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Autore: passiflora    15/09/2014    5 recensioni
(In revisione)
Ognuno di noi custodisce dei segreti, ma quelli di qualcuno sono più grandi e pericolosi di altri.
Custodire tali segreti è un atto coraggioso e vanesio, colmo d'orgoglio: riesce a farci sentire potenti, quasi che il nostro valore si misurasse sulla capacità di resistere alla tentazione di rivelare quello che sappiamo; ci fa sentire parte di una oscura élite, ci fa sentire selezionati dal destino per portare con piacere un silenzioso ma fatale fardello. Custodire un segreto è un atto capace di far sentire qualcuno vivo e morto allo stesso tempo, ed è anche capace di corrodere l'animo di un uomo e condurlo alla rovina.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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Per quanto durante la cerimonia i ragazzi -esclusa Tea- avessero mantenuto un atteggiamento freddo e distaccato, sprezzante e quasi disgustato nei confronti degli altri invitati, quando la bara di Thyme venne inserita nel loculo e murata a tutti quanti si strinse il cuore. Fu un attimo, come strappare un cerotto. Poi tutto era di nuovo tornato alla normalità, solo senza Thyme, che era stata chiusa in un buco nel cemento da cui non sarebbe uscita mai più; insomma, era più o meno come dire che era partita per le Maldive e ci si era trasferita in pianta stabile. Tra i due scenari, le Maldive si addicevano a Thyme molto più del buco nero, quindi i cinque ragazzi decisero che immaginare la ragazza distesa sulla sabbia a sorseggiare un cocktail, circondata da muscolosi indigeni, per il resto della vita sarebbe stato più plausibile. Certo Thyme non sarebbe ricomparsa a smentire le loro fantasie, quindi tanto valeva giustificare la sua assenza in un modo che le si addiceva. Tanto il risultato non cambiava. Il vuoto rimaneva.
 
La pietra tombale venne applicata. Le scritte d’ottone non erano ancora pronte, così al loro posto era stato applicato un cartoncino plastificato che riportava il vero nome di Thyme -un nome che nessuno usava più, nemmeno i suoi genitori-, le date di nascita e morte, una foto di lei, bella e sorridente, e una frase tratta da qualche libro della bibbia.
Ci furono pianti, più o meno sguaiati a seconda del grado di parentela del piangente, e imprecazioni sulla vita ingiusta, sul destino crudele e su Dio che vede e provvede.
« Non è il destino che l’ha ammazzata, idioti » sibilò Pool, la cui pazienza andava esaurendosi. « E non sarà Dio a punire chi l’ha fatto. » Quella gente gli metteva addosso i brividi. L’ignoranza e la stolida banalità lo terrorizzavano, e quel mucchio di parenti gli sembrava l’incarnazione perfetta di tutti i suoi incubi. "Faceva bene Thyme, a fuggire. L’avrei fatto anche io."
 
Un’ora dopo, i cinque ragazzi erano a casa di Thyme, nel soggiorno grigio e bianco, i cui brutti mobili di scarsa qualità giocavano un ruolo consistente nel rendere la piccola riunione ancora più patetica. Oltre ai ragazzi erano presenti altre dieci persone e i genitori di Thyme. La sorellina di lei, l’unico componente della famiglia per cui la defunta avrebbe mosso -stancamente- un dito, se ne stava seduta su una sedia, in disparte, osservando la scena in silenzio. Aveva otto anni e somigliava a Thyme con una goccia d’acqua ma, a differenza della sorella defunta, la ragazzina aveva un carattere solitario, gentile e timido. Era anche dotata di una spiccata intelligenza e le piaceva osservare il mondo cercando di capire da sola le cose che nessuno le spiegava. In quel momento, certamente cercava attribuire un significato a quella riunione insolita. Le zie che a malapena conosceva blateravano cose in proposito all’infanzia di Crisa -perché Thyme si chiamava Crisa e le zie non avrebbero mai usato un soprannome inglese per riferirsi alla loro nipotina adorata che non vedevano da almeno sei anni-, le nonne singhiozzavano convulsamente, gli uomini stavano tutti in silenzio tranne lo zio, che sembrava arrabbiato con la polizia e diceva parolacce. Nel complesso, sembrava si fossero riuniti per poter parlare dei boccoli di Thyme da bambina e per poter piangere più forte di quanto avessero potuto fare in chiesa, tutti stretti uno all’altro sui divani. Gli unici a sembrare annoiati erano i ragazzi, che se ne stavano in piedi, appoggiati al muro quasi lo volessero sostenere.
 
E poi venne il momento in cui uno zio domandò perché mai tutti continuassero a chiamare Thyme in quel modo. « Che lingua è? » sbottò indignato. « Inglese? Perché tutta questa mania dell’inglese? Non abbiamo dei bei nomi noi? Eh? »
I ragazzi sospirarono in coro. Tea si chinò verso il vecchio signore e con la voce più dolce che poté produrre spiegò: « Significa timo. È un nomignolo preso da una canzoncina. »
« Timo? Significa timo? E che soprannome è timo? E poi? Ci sono anche il basilico e la salvia? »
« E anche il rosmarino » disse Tea, la cui voce calma tradì una scintilla di stizza. Rosemary era lei, era stato il suo soprannome per anni.
« Sciocchezze » concluse l’uomo e si voltò dall’altra parte, esprimendo così tutta la sua disapprovazione verso quelle stupidaggini da giovani che lui non capiva.
Tea si alzò e guardò i suoi amici, sconfitta. Fred strinse le spalle, Sage scosse la testa. Pazienza, che ci potevano fare se quell’uomo era vecchio e ottenebrato da un dolore di circostanza?
« Siamo ad una fiera » mormorò Pool, qualche minuto dopo, quando ormai era nata un’animata discussione in proposito al tasso di diffusione dell’inglese in Italia e nel mondo.
« Ma non quella di Scarborough » disse Tea, con un lieve sorriso.
« No, a quella del "non sappiamo di cosa parlare e quindi parliamo a vanvera" » commentò Varga.
In quel momento, Sage si staccò dal gruppo. Sistemò una ciocca dei capelli ondulati e con passo composto raggiunse i genitori di Thyme. Parlò con loro per un po’, intrecciando le dita delle mani e cercando di assumere un'aria più innocua e convincente possibile. Dopo qualche minuto i due sembrarono cedere alle sue richieste e Sage tornò dagli amici sfoggiando un sorriso trionfante poco adatto all'occasione.
 
« Venite con me » disse, facendo un rapido cenno con la testa.
« Dove, esattamente? » domandò Pool.
« A vedere la cosa per cui tutti noi abbiamo accettato di essere qui » rispose Sage. Varga la fissò in silenzio. Era giunto alla conclusione che Sage lo turbava, soprattutto quando sorrideva come in quel momento. Fu il primo a muoversi per seguirla.
La ragazza li condusse nella cucina adiacente al soggiorno e poi nella piccola stanza dove risiedevano i grandi elettrodomestici di casa e una nutrita collezione di scatoloni. Il padre di Thyme, un uomo alto e filiforme, ampiamente stempiato, aveva preso una delle scatole e l’aveva deposta sull’asse da stiro. Ad una prima, rapida occhiata il contenuto pareva consistere semplicemente in fogli di giornale. Un attimo dopo, nella stanzetta sopraggiunse Anna, la madre di Thyme, che depositò accanto allo scatolone una piccola busta di plastica contenente un vecchio cammeo appeso ad una catenina di ottone.
« Ecco, questo lo aveva al collo. È l’unica cosa che ci hanno restituito, perché era stato pulito e non presentava tracce utili » disse, per poi sparire nuovamente, tornando a condividere e alleviare il proprio dolore con i parenti seduti in soggiorno. Suo marito la seguì.
Rimasti soli, i ragazzi rivolsero a Sage i loro dubbi.
« Scusa, cos’è questa roba? » chiese Fred, traendo un pacco di fogli dalla grande scatola.
« Materiale sul caso di Thyme » disse Sage, sfregandosi le mani. Aveva dipinto in volto uno sguardo famelico, quasi dovesse gettarsi sopra un lauto banchetto e non su incartamenti riguardanti un caso d’omicidio.
« E cosa ne dovremmo fare? » domandò Pool.
« Leggerlo » esclamò Sage, come se quella conclusione fosse la più logica possibile. « Per saperne di più. Magari ci viene in mente qualcosa che la polizia non può capire né sapere. »
« Oh, andiamo. Indagare è il loro lavoro. Perché dovremmo scoprire noi qualcosa quando loro brancolano nel buio? » esclamò Tea.
« Perché? » Sage si voltò verso l’amica, incrociando le braccia al petto, risoluta. « Perché nei film funziona sempre così. Arriva l’investigatore dilettante e capisce tutto. Io mi sono chiesta il perché! Perché loro capiscono sempre tutto e la polizia no? È semplice: perché l’investigatore dilettante di solito conosce bene la vittima e vede le cose così come le avrebbe viste lei; di conseguenza si accorge di particolari all’apparenza insignificanti, ma in realtà molto importanti! »
Il ragionamento non faceva una piega. Tutti tacquero, compreso Varga, che approvava la logica di Sage e per questo si sentiva arrossire.
« D’accordo allora. Cerchiamo qualcosa di interessante » mormorò Tea, prendendo dalla scatola un pacchetto di fotografie.
 
   
 
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