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Autore: Serpentina    14/09/2014    8 recensioni
Dopo quattro anni Faith Irving e Franz Weil hanno preso strade diverse, professionalmente. Il loro amore, al contrario, è più solido che mai, tanto che, sulla scia degli amici che hanno già messo su famiglia, o ci stanno provando, decidono di compiere un grande passo: sperimentare la convivenza. I due piccioncini sono convinti che l'esperienza rafforzerà ulteriormente il rapporto, che, invece, verrà messo a dura prova da un "terremoto" che rischierà di farlo naufragare definitivamente.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Salve (salvino XD)! Prima di lasciarvi al capitolo, devo sommergere di ringraziamenti tutti i lettori “nell’ombra”, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev e soulscript, che hanno recensito, Giulllie, golightly e Toffee, che seguono la storia, e Hanna Lewis e Natalie Gjoka, che la preferiscono. LOL (Lots Of Love)!! ^^
 
A little hesitation

Esitare va benissimo, se poi fai quello che devi fare.
Bertold Brecht

Che lo desideriamo o meno, quando cambiamo casa è normale provare un senso di smarrimento, un velo di tristezza, e ripercorrere i ricordi che ci legano al luogo che stiamo per lasciare.
Faith non faceva eccezione: mentre girovagava tra le quattro mura ormai spoglie dei suoi averi, le sfuggì un sospiro nostalgico e prese a canticchiare ‘The final countdown’.
“We’re leaving together, but still it’s farewell… Will things ever be the same again?”
–Oh, insomma, quanto ancora ti ci vuole per dire addio a questa casa?- le chiese Franz, in piedi a braccia conserte sull’uscio. –Ci stai mettendo un’eternità! Non ci avrai ripensato!
–Neanche per sogno! Ho semplicemente bisogno di… accomiatarmi. Per te è stato facile: non sai cosa significhi abitare otto anni nello stesso posto!- ribatté Faith, seccata: possibile che, dall’alto della sua indubbia intelligenza, quel testone non capisse cosa stava provando in quel momento? Quel luogo era stato teatro di alcuni degli avvenimenti più importanti della sua vita: tra quelle mura aveva riso e pianto, aveva trovato la sua strada, aveva fatto l’amore con Cyril, prima, e Franz, poi, per la prima volta - la prima di molte - e aveva ricevuto la proposta per antonomasia, con tanto di anello nascosto in un biscotto della fortuna (si era quasi rotta un dente, è vero, ma almeno poteva vantarsi di essere una delle poche ad aver sentito chiedere la propria mano semi-sdraiata sulla sedia del dentista!).
–Non è vero- obiettò lui. –Ho vissuto diciotto anni nella stessa casa: quella di mamma e papà!
–Venduta dopo il divorzio- puntualizzò lei, pentendosene subito: sebbene dichiarasse il contrario, la fine del matrimonio dei genitori aveva lasciato una ferita insanabile in Franz.
–Motivo in più per non volerla più vedere- sibilò freddamente Weil, quindi aggiunse, prima di lasciarla sola –Io vado in macchina. Tu fai tutti i giri che vuoi, ma spicciati, se ti è possibile.
Non appena fu fuori portata d’orecchie, la gatta fece le fusa in una felina dimostrazione di affetto e comprensione; Faith la accarezzò ed esalò, scuotendo stancamente il capo –Questa è la vita, Agatha. I maschi sono fatti così: male! Probabilmente è colpa del cromosoma Y: dai portatori di un X monco non puoi aspettarti che la profondità di una pozzanghera!
La gatta miagolò il proprio assenso, strusciandosi contro le gambe della padrona, la quale non tardò a concludere quella sorta di saluto rituale alla casa, infilare a forza nel trasportino il felino ribelle e recuperare qualcosa di cui Franz non sarebbe mai dovuto venire a conoscenza.
“It’s the final countdown! We’re leaving together! The final countdown!”

 
***

L’essere stato costretto da Maggie Bell a chiedere scusa alla Meigs aveva affossato i bollenti spiriti di Robert, nonostante continuasse, nei più profondi recessi del suo animo, a desiderare di mettere al tappeto l’odiosa donna. Gli era costato molta fatica ammettere che la Bell aveva ragione, e se voleva conservare il posto al Queen Victoria Hospital avrebbe fatto meglio a sfogare altrove la frustrazione; si stava dunque impegnando ad ignorare la collega, e tutto sarebbe filato liscio se il primario non lo avesse ostacolato in tal senso, accoppiandoli nei giri in corsia e in sala operatoria.
–Formate una grande duo!- ripeteva loro in continuazione. Se soltanto si fosse accorto delle occhiate assassine che si lanciavano a vicenda i suoi pupilli, forse avrebbe evitato di obbligarli a lavorare gomito a gomito, specialmente in una stanza dotata di bisturi e altre potenziali armi improprie.
Pur aborrendo l’idea di ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con lei, Robert, alla fine del turno, si diresse con passo deciso verso l’ufficio della Meigs, un tempo suo: la “vacca arrivista” aveva osato modificare la terapia di una paziente che lui seguiva da due anni. Non avrebbe tollerato un tale affronto, non senza lottare.
“Lurida stronza! Pagherà anche questo! Non so in quale sacchetto di patatine quella vacca abbia trovato la laurea, ma seguo Jane Carr da due anni, non le permetterò di intromettersi!”, pensava.
Intuì che necessitava di calmarsi prima di entrare, se non voleva provocare un altro incidente diplomatico, per cui fermò la mano a mezz’aria e respirò a lungo e profondamente, come consigliava sua madre, guru del training autogeno.
Quando finalmente riuscì a superare l’esitazione, entrò senza bussare; non l’avesse fatto, si sarebbe evitato un forte imbarazzo e patetiche scuse balbettate a mezza voce per aver interrotto un momento di intimità tra la collega e il primario, che era arrossito a sua volta e aveva malamente tentato di pulire le macchie di rossetto, col solo risultato di colorarsi la bocca come un clown.
Lo squillare insistente del cellulare di Brenner fece scemare la tensione; l’uomo corse via per rispondere alla telefonata di sua moglie, mentre Robert, rimasto impalato sulla soglia, curvò le labbra in un sorriso stiracchiato e salutò la Meigs come se nulla fosse accaduto.
–Buonasera.
Lei emise uno sbuffo derisorio e rispose –Ho visto te, Patterson, non può essere una buona serata!
L'acrimonia di quelle parole non lo colpì, c’era abituato, per cui andò dritto al nocciolo della questione. –Nemmeno la mia, esimia collega, finché non mi spiegherai come ti sei permessa di cambiare la terapia a Jane Carr!
–Non l’ho cambiata- replicò con esagerata faccia tosta la donna. –Assumeva contraccettivi orali, e le ho prescritto contraccettivi orali.
–Sì, ma di un tipo diverso, che non si concilia con gli altri suoi problemi di salute!- ululò Robert, fuori di sé, dando inizio all’incontro di lotta verbale.
–Aspetta, chiariamoci: stai parlando della policistosi ovarica?
–Sto parlando di Jane Carr- puntualizzò Robert, nuovamente sul piede di guerra.
–La policistosi ovarica- ripeté la Meigs.
–La paziente affetta da policistosi ovarica- ribatté Robert.
–E’ lo stesso- osservò la Meigs.
–No, non lo è- la contraddisse Robert. –Ma tanto non puoi capire.
–Bando ai sentimentalismi, Patterson, non ho tempo da perdere con sottigliezze buoniste!- sbottò la Meigs. –Se proprio ci tieni la farò tornare alla vecchia terapia… per quanto sia convinta che la mia scelta fosse nettamente migliore. Ora, però, se permetti, vorrei fregarmene altamente dei pazienti e godermi una splendida serata, alla faccia di chi mangerà da solo un misero pasto precotto davanti alla tv. Pete mi porta fuori a cena, sai? All’ ‘Atelier de Joel Robuchon’.
Apprendere che la sua acerrima nemica avrebbe consumato un pasto luculliano in uno dei migliori ( e più costosi) ristoranti stellati della città irritò Robert a dismisura; felice di aver vinto la battaglia, ma bramoso di infliggere un’ulteriore ferita all’avversaria, le si avvicinò, tanto da far toccare le punte dei loro nasi, e ringhiò –Spero ti vada di traverso.
Il ritorno di Brenner stroncò sul nascere quella che sarebbe senz’altro stata una lite coi fiocchi, e Robert fu ben lieto di abbandonare il campo di battaglia, stavolta da vincitore.
 
***
 
Traslocare è stancante, forse più che sistemare i mobili nuovi. Faith, asciugandosi il sudore dalla fronte con l’avambraccio, rivolse un sorriso di incoraggiamento al suo fidanzato, che la stava aiutando a portare su gli scatoloni. Avevano concordato di procedere per gradi: man mano che ogni stanza fosse stata pronta l’avrebbero arredata e riempita con i loro averi. La prima, per espresso desiderio di Franz, era stata la camera da letto, dipinta di un rilassante verde pastello che metteva in evidenza il mobilio bianco.
La Irving era riuscita a esaudire il suo desiderio: la camera era proprio quella che l’aveva fatta innamorare, con due librerie a muro e uno splendido angolo lettura che affacciava sul viale alberato. Il solo pensiero delle ore liete che avrebbe trascorso a leggere e osservare i passanti la ripagava di ogni sforzo, e costringeva di volta in volta Franz a interrompere la contemplazione, rimproverandola di battere la fiacca.
Mentre salivano l’ultima rampa di scale - maledicendo le ridotte dimensioni dell’ascensore, che avevano reso materialmente impossibile caricare le loro cose - Faith si accorse che lo sguardo di Franz andava posandosi su qualcosa di diverso dai gradini, quindi lo redarguì con dolcezza.
–So che nutri una passione viscerale per le “bambine”, ma sarebbe il caso guardassi dove metti i piedi!
–Non stavo affatto guardand… oh, va bene: sì, mi stavo beando della vista dell’ottava e nona meraviglia del mondo, ma non è colpa mia se la tua canotta offre il panorama del grand canyon!
Faith, in tenuta da trasloco - ossia vecchi jeans logori e canotta nera molto scollata - scoppiò a ridere, e rispose –Pensa a non capitombolare, piuttosto!
Franz annuì, raggiunsero finalmente l’appartamento e posarono a terra il pesante fardello. Nonostante la tentazione di prendersi una pausa fosse forte, si scambiarono un cenno di intesa e si avviarono alla porta; trovarono ad attenderli il comitato di benvenuto del condominio, formato dagli anziani Farmer, un’arzilla vedova, Mrs. Cooley - che alla coppia ricordò in maniera impressionante Mrs. Norris, una vecchia impicciona di loro conoscenza- e una famigliola di quattro persone, i Morley, la cui figlia minore, di quindici anni, salutò con particolare entusiasmo Franz, sbattendo più volte nella sua direzione le ciglia appesantite da troppo mascara. Faith la fulminò con un’occhiataccia talmente raggelante che la ragazzina, accampando il pretesto dei compiti, corse a rintanarsi in casa.
Una volta rimasti nuovamente da soli, Franz ridacchiò –Speriamo che i nuovi vicini non siano come le Parche!
Faith, al pensiero delle tre vecchiette ficcanaso che tenevano sotto scacco il palazzo dove abitava in precedenza, contrasse i lineamenti in un’espressione disgustata, e annuì.
–Speriamo di no!
–Hai sentito il vecchio Farmer? Ha detto che “sembriamo persone a modo”. Sembriamo, tsk! Siamo persone a modo! Un po’ strane, forse, ma molto a modo- sbottò Franz arricciando il naso con fare altezzoso.
–Che ti importa? Dai, sbrighiamoci a portare su dell’altra roba, prima che qualche altro condomino curioso venga a romperci le scatole!
–Qualcuno come Jocelyn Morley?- chiese lui, sorridendo maliziosamente. –Ci sei andata giù pesante con quella poveretta!
–Poveretta un corno!- sbraitò la Irving, brandendo uno dei suoi libri. –Quella è una tro… ta con più imbottitura nel reggiseno che materia cerebrale!
Franz rabbrividì e non osò contraddirla: ‘It’, date le dimensioni, si poteva considerare un vero e proprio corpo contundente, e non desiderava un incontro ravvicinato tra il tomo e la sua testa.
–Appunto per questo tu, adulta e dotata di un considerevole cervello, dovresti lasciarla stare: è soltanto una ragazzina!
–Da come si concia, non si direbbe- cinguettò in tono falsamente dolce Faith. –Prima che me lo rinfacci: so che i tempi cambiano, che i ragazzini oggi non rimangono tali molto a lungo, ma non è una buona ragione per giustificare il comportamento di quella gattamorta! Stava flirtando con te! Davanti a me! Se la pesco di nuovo in flagrante, faccio a pezzi i poster dei suoi idoli e li do da mangiare al suo cane!
–Povera bestia! Perché coinvolgere un innocente? Comunque, non sarà necessario- asserì Franz, le si avvicinò e le massaggiò le spalle. –Alla piccola Jocelyn manca una qualità fondamentale per potermi anche solo lontanamente interessare.
–La maggiore età?- scherzò Faith.
–Essere te- mormorò maliziosamente lui, prima di baciarla.
Lei non poté non cedere; rispose al bacio con entusiasmo e, quando si separarono per riprendere fiato, esalò –Ho un’idea: e se sospendessimo momentaneamente il trasporto degli scatoloni per dedicarci ad un’attività più riposante? Che so… ispezionare il materasso?
–Mi hai letto nel pensiero, donna!
–Mi raccomando, un’ispezione approfondita- sussurrò Faith. –Molto approfondita…
–Naturalmente. Esplorare il Grand Canyon richiederà un bel po’ di tempo…
–Lo spero, altrimenti dovrò preoccuparmi!
–Osi mettere in dubbio le mie doti? Espierai la tua impertinenza… col solletico!- esclamò Franz, dando il via a un gioco di inseguimenti che terminò in camera da letto, dove la braccò e, tra baci, solletico e risate, “ispezionarono il materasso”, entrambi pungolati dalla sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante.
 
***
 
–Aspetta, sul serio hai beccato Brenner e la Meigs che…?- chiese in un sussurro Chris Hale, mimando l’atto con vigorosi (e altrettanto ridicoli) movimenti pelvici.
–Sì, e dubito che riuscirò a togliermi questa brutta immagine dalla mente. Dio, che imbarazzo!- confermò Robert Patterson, ricevendo, al posto delle attese pacche confortanti, sonore risate.
–Oddio, troppo divertente!- esalò Harry James, togliendosi gli occhiali per asciugarsi le lacrime provocate dal troppo ridere. –Pagherei per assistere alla scena, la tua faccia dev’essere stata uno spasso!
–Begli amici siete! Grazie!- gnaulò Robert, coprendosi il viso con le mani quando passò loro davanti proprio Brenner, al volante della sua Audi fresca di concessionario.
Al passaggio del veicolo, Harry fischiò, in segno di apprezzamento, e commentò –Accidenti, che macchinone! Guarda la carrozzeria! Certo che il tuo capo guadagna bene!
–Non più di altri primari. E’ sua moglie quella con i soldi- spiegò Robert. –Motivo per cui non la lascerà mai per la Meigs.
–E la Meigs non protesta? Di solito le scappatelle escono fuori o perché lui si pente e confessa, oppure perché l’amante, stanco di rimanere nell’ombra, spiffera tutto- asserì saggiamente Harry.
–Perché mai dovrebbe protestare?- intervenne Chris, storcendo il naso alla vista di una macchia di dubbia natura sulla camicia immacolata. –Ti pare che una del genere stia con Brenner - che si mantiene bene, per carità, ma non è certo un modello - per amore? E’ ovvio che lo sopporta solamente per facilitarsi la carriera! Oltretutto si sa che chi guida un’Audi deve compensare certe… deficienze, non so se mi spiego…
–Ehm… veramente no.
Chris arrossì e abbassò il volume della voce.
–I guidatori di Audi, notoriamente… ce l’hanno piccolo. Chiaro, adesso, o devo farvi un disegnino?
I tre si scambiarono sguardi complici, dopodiché scoppiarono a ridere, incuranti di apparire fuori luogo.
L’ilarità finì quando una voce femminile fin troppo familiare soffiò –Non c’è niente da ridere: purtroppo per me, Hale ha colto nel segno. Vi dirò di più: so per esperienza che i guidatori di Mercedes sono tipi precoci, non so se mi spiego…
–Ehm… veramente no.
–Ci mettono poco a venire. Chiaro, adesso, o devo diventare volgare?
Calò un silenzio carico di nervosismo, e Robert ne approfittò per osservare attentamente la dottoressa Meigs; quella sera indossava un elegante vestito rosso, che ne fasciava sapientemente le curve e lasciava la schiena seminuda. “Brenner è un fortunato bastardo”, pensò, prima di ricordare che dietro quella facciata angelica si celava una serpe velenosa.
Pensò di tentare di accattivarsi le sue simpatie con della sana adulazione; scelse di complimentarsi con lei per il look, ma la sua bocca articolò una frase un po' diversa: invece di “Bel vestito”, gli scappò detto –Bel culo!
“Merda! Vestito, dovevo dire! Che bel vestito!”, si maledisse mentalmente, immobile in attesa che la collega gli sputasse contro altro veleno, come infatti accadde.
La rossa replicò acida –Grazie, è fatto apposta perché gli uomini non mi guardino in faccia!- e Patterson, che in effetti non stava guardando da tutt’altra parte, arrossì e, infastidito dalla fuga repentina di Harry e Chris, adottò una tipica strategia maschile: negare l'evidenza. Ribatté –Ti stavo guardando in faccia!
–Ripassa l’anatomia, Patty- sibilò. –La faccia è quassù.
Era sul punto di replicare con altrettanto astio, quando lo colpì una constatazione.
–Brenner è già andato via… perché non sei con lui?
–Mai sentito parlare di discrezione? Pete, ufficialmente, è sposato- gli fece notare la Meigs.
–A chi vuoi darla a bere? Avete praticamente affisso i manifesti! Lo sanno tutti, forse persino sua moglie!- sbuffò Robert, irritato da quell’offesa alla sua intelligenza. La donna aprì la bocca per ribattere, ma, in mancanza di valide argomentazioni, la richiuse quasi subito. –Se non vuoi dirmi come mai sei qui tutta sola, invece che a sorseggiare vino francese in un ristorante di lusso, va bene, non me ne può fregare di meno della tua vita privata, ma almeno fammi il favore di considerarmi un essere intelligente, cazzo!
Lei incrociò le braccia sotto il seno, alzò gli occhi al cielo, emise un sospiro scocciato e chiese –Hai finito?
–Sì. Buonanotte.
–Sua moglie sta male. Di nuovo. E’ corso a casa, non ha potuto non farlo, o si sarebbe insospettita- sospirò la Meigs, guardandolo con rispetto per la prima volta da quando si conoscevano. –Una prenotazione da ‘Atelier de Joel Robuchon’ sprecata!
–Davvero ti importa solo di questo?- latrò Robert.
–Non penserai che stia in pena per la moglie dell’uomo con cui vado a letto!- rispose lei. –Se c’è qualcuno da compatire, sono io: hai idea di cosa significhi vivere nell’incertezza? Attendere fino all’ultimo prima di cantare vittoria, perché in qualunque momento quella racchia malaticcia può rompermi le scatole?
–Sei l’ultima persona al mondo che compatirei- sputò Robert, acido. –Sei bella e intraprendente, e le donne belle e intraprendenti non restano mai senza risorse.
Fece per andarsene, ma la collega lo bloccò, afferrandolo per un braccio.
–Patterson, aspetta!
–Che altro c’è, adesso?
La rossa poggiò una mano sulla sua spalla, l’altra sul torace, avvicinò la bocca al suo orecchio e sussurrò –Hai ragione: una donna come me ottiene sempre ciò che vuole… e sa ricompensare adeguatamente chi glielo dà.
Robert comprese che gli stava proponendo un accordo, e sul suo volto apparve un sogghigno.
–Cosa vuoi che faccia?
–Cosa sei disposto a fare?- gli chiese.
Lo scellerato rispose.
 
 
***
 
Faith e Franz raggiunsero in leggero ritardo casa Cartridge, dov’erano attesi per cena, rifilando alla padrona di casa la scusa sempreverde del traffico. Vennero accolti da Abigail, radiosa nell’ampio vestito rosa che avvolgeva dolcemente le curve regalatele dalla seconda gravidanza. Si complimentò con l’amica per l’abito scelto - un modello corto, verde petrolio, con un fiocco in vita e la parte superiore del corpetto e le maniche traforate - tentò invano di abbracciarla, nonostante il pancione, infine condusse gli ospiti nel salone (molto “one”), dove stavano pasteggiando a champagne il padrone di casa, Ben Cartridge, suo fratello Brian, che salutò con un abbraccio Faith (Weil socchiuse gli occhi e ringhiò minacciosamente) e con un lieve cenno del capo Franz, e Adam Cartridge, loro cugino di primo grado.
Poco dopo venne annunciata la cena, e comparvero due piccoli cicloni urlanti, così simili che gli estranei li prendevano per fratelli, anziché cugini. In effetti, essendo entrambi biondi e con gli occhi chiari, a una prima occhiata potevano apparire quasi uguali, sebbene una seconda bastasse a smentire quell’impressione. Kaori Cartridge, cinque anni, primogenita di Abby e Ben, era, per usare le parole di Faith, “un calcio in culo alle leggi di Mendel”: in barba ai geni materni, era la copia sputata della nonna paterna, Heather Miller in Cartridge. Aidan James, invece, di quattro anni, figlio di Brian, aveva i capelli di un biondo più scuro, e gli occhi di un blu intenso; a parte questo, però, sembrava il padre in miniatura. La vicinanza di età portava i bambini a giocare spesso insieme, e l’affinità caratteriale rendeva quei momenti piacevoli. Si presentarono al cospetto di parenti e ospiti con un aspetto a dir poco selvaggio, che provocò lo sconcerto di Abigail; allibita, esclamò –Kaori, che hai combinato? Hai sgualcito il tuo bel vestitino! Che disastro!
–Per difendere Asgard dai perfidi Giganti, questo e altro!- rispose lei, serafica, per poi fiondarsi a fare il pieno di coccole e complimenti da Faith, mentre Aidan riceveva una bella lavata di capo dal padre sul fatto che non si faceva a botte, neanche per gioco, e che con il nuovo cuginetto non avrebbe mai e poi mai dovuto comportarsi così; allora Kaori aggiunse, rancorosa –Invece deve, perché è un intruso! Chi gli ha chiesto al fratellino di nascere? Io non lo volevo, non lo voglio manco adesso! Io voglio un cane!
–Stammi bene a sentire, signorinella…
Abigail, sul punto di rimproverare aspramente la figlia, venne bloccata da Brian, che alzò una mano, ad indicarle di tacere, e disse, nel tono autorevole che Ben lo aveva sentito usare durante le contrattazioni –Kaori, vieni qui- la biondina, intuendo che non era il caso di contraddirlo, obbedì. Lo zio la prese in braccio e aggiunse –Mi deludi, piccola! Ti credevo una vera Cartridge, un'affarista!
–Lo sono, zio!
–Stai dimostrando il contrario. Se avessi fiuto per gli affari, capiresti quanto sei fortunata ad avere un  fratellino.
–Ah, sì?- chiese lei interessata.
Brian annuì e rispose –Vedi, un cane non è solamente un affettuoso compagno di giochi, comporta dei doveri, perché non è un giocattolo, ma un essere vivente che va accudito; ora, siccome sarebbe il tuo cane, dovresti occupartene tu, e posso assicurarti che è impegnativo. Invece del fratellino se ne occuperanno mamma e papà, tu dovrai solo giocarci. Conveniente, no?
Franz emise uno sbuffo scettico, che gli costò un calcio negli stinchi da parte di Faith, alla quale bisbigliò –Cartridge sarà pure un vanesio playboy da strapazzo, e ha appena sparato una stronzata grossa quanto Buckingham Palace, ma ci sa fare coi mocciosi!
Kaori ponderò la questione, quindi dichiarò –E va bene, mi tengo il fratellino, o sorellina… però voglio anche il cane!
–Questo è parlare da donna d’affari, nipote!- la complimentò Brian, per poi invitarla a sedersi al suo posto. –Quando vorrai, zio Brian ti porterà a scegliere un bel cagnolino!
–Piccolo e docile, possibilmente- sibilò Abigail, che nutriva per i cani una paura direttamente proporzionale alla taglia.
Con somma sorpresa dei presenti, la bimba rifiutò l’offerta.
–Grazie, ma mi porta lo zio Adam. Vero, zio?
–Ehm, sicuro. Qualunque cosa per te, principessa!
Brian, stupito, scosse la testa e chiese –Non per sembrare geloso, ma… come mai proprio lo zio Adam?
Kaori assunse un’espressione furbesca assai poco rassicurante, e rispose candidamente –Lui lo sa!
Aidan, seduto accanto a lei, mentre giocherellava con le verdure nel piatto, domandò –Posso averlo anche io, papà?
–Un cane? Certamente!
–No, un fratellino!
Calò un silenzio di tomba, rotto soltanto dal tintinnio delle posate lasciate cadere nei piatti dai commensali basiti, i quali si volsero immediatamente verso Brian, intento a scervellarsi alla ricerca di un modo per spiegare a suo figlio il motivo per cui non avrebbe potuto accontentarlo, senza addentrarsi nel terreno minato di “come nascono i bambini”.
–Ehm, purtroppo, AJ, al momento un fratellino è fuori discussione. Se, però, hai qualche altra richiesta più ragionevole…
–Un telescopio!- trillò Aidan. –Non grosso come quello di Alyssa, perché non mi entra nella mia cameretta..
–Non entrerebbe nella mia cameretta, AJ, senza “mi”- lo corresse il padre.
–Sì, insomma, non uno enorme… uno piccolo, per guardare le stelle e la Luna, che, ora lo so, non ci può spiaccicare.
–Schiacciare, AJ. Schiacciare- sospirò Brian. –Comunque d’accordo, vada per il telescopio.
–Grazie papà- rispose il pargolo sorridente, per poi confessare alla cugina, in tono cospiratorio –Io in realtà non lo voglio un fratellino, ma ho convinto papà, e ora sicuro mi compra il mio telescopio!
 
***

–Toglimi una curiosità, Adam: cosa c’è dietro a questa inspiegabile richiesta?
–Quale?
–Con tutto il dovuto rispetto… se Kaori ha chiesto a te ti accompagnarla a prendere un cane, significa che ha qualcosa in mente.
–Oh, Brian, non essere geloso!- celiò Adam. –Sei sempre stato lo zio preferito, puoi permetterti di lasciarmi la scena, tanto per cambiare!
Brian scosse il capo e rispose –Non mi freghi. Kaori era troppo trionfante, troppo sicura che avresti accettato… come se sapesse di averti in pugno. Non sarai in debito con una bambina di cinque anni!
–Diabolica ricattatrice, altro che bambina!- sbottò Adam, pentendosene quando era tardi per rimangiarsi quell’affermazione. Si morse il labbro inferiore e confessò –Ok, lo ammetto: la marmocchia ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Il cane è..
–Il prezzo del suo silenzio?- esalò Brian, esterrefatto. –Bella lezione di vita da dare a una bambina, complimenti!
–In mia difesa posso solo dire che Kaori ne sa una più del diavolo. Pensa che mi ha detto: “Il silenzio è d’oro, zio, non puoi avere il mio gratis”.
–Le ho insegnato troppo bene- chiocciò Brian, orgoglioso. –Non ti chiedo cosa hai combinato perché rispetto la tua privacy, ma spero che non corromperai più uno dei tuoi nipoti per coprire i tuoi errori.
–Lo giuro sulla vita dei miei figli- asserì Adam con aria contrita.
–Tu non hai figli!
–Potrei averli, un giorno- replicò lui, esibendo un accattivante sorriso a trentadue denti, dopodiché, sbadigliando, si ritirò nella sua stanza.
Brian, ridacchiando per la faccia tosta di suo cugino, impiegò diversi secondi ad accorgersi del cellulare che vibrava. Sorpreso dall’identità del chiamante, rispose senza indugio.
–Alyssa! Ciao!
–Cartridge, pezzo di cretino, ti sei bevuto il cervello?
–Se ti riferisci alla volta in cui ti abbandonai in campagna completamente sola…
–Mi riferisco alla verdura assassina che mi hai mandato!- sbraitò lei, chiaramente in collera.
Brian boccheggiò, allibito.
–V-verdura a-assassina? Ti ho mandato dei fiori, per…
–Mandarmi al Pronto Soccorso!- ruggì Alyssa. –Sono allergica al polline, imbecille!
Terribilmente imbarazzato, Brian balbettò qualche smozzicata parola di scuse, dandosi dell’idiota per aver dimenticato quel dettaglio.
–I-Io…
–E’ inutile che piagnucoli, non me ne faccio un accidenti delle tue scuse del cavolo! Avrei dovuto immaginare che di me ricordavi soltanto il numero di telefono e la taglia di reggiseno!
“Terza, coppa doppia C. Impossibile dimenticarlo, ma è meglio che tenga la bocca chiusa.”
–I-Io… n-non so cosa dire…
–Prometti che starai alla larga da me. Vedi, l’allergia non è stata l’unico guaio che hanno provocato i tuoi dannatissimi fiori: mio marito li ha visti, ha letto il biglietto e, conoscendo la tua fama, ha tratto le conclusioni sbagliate!
A quel punto Brian recuperò la grinta e rispose a tono.
–Non è colpa mia se hai sposato un decerebrato.
–Non ti permettere di insultare mio marito!- barrì Alyssa. –Chiunque avrebbe frainteso una frase ambigua come “Grazie per essere stata così disponibile”, specie se l’autore è uno che cambia donna con la stessa frequenza con cui la gente normale si cambia le mutande!
–Tutta invidia, la tua! Chiunque vorrebbe essere al mio posto!- ribatté Brian.
–Soltanto per rendersi conto di quanto stava meglio prima. La tua vita è una gabbia dorata: scintillante, ma piena di vuoti. Guarda in faccia la realtà: non hai rapporti umani autentici, se non fossi Brian Cartridge nessuno ti sopporterebbe, escluso forse Aidan… ma sai che non durerà: una volta adolescente capirà cosa comporta essere tuo figlio, e ti detesterà anche lui.
–Non è vero!
–Chi sono io per disilluderti?
–Taci, strega!- ululò Brian, per poi lanciare il telefono contro il muro, accecato dalla rabbia. Sentiva ogni centimetro di pelle bruciargli, e una dolorosa stretta al cuore. Nonostante gli sforzi di reprimerla, una voce interiore gli ripeteva quanto Alyssa avesse ragione, acuendo il malessere.
Brian era cresciuto con la convinzione che qualsiasi cosa andasse guadagnata, compreso l’affetto di familiari e amici; l’unico suo punto fermo, l’unico del cui amore incondizionato non avrebbe mai dubitato, era Aidan, e sentirsi dire che un giorno perfino lui lo avrebbe odiato l’aveva mandato in crisi.
Era ancora seduto sul divano, con la testa tra le mani, quando avvertì un tocco delicato sul braccio. Si girò e vide suo figlio, in piedi di fronte a lui, con un libro in mano.
–Sei triste, papà?
–Cosa? No, no, papà è soltanto stanco.
–A me mi sembri triste- lo contraddisse il bambino, poi, inaspettatamente, posò il libro sul divano e abbracciò Brian, che lo strinse forte a sé, quasi avesse paura potesse scappare. Poco dopo, il piccolo gli chiese –Va meglio?
–Molto meglio- rispose lui, cullandolo. –Grazie.
–Per cosa?
–Questo.
Aidan gli diede un bacino sulla guancia.
–Sei il mio papà e ti voglio bene. Voglio che sorridi, ok?
–Ok- disse Brian, si staccò a malincuore da lui e aggiunse, con un mezzo sorriso –Allora, cosa leggiamo stasera?
 
Nota dell’autrice:
Parto dal finale, stavolta; l’inserimento di questa scena… oserei dire fluffosa è stato una decisione estemporanea: cercavo una chiusura che non fosse spoilerosa o stupida, e mi è venuto in mente di concludere il capitolo con un momento di dolcezza padre-figlio. Se non vi è piaciuto potete lamentarvi, accetto le critiche costruttive (gli insulti no, a quelli applico la legge del taglione), secondo me aiutano a migliorare. Meglio una critica sincera che un falso complimento. ^^
Ho riservato un bel trattamento a Robert, non credete? Ha mandato a quel paese la Meigs (se volete vedere il suo vestito: qui), ma presto la situazione subirà una svolta… ;-)
In ultimo, F&F. Ormai hanno traslocato e hanno iniziato la loro nuova vita insieme… nel migliore dei modi: ispezionando il materasso! XD
Nel prossimo capitolo, vi anticipo, Kaori troverà il cane della sua vita e Adam incasinerà la sua.
Au revoir!
Serpentina
PS: la storia delle ridotte dimensioni dell’arnese di chi guida un’Audi e della scarsa resistenza di chi guida una Mercedes è una leggenda metropolitana che mi ha raccontato un amico, perciò eventuali possessori di un’auto dei suddetti modelli, o ragazze impegnate con uno di essi, rideteci su oppure mandatemi dove volete, ma in privato. Grazie.
PPS: la sindrome dell’ovaio policistico e il ristorante ‘Atelier de Joel Robuchon’ esistono veramente. Per informazioni, visitate Wikipedia.
 
 
 
   
 
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