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Autore: Abigail_Cherry    15/09/2014    1 recensioni
Tutti i diciassettenni delle razze pure (umani, fate, elfi e maghi) sono stati raccolti in un unica accademia: la "Valiant Academy". Il motivo? Nessuno lo sa ancora. Ma non si può disobbedire ad una decisione di importanza mondiale. Qui, i protagonisti: Ashley, Amy, Kay ed Anta dovranno affrontare lezioni di combattimento, medicina, latino, magie oscure... e, chissà, sboccerà anche l'amore?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3:

Lezioni

 

La sala da pranzo era enorme: i tavoli avevano cinque sedie ciascuno, ed erano tanti quanti i gruppi della scuola, il muro era bianco panna e il pavimento era di parquet, la sala era tagliata a metà da un tappeto rosso, al soffitto era appeso un enorme lampadario di cristallo che bastava per illuminare tutta la stanza.

La ragazza dai capelli arancioni condusse i ragazzi al loro tavolo, segnato come 124. Tutti si sedettero, compresa lei. Subito arrivò un cameriere che si affrettò a prendere le ordinazioni. I ragazzi guardarono per qualche secondo il menù ed ordinarono, tranne la ragazza dai capelli arancioni, che stette in silenzio a schiena dritta a guardare gli altri.

- Non mangi niente? - le chiese Amy.

- No, non ne ho bisogno. - rispose la ragazza – Ma ti ringrazio del pensiero.

- Figurati. - Amy sorrise, non capendo completamente cosa la ragazza intendesse. In quel momento si sentì una voce all'altoparlante che avvertì gli alunni che tra non molto sarebbero iniziate le lezioni. Questo fece ricordare qualcosa alla ragazza dai capelli arancioni, che prese da sotto il tavolo un piccolo sacchetto fatto di un materiale marrone e ruvido e lo aprì.

- Riponete i cellulari qui dentro, per favore. - disse lei, alzando il sacchetto. I ragazzi obbedirono subito, tirarono fuori dalle loro tasche i cellulari e li depositarono nel sacchetto – Grazie. - gli disse la ragazza chiudendo il sacchetto con un nastro che aveva legato al polso. Poi si congedò con un cenno del capo, e se ne andò via di nuovo.

- Non pensate che quella sia un po'... - cominciò Ashley.

- Strana? - concluse Amy – Si, parecchio.

- Ormai è palese che l'ha mandata l'istituto. - disse Kay. Aveva i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani unite che gli reggevano il mento – Magari come assistente. Guardatevi intorno. Non notate niente di strano?

I ragazzi si guardarono attorno. Ora riuscivano a vederle: tante ragazze vestite come la sconosciuta che li aveva accompagnati. L'aspetto magari era leggermente diverso, ma tutte avevano gli occhi rossi. Ormai non c'era più dubbio.

- Androidi... - disse Ashley, quasi come un sussurro ma nella sua voce si poteva trasparire un pizzico di disgusto e repulsione.

- Allora... Saranno loro ad accompagnarci nella missione? - chiese Anta.

- Penso di si. - rispose Kay appoggiandosi allo schienale della sedia – Ma, come ha detto ieri la vicepreside, devono ancora lavorarci: non sono complete.

I ragazzi videro arrivare due camerieri al loro tavolo, che servirono ad ognuno il proprio piatto, per poi sparire tra gli altri tavoli. Amy aveva ordinato un semplice latte caldo con dei biscotti, Anta del caffè e un ciambella, Ashley un piatto contenente frutti di tutti i tipi e Kay dei pancakes ricoperti di caramello caldo.

- Che materie avete alla prima ora? - chiese Ashley e tutti guardarono i fogli delle loro cartelle gialle – Io Botanica. - lui sorrise.

- Greco. - rispose Kay.

- Anch'io. - disse Anta, non troppo entusiasta. Kay la guardò quasi preoccupato.

- Io Arti Magiche. - Amy sorrise, piuttosto compiaciuta.

Anta non guardò Kay, era ancora troppo arrabbiata per la sua noncuranza dei sentimenti altrui, ma riusciva a sentire il suo sguardo su di lei, che la osservava, la scrutava, cercava di capire cosa pensasse e come rimediare a ciò che aveva fatto. Le venne quasi il sospetto che stesse leggendo di nuovo la sua mente, così decise di girarsi verso di lui per chiarire una volta per tutte cosa pensasse. Una volta giratasi verso Kay, prese un lungo respiro per imporsi coraggio, poi aprì la bocca per cominciare a parlare, ma venne interrotta.

- Chi accompagno per primo? - era stata la ragazza con i capelli arancioni a parlare – A lezione, intendo.

Amy finì in fretta il suo latte, impaziente di cominciare le lezioni – Me! - esclamò subito dopo.

La sconosciuta fece un cenno con la testa e cominciò a camminare, seguita da Amy. Al tavolo rimasero solo Ashley, Anta e Kay, che rimasero in silenzio a mangiare finché la sconosciuta fece di nuovo ritorno, portandosi via Ashley. Ora rimanevano solo Anta e Kay.

- Ti volevo dire... - cominciò subito Kay, appena Ashley si fu allontanato. Anta si girò ad ascoltarlo – Non volevo andasse così.

- Mi sembra troppo tardi per dirlo. - rispose Anta. Aveva le braccia tese e le mani strette a pugno, che spingevano contro le ginocchia.

- Andiamo! Ci siamo appena conosciuti e già vuoi litigare? Guarda che io sono un ragazzo interessante, se si impara a conoscermi.

- Non è che VOGLIO litigare, è solo che... - Anta aveva distolto lo sguardo dagli occhi di lui.

- Che...?

- Tu mi hai costretta a litigare! - Anta tremava, stava alzando la voce. Erano anni che non le succedeva, pensò.

- Non è così! Mi sono subito scusato con te! - Kay le aveva afferrato il braccio e la scuoteva per costringerla a guardare negli occhi, ma lei non cedeva.

- Tu pensi che basti? Per un attimo, alla cerimonia di ammissione, mi ero convinta che davvero tu avessi un briciolo di rispetto nei miei confronti... Ma poi... - ad Anta le si era appannata la vista per le lacrime. Non devo piangere. Si diceva – Come hai potuto leggere i miei ricordi?!? - esclamò, poi, finalmente, si girò verso di lui – Sono cose personali! Non le ho mai raccontate a nessuno! E lo sai perché? - Kay le lasciò il braccio e sospirò.

- Perché ti fanno stare male. - disse, seriamente dispiaciuto per lei. Ci fu una breve pausa – Dimmi solo come rimediare.

- Non lo so. Fatti venire in mente qualcosa. - Anta si alzò dal tavolo e si diresse verso il bagno seguendo le indicazioni di un cameriere. Kay la rimase a guardare mentre si allontanava. La guardava come si guarda un cucciolo ferito, senza poter fare niente per curarlo.

Il bagno era vuoto. Anta chiuse a chiave la porta, camminò fino al lavandino e ci appoggiò le mani sui bordi, poi sollevò lo sguardo e si guardò allo specchio. Non aveva pianto, ma gli occhi erano lucidi, la bocca era semiaperta in una smorfia di tristezza. Chiuse gli occhi e sollevò la camicia scoprendo il fianco destro. Provò ad alzare una palpebra per sbirciare, ma appena vide un pezzo di ciò che era stato il suo passato, la richiuse subito e si mise a posto la camicia. Non ce la faceva ancora. Dopo tutti quegli anni passati a convivere con quella cosa, non riusciva ancora a guardarla.

Passò qualche minuto prima che qualcuno bussasse alla porta e lei dovette lasciare libero il bagno per tornare al proprio tavolo.

Kay la stava aspettando vicino alla ragazza dai capelli arancioni, che era tornata indietro.

- Possiamo andare? - chiese lei – Lezione di Greco, giusto?

- Si. - rispose Anta a bassa voce.

- Seguitemi.

La sconosciuta gli fece percorrere svariati corridoi prima di farli arrivare alla loro classe. Nonostante questo, ci misero solo cinque minuti ad arrivare, ma ad Anta sembrò un'infinità di tempo. Chissà se sarebbe riuscita a seguire le lezioni, quel giorno. O sarebbe rimasta a pensare al litigio con Kay tutto il tempo? No. Non glielo avrebbe permesso.

Una volta entrati in classe, Kay e Anta si accorsero subito di essere arrivati in ritardo. Guardarono l'orologio appeso alla parete della classe. 8:05. Il professore era già in aula e stava parlando ai ragazzi.

- Ebbene? Sarebbe questa l'ora di arrivare? - disse subito lui, quasi urlando.

- Ci scusi professore. - dissero insieme Kay ed Anta.

- Sapete cosa succede a chi arriva in ritardo? - l'uomo aprì il registro – Voti negativi! - prese una biro e la posizionò sulla carta. Kay e Anta stavano a testa bassa, sentendosi in colpa nei confronti della loro squadra, per aver fatto tardi il primo giorno.

- È colpa mia, professore. - disse la ragazza con gli occhi rossi – C'è stato un contrattempo.

- Davvero? Che tipo di contrattempo? - l'uomo staccò la biro dalla carta.

- La ragazza non si è sentita bene. È stata più di cinque minuti in bagno. E questo ci ha fatto ritardare. - Anta era arrossita, sentendosi ancora più in colpa.

- E in che modo, sarebbe colpa tua? - chiese l'uomo a braccia conserte.

- Io non ho rispettato l'ordine di far arrivare gli alunni puntuali nonostante qualsiasi avvenimento non grave.

- Male, ASP. Riferirò. - ASP? Pensò Anta Che significa? La ragazza dagli occhi rossi abbassò la testa, rammaricata – Ti do il permesso di congedo. - continuò lui. La ragazza fece un piccolo inchino con la testa e se ne andò, sparendo di nuovo. - Voi due! - disse l'uomo rivolto a Kay ed Anta – Prendete posto. - I ragazzi andarono in fondo all'aula e si sedettero negli ultimi due banchi rimasti, uno affianco all'altra, ma distanti circa un metro - Per questa volta non vi metterò nessun voto negativo. - continuò il professore – Ma sappiate che la prossima volta non sarete graziati! - i ragazzi annuirono. A quel punto, l'uomo poté cominciare la lezione.

 

- Non riesco a capire! Perché ritenete sbagliato che dei ragazzini possano sapere la verità? - chiese l'uomo una volta chiamato Preside Hugg. Le sue mani e la sua fronte erano sudate, era in piedi al centro di una stanza, intorno a lui, c'erano una dozzina di persone sedute su delle alte sedie, che lo accerchiavano: si sentiva un topo in trappola.

- Lei non capisce. - disse uno di loro – Dei ragazzini non dovrebbero MAI sapere una cosa del genere! Bisogna solo sperare che nessuno studente l'abbia detto alla propria famiglia! In giro si scatenerebbe il caos!

- Caoghor non è ancora pronto ad essere conosciuto dal mondo! É un fardello troppo grande da portare! - esordì un altro.

- Adesso è solo per colpa sua se ci troviamo costretti a cancellare la memoria di tutti i ragazzini che non verranno scelti per la missione! Ma questo lei lo sapeva bene!

- Non sa che effetto può avere cancellare i ricordi di una persona? Pazzia, amnesia a lungo termine e... Morte! Abbiamo speso quasi tutti i nostri fondi per quell'accademia! Non abbiamo le somme di denaro necessarie per chiamare a raccolta tutti gli stregoni più potenti per non rischiare!

- Si rende conto, ora, di che cosa ha fatto?

- Me ne rendo conto – rispose Hugg – Ma perché non lasciate che si sappia? Che le famiglie si preparino a Caoghor! Se no, come lo affronteranno?

- Non sono loro a doverlo affrontare, e questo lo sa bene. E poi, se si scatenerebbe il caos...

- Cosa? - interruppe Hugg – Non succederebbe niente! Perché noi abbiamo già la soluzione! Non ci sarebbero rivolte contro il governo! Perché una profezia da seguire ci è stata data!

- Adesso basta! - urlò una donna. Hugg si girò a guardarla: era piuttosto vecchia, con le mani venose e secche che afferravano saldamente un martelletto – Per i reati commessi da Micheal Hugg, questa corte lo condanna all'esilio nella palude di Tharr. Se mai dovesse tornare, e così infrangere il suo esilio, l'ordine è di uccidere a vista. - la donna batté il martelletto una volta e si alzò in piedi, congedandosi, mentre degli uomini ammanettavano di nuovo Hugg e lo portavano via.

 

La lezione di Greco procedeva lenta, Anta non capiva molto di ciò che diceva il professore, e si perdeva spesso nei suoi pensieri. Quando finalmente aveva cominciato a capire qualcosa, un foglio accartocciato le venne lanciato in testa. Lei si girò verso il mittente. Kay, che le indicava con dei gesti di leggerlo. Anta aprì il foglio accartocciato facendo attenzione che il professore non la vedesse. Mi hai perdonato? Diceva il foglio. Anta prese un pennarello nero e scrisse sopra al figlio, a grandi lettere: No! E restituì il foglio a Kay. Quando lui lo lesse ridacchiò, prese in mano una penna, e sul retro del foglio scrisse: Dimmi solo come posso farmi perdonare! Non mi viene in mente niente! E lo rilanciò in testa ad Anta. Che glielo rispedì con scritto: Dimmi qualcosa che nessuno vorrebbe mai che tu sapessi. Ma non fare scherzi!

Kay deglutì leggendo quel messaggio e pensò a lungo a cosa potesse rispondere. Poi strinse forte la penna blu e cominciò a scrivere. Ci mise più di venti minuti, e la lezione terminò senza che avesse terminato. Cercò di finire in tempo, ma non ci riuscì. Anta si era già alzata in piedi e si stava dirigendo alla porta della classe. Prima di uscire, il professore consegnò ad ogni alunno una piantina dell'accademia – Queste le manda la direzione. - disse – Per un po' gli ASP non saranno più con voi.

Anta uscì dall'aula entusiasta del fatto che non avrebbe più dovuto fare la strada con Kay, d'ora in poi. Frugò nella sua borsa e tirò fuori la sua cartella gialla con gli orari delle lezioni. Educazione Fisica. Almeno potrò sfogare la mia rabbia nello sport. Pensò lei.

 

La lezione di Educazione fisica, non fu affatto come se l'era immaginata Anta, ma molto peggio. Mai aveva avuto una lezione così faticosa.

Appena entrata in palestra, l'insegnante – una donna muscolosa e bionda con sopracciglia sottilissime - le aveva chiesto le sue misure e le aveva assegnato, di conseguenza, una tuta a maniche corte e pantaloncini corti. Era andata in spogliatoio con le altre ragazze e si era chiusa in bagno per cambiarsi. Una volta uscita, l'insegnate aveva ordinato a tutti gli alunni di correre per venti minuti, giusto per fare riscaldamento. Certo, Anta andava a correre ogni mattina, ma non era abituata a correre a ritmo veloce e ininterrotto. Vedeva tutti i suoi compagni di corso che la superavano, e lei che restava indietro cercando di sfruttare al meglio le sue energie. Dopo dieci minuti di corsa, cominciò a rallentare sempre di più, finché non si fermò con la milza dolorante. L'insegnante la rimproverò subito, e lei dovette ricominciare a correre. Arrivata ai diciotto minuti di corsa, vedeva il mondo da un'altra prospettiva: anziché cercare un modo per arrivare alla fine dei venti minuti senza essere praticamente morta, iniziò a pensare a come uccidersi. Ovviamente non sul serio, più come gioco, per cercare di rendere più sopportabile la corsa. Fortunatamente gli ultimi due minuti restanti passarono velocemente, e Anta riuscì a compiere tutti i venti minuti di corsa. L'insegnante diede il permesso agli alunni di sedersi, ma Anta non lo fece, mancava ancora mezz'ora alla fine della lezione, e sapeva che se si fosse seduta, non si sarebbe mai più rialzata. Per i restanti minuti di lezione, la costrinsero a fare addominali e flessioni. Insomma, alla fine dell'ora, Anta non vedeva l'ora di sdraiarsi su un qualsiasi letto o divano o persino pavimento e dormire, ma erano passate solo due lezioni. Ne aveva ancora tre.

Dopo essersi cambiata, Anta prese in mano la cartella gialla e lesse di nuovo gli orari. Medicina. Finalmente qualcosa che le interessava! Fin da piccola, aveva sempre voluto fare la veterinaria. Percorse i corridoi dell'accademia fino ad arrivare all'aula. Appena entrò, notò subito che non era un'aula come le altre, al posto dei banchi, c'erano dei tavolini bianchi con sopra posizionati dei... Manichini? Pensò Anta Cosa staranno progettando? Una specie di finta operazione chirurgica? Probabilmente si. Anta ne aveva già sentito parlare, di lezioni salvavita nelle scuole, ma non ne aveva mai frequentata una.

- Bene! - cominciò una donna al centro della stanza. Probabilmente era l'insegnante, ma era completamente diversa da qualsiasi stereotipo: aveva circa trent'anni, gli occhi verdi e i capelli biondi raccolti in due codini alti molto allegri. - Ci siamo tutti? - stava quasi ridendo, notò Anta. Poi si guardò di nuovo attorno, e vide che tutti gli altri compagni di corso, erano dietro di lei, lontani dai tavoli – Allora cominciamo! - continuò – Ognuno di voi, scelga un compagno: oggi ho deciso che si lavora a coppie!

Anta vide tutti gli alunni che cominciavano a muoversi ed a camminare verso al proprio tavolo, a due a due. Lei rimase per ultima, – nessuno le aveva proposto di stare in gruppo assieme – guardandosi attorno, si rese conto che rimaneva anche un ragazzo e, per logica, furono costretti a lavorare insieme. Si diressero verso l'ultimo tavolo libero e si posizionarono in piedi uno affianco all'altra.

- Amyas – disse lui per presentarsi, e le tese la mano.

- Anta. - rispose lei, stringendogliela.

- Silenzio ragazzi! - disse l'insegnante. I due si lasciarono le mani – Ora che tutti avete un compagno, cominciamo con alcuni esercizi di base. Ma non li sottovalutate! Sono molto importanti. E quale è più importante se non la respirazione artificiale? - l'insegnate andò al tavolo di un gruppo in prima fila, e mostrò come eseguire l'operazione sul manichino. Continuava ad alternare la sua posizione: dal petto alla bocca, dalla bocca al petto e così via... Una volta che ebbe finito, diede il via agli alunni per farli cominciare.

- Io comincio con la respirazione, tu le pulsazioni, va bene? - disse Amyas – Poi facciamo a cambio.

- Va bene. - Anta sorrise, e i due si misero subito al lavoro. Quando Anta vide le labbra di Amyas sfiorare quelle del manichino, il suo cuore sussultò: era così tenero, così... Delicato. Finì per incantarsi.

- Anta? - la chiamò lui – Ci sei? Qui Mister Manichino ci muore! - Anta si risvegliò dai suoi pensieri – S-si! - balbettò, e ricominciò subito a lavorare, promettendosi di non incantarsi un'altra volta.

 

Alla fine dell'ora, oltre che alle gambe doloranti per la corsa, Anta aveva anche le braccia doloranti: compiere una respirazione artificiale, non era stato poi così semplice come credeva. Fece muovere in senso circolare le spalle un paio di volte, per cercare di alleviare il dolore, ma non servì a molto.

- Qualcosa non va? - chiese Amyas, preoccupato per il movimento insolito delle sue spalle.

- Solo... Un po' di dolori qua e là. - rispose Anta – Niente di grave.

- Prima volta che fai questo tipo di esercizi? - il ragazzo sorrise.

- Si... - Anta arrossì.

- Beh, te la sei cavata molto bene. Sei una dottoressa coi fiocchi! - Amyas rise e le diede una leggera pacca sulla spalla. Anta sussultò per il dolore – Scusa. - disse subito lui, ritirando la mano.

- Non fa niente. - rispose lei. Il ragazzo tirò fuori dal suo zaino un oggetto tondo grande più o meno come una pallina da ping-pong – Mangialo. - lui lo mise in mano ad Anta – Ti aiuterà. - il ragazzo si mise in spalla lo zaino ed alzò una mano per salutarla – Ci vediamo.

Anta guardò Amyas sparire tra la folla, poi guardò l'alimento che le aveva appena dato il ragazzo: bianco, morbido e caldo. Sentì il suo cuore aumentare il battito. Ancora? Si disse. Non devi più farlo, Anta!

La ragazza strinse l'alimento nella mano e ne assaggiò un morso. Era dolce ed insolitamente buono. Mentre si dirigeva verso l'aula di Latino – che le toccava per la quarta ora – finì per mangiare tutto l'alimento, da quanto era buono. In effetti, subito dopo si sentì meglio. Molto meglio. Non sapeva cosa Amyas avesse messo dentro a quel dolce, ma aveva avuto effetti benefici sul corpo e sulla mente. Si sentiva molto rilassata, ma allo stesso tempo, piena di energie.

Una volta entrata in aula, notò con piacere che a quella lezione era presente anche Ashley, e si andò a sedere accanto a lui.

- Anche tu qui? - chiese lui.

- Già. - rispose lei – Come mai il prof. non è ancora arrivato?

- Non saprei. - Ashley fece spallucce e tirò fuori dallo zaino un foglio – Mentre aspettiamo, ti faccio vedere una cosa. - stese il foglio bianco sul banco e fece degli strani movimenti con le mani. Anta all'inizio non capì, poi vide uno scintillio verde che si alzava dal foglio, quel verde poi si trasformò in marrone, e quando vide che i due colori prendevano una forma, riuscì a vederlo chiaramente: un albero. Non un vero albero, uno in miniatura fatto di... Polvere di fata. Pensò Anta.

- Che te ne pare? - chiese Ashley.

- Meraviglioso! - gli occhi di Anta stavano quasi brillando. - Ma come hai fatto?

- Noi fate, usiamo questo metodo per capire con che albero è stata creata la carta. Questa, ad esempio, è stata fatta con il legno di un pino.

- Vorrei poterlo fare anch'io! - lei cambiò tono in uno scoraggiato e triste - In mezzo a voi mi sento così inutile... Voi potete fare tante magie... Magie che io non potrò mai fare... - Anta fu interrotta da un ragazzo con gli occhi rossi totalmente inespressivo che entrò in classe – C'è stato un contrattempo. Il professore di Latino ha avuto un piccolo incidente, niente di grave. La lezione è annullata. Avete un ora libera. - disse, ed andò subito via. Anta sorrise. Finalmente era libera di andare dove voleva. Lei si alzò dalla sedia, Ashley dopo di lei.

- Ci vediamo dopo! - disse lei rivolta ad Ashley, e fece per andarsene, ma lui la bloccò afferrandole delicatamente il braccio.

- Aspetta. - disse – Voglio farti provare una cosa.

- Di nuovo? - chiese lei, lui non rispose. Fece scivolare la mano fino a quella di lei e la strinse, poi cominciò a correre, facendosi spazio tra la folla e trascinandola dietro. Lei non era del tutto d'accordo - aveva ancora i dolori per l'ora di Educazione Fisica – ma si lasciò trascinare, curiosa di ciò che Ashley le avrebbe mostrato.

I ragazzi arrivarono fino al giardino sul retro, e lì si fermarono. Anta si guardò attorno: il prato era completamente vuoto, neanche una persona. Strano perché, pensò lei, era un ottimo posto per rilassarsi e, magari, saltare le lezioni senza essere sorpresi.

- Allora? - chiese Anta – Cosa mi volevi mostrare?

- Tu hai detto che non potevi fare magie, giusto? - disse Ashley. Anta annuì – Beh, non è proprio “fare” una magia, ma volevo farti provare, almeno in parte, ad essere una fata.

- U-una fata? - Anta aveva parlato più forte di quanto pensasse.

- Si. La polvere di fata può fare miracoli. L'effetto non è duraturo ma... Ci si diverte ugualmente. - Ashley cominciò a trafficare nel suo zaino.

- Senti, a proposito di fate... - cominciò Anta – Mi stavo chiedendo: come mai non hai le ali? - Ashley ridacchiò.

- Ce le ho. - rispose – Solo, le faccio comparire quando mi servono. Ti immagini come sarebbe scomodo andare in giro con due metri di ali sopra le spalle per tutto il giorno?

- In effetti... - Anta arrossì.

- Comunque, la tua domanda capita a pennello. - Ashley tirò fuori dallo zaino una penna, solo un po' più grande – Trovata! - esultò.

- Come mai? - chiese Anta, riferendosi alla frase precedente.

- Ora lo vedrai. - Ashley camminò verso Anta e le si posizionò dietro, piegato sulle ginocchia, il suo viso era all'altezza del bacino di lei. Posizionò la penna in mezzo alle scapole – Sta ferma, ora. - Anta era rossissima in volto e il cuore le era cominciato a battere di nuovo fortissimo. Ashley scese con la penna, dalle scapole arrivò fino a metà schiena, accarezzandole appena la camicetta. Lei sussultò: era la prima volta che un ragazzo le sfiorava la schiena e, almeno in parte - forse dovuto all'imbarazzo - non fu affatto piacevole. Lui fece degli altri movimenti con la penna, sta volta, partivano dalla schiena e si spostavano verso l'esterno. Anta non riuscì a vedere ciò che stava facendo, ma si fidava di Ashley, sapeva che non avrebbe mai fatto qualcosa che avrebbe potuto nuocerle. Una volta che ebbe finito, si alzò in piedi. - Ancora un po' di pazienza, pochi secondi ed ho finito. - disse. Agitò le mani, e ne fuoriuscì della polvere di fata dorata. Quando ne ebbe accumulata abbastanza, la soffiò sulla schiena di Anta – Ora puoi muoverti.

Anta scrollò le spalle e sentì che qualcosa era cambiato, in lei anche se non sapeva dire bene cosa.

- Come ti senti? - chiese Ashley.

- Leggera. - rispose Anta.

- È normale. - Ashley sorrise – Aspetta, te le faccio vedere. - Fare vedere cosa? Pensò Anta. Ashley tirò fuori dallo zaino una macchina fotografica e scattò una foto alla schiena della ragazza. Poi gliela mostrò. Lei spalancò gli occhi appena le vide.

Ali.

Bellissime ali dorate. Girò lo sguardo verso la schiena e riuscì a vederle: erano bellissime, fantastiche, splendenti... erano sue.

- Sono davvero... - cercò di dire, ma non ci riuscì. Era troppo felice e stupita – Come hai fatto? Voglio dire... Non lo credevo affatto possibile!

- Vedi questa? - il ragazzo le mostrò la penna – Con questa ti ho tracciato lo scheletro delle ali. Poi la polvere di fata ha fatto il resto.

- Sono... Bellissime! Grazie! - Anta corse ad abbracciarlo. Lui arrossì leggermente, ma ricambiò il gesto affettuoso della ragazza.

- Allora? Vuoi provarle? - Lei si staccò da Ashley.

- Certamente! - rispose Anta. Lui allargò le braccia, e gli comparirono le ali sulla sua grande schiena. Le sue erano diverse. Verdi, più grandi e con dei lineamenti più duri.

- Adesso, concentra tutta l'energia che hai sulle ali. - spiegò lui – Devi sentirle, farle diventare parte del tuo corpo. Poi puoi provare a muoverle. - Ashley prese di nuovo la mano di Anta – Proviamo! - si piegò leggermente sulle ginocchia per darsi una spinta e, prima che Anta si potesse accorgere di ciò che stava succedendo, saltò, sbattendo più e più volte le sue bellissime ali.

Anta non stava volando, era solo aggrappata saldamente alla mano di Ashley, sperando di non cadere. Vedeva il prato allontanarsi sempre di più dai suoi piedi, ormai dovevano trovarsi a più venti metri da terra. Aveva paura, ma finché si teneva ad Ashley, non poteva succederle niente di male. Lei lo sapeva.

- Pronta? - chiese Ashley.

- Per cosa? - protestò lei.

Ashley non rispose, sorrise, diede una spinta ad Anta e la lasciò cadere nel vuoto. Lei strillò, si dimenò vedeva sparire il cielo azzurro ed l'avvicinarsi sempre più rapido del terreno. Aveva paura. Probabilmente non aveva mai provato così tanta paura in tutta la sua vita. Si vedeva già stesa per terra, con sangue che le sgorgava da tutte le parti. Ma la cosa che le diede più fastidio, fu pensare che Ashley l'aveva tradita. Lei si era convinta di potersi fidare, ed invece... Era stato proprio lui ad ucciderla!

Sentì Ashley urlarle di agitare le ali. Così prese un gran respiro – per quanto le fosse possibile – e cercò di mandare tutta l'energia alla schiena. Chiuse gli occhi, allargò le braccia. Ora era a testa in giù, a pochissimi metri da terra. Era ormai a due metri dall'impatto, quando ci riuscì. Le sue ali si erano spalancate, continuavano a sbattere: dentro e fuori, dentro e fuori. L'avevano riportata in cielo. In alto. In alto fino ad Ashley. Riaprì gli occhi. Vedeva tutto un altro mondo, dall'alto. Vedeva le nuvole vicine, e gli edifici lontani. Era già stata parecchie volte in aereo, ma questo era completamente diverso: si sentiva libera. Libera di andare dove voleva e quando voleva. Per tutta la vita le avevano detto che l'uomo non avrebbe mai potuto volare, che era solo un sogno irraggiungibile. Che lei non era nata per questo. Ma lei aveva smentito anni ed anni di studi scientifici solo in pochi minuti:

Stava volando.

   
 
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