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Autore: finnicksahero    26/09/2014    2 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo undici.


 

Haymitch.


 


 

L'urlo interruppe i miei pensieri.

Ero sull'orlo del precipizio, avevo appena trovato '''un'arma''' che nessuno conosceva. Il campo magnetico alla fine dell'arena. Un'arma, dentro l'arma.

E poi eccola.

L'agghiacciante consapevolezza che la scintilla dei propri occhi stava per spegnersi.


 

Erano giorni che camminavamo insieme, io e Maysilee, in quei giorni l'avevo protetta, avevo fatto di tutto per non stancarla, ma comunque aveva detto che il bambino era strano, che lei era strana.

Arrivati sul precipizio, avevamo litigato, perché per lei non c'era niente, e voleva andare via. Mancavano cinque concorrenti, e sapevamo entrambi cosa stava per succedere, e non era bello. L'avevo lasciata andare, via, dove non potevo proteggerla.

E ora era distante, non potevo proteggerla. Avrei dovuto fermarla. Ma non l'avevo fatto.


 

Ora correvo, avrei dovuto fermare le gambe e placare il mio cuore. Ma quando sentii quell'urlo. Quell'unico urlo, il mio cervello calcolatore si spense. Ero diventato cieco, non vedevo la strada, non sentivo sulle braccia e sul viso i rami che mi schiaffeggiavano. Tutto era nero, solo il suo urlo mi guidava.

Era come il Nirvana, la luce contro l'oscurità .

Più ero stanco e più correvo, lei aveva bisogno di me, dovevo salvarla, ma una voce mi disse che non l'avrei salvata, che era troppo tardi. Ma la azzittii, e corsi più forte che mai, era vicina. Sentivo il suo profumo nell'aria, quell'aroma di cannella, dolciastro. Che mi rendeva felice.

Odiavo la cannella, il suo odore. Ma mi ricordava lei, respirai a pieni polmoni tutto quel profumo. Mi ricordava lei, mi ricordava quanto mi mancasse e quanto io l'amassi.

A quel punto successe qualcosa di strano una cosa strana, come se la fredda ombra della morte mi abbracciasse, stringendomi forte nel suo mantello fatto di anime perdute, urlanti e piangenti. Tutto smise di essere colorato, il mondo era diventato di colpo freddo, come se il sole si stesse spegnendo. E tutto diventava pian piano più scuro, nero.

Mi bloccai sotto le fronde di un albero, che con le sue ombre larghe e le sue mani di luce, mi accarezzavano ogni parte del corpo, dai capelli, alle braccia, che erano ricoperte di mini taglietti e pezzi arrossati fino ai piedi. La pelle era stata baciata da piccoli cerchietti di luce, che si muovevano, per una brezza inesistente.

L'urlo cessò.

Sbiancai, e scossi la testa, gli occhi si sciolsero e come stelle cadenti mi scesero delle lacrime argentee lungo le guance, erano veloci, e dentro erano nascosti diversi desideri, muti e speranzosi.

-No- sussurrai, e ripartii. Più veloce di prima, con dei fiumi lungo le guance, che venivano spinti dal vento. Dovevo correre, sempre più veloci, sentivo il freddo arrivarmi, come se la morte corresse dietro di me, attaccata alla schiena.

Ma quella vecchia signora non mi avrebbe raggiunto, e non avrebbe preso nemmeno lei. Lei avrebbe vinto contro di lei. Io avrei corso più veloce, si, era così, lo sapevo. Un briciolo di speranza entrò nel mio petto, e iniziò a farsi largo, spazzando via la paura. Spazzando via tutto il nero.

I polmoni mi bruciavano come se avessero preso fuoco. Volevo gridare, volevo piangere, fermarmi per respirare, ma più sentivo iol bruciore sulla schiena, più andavo veloce. Sarei arrivato da lei.

Niente aveva importanza. Niente. Avrei fatto tutto per lei.

Arrivai in una radura, sudato e stanco, vidi in cielo dei maledettissimi uccelli rosa volare liberi in quel blu come dipinto, sembravano formare un sorriso contorto, ai miei occhi stanchi e pieni di lacrime.

Perlustrai il campo e la vidi, sdraiata con il corpo che si muoveva a spasmi, le corsi incontro e mi inginocchiai accanto a lei che mi prese subito la mano. Trattenni altre lacrime, avevo immaginato questa scena diverse volte, ma lei non stava morendo, dando via alla morte. No. Stava creando della vita.

Guardai la sua mano, stretta alla mia, con le unghie rovinate, ma con ancora dello smalto, osservai tutto il braccio, macchiato di sangue, fino al viso, che era spaventato. Ma nemmeno una lacrima scendeva dai suoi occhi azzurri, che si sbiadivano pian piano, la bocca era rossissima e usciva del sangue, un rivolo sottile, aveva i denti macchiati di rosso. I capelli biondi sparsi ovunque, erano un'aureola per il mio angelo.

Cercò di parlare, ma scossi la testa e feci 'Shh' lei scosse la testa e altro sangue le uscii dalla bocca. Mi salirono le lacrime, le strinsi la mano forte come a dire, io ci sono.

Mosse le labbra e porse i suoi occhi nei miei. Una lacrima solitaria le scese lungo la guancia sinistra, e le tremò la bocca -Il bambino- disse, e vidi che la mano stringeva la canottiera, in maniera stretta, si stava agitando -Haymitch- mormorò, la voce bassa e roca, era rotta, stanca, iniziai a tremare, un poco -Il bambino...- sussurrò, la testa le scivolò e fissò il cielo, quell'azzurro così vivo, si spense del tutto.

Lasciando il vuoto. La mano cadde a terra, con un tonfo, fissai davanti a me. Tremavo tutti e piansi. Piansi, in silenzio mentre le immagini della mia Maysilee mi passarono davanti, come un film a colori, che non volevo finisse mai.

La vidi sdraiata nel prato, con le caviglie accavallate, le mani stese, con i palmi verso il basso, il sorriso sulle labbra carnose, i capelli su una spalla, gli occhi che guardavano le nuvole, come se fossero cose nuove, da scoprire, alzò una mano e la scena svanii lasciando posto a lei che rideva, con gli occhi socchiusi, in maniera argentina. Poi il suo viso quando mi disse di aspettare un bambino, quelle lacrime amare scese per la paura, il suo sorriso, quando vide la mia reazione, la sua paura che scivolava via grazie alle mia braccia.

E infine il suo corpo contro il mio, che mi accarezzava i capelli con le mani piccole e tremanti, che mi graffiava la schiena.

Ricordai tutto di lei, fino al più piccolo dettaglio, come la screziatura castana che aveva nell'occhio dentro, piccola, vicino alla pupilla.

Quando riaprii gli occhi, riabbassai lo sguardo su di lei e vidi che la sua unica lacrima stava ancora scendendo, la sua lunga discesa stava per finire, cadendo a terra. Come tutte le mie lacrime. La raccolsi prima che toccasse quel suolo macchiato del suo sangue. Asciugandola, come avevo sempre fatto. Consolandola.

Mi tremavano troppo le mani -Scusa, scusa. Dio scusami, scusami tanto- mormorai, mi chinai su di lei, e appoggiai la fronte alla sua pancia -Scusami- dissi, piangendo forte. Non potevo trattenermi. Diedi un piccolissimo bacio al nostro bambino e mi scesero ancora più forte le lacrime. Volevo urlare, farmi uccidere.

Non aveva più senso niente.

-Perdonami, oh amore mio, perdonami. Amore perdonami- sussurrai, muovendo solo le labbra. Tirai su la testa, e notai una piccola margherita, fioritissima con i petali bianchi, sfumati di rosa, la parte centrale di un giallo intenso, la raccolsi e gliela misi fra i capelli.

Lei amava le margherite.

Era la mia margherita.

Mi alzai, le gambe instabili, feci per pulirmi il viso, ma notai che avevo le braccia macchiate del suo sangue, pesi un pezzo di stoffa e lo strappai dalla maglia, mostrando gli addominali ai capitoli, e me lo passai sulla faccia.

Mi voltai indietro, guardavo davanti a me il nero, andavo avanti, nel passato, con il sottofondo di un Hovercraft. In mente avevo solo un pensiero.

  
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