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Autore: skippingstone    03/10/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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34. Un volto da non dimenticare
 
Sono pronto a dover ripercorrere, ancora ed ancora, la tragedia che finisce con la mia morte.
Apro gli occhi con la consapevolezza che dovrò rivedere il mio migliore amico morire, quel palco e qualche persona nuova che mi ucciderà.
È tutto sfocato. Stranamente non sono più in piazza, non c’è Livius su un palco, non c’è nessuno. Sono tutto sudato, ho la tachicardia. Credo di aver perso sangue perché sento del liquido vicino la mia guancia.
Probabilmente sono uscito fuori da quel continuo susseguirsi degli eventi. Questa deve essere la realtà.
Sono chiuso in qualche strano posto. Forse è il Palazzo della Giustizia del distretto 13… non ho mai visto un posto del genere e, poi, gli ultimi edifici dell’Arena rimasti intatti erano proprio la Cornucopia e il Palazzo della Giustizia.
Provo a muovermi, ma sono bloccato. Mani e caviglie sono legate con un panno. Non sono né seduto né disteso, per questo mi sento già stanco.
Richiudo gli occhi e respiro in modo affannato. Andro sarà ancora vivo? Sì, per forza. C’è stato il rimbombo di un solo cannone, non due. Quindi mi avranno legato Level e Andro. Cosa hanno intenzione di farmi? Ma, cosa ancora più importante, perché sono ancora vivo?
Mi buttano dell’acqua fredda addosso. Level è davanti a me. Con un panno mi sta pulendo il viso. Sta usando anche una delle saponette che ho rubato nella casa rossa.
«Scusa se mi son permessa di mettere le mani nel tuo zaino.» – Level, delicatamente, passa questo straccio bagnato sulle mie guance. Si sofferma soprattutto sul bordo delle labbra.
«Eri tutto sporco. Ho pensato ti avrebbe fatto bene ripulirti un po’.» – tutta questa gentilezza ha il sapore di falsità. Non è Level. C’è qualcosa sotto, ne sono sicuro. È un gioco, forse un’illusione. Sì, sicuramente.
«Aspetta… anche qui.» – mi alza la maglia, nei limiti in cui può farlo visto che mi hanno legato come se fossi un salame.
Sposto lo sguardo di lato sperando di vedere Søren al mio fianco, ma lei non c’è. Lei è morta. Mi ha baciato, ma non era la realtà quella.
Level inizia a pulirmi la pancia, poi il petto. Provo dei brividi. Il corpo trae piacere in questa strana perversione, ma la mia mente ha voglia di fuggire per la scena pietosa.
Non so neanche se sia notte o giorno, ho perso la cognizione del tempo. In questo luogo chiuso ma ben illuminato da lampade, non trovo finestre o porte in cui poter vedere cosa c’è fuori.
Level sta continuando a toccare il mio petto. Lentamente avvicina le sue labbra dove batte il mio cuore. Le strofina su quella porzione del petto. Lascia un bacio delicato e soffice sul petto e, poi, mi aggiusta la maglietta.
«Mi è sempre piaciuto quando mi baciavano il petto così.» - dopo che mi ha detto questo, mi vien da vomitare. Anche a me piacerebbe, se non fosse lei a farlo!
Getta il panno sporco in un secchio pieno d’acqua e, levandomi da bocca la pezza che mi impedisce di parlare, prova a cibarmi.
«Cosa stai facendo?» – le chiedo incapace di comprendere.
«Mi prendo cura di te.» – mi risponde innocentemente.
«Cosa?»
«Mangia!» – inserisce a forza il cucchiaio nella mia bocca ma io non voglio mangiare. Lei, con la mano, vuole costringermi a mandare giù quel brodino ma io lo faccio cadere lungo le estremità delle labbra.
«Cazzo, Snow. Mangia! Non è niente di pericoloso!» – Level immerge il cucchiaio in quella poltiglia marrone e ne manda giù un boccone. Questo, secondo lei, dovrebbe tranquillizzarmi?
«Non mangio nello stesso piatto in cui mangi tu.» – le dico e mi molla un ceffone.
«Dove siamo?» - riprendo con le domande.
«Non lo so.» – mi risponde.
«Mi prendi in giro?»
«No, davvero non so dove siamo.»
«Vorresti farmi credere questa stronzata?»
«Snow, quando parlo con te, sono sincera.»
«Ah si?»
«Si! Non so cosa sia quest’Arena.» – un’altra persona che non sa dove siamo. Mi diverte ciò.
«L’inferno.» - le rispondo sinceramente. - «Sai cos’è l’inferno, vero?»
«Se qualcuno mi chiedesse la definizione d'inferno…» - inizia un monologo mentre gira il cucchiaio nella zuppa.- «…io risponderei che non serve dare una definizione, basta guardarsi attorno. Se qualcuno mi dicesse che l'inferno è un regno sotterraneo in cui finiranno le anime crudeli, io riderei affermando che l'inferno lo stiamo già vivendo. Quel regno ultraterreno è, ormai, un luogo pieno: non c'è più posto per le anime cattive lì, ecco perché sono tutte ferme qua, sulla terra.»
«Tu sei una persona cattiva. Dovevi stare nell’inferno, ma è pieno, come dici tu. Ecco perché sei qui, allora.»
«Anche la cattiveria bisogna vederla da vari punti di vista.»
«Non ricominciare con questa cazzata dei punti di vista! Una persona buona non si comporta come te! Sul treno mi dici che ti dispiace per il mio migliore amico e, poi, a Capitol City ti allei con Tacito ed Ermen. Sei ambigua, forse debole ed insicura.»
Si lascia scappare una piccola risatina.
«No, mio caro, non sono io quella debole ed insicura. Quello legato sei tu e non io, questo dovrebbe farti capire chi, tra i due, è il più debole. Inoltre banalizzi il tutto con le tue teorie. Io non sono cattiva, né debole, né insicura. Tu hai la convinzione che tutto sia semplice.»
«Io sono convinto che tutto sia semplice? Su quale base dici ciò?»
«Mandi avanti questo faccino indifeso e debole quando, invece, il tuo viso nasconde muscoli ed ossa che funzionano per essere meschini, subdoli. Sei un finto buono, sei un finto ferito, sei finto. Io sono qui per ricordartelo, sono qui per ricordare che non esiste giustizia su questo mondo. Ti sembra giusto che io, ultimo anno e poi addio Giochi di merda, sia stata pescata tra mille nomi? Ti sembra giusto che tu, predicatore di stronzate e bugiardo fino al midollo, sia il modello da seguire di tutta Panem? Grazie a te, grazie a questi Giochi ho capito il mio compito: dare un volto alla giustizia, il mio.»
«Vorrei ricordarti che il tuo nome non è stato pescato. Tu sei stata scelta, proprio come me, ad essere un tributo. Inizio a credere che tu stia davvero male.» – sì, dopo questo discorso insensato, capisco che lei ha qualche rotella fuori posto.
«No, sto semplicemente dicendo la verità e la verità fa male, lo so questo.»
«Tu stai davvero male! Io non voglio essere il volto della giustizia, non sono un predicatore, non sono un modello da seguire.»
«Ehi, bello, anch’io provengo dal distretto 2. Io c’ero quando hai fatto quel discorso sul palco, durante la Mietitura. Io so quello che hai detto alle madri dei quei deficienti del distretto.»
«Mi fa piacere… ma cosa c’entra questo con me?»
«Tu vuoi fare il superiore!»
«Tu vuoi essere superiore, invece. E, notizia dell’ultimo momento che forse non hai sentito mentre te la ripetevo due secondi fa, ma tu sei qui, con me, per colpa del distretto 2. Vuoi essere il volto della giustizia? Fai pure, non me ne frega niente di te e dei tuoi ideali, ma non dire palle sul mio conto. E poi fai tanto la paladina della giustizia ma tu, Level Rose, cosa avrai fatto per finire qui dentro?»
«Cosa ho fatto io? Tanto. Ho vissuto come volevo io e gli altri mi hanno punito per questo.»
«Ah, certo! Adesso si dice così? Per invidia sei finita qua?»
«Tu non mi conosci.»
«Neanche tu, Level, neanche tu.»
«Non posso crederci.» – le scivola il piatto a terra. Sobbalzo, credo che ora mi ucciderà. Il brodino si sparge sul suolo, il piatto è rotto. Lei, però, non fa nulla: resta seduta sulla sua sedia.
«Cosa non puoi credere, Level?»
«Non ti ricordi proprio di me, eh?» – mi chiede lei.
«No!»
«Proprio nulla?»
«Perché dovrei? In effetti, dovrebbe restarmi impresso il viso di una persona come te ma, mi dispiace, non sei così speciale come credi!»
«Aspetterò che tu lo faccia.» – mi risponde a bassa voce. - «E mi prenderò cura di te nel frattempo.»
«Uccidimi, invece di fare la dispiaciuta.» - ho perso la pazienza. - «Se mi uccidi, avrai anche dei vantaggi o Morse non te lo ha detto?»
«Sì che me lo ha detto.»
«E, allora, cosa aspetti? Uccidimi!»
«Non voglio ucciderti!»
«So che stai mentendo.» – rido, ma poi diventa tutto chiaro. - «Ah, ho capito! Adesso stai creando una copertura perché sai di essere la vincitrice e devi farti amare dal distretto quando tornerai. Ora fai sembrare me quello cattivo creando una storia inventata sul mio conto! Bella strategia, davvero.»
«Non voglio ucciderti!»
«E cosa vorresti farmi, allora?»
«Te l’ho detto: prendermi cura di te.»
Inizio a dimenarmi, voglio liberarmi da questi stracci che mi incatenano. Mi spaventa questa ragazza. Non è normale, è pazza.
Lei resta seduta. Mi calmo. Provo con tutto me stesso a ricordarmi di lei, ma proprio non riesco. Non ho mai incontrato Level, non l’ho mai nemmeno intravista. Non mi ricordo di lei nel distretto 2. Certo, è strano, ma davvero non so chi sia. Io non ho mai avuto a che fare con lei.
«Dov’è il tuo amichetto?» - meglio cambiare discorso.
«Quello? Oh, è morto. Lo hai ucciso tu. Il cannone c’è stato dopo la morte di Søren.»
Rimango incredulo, non so neanche se crederle.
«Distretto 13, Level. Siamo nel distretto 13.» – glielo dico, ma non so neanche il perché.
 
Siamo rimasti in silenzio.
Inizialmente, comoda sulla sua sedia, mi contemplava come se fossi una cosa da scoprire. Forse credeva che, così, mi sarei ricordato di lei? Dopo molti minuti, ha pulito lo schifo che stava a terra. Poi ha continuato a pulirmi con degli stracci puliti e la saponetta. Per un attimo mi ha provocato toccandomi il pene, io mi sono agitato e lei ha tolto subito la mano ridendo.
«Distretto 13, dunque.» – o riflette tra sé e sé o sta provando, ancora, ad avere un dialogo con me. - «Non avevo mai pensato a quest’ipotesi. Interessante.»
Ora è seduta a terra e si sta aggiustando i capelli. Fa finta che, davanti a lei, ci sia uno specchio dove guardarsi.
«Sono carina?» – mi chiede mentre la guardo.
«Non tanto.»
Questa risposta la delude, lo capisco da me.
«Che cosa hanno loro che io non ho? Che cosa aveva Søren che io non ho? Dimmelo Snow, dimmelo.»
  
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