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Autore: Matih Bobek    26/10/2014    2 recensioni
Brevi ma intensi spaccati di vita familiare ambientati nei giorni nostri. Simpatici, allegri e solari, questi piccoli racconti vertono su una voce narrante, il giovane figlio, nato e cresciuto nella periferia romana, e la protagonista indiscussa della casa, nonché della storia, la madre: personaggio stereotipato, a tratti assurdo, tanto da sembrare quasi... un alieno.
le storie affrontano, di volta in volta, momenti tipici della quotidianità familiare, prendendosi beffa, in modo ironico e sottile, dell'idea maschilista della donna casalinga.
Lo stile utilizzato è fresco, colloquiale, giovanile e numerosi sono i riferimenti alla cultura popolare, comunemente nota, al fine di rendere più partecipe il lettore.
All'interno del singolo episodio, i cambi di narrazione sono frequenti, pur mantenendo fissa la focalizzazione interna: ogni storia è costruita su uno schema fisso, che vede una breve premessa della situazione, in cui la voce narrante è direttamente coinvolta nel racconto, poi una dettagliata narrazione, da vicino, guidata da una seconda persona, per facilitare la personificazione, e infine il dialogo, in cui il narratore spesso interviene come voce fuori campo.
Spero che vi piacciano, o perlomeno che vi lascino un sorriso, e che lascerete consigli e opinioni, per me utili al fine di perfezionare stile, trama o personaggi.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Ci avviamo alla cassa dove ci accoglie una commessa dal sorriso smagliante e lo sguardo annebbiato. Subito mia madre attacca bottone: quanti hanni hai? Ma sei bionda tinta? Che bello smalto! Dove lo hai compato? Se i morti resuscitassero nel nostro giardino, sicuramente mamma li inviterebbe a prendere un caffè in salotto.
Si intrufola nel discorso un commesso, di quelli coatti che puoi trovare solo lì, a porta di Roma, ad un passo dalla Bufalotta. Fateci caso, la fauna che popola il centro commerciale è varia, ok, ma il coattone stratatuato che si atteggia a versione borgatara i Justin Bieber, non manca mai. Secondo me escono tutti dall'Auchan, quel luogo di perdizione che ha milioni di uscite e  ma nemmeno un'entrata. Insomma, il commesso coatto con l'occhio marpione entra nel discorso, non curante del cliente alla sua cassa,
ed è subito salotto.  Eccoli là, tutti e tre, a parlare del più e del meno. Mentre io e la povera signora reggiamo il moccolo, dietro di loro, con le buste piene in mano.
" Scusate, mi dispiace rompere l'idillio che si è venuto a creare tra di voi, ma vorrei pagare e andarmene a casa."
" Matteo, come sei maleducato!" Pure? Tu hai bloccato mezzo negozio per chiacchierare con due sconosciuti e io sono maleducato?
" Ma no signora, si figuri... sappiamo come sono gli adolescenti di oggi." Senti bellina, considerato lo spessore intellettuale dei tuoi discorsi, o sei una dodicenne o sei il ministro Boschi. In entrambi i casi, non sapresti nemmeno allacciarmi le scarpe.
" Signò, 'sti ragazzini d'oggi nun sanno cos'è l'educazzzione." Sicuramente la tizia che sta aspettando che tu gli faccia lo scontrino è d'accordo con te.
" Eh, che ci posso fare... uno prova a educarli."  Ma che gli dai pure ragione? A Action Man della Bufalotta ?? 
" Cheppoi cè, non c'hanno manco piu er gusto ggggiovanile de 'na vorta." Vero. Come dimostrano le tue sopracciglia malamente depilate.
" Eh, diglielo tu a mio figlio, che si veste da vecchio!" Ma ancora?? 
" A Ragazzi'... datte na ripulita. Prima de tutto, devi da annà in palestra, poi devi da rimorchia' le piskelle."  Cioè. Ditemi che è uno scherzo.  Action man si è messo a darmi lezioni di ... boh....di coattagine. Questa giornata è come Shadow Hunters: privo di senso.
Dopo aver capito, pur in ritardo, che la mia già di per sè limitata pazienza stava per andare a farsi benedire, la commessa - Boschi passa sotto il laser i capi comprati, fa lo scontrino e ci saluta. Ormai sono quasi le otto. Il mio stomaco brontola, e la strada per la macchina è ancora lunga, e lastricata di trappole e pericoli: prima tra tutti, i negozi seminati per la via, che sicuramente distrarranno mia madre. Sephora ad esempio. Non so cosa mi scombussula di più di quel negozio: se l'odore appestante che tradisce la sua posizione fin dal parcheggio; se i bodyguard messi lì a guardia di non si sa cosa, manco fosse la caverna delle meraviglie, oppure le commesse inquietanti che, non appena ti avvicini un minimo al dannato negozio, ti spruzzano addosso litri di profumi, ti fanno compilare fascicoli di domande abominevoli e ti riempiono di campionci tossici all'essenza di caolino. Persino da lontano sanno tentarti, proprio come le sirene di Ulisse, assalendoti con fragranze tentacolari e sguari magnetici. E con loro, nessun tappo al naso può funzionare.  Le commesse di Sephora esistono dall'alba dei tempi, e sfuggiranno al giudizio universale trangugiando una boccettina di chanel n°5 allungato con la Red bull.
Superati i vari negozi distrattori e  i potenziali tizi che mia madre potrebbe conoscere ( perchè ce ne sono sempre almeno tre), si scendono le scale mobili. 
Di corsa, ci facciamo tra strade tra le varie viuzze anguste del parcheggio infernale ( ma chi l'ha progettato, Saw L'enigmista?). Controlliamo il colore della colonna, il numeretto, la letterina, il codice fiscale e le analisi del sangue, e finalmente arriviamo di fronte alla nostra cara matiz, mai amata più di così. Con un malditesta apocalittico, che manco dopo tre ore di Interstellar, la fronte perlata e una stanchezza quasi epica, mi spalmo sullo sportello della mia amata vettura verdeazzurra, aspettando che quel mostro di mia madre apra la macchina. Aspetto, aspetto, e come sempre aspetto in vano. Altri dieci minuti così, e mi fondo con l'asfalto grigio lapide del parcheggio.  Raccolgo le mie ultime energie per girare appena il capo: la vedo, in piedi di fronte all'automobile. Ma che sta facendo? Perchè non apre?? Poi capisco: la borsa.  Anche qui, per poter apprezzare e comprendere appieno l'intricato universo di meraviglie di Madama Zandri, bisogna soffermarsi un momento in più su un dettaglio che alcuni potrebbero considerare di infima importanza, ma che in realtà racchiude l'essenza delle follie di mia madre.
Vi è mai capitato di  leggere  gli almanacchi di Topolino? Ma certo che sì, che domande! Di certo quindi  vi ricorderete  dell'alieno che di tanto in tanto compariva nelle storie di Topolino. Eta Beta, esatto! Il piccolo mostriciattolo con il nasone. Non è però sul nasone che voglio porre la vostra attenzione, altresì sul quel meraviglioso aggeggio spaziale, il suo gonnellino dallo spazio inesauribile. Chi di noi ha mai sognato di averne uno? Be', reggetevi forte: mia madre ce l'ha. Ad esser onesti, non è proprio un gonnellino, ma una borsa. Sì, esatto, la sua borsa. E diciamolo, a Eta Beta gli fa un baffo!
La borsa di mia madre contiene praticamente un terzo dei beni mondiali. E' una tabaccheria, un alimentari, una cartoleria, una farmacia, un'erboristeria, una dolciumeria, e tante altre cose che finiscono in -ria. Insomma, ci potremmo sfamare quasi tutta l'Africa. 
Ora starete pensando che non c'è motivo per lamentarsi, dopotutto, una borsa del genere fa comodo, e parecchio. Vi sbagliate! Non sapete quanto, amici miei. Quella borsa è il demonio. IL DEMONIO. Lì dentro si nascondono i più impensabili strumenti dell'essere umano, le più proibite follie immaginabili. Secondo alcune teorie formulate da mio padre, la borsa di mamma in realtà non è che un buco nero a tracolla, da cui è estraibile il tutto, e in cui il tutto si perde. Altre teorie invece, come quella di mio fratello, paragonano l'oggetto infernale al vaso di Pandora. Fatto sta che la capienza della borsa rimane impressionante. Ci infili dentro la mano, e ti ritrovi con una seppia avvolta attorno al braccio. Cerchi le chiavi, e subito compare il santino di padre Pio. Sì perchè forse la cosa che più terrorizza della borsa di mia madre non è la sua capienza infinita, nè la quantità di oggetti reperibili, ma l'immensa collezione di foto: santini immancabili,  padre Pio, san Francesco, la Madonna, mancano solo le sorelle Carlucci;  foto improbabili dei suoi figli, nipoti, parenti lontani, le più brutte che potete immaginare: ne ha una di me a dodici anni che ogni volta che mi capita sventuratamente di guardare, mi chiedo come mai non sia ricorso alla chirurgia plastica. Ma sono tante, tantissime. A centinaia, no ma che dico, a migliaia. E poi si infilano ovunque, in ogni recondito angolo della borsa di Pandora, si avvolgono e si appiccicano intorno agli oggetti come colla vinilica, come sanguisughe affamate. Le ritrovi addirittura tra le pasticche, altro elemento che ricorre con una frequenza preoccupante. Sì, veramente, non scherzo. Pasticche, pillole, sciroppi, tamponi, intrugli omeopatici, erbe, creme. Lei li ha tutti. Ti serve un nome di una medicina? Lei lo sa. Se non esiste, lo inventa sul momento. Alcuni pensano mia madre sia una narcotrafficante. A volte lo penso anche io. Più che altro, lo temo.
Mi chiedo se sia legale portarsele appresso tutto il giorno, tutti i giorni. Ne dubito. Certo, per carità, se mi sento male, non devo nemmeno passare in farmacia, chiedo a lei, e subito mi rifila il più assurdo farmaco mai esistito sulla terra. Oppure l'oki,  che va sempre bene. Una specie di panacea per lei. Potrei giurare di averla vista cercare di creare la pietra filosofale con una soluzione di acqua e oki. 
Comunque, tornando a noi, non trova le chiavi. Comprensibile, direi. Sarebbe più strano se le trovasse al primo colpo. La vedo smuovere l'universo dentro a quel sacchetto di pelle nera, smucinare tra gli oggetti come una strega col suo calderone:
" mi aiuti? Non trovo le chiavi?" 
" Ehm...ok" Temo seriamente di esserne risucchiato.
" Tu tieni la borsa, io cerco."  ( to be finished )

   
 
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