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Autore: passiflora    26/10/2014    4 recensioni
(In revisione)
Ognuno di noi custodisce dei segreti, ma quelli di qualcuno sono più grandi e pericolosi di altri.
Custodire tali segreti è un atto coraggioso e vanesio, colmo d'orgoglio: riesce a farci sentire potenti, quasi che il nostro valore si misurasse sulla capacità di resistere alla tentazione di rivelare quello che sappiamo; ci fa sentire parte di una oscura élite, ci fa sentire selezionati dal destino per portare con piacere un silenzioso ma fatale fardello. Custodire un segreto è un atto capace di far sentire qualcuno vivo e morto allo stesso tempo, ed è anche capace di corrodere l'animo di un uomo e condurlo alla rovina.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Mi consola sapere che non siamo gli unici ad avere dei nomi imbarazzanti - esclamò Fred non appena furono entrati in casa. La cena era già pronta, i loro genitori aspettavano seduti a tavola. Ridevano di qualcosa, ma riuscirono comunque a sentire la battuta della ragazza.

    - Prendetevela con vostra nonna, Valentino e Filomena -, esclamò il loro padre.

    - Tanto vi chiamano tutti Fred e Varga, non vedo di che potete lamentarvi -, aggiunse la madre.

- Dovreste essere orgogliosi di portare i nomi dei vostri antenati -, puntualizzò l’uomo, la cui madre era per l’appunto la summenzionata nonna, la quale ventuno anni prima aveva imposto ai due gemelli neonati dei nomi risalenti al diciassettesimo secolo.

-Non è l’orgoglio a farci sopportare la vergogna, oh padre: è il tesoro- rispose Fred, sedendosi a tavola seguita dal fratello.

Esisteva infatti una leggenda di famiglia, tramandata con fierezza di padre in figlio, che voleva il nobile capostipite della casata possessore di un prezioso tesoro poi andato nascosto e di conseguenza perduto. Tale leggenda profetizzava che soltanto un individuo nelle cui vene scorresse il sangue del fondatore e che fosse insignito di un “nome all’altezza” sarebbe riuscito a ritrovare il perduto patrimonio. Sicchè dall’alba dei tempi nella famiglia di Fred e Varga era esistita l’usanza di affibbiare ai nuovi nati dei nomi improbabili nella speranza che un giorno qualcuno di loro sarebbe incappato in un forziere straripante di dobloni d’oro zecchino, o qualcosa di simile. Filomena e Valentino erano stati niente di meno che i figli di Guglielmo Maria, il famigerato capostipite, e la nonna dei gemelli aveva pensato che due nomi di tale portata avrebbero certamente attrirato una gran quantità di fortuna verso i bambini. Quando suo figlio Ulderico si era rifiutato di torturare i suoi figli in quel modo subdolo e duraturo, la nonna era passata ad argomenti molto più pragmatici: o li chiami così o ti diseredo totalmente e senza possibilità di appello. La scelta era stata, in un certo qual modo, obbligata.

-Chi è che avrebbe nomi peggiori dei vostri?- domandò la loro madre (che portava il normalissimo nome di Marta) la quale non aveva mai digerito il ricatto della volitiva suocera ed era stata la prima, negli anni, ad appoggiare l’uso dei vari soprannomi che si erano succeduti nella storia dei due ragazzi fino ad approdare agli ormai consolidati Fred e Varga. A volte, Marta rimpiangeva il dolce “Parsley”, nomignolo attribuito alla figlia dalle sue amichette durante quella rosea e gioiosa epoca che era l’infanzia, quando Fred si faceva ancora vestire con le gonne e portava i capelli neri lunghi e legati in trecce; l’esatto contrario di ora, che vestiva come un motociclista e teneva i capelli costantemente legati in una coda anonima, rifiutando la propria essenza di donna e qualsiasi cosa fosse anche solo in odore di femminilità.

-Due che abbiamo conosciuto-, rispose la ragazza.

-E come si chiamano, se è possibile saperlo?-

-Iago e Georgiana-, disse Varga, masticando un pezzo di bistecca.

-Shakespeariani-, commentò Ulderico.

-Ridicolmente shakespeariani, sì-, concordò Fred.

-Ma dove li avete trovati due così?-, domandò Marta.

-All’entrata di un cimitero in disuso in cui ci eravamo intrufolati per fare delle indagini-, rispose Varga. Quell’affermazione galleggiò per un po’ tra i quattro commensali, ma la tensione e lo stupore si infransero presto contro la risata di Ulderico.

-Mi aspettavo una trama migliore da te, Varga-, disse rivolto al ragazzo. -Giallista dei miei stivali. Cos’è, l’input di un nuovo racconto?-

-No, è proprio la verità-, rispose Varga, sorridendo al padre. Fred, dall’altro lato del tavolo, seguiva lo scherzo, pronta ad intervenire prima che fosse troppo tardi. Non era certa che raccontare ai loro genitori di quell’incontro fosse la migliore delle idee. Quei due ragazzi le erano parsi così… strani. Prima di parlarne doveva capirne il motivo.

-Certo, allora scrivici sopra uno dei tuoi racconti e vendilo. Magari è la tua fantasia malata l’eredità di Guglielmo Maria. Sai, si dice che si dilettasse a scrivere strane storie che poi faceva mettere in musica ed eseguire durante i banchetti-, disse Ulderico e con quella battuta la conversazione si spostò sul tema meno scottante di banchetti e musica di scarsa qualità, facendo tirare a Fred un vago sospiro di sollievo.

 

Verso l’una di notte, mentre la ragazza leggeva sprofondata sotto le coperte, Varga entrò nella sua stanza, le sfilò il libro dalle mani e lo ripose sul comodino, dopo di che si distese accanto a lei.

-Dì ciò che vuoi dire-, gli intimò Fred, usurpata del proprio spazio vitale.

-A te sono sembrati strani, vero?-, domandò lui, il viso impassibile rivolto verso il soffitto.

-Definisci strani-, rispose lei.

-Sono… luminosi-, disse il ragazzo dopo aver cercato per qualche secondo una parola adatta.

-Luminosi? Io avrei detto il contrario: oscuri.-

-Ed è proprio per questo che sembrano luminosi-, rispose Varga.

-Forse ci siamo fatti suggestionare dalle circostanze, come dei ragazzini-, disse la ragazza.

-Senza dubbio è quello che abbiamo fatto-, rispose lui. -Ma se ci fosse un fondo di verità, in questa suggestione, quale sarebbe? Perché ci hanno impressionati tanto? Non riesco a non pensare alla loro voce, al modo in cui parlavano.-

Fred si morse le labbra. Anche lei aveva continuato a rimestare nella testa alcuni piccoli dettagli riguardanti i due fratelli. Rivedeva continuamente Iago che sistemava gli occhiali sul naso mentre alzava gli occhi su di lei. Aveva sempre creduto di non rientrare nel novero delle fanciulle dall’emozione facile; quel nutrito gruppo di ragazze e donne di ogni età capaci di cadere in deliquio ad ogni minimo cenno di un bell’uomo. Invece, in quei pochi attimi, le sue convinzioni avevano iniziato a traballare pericolosamente facendola vergognare di sé stessa. L’adolescenza è finita, si era detta, non fare mai più la ragazzina con gli ormoni impazziti. Così richiamata all’ordine, la sua coscienza si era immediatamente raffreddata e Fred aveva affrontato con la giusta dose di freddezza l’incontro con i due fratelli e i suoi effetti collaterali.

Varga invece no. Varga scriveva racconti, soprattutto gialli, e aveva l’abitudine di cercare il mistero ovunque esso potesse risiedere; quando lo trovava, fosse in una persona o in un luogo, vi si aggrappava come una zecca e non riusciva a smettere di esplorarlo fintanto che la vena di oscurità non si esauriva, lasciandolo senza nutrimento. Allora si staccava e andava a cercare un’altra fonte da cui attingere, un altro segreto con cui divertirsi.

-Ci faremo un’idea più precisa quando li incontreremo di nuovo-, rispose la ragazza, accorgendosi immediatamente di voler evadere le domande del fratello. Fred non aveva alcuna intenzione di mostrarsi debole davanti a chicchessia, tantomeno per un motivo così futile e Varga lo sapeva, tant’è che non insistette oltre con le disquisizioni su Iago e Georgiana.

-Secondo te, cosa ha trovato Thyme in quella tomba?-, chiese.

-Anche a questo non ho pensato. Ho deciso di rimandare la formulazione di qualsiasi opinione ad un’analisi più approfondita-, rispose Fred e questo mise fine alla conversazione.

Rimasero distesi uno accanto all’altra in silenzio, esattamente come facevano da piccoli, poco dopo che i loro genitori avevano separato le loro camere e Varga aveva paura di dormire da solo.

Con gli anni i ruoli si erano invertiti e ora era Fred a soffrire d’insonnia, ma quando Varga si alzò per andarsene, alle due e dieci del mattino, lei stava già dormendo da almeno venti minuti.  


 

   
 
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