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Autore: skippingstone    29/09/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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32. Inevitabile
 
«Siete fieri di un figlio del genere? È un abominio!»
Questa è la terza donna del distretto 2, oggi, che viene a lamentarsi con mia madre. Stanno parlando di me. Nella mattinata è passata la madre del bulletto, quello che ho picchiato per difendere il mio migliore amico. Durante il pranzo, un’altra donna è venuta a dire ai miei genitori che sono pazzo. Ora quest’altra afferma che sono un mostro, che sono il figlio che nessuna madre desidererebbe. I miei, in effetti, non mi hanno mai voluto. Perciò non dice loro niente di nuovo.
Si mischiano altre voci di donne a quelle di questa signora. Probabilmente ci sono più persone davanti alla mia porta e tutte sono qui per dire cattiverie sul mio conto. Esco dalla mia stanza. Mio fratello è seduto sulle scale. Guarda quelle donne urlare ed è spaventato. Lui non ha mai avuto un carattere freddo e pronto, deciso. No, mio fratello è sempre stato un po’ debole, si lascia trasportare facilmente dalla corrente. Basti pensare al fatto che ha detto a me, suo fratello, di tagliarmi le vene solo per farsi accettare dal suo gruppetto. Non gliene faccio, però, una colpa. Se io ho preso le ossa graciline di mia madre, lui ha preso il carattere duttile e malleabile di mio padre.
Sento dei rumori, qualcosa sbatte contro i vetri delle finestre. È un rumore terrificante. Mia madre urla. Decido di scendere giù: queste donne ignoranti sono qui per vedere me e, allora, le accontento.
«Buongiorno.» – dico come se nulla fosse. Alcune mi guardano con occhi sbarrati credendo di vedere una bestia alata scesa in terra, altre hanno un’espressione incredula, come per chiedersi se io possa aver mai fatto tanto male ad un ragazzino più grande di me.
«Hai anche il coraggio di dirmi buongiorno.» – afferma la donna che è proprio davanti alla porta di casa. Sarà la leader di queste donnacce.
«Dovrei, forse, non salutarla? I miei genitori almeno un po’ di educazione me l’hanno insegnata.» – tutta questa forza spavalda nasce spontanea. Sarà, probabilmente, anche Livius che mi sta aiutando. Infatti, finora, è sempre stato dietro di me a guardare la scena.
«Educazione? Tu hai fatto del male ai miei figli. Per non parlare dell’altro povero ragazzo… tu sei un Sanguinario!» - la donna supera l’uscio, scansa mia madre e siamo faccia a faccia. Fa il gesto di volermi dare uno schiaffo ma io le blocco la mano.
«Prima di tutto, lei è una grande scostumata perché bisogna chiedere permesso prima di entrare in casa di sconosciuti. Seconda cosa, questo trambusto qua è poco signorile ma è da vere cafone quale voi siete.» – alcune mugugnano qualcosa, altre iniziano a spaventarsi. – «E, ultima cosa ma non meno importante, i suoi figli e quel povero ragazzino meritavano e meritano tutto quello che hanno ricevuto. Anzi, le dirò di più: quello è poco.»
La donna bionda è spazientita. È venuta qua perché voleva punirmi. Vuole darmi quello schiaffo ma continuo a stringerle il polso. Ci prova, allora, con l’altra mano, ma blocco anche l’altra.
«I suoi due figli, una volta, mi hanno dato fuoco i quaderni, lo sa questo? Quel povero ragazzo di cui parla tanto con amore mi ha picchiato, lo sapeva questo?» – sposto lo sguardo verso le altre donne che restano impietrite sulla soglia di casa.
«Anche i vostri figli mi hanno picchiato. Vostro figlio mi ha rubato le scarpe una sera.» – dico alla madre di Venice, il tributo degli Hunger Games. - «Hanno picchiato anche il mio migliore amico. Nessuno faceva nulla per proteggerlo e lui non fa male ad una mosca. I vostri figli attaccano i più deboli per fare i forti, i carini. Andate a fare la vostra paternale a loro che, evidentemente, non hanno modelli comportamentali da seguire. Quello che ho fatto? Lo farei ancora, ancora ed ancora. Perciò uscite da casa mia e non mettete più piede qua dentro.» –ho mantenuto il controllo e ho cercato, più volte, di trattenere l’amarezza, la tristezza, ma questo non mi ha vietato di avere la voce alta, ferma, prepotente.
«Chiaro?» – urlo.
Lascio la presa sui polsi della signora costringendola, con violenza, ad abbassarli. Ella mi guarda. Vorrebbe dirmi qualcosa ma fa solo una cosa: esce di casa massaggiandosi i polsi doloranti. Tutte mi guardano, dalla prima all’ultima.
Fanno bene ad avere paura di me, hanno ragione a dire che sono Sanguinario.
 
Il colpo del cannone non tarda ad arrivare.
«Dobbiamo fuggire!» – esclama Søren.
Androceo sembra non voler lasciare Potas lì ma lo deve fare, assolutamente. Cosa vorrebbe fare? Portarsi addosso il corpo di un morto?
«Potas!» – richiamo la sua attenzione ma non ascolta. Questo mi fa capire che ha voglia di restare qui, ma io non mi faccio ammazzare perché a lui non va di scappare.
«Non possiamo restare qua!» – dice Søren allarmata.
«Søren, andiamocene!» - le urlo.
Søren afferra la mano di Andro ed egli la stringe, davvero forte. Lei lo tira a sé per farlo venire via ma egli oppone resistenza. Anzi, più che resistenza sembra fare la stessa cosa. Lui sta tirando lei. No, ora fa anche di peggio: le dà una testata.
«Ma che…» - dopo aver visto questa scena rimango esterrefatto. Siamo disorientati, lei più di me perché, ovviamente, è stata appena colpita in testa dalla testa di un altro. Sfilo immediatamente il pugnale dalla cavigliera. Non dovevamo fidarci di questo stronzo! Mentre Søren estrae la spada, Andro la stordisce con un teaser elettrico che ha cacciato dalla tasca del pantalone. Lei sente un sacco di dolore (lo capisco dell’espressione del suo viso) e lui la stringe a sé per poterle infliggere più dolore. Stringo il manico del pugnale, prendo la mira. Voglio provare a colpirlo.
«Fermo, o la ammazzo!» - mi dice Andro. Søren ha perso i sensi.
«Oh, non credo proprio!» - Level, finalmente, si mostra. Ha la pistola in mano e, bloccandomi il passaggio, la punta alla mia fronte.
«Ci incontriamo, di nuovo.» – Level sorride: non aspettava altro.
«Era inevitabile, presumo.» – le rispondo.
«Inevitabile. Mi piace molto questa parola.» – ormai deve andare così: quando io e lei ci incontriamo, dobbiamo prima scontrarci verbalmente. Entrambi abbiamo alte le difese. Lei ha la sua pistola, io il mio pugnale.
«Come mai il tuo alleato è questo pezzo di merda?» – chiedo a Level.
«Pezzo di merda a chi?» – mi rimprovera il traditore del gruppo.
«Vogliamo tutti vincere e lui ha capito con chi avrebbe avuto più possibilità di vittoria.» – mi spiega Level.
Ma questi piani stupidi a chi sono venuti in mente? Creare alleanze, così, dal nulla, è la cosa più irrazionale che si possa fare. Se, infatti, ci si allea senza pensare alle probabili conseguenze, si hanno gli stessi risultati che abbiamo ottenuto io e Søren quando ci siamo fidati di Andro e Potas.
«Mi ero stufato di essere la pecora di quello stupido del distretto 12.» – sbarro gli occhi dopo questa rivelazione. - «Ha detto anche che dovevamo pregare perché lassù c’è qualcuno che ci sta guardando, che opera per un bene superiore. Dimmi, ora dov’è questo grande essere?» – Andro getta Søren a terra come se fosse un sacco.
«Cosa ce ne facciamo di loro?» – Andro chiede alla sua nuova migliore amica.
«Non sono affari tuoi.» – Level è particolarmente infastidita dal ragazzino.
«Non sono arrivato fino a questo punto per farmi comandare da te.» – Andro si svela presuntuoso ed esigente. Dava l’impressione di essere un agnellino, uno indifeso e, invece, è un abominio. Come ho potuto paragonarlo a Chimio?
«Non sono arrivata fin qui per farmi distruggere i piani da uno come te.» – Level ha subito la risposta pronta.
«Sai che ti dico? Ora la uccido!» - Andro ancora con il teaser elettrico in mano, si abbassa. - «Gli accordi erano altri!»
Sto diventando impaziente. Lui non la deve neanche sfiorare con un dito.
«Non ci provare nemmeno.» - rimango sorpreso da quest’ultima affermazione di Level.
«O cosa mi fai, Level? Non mi fai paura!» – è anche sfacciato il ragazzino. Andro preme il pulsante del teaser elettrico e strisce di corrente elettrica viaggiano da un estremità all’altra. Lentamente lo avvicina alla cute di Søren.
«Oh, deficiente!» – gli urlo. Lui mi guarda con un’espressione divertita.
«Che c’è? Ti infastidisce tutto questo?» – lui getta il teaser, si distende sul corpo di Søren e la accarezza.
«Che c’è? Snow, il sanguinario… giusto? Che nome del cazzo che ti hanno dato!» - ride, afferra una ciocca di capelli di Søren e, tirando su il capo, lo spinge, poi, contro un masso. La ragazza riapre gli occhi urlando.
Vedo bianco, ancora.
Poche volte ho visto bianco e sono conscio di ciò che accadrà. Spingo Level a terra non curandomi della pistola e corro da quello. Mi ci butto addosso. Lo uso come scudo per la caduta e lo pugnalo al petto. Cadiamo su altri massi e imito ciò che ha fatto lui con Søren. Afferro i suoi capelli, sollevo il capo e sbatto la sua testa contro i massi, ripetutamente. Per un attimo credo di colpire Ermen, poi ritorna quel viso sporco di Andro il traditore. Non mi fermo perché non c’è pianto, non c’è lotta. Lui non reagisce. Nessun cannone, però, è esploso: lui è ancora vivo e questo non mi consola affatto. Continuo a colpire la sua testa contro i massi e, con l’altra mano libera, premo il pugnale per farlo andare più a fondo. Una pozza di sangue inizia a scender giù dalla testa. Sta morendo, lo so. Ma questo non basta. Non merita una morte così semplice. Ha preso anche in giro Potas, un ragazzo che si era fidato di lui. Ha preso in giro me e Søren. Questa non è una cosa da poco.
Sputo sulla faccia di quest’altro tributo e, alzandomi da terra, calcio il corpo affinché cada nell’acqua del lago.
Mi basta sentire solo il rumore di quel corpo che cade, poi corro subito da Søren. Mi siedo accanto a lei, le sollevo dolcemente il capo e lo adagio sulle mie gambe. Le accarezzo la fronte, gliela bacio e la stringo a me.
«L’ho ucciso. Non ti darà più fastidio.»
Søren mi sorride, allunga la mano sulla mia fronte e mi confessa una cosa bellissima.
«Grazie per avermi fatto vivere nel luogo della morte. Non importa cosa tu abbia fatto, distretto 2, tu non sei un mostro. Io piangerei per te.»
Io le sorrido. I miei occhi diventano lucidi.
«Anche nei momenti meno opportuni, ci diciamo queste cose?»
«Perché, se non adesso, quando dovrei dirtele queste cose?»
«Dopo.»
«Non c’è un dopo per noi.»
Il cannone si propaga nell’Arena. Alzo lo sguardo spaventato ma, poi, sorrido perché questo deve essere il cannone di Andro.
«Perché non c’è un do…?»
Quando ritorno a guardare Søren, però, i suoi occhi non brillano come prima e le labbra sono livide, le pupille immobili, il suo corpo è diventato, d’un tratto, più pesante e non sento il suo respiro. Il petto non fa alcun movimento, la bocca non esala un respiro.
Adesso mi manca davvero il respiro perché il mio era sincronizzato al suo. Ora che non ho un respiro da seguire, cosa ne farò dei miei? Sono sconvolto, senza parole e solo. L’Arena si sta restringendo, i massi mi stanno aggredendo, la terra si sta sgretolando.
Mi piego sul corpo morto di Søren (quel cannone era per lei) e, in lacrime, mi rimprovero perché non ho mantenuto la promessa: dovevo difenderla.
«Sono un mostro.» – non riesco neanche a dire queste tre parole mentre le lacrime rigano il mio volto. Perché lei?
Perché non sono morto io?
Chiudo gli occhi, la stringo più forte a me per non lasciarla andare. Non voglio che anche lei muoia. Sono stufo di queste morti.
Perché non sono morto io?
Almeno avrei evitato questo ennesimo dolore.
Perché non sono morto io?
Se le margherite sono sempre salve, allora perché quest’ultima margherita, la più bella nel campo, sta appassendo?
Perché non sono morto io?
Sento qualcosa che mi punge la spalla, un dolore alla testa e non ci penso più.
  
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