Evelina…»
«Non cambio idea», tagliò corto lei, sfilando bruscamente la mano dalla presa del conte. Iniziò a camminare, lasciandolo dietro.
«Oltre ad essere bella siete anche dannatamente cocciuta», ringhiò lui innervosito, stringendo in un pugno la mano che prima teneva quella di Eva. Vide i suoi capelli scuri e scompigliati ondeggiare e quando Evelina arrivò in fondo al corridoio gli lanciò un ultimo sguardo di sfida prima di svoltare a sinistra. Stefan chiuse gli occhi, cercando di non pensare al modo provocante con il quale l’aveva appena invitato a seguirla e concentrandosi su quelle che sarebbero state le ultime due ore.
 
«Un disastro», sospirò Stefan passandosi innervosito una mano trai capelli. Raphael lo guardò sconcertato mentre si versava da bere in un bicchiere di cristallo.
«Sta andando così male?»
«Farò una pessima figura con mio padre e lui crederà che sia stato io a minacciarla a comportarsi così», borbottò sottovoce per non farsi sentire dagli altri in sala da pranzo.
«Come se non l’avessi mai fatto…», accennò ironico il cugino, procurandosi un’occhiataccia. «Torniamo di là e cerchiamo di salvare la situazione», aggiunse dandogli una pacca di conforto sulla spalla.
Ripresero posto a tavola e fecero in tempo a catturare l’argomento della conversazione.
«Cavalcare non è una cosa da donne…», obiettò la contessa, pallida in volto per lo stupore.
«Non c’è nessuna legge che lo vieti», sorrise lei maliziosa, versandosi da bere. Sua madre scambiò un’occhiata di perplessità al padre, il quale, sebbene fosse più discreto nell’esternare i suoi pensieri, lasciava comunque intuire il suo stupore. Alexander invece continuava a mangiare divertito, senza riuscire a staccarle gli occhi da dosso ed eliminare quel sorriso dal volto.
«Sapete bene che dopo il matrimonio non potrete più cavalcare, vero?»
«E perché?»
«Beh, ci aspettiamo un erede e andare a cavallo con un bambino in grembo non è prudente». Stefan per poco non si strozzò con il boccone che gli era appena andato di traverso e tossì, versandosi allarmato un po’ d’acqua. Evelina invece era rimasta di pietra, con la bocca piena, a fissare la donna.
«Un erede», sussurrò quasi spaventata. Non potevano fargli questo, costringere a sposarsi e a diventare madre e a lasciare per sempre i suoi cavalli. «Nah, non mi piacciono i bambini», aggiunse dopo, ridendo nervosamente. La contessa fece di nuovo una strana faccia: Stefan era quasi convinto che di lì a qualche minuto sarebbe scappata via urlando. O forse sarebbe prima svenuta? Il padre mando giù un altro bicchiere di vino e chiese a July di portare una nuova brocca fresca.
«Vi piace la danza, Evelina?», cambiò subito dopo argomento l’uomo, puntando gli occhi azzurri su di lei. Alexander gli somigliava molto di più, aveva preso da lui il colore degli occhi e le labbra sottili.
«Certo», annuì Evelina entusiasta e si lesse sul volto dell’uomo un segno di sollievo. «I figli della mia domestica mi hanno insegnato la danza cosacca, è molto divertente», aggiunse. Persino Stefan, dopo aver scambiato un’occhiata con suo fratello, dovette trattenersi dal ridere e per un attimo immaginò cosa sarebbe successo se si fosse messa a ballare lì in mezzo come aveva fatto l’altro giorno alla locanda. Evelina ne sarebbe stata capace.
«Non sapete ballare una danza più raffinata?». La voce della donna le arrivò come un sussurro mentre Eva fissava insistentemente July che versava del vino nel calice di Stefan. Chissà perché ma le dava un immenso fastidio quella ragazzina dal volto innocente. Poco importava se erano cresciuti assieme: sembrava che fosse sempre pronta a stuzzicarlo e a provocarlo e dal modo in cui Stefan le sorrideva, Evelina intuì che probabilmente lui ricambiava un certo interesse.
«Diciamo che non la preferisco», mormorò lei sovrappensiero, fissando la scollatura un po’ troppo azzardata della ragazza.
Si udirono dei rumori provenire dalle scale e piccoli passi affrettati come se qualcuno stesse correndo giù per le scale. Una piccola bambina spuntò dall’arcata che dava l’accesso alla stanza e rimase impalata a fissare la tavola imbandita. Aveva lunghe trecce castane, dello stesso colore dei capelli di Stefan, e un paio di occhi azzurri vispi che scrutavano la nuova arrivata.
«Lei è l’ultima arrivata, Claire», sorrise la contessa sorridendo e facendo cenno verso la bambina di avvicinarsi ad Eva e fare un inchino educato.
«Buonasera»
«Ciao», sorrise Eva. Stefan vide la sua espressione del volto cambiare ed addolcirsi improvvisamente alla vista della bambina. «Io sono Eva»
«Come la prima donna sulla Terra?»
«Esatto», rise lei, «anche se non ho ancora trovato il mio Adamo», aggiunse in un sussurro. La bambina ridacchiò sotto i baffi anche se non poteva ancora capire pienamente le parole di Evelina.
«Claire, perché non vai di sopra? Dovresti essere a letto da un po’», la riprese il padre. La bambina si irrigidì e lo guardò, annuendo.
«Ci vediamo domani?», mormorò guardando Eva speranzosa e la ragazza sorrise annuendo mentre la piccola spariva di corsa lungo il corridoio.
«Direi che si è fatta anche per noi ora di ritirarsi», esordì la contessa, tirando un sospiro. Si alzarono tutti da tavola per dirigersi verso le camere e anche Eva si avviò per il lungo corridoio.
«Evelina?». Si voltò quando si sentì chiamare e vide Alexander correre verso di lei.
«Alexander», sorrise lei sorpresa.
«Vi andrebbe una passeggiata? La luna è fantastica stanotte»
«Oh... io…»
«Non accetto un no, mi dispiace», sorrise testardo, porgendole un braccio. Lei rise, accettando l’invito. Percorsero a ritroso il corridoio, incontrando July che sistemava la sala da pranzo. La ragazza guardò la coppia con circospezione fino a quando i due non lasciarono la casa per incamminarsi verso il retro del giardino immerso nel buio.
«Avevate ragione, è bellissima», sussurrò Evelina, tenendo lo sguardo in alto per fissare la luna bianco latte. Alexander fece lo stesso, sorridendo prima di sedersi sull’erba.
«Stasera vi siete divertita molto a burlarvi di mia madre», commentò il ragazzo, rivolgendo lo sguardo verso Eva. Il bagliore della luna rendeva la sua pelle ancora più perfetta e i suoi occhi scuri luccicavano: Alexander pensò di non aver mai visto una creatura così bella e ammaliante.
«Un po’ mi dispiace, è una brava donna», rise lei, «ma se spera di vedermi col pancione a ricamare davanti ad un caminetto… dovrà fare altri progetti»
«Beh, sta organizzando il vostro matrimonio»
«La nostra vita», precisò lei. «Come se non potessi decidere con chi passarla e come»
«Non ho ben chiaro il rapporto che avete con Stefan»
«Lo odio, semplice», sorrise facendo spallucce. Alexander scoppiò a ridere e la osservò sedersi accanto a lui. «Credo di non aver mai conosciuto un uomo così sicuro di sé»
«Ha tutte le carte in regola per esserlo»
«Anche voi le avete», rispose prontamente Eva, voltandosi di scatto per guardando dritto negli occhi. «Ma credo siate diverso da lui»
«Permettetemi di mostrarvelo», sussurrò sorridente, spostando lo sguardo sulle labbra di Evelina. Aveva una voglia tremenda di toccare quelle labbra così invitanti, di accarezzarle i capelli, di scoprire che sapore aveva.
«Quella ragazza… July… è forse fidanzata?», fece Evelina ad un certo punto. Alexander la guardò spaesato, ritraendosi.
«Non che io sappia… nutrite interesse verso le donne?»
«Certo che no», rise. «Si è fatto tardi. Grazie per la magnifica vista»
«Vi accompagno fino alla vostra camera»
«Non ce n’è bisogno. Buonanotte»
«A domani», sorrise Alexander. Guardandola sollevarsi, scrollarsi qualche filo d’erba di dosso e allontanarsi a passo svelto.
Si promise che avrebbe svelato il suo mistero.

 
Gli uomini che non cercano di sedurre le donne sono destinati ad essere vittime di donne che cercano di sedurli.
Walter Bagehot
  
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