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Autore: skippingstone    11/10/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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37. Ora, non dopo
 
«Livius, che hai là?»
Livius nasconde qualcosa che non vuole far vedere a me. Proprio a me.
«Livius, fammi vedere!»
«Snow, non è niente.»
«Livius!»
Afferro il polso del mio migliore amico e vedo chiaramente un livido, un gran livido, nascosto sotto la maglietta.
«Cosa ti è successo?»
«Niente.»
«Livus!»
«Non è successo niente!»
«Livius, parla! Tanto sai che verrò a saperlo, prima o poi.»
«Non…»
«Chi è stato a farti questo?»
«I rag…»
Al sentire solo questa mezza parola, mi sento male. Non ci sarà mai fine ai tormenti miei e di Livius?
«Mi sono stancato di loro. Quando la smetteranno di prenderci in giro?»
«Beh, cresceremo. Io creerò veleni, diventeremo famosi e li vedremo strisciare ai nostri piedi.»
«Meritano una punizione ora, non dopo.»
 
Sono un nuovo Snow.
Non ho una ferita, un livido e sono pulito. Profumo di limone e zinco. Finalmente è andato via quel fango sporco, quel sangue incrostato, il vomito sulle guance. La piazza di Capitol City è completamente diversa da quella dei distretti. Nei nostri distretti, la piazza è un pezzo di terra asfaltato su cui si erige il Palazzo Della Giustizia. Qui la piazza non è un pezzo di terra asfaltato. L’asfalto è dorato. Al centro della piazza vi è una fontana. L’acqua viene cacciata da una statua che rappresenta una donna. Questa donna ha in mano una spada e una bilancia. La chiamano “Giustizia” perché la giustizia è giusta e punisce chi sbaglia.
Level aveva intenzione di fare questo? Punire chi doveva esserlo? Non credo.
Il Presidente Morse indossa una pelliccia dorata senza avere una maglietta sotto. Posso vedere il petto curato. Il pantalone è di un nero lucido, aderentissimo. Le scarpe, che somigliano a pinne, sono di color oro e hanno dei ghirigori neri.
Siamo su un palco dedicato a me.
«Felici Hunger Games, miei cari cittadini!» – il Presidente Morse alza le braccia verso il pubblico che inneggia esageratamente. Alcuni piangono addirittura. Sono così felici della mia vittoria che mi spaventa tutta questa commozione. Non è normale una cosa del genere. Sono entrato a far parte degli Hunger Games perché il popolo mi odiava. Guardali ora: mi amano. Io non faccio altro che pensare a quell’hovercraft che, distruggendo il solaio del posto in cui mi trovavo, mi ha cacciato dall’Arena. Appena messo piede a Capitol City, ho chiesto di non voler vedere nessuno. Ho interagito solo con i dottori e sono rimasto in silenzio. Hanno pensato che fossi diventato muto ma, quando ho detto loro di lasciarmi stare, hanno pensato che fosse una mia reazione alla vittoria. Secondo loro, sto processando, digerendo il tutto.
Accanto a Morse c’è un nuovo animale. Mi manca Mohr, lo ammetto, e pensare che l’ultimo ad averlo visto sono proprio io! Mi “diceva” di ricordare chi fosse il nemico. L’ibrido Morsiano, adesso, è una specie di serpente. È dorato anch’egli e, al posto degli occhi, ha due perle nere. Mi inquieta anche quest’altro animale.
«Applaudite e amate il vincitore della venticinquesima edizione degli Hunger Games: Coriolanus Snow!»
Il pubblico urla, acclama, mi adora. Alcuni superano anche i Pacificatori cercando di toccarmi mentre passo tra di loro con il carro del Presidente. Tra il pubblico ci sono anche i miei genitori. Mi guardano, fieri per la prima volta di me. Rimango basito nel vedere, al loro fianco, il ragazzo che picchiai quando Livius si pisciò addosso. Lui sorride, è felice, dice agli altri di conoscermi. Io evito il loro sguardo, guardo dritto: è davvero semplice amarmi adesso!
La falsità regna sovrana! Su questo carro, inoltre, la falsità ha perfino un volto e un nome: Morse.
 
Sarà lunga almeno due metri questa tavola. Sopra vi sono un sacco di leccornie. Al centro c’è il corpo intero di un maiale cotto, nella bocca trattiene una mela. Che banalità! Ad un’estremità del tavolo c’è, ovviamente, Morse, all’altra son seduto io. Sul capo ho una corona dorata, datami dal Presidente in persona. Mentre ci fotografavano, mi ha anche baciato la guancia.
«Sono fiero di te, Snow.» – siamo distanti, ma abbiamo entrambi un microfono che ci permette di parlare tranquillamente e farci capire. Credo che ci stiano registrando e che tutta Panem possa vedere questo banchetto in tv.
«Grazie.» – sorrido. - «Mohr? Dov’è? Vorrei accarezzarlo.» – gli chiedo sfacciatamente.
Appena pronuncio il nome del gatto, fa finta di emozionarsi. Il serpente, invece, striscia attorno al piatto del suo padrone, come per marcare il territorio.
«Mohr…» - si avvicinano dei Senza Voce che, con un tovagliolo su cui è impresso il volto del Presidente, gli asciugano le lacrime invisibili e lo accarezzano.
«Siamo qui per festeggiare te, Snow. Fe – ste – ggi – amo – ti.» – come sempre, parla eseguendo una pessima divisione in sillabe.
Si aprono le porte laterali del salone. Da ogni parte esce qualcuno del mio team: Victor, Cosima e Caesar. Mi alzo e vado ad abbracciarli. Senza di loro, non avrei potuto fare niente. Questo è ovvio.
Caesar mi palpeggia il sedere e, sottovoce, mi dice che l’Arena mi ha fatto indurire le natiche. Cosima mi dice che sono più carino e che, ora, quella tutina aderente che voleva farmi indossare alla Sfilata (dove si sarebbe visto il mio pene in modo chiaro e limpido) mi starebbe d’incanto. Victor mi abbraccia, non mi dice niente. Il suo sguardo, però, mi dice tante fantastiche cose. Lui è commosso di vedermi là, vivo.
A tavola sembriamo essere compagni di vecchia data che, dopo tempo, si ritrovano per stare insieme.
 
«Ora, possiamo parlare io e lei.» – chiudo la porta alle mia spalle. Siamo soli, io e il Presidente Morse.
«Da quanto tempo avevi voglia di farlo?» – il Presidente sorride. Sta guardando un quadro che lo ritrae nudo, su un divanetto. Si sbottona la pelliccia che butta su un divanetto e si accarezzo il petto nudo.
«Non aspettavo altro.»
«Lo so, sono un tipo che si fa desiderare.» – si volta, mi guarda. - «Aveva ragione la ragazza: l’Arena ti ha reso più bello. Dovresti ringraziarmi.»
«Per…?»
«Per averti fatto vincere. Era ovvio che avresti vinto tu!»
Rido, questa è bella. Ora dovrei anche ringraziarlo se sono vivo.
«E… come avrebbe fatto a farmi vincere?»
«Svegliati, Snow. Sve – gli – a – ti! I Giochi li comando io. Sono io il creatore, io il distruttore.»
«E io la pedina.»
«No!» – avanza velocemente verso di me. – «Tu non sei una pedina.»
«Allora può spiegarmi quella ricompensa che volevate dare a chi mi avrebbe ucciso?»
Lui corruga la fronte e con la bocca fa uno strano rumore.
«Caro Snow, ne hai di cose da imparare. Questi Giochi sono tutto per me! Amo gli Hunger Games, non mi stanco mai di vederli, di crearli. Questa volta, però, non era una normale edizione. No, era la Prima edizione della Memoria.» – con l’indice tamburella sulle mie labbra.
«Io sono l’unico Stratega, l’unico vero Creatore di questi Giochi e la venticinquesima edizione, questi Hunger Games dovevano essere memorabili. Cazzo, se non lo sono stati! Nessuno si dimenticherà di te, ne – ssu – no! Quando hai ucciso Tacito, mi hai fatto sentire tutta la rabbia che hai provato. Quando hai ucciso Ermen? Mi hai fatto accapponare la pelle. Quando hai ucciso Level?» - chiude gli occhi, respira profondamente e afferra la mia mano. - «Lì mi sono eccitato! I Miei Giochi sono stati fantastici e questo grazie a te!»
Ritiro la mano.
«Lei… ha reso gli Hunger Games indimenticabili, cercando di distruggere me!» – gli urlo.
«No, non volevo distruggerti. Volevo solo che questi Hunger Games fossero memorabili! Tu non c’entri niente, nie – nte! Non girava attorno a te l’edizione. L’ho solo resa grande, più grande!»
Ci rimango di merda ascoltando queste parole. Lui ha messo una taglia su di me solo per velocizzare la pressione, l’adrenalina. Le bombe cadute dal cielo, che dicevano di essere per il nemico, non erano per me, ma per tutti.
Mentre ero là dentro, ho pensato che Morse ce l’avesse con me. Lui, invece, se ne fotteva. Lui voleva solo creare Giochi più pericolosi, più avvincenti, più “memorabili”.
«L’importante è che abbia vinto io, no?»
«Esatto.» – lui sorride.
«Posso offrirle qualcosa da bere?» – abbasso il capo.
«Prendi qualcosa sul banco dei drink e portamela.» – dice commosso.
Prendo due bicchieri, li riempio di una strana sostanza rossastra e aggiungo, in entrambi i bicchieri, un liquido che mi son portato dietro.
«Cosa stai aggiungendo, Snow?» – mi chiede interessato il Presidente.
«Un ingrediente segreto.» – sorrido.
«Prima di darmi il drink,» - aggiunge il Presidente – «prendi un sorso da entrambi i bicchieri.»
«Crede che voglia avvelenarla?»
«Bevi.»
Alzo le spalle, sollevo entrambi i bicchieri e prendo un sorso, prima da uno e poi da un altro.
«Ecco!» – mi avvicino al Presidente e gli faccio scegliere quale bicchiere avere. Ne prende uno.
«Ai suoi Giochi!» – propongo questo brindisi e facciamo “cin cin”. In un sorso ci scoliamo i bicchieri.
«Per la cronaca, non ho mai dimenticato chi fosse il mio nemico.»
Lui mi guarda stranito, si massaggia l’epiglottide.
«Cosa hai fatto?» – mi chiede tossendo.
«Oh, quello che credeva volessi fare: l’ho avvelenata! Av - ve – le – na – ta!» – imito il suo modo di dire le cose per prendermi gioco di lui (e compio anche un’ottima divisione in sillabe).
«Tu…» - tossisce di nuovo e caccia del sangue dalla bocca.
«BUM!» – questo è il mio cannone creato apposta per lui che, ora, muore. – «Il mio nemico merita una punizione ora, non dopo.»
  
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