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Autore: Acinorev    30/10/2014    11 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo otto - All the other human beings

 

Era così smaniosa di porre fine alla propria impazienza da non averlo nemmeno avvertito: si era semplicemente alzata dal letto frettolosamente, con l’orologio che segnava le 10.23 am, senza preoccuparsi di cambiarsi e di sostituire la tuta leggera che indossava o la canottiera bianca un po’ troppo scollata, e si era precipitata fuori di casa, con il viso struccato ed i capelli quasi in disordine. Aveva guidato fino a casa sua e aveva approfittato di un inquilino appena uscito dal portone per potersi intrufolare all’interno, senza annunciare la propria presenza. Aveva percorso le rampe di scale senza fermarsi, accelerando il proprio respiro, e si era arrestata solo davanti alla porta in legno che le interessava.
In quel momento, immobile e con i pugni serrati per l’adrenalina, si sentiva pronta ad un reale confronto, privo di qualsiasi debolezza l’avesse affetta il giorno precedente: osservò il campanello decorato dal nome “Adam Styles” e lo suonò senza alcuna esitazione. Le piaceva quel suo nuovo impeto, quel sentirsi inarrestabile.
La porta venne aperta dopo un minuto buono, tanto da farle temere che la casa fosse vuota, e sulla soglia comparve un uomo dalla schiena leggermente curva e gli occhi di una forma familiare, bruni: i suoi capelli ormai radi sfumavano sul grigio, nonostante il viso dimostrasse una certa tonicità, forte dell’assenza di rughe marcate o di segni evidenti di vecchiaia. Il padre di Harry doveva avere all’incirca cinquant’anni ed i suoi lineamenti testimoniavano una passata bellezza, sfiorita con il tempo.
Gli somigliava molto: gli aveva donato le labbra ed il cipiglio sulla fronte.
«Buongiorno», disse subito Emma, improvvisando un sorriso cordiale: aveva considerato la possibilità di essere accolta da lui, ma non l’aveva valutata come un ostacolo significativo. Era la prima volta che incontrava Adam, nonostante i mesi di relazione che l’avevano legata ad Harry. In quel periodo non si era mai sentita pronta per quel passo e lui non aveva mai premuto affinché lo compisse.
«Buongiorno a te», rispose l’uomo, vagamente divertito.
«Mi chiamo Emma», si presentò, porgendogli una mano che lui non esitò a stringere educatamente. «Stavo cercando Harry. Sono…. Una sua amica», continuò, sforzandosi di adattarsi a quella definizione dovuta ma non esatta. Sperava che il suo viso non si fosse lasciato sfuggire l’estraneità nei confronti di quelle parole e si frizionò i capelli lisci con una mano.
«Oh, certo», acconsentì Adam. «Te lo chiamo subito, credo sia in camera sua a fare non so cosa. Puoi entrare ed accettare qualcosa da bere, se ti va», continuò gentilmente.
Emma scosse la testa, affrontando una purezza di intenzioni che non sempre poteva essere riconosciuta nel figlio. «La ringrazio, ma preferisco aspettare qui».
«Insisto», esclamò lui, spostandosi per aprire del tutto la porta e per invitarla ad entrare. «Io sto uscendo, quindi non disturberò».
«Non sarebbe affatto un disturbo, i-»
«Avanti, non farti pregare», la interruppe. La stessa determinazione di Harry nel perseverare.
Lei sospirò e gli rivolse un sorriso cordiale, ma insicuro: quell’appartamento non la metteva a proprio agio, perché era una culla di ricordi ed una distrazione per i propri intenti. Nonostante la sua riluttanza, decise di accogliere l’invito e fingersi forte: non voleva più cedere a sciocche premure, voleva resistere.
«Harry, c’è qualcuno che ti cerca!» chiamò Adam ad alta voce, mentre Emma faceva i primi passi nel salotto e lui le richiudeva la porta alle spalle. L’arredamento era solo più spoglio rispetto a come lo ricordava, ma non meno vissuto: ogni mobile ed ogni altro particolare sembrava essere stato lasciato nella stessa posizione per farle un dispetto, solo la televisione era stata sostituita con un modello più moderno. Nell’aria, c’era ancora profumo di caffè.
«Posso lasciarti da sola per qualche istante?» le chiese l’uomo, affrettandosi a recuperare una leggera giacca dalla poltrona nell’angolo. «Devo proprio scappare! Fa’ come se fossi a casa tua, Harry arriverà subito», le spiegò velocemente. «Harry!» gridò ancora una volta, per rinforzare la sua pretesa.
«Non si preoccupi, buona giornata», lo salutò Emma, immobile al centro della stanza, mentre Adam le sorrideva ed usciva senza ulteriori indugi. Le solite frasi d’accoglienza avevano uno strano effetto su di lei, dato che aveva vissuto quei pochi metri quadri in modi diversi e con diversi gradi di intimità: spostò lo sguardo sul bancone della cucina dove la loro prima notte era stato sussurrato quel “grazie” leggero, sul divano dove si erano avuti per l’ultima volta prima di discutere ancora, sulla sedia sulla quale aveva aspettato che Harry finisse di prepararle la colazione e su-
«Che stai facendo?» fu la domanda che interruppe i suoi pensieri.
Si riscosse da quei ricordi e deglutì il disagio, concentrandosi su Harry. Era in piedi ad un paio di metri da lei, davanti al corridoio che entrambi conoscevano bene: indossava una t-shirt bordeaux un po’ stropicciata ed un paio di pantaloni scuri e aderenti. I suoi occhi la stavano osservando curiosi, confusi. Irritati.
Improvvisamente, Emma percepì riaffiorare tutta la determinazione che l’aveva portata fino a quel punto, solo momentaneamente smorzata dal passato nel quale aveva dovuto immergersi. «Devo parlarti», esclamò con sicurezza.
«Non è la prima volta, eppure non mi sembra che fino ad ora abbia funzionato», replicò lui, incrociando le braccia al petto. Ogni particolare nella sua espressione le suggeriva ostilità, segno che la discussione del giorno prima non era ancora stata cancellata.
«Non mi importa», asserì seria.
«E-»
«No, ora stai zitto e mi ascolti», lo interruppe, senza lasciargli alcuna possibilità di ribattere. Notò la sua fronte corrugarsi, forse a causa dello stupore per quella improvvisa presa di posizione. «Ieri… Dio, ieri sei stato proprio uno stronzo», cominciò, marchiando ogni parola con una punta di rabbia ed avvicinandosi di un passo. «Io ti ho raccontato di Miles, ti ho fatto vedere a cosa mi sono ridotta, e tu non hai speso nemmeno una parola di conforto. Hai preferito comportarti di nuovo da egoista, iniziando a giudicarmi senza neache darmi il tempo di spiegare. Ma in fondo a te nemmeno interessa una spiegazione, giusto? Ti basta costruire ipotesi su ipotesi, ripetermi quanto io sia una stronza incoerente ed urlarmi contro!» Alzava la voce poco alla volta, forse per nascondere il rumore delle proprie ferite. «Perché non mi hai chiesto niente? Perché non mi hai parlato? Sarebbe bastato un semplice “razza di idiota, perché vuoi perdonarlo?” e forse avresti capito, invece no, eri troppo preso da te stesso e dalle tue convinzioni per fare un piccolo sforzo!» concluse.
Si era avvicinata ancora, senza rendersene conto, ed i suoi occhi erano fissi in quelli di Harry. La stava osservando in silenzio, senza concederle il beneficio di poterlo decifrare, mentre lei traeva coraggio dalle sue stesse parole, dalla stessa enfasi con la quale le stava pronunciando.
«Sono così stanca di te, delle tue contraddizioni, delle tue infinite critiche», cominciò dopo qualche istante, quasi a bassa voce. «Non sai fare altro che giudicare, che guardarmi dall’alto in basso ogni santa volta che compio un errore. Ma dimmi, Harry, se ti dà così fastidio la mia sola presenza, se hai così tanto rancore da dimostrarmi, perché diavolo continui a cercarmi? Mi inviti a prendere un caffè, ti presenti alla mia mostra, mi chiedi di accompagnarti a vedere il tuo nuovo stupido appartamento… È questa la coerenza di cui ti vanti? Quella che vorresti vedere in me? Io non la voglio e non voglio riaverti qui a Bradford, se appena capita l’occasione sei pronto ad accusarmi».
Il petto le si muoveva velocemente, a riflettere ogni fibra di irrequietezza e di sollievo: aveva lasciato scivolare via i suoi pensieri più profondi, sfogandosi per una situazione che non riusciva a comprendere e che non voleva accettare. L’aveva fatto senza interruzioni, senza repliche piccate, e non riusciva a credere di potersi sentire meglio per qualcosa di così banale.
Harry non aveva ancora aperto bocca: la scrutava con i pugni chiusi e le labbra unite in una linea dura, trattenuta, ma non sembrava voler intervenire. Stranamente, non aveva osato contraddirla: era difficile dire se fosse perché d’accordo con le sue parole, o solo per evitare di pronunciarne di più crudeli.
Emma serrò la mascella ed ascoltò il silenzio che li stava circondando, disturbato solo dai lontani rumori provenienti dalla strada. Schiuse le labbra per dire qualcosa, per imporgli di rispondere, ma fu inaspettatamente anticipata.
«Dimmelo, allora», esclamò Harry, ancora immobile. «Spiegami perché vuoi perdonarlo», continuò. Aveva tralasciato gran parte del discorso di Emma: non aveva commentato la stanchezza che lei gli rinfacciava, lo sconfinato disagio che il suo comportamento le infliggeva, né il tono duro ed infastidito. Forse voleva avere l’informazione mancante per poter preparare un attacco più fondato, perché lei non credeva che fosse davvero in grado di accettarla.
Emma corrugò la fronte ed incrociò le braccia al petto. «Perché dovrei? Così puoi di nuovo giudicarmi?» gli domandò. Il sospetto nella sua voce.
Era stata colta alla sprovvista: per quanto credesse che Harry dovesse sapere prima di parlare, in quel momento l’atmosfera non la metteva a proprio agio, non le permetteva di aprirsi di nuovo, non con la possibilità di ripetere una scena simile a quella del giorno prima.
«Non lo farò», le assicurò lui. Gli occhi seri, intensi.
«Bugiardo».
Harry sospirò e si passò una mano tra i capelli, interrompendo per una manciata di secondi il loro contatto visivo e permettendole di trarre un respiro più libero. «Se hai tutta questa paura che io possa criticarti, forse è perché ne avrei motivo», replicò piano, senza traccia di durezza nella sua intonazione. Nei suoi limiti, stava cercando di andarle incontro e di spingerla a fidarsi quanto bastava: lo si poteva notare dal modo in cui stava trattenendo tutti i suoi pensieri, dal modo in cui il suo corpo non compiva alcun movimento non necessario per imporsi un controllo.
«No, è tutto il contrario», lo contraddisse Emma. «Ieri non hai avuto bisogno di un motivo per farlo», gli ricordò. L’aveva ferita il suo comportamento, la sua mancanza di delicatezza nel rapportarsi con un dolore tanto intimo: aveva calpestato le sue orgogliose lacrime per dare retta al proprio egoismo, senza preoccuparsi di comprenderla o di rispettarla. Quindi perché in quel momento avrebbe dovuto agire diversamente?
«Infatti abbiamo già appurato che ieri io sia stato uno stronzo», esclamò Harry, utilizzando le sue stesse parole ed intingendole in una sorta di ironia. Non era chiaro se fosse poco convinto di quella affermazione o se fosse una reale ammissione di colpa, perché si ostinava a mantenere una maschera imperturbabile. «Sta a te darmi la possibilità di rimediare».
Emma si morse un labbro, soppesando ogni sua sillaba ed ogni possibilità che le si prospettava. Ormai era ovvio che Harry non fosse cambiato radicalmente, durante quegli anni, perché la rabbia e le ferite nell’orgoglio gli facevano ancora perdere la testa, erano ancora in grado di offuscare la sua ragionevolezza: per questo motivo, lei era incline a sospettare che anche la sua capacità di ascoltare fosse rimasta integra, così come quella di prestare conforto a qualcuno. In fondo, quando il giorno prima la situazione non era ancora degenerata nell’ennesimo litigio, lei si era sentita al sicuro stringendosi al suo petto, con le sue dita ad accarezzarla lentamente.
«E sta a te non deludermi di nuovo», rispose soltanto, quasi in un sussurro.
Harry annuì.
 
Era seduta compostamente sul divano del salotto, con i piedi uniti a terra e le mani sulle ginocchia, la schiena dritta ed il viso teso, quasi fosse sul punto di scappare: si sforzava di non pensare ai momenti trascorsi in quel medesimo punto, concentrandosi solo sul presente, su Harry al suo fianco e sulle parole che non era ancora riuscita a lasciar libere.
Si trovavano in quella situazione da diversi minuti, ormai, senza che nessuno parlasse o tentasse di smorzare la tensione: Harry forse era sul punto di cedere, seduto sull’altro cuscino morbido con i gomiti appoggiati sulle ginocchia ed il capo chino, perché aveva iniziato a sospirare silenziosamente.
Lei strinse i pugni sulle proprie gambe e si inumidì le labbra. Era difficile esplicitare qualcosa che non aveva mai espresso ad alta voce, qualcosa che aveva sempre nascosto nella parte più profonda di sé, mascherandolo per proteggersi: non sapeva nemmeno perché volesse farlo proprio con lui.
«Quando Miles mi ha detto la verità, io non ho sentito più niente», sussurrò senza preavviso, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento ai suoi piedi. Harry si mosse piano al suo fianco, forse per voltarsi ad osservarla. «Parlo di emozioni, io… Per un attimo sono stata completamente vuota: lo  guardavo ed era come se lui non avesse ancora detto niente, come se nemmeno lo conoscessi. Ma l’attimo dopo è arrivato il dolore. Mi ha riempita di nuovo».
Emma raccontava lentamente, scegliendo i termini più adatti e censurando ciò che era ancora in grado di farle eccessivamente male: stava cercando di ricordare quel momento nel modo più oggettivo possibile, come se fosse stata una testimone esterna e non coinvolta.
«Era così forte, Harry, che non riuscivo a sopportarlo», riprese. «Non voglio sembrare patetica, ma è stata la cosa peggiore che io abbia mai provato. Mi ha distrutta ed io non pensavo di poter essere così fragile: non riuscivo a rialzarmi, ad affrontare la situazione. Provavo persino pena per me stessa».
Le costava molto ammettere una tale debolezza, non solo perché si trattava di Harry, ma perché era uno sfregio che voleva nascondere anche a se stessa.
Le parole ricominciarono dopo una breve pausa, il tempo di sbattere le ciglia e di deglutire. «Miles mi ha ferita così tanto, da impedirmi di lasciarlo. Stare senza di lui era insopportabile, e so che non ha alcun senso, ma ho così… Paura di provare di nuovo quel dolore…»
Si fermò di nuovo, impugnando il contegno che sentiva cedere secondo dopo secondo, ed alzò lo sguardo sulla parete che le stava di fronte, sulla mensola ricca di oggetti di famiglia. «Io non sto dando una possibilità a lui», sussurrò. «La sto dando a me stessa».
Sperava di aver dato un senso a quel discorso, sperava di aver trasmesso il terrore che la governava senza risultare infantile. Sperava di non suscitare in lui del disgusto per quel comportamento così distante da ciò che aveva conosciuto: voleva dimostrargli che l’indole che l’aveva sempre governata non era mutata, perché in nessuna circostanza lei sarebbe riuscita a perdonare davvero un tradimento, e questo avrebbe dovuto fargli capire quanto si fosse sbagliato nel giudicarla così aspramente.
«Emma», la chiamò a bassa voce. «Tu lo ami?» furono le uniche parole di Harry, appena mormorate e prive di qualsiasi rimprovero.
Lei si voltò velocemente verso di lui, si specchiò nei suoi occhi attenti e concentrati, quasi a volerne testare l’affidabilità. Quella semplice domanda toccava un tasto troppo delicato, che non era ancora pronta a sfiorare.
«Non è questo il punto», gli rispose. Non volle confessare di non esserne più sicura, di non riuscire più a distinguere l’amore che l’aveva paralizzata dal disperato tentativo di stare meglio. «Il punto è che per tutto questo tempo io ho cercato di cambiare, di non dare così tanto a chi avrebbe potuto non ricambiare,  non apprezzare: e con Miles avevo finalmente allentato la presa, ma poi mi ha tradita ed è stato ancora peggio. Ho dovuto di nuovo… Ho dovuto di nuovo fare un passo indietro».
Nonostante avesse distolto lo sguardo, nel proferire quell’ammasso di sillabe riluttanti, lo riportò nelle iridi di Harry trattenendo il respiro, forse in attesa di un giudizio: si vergognava così tanto della propria debolezza, da essere convinta di poterla suscitare in chiunque altro.
Lui era ancora immobile, con le labbra schiuse ed umide: avrebbe voluto poter scoprire i suoi pensieri uno alla volta, srotolarli davanti a sé con chiarezza, al posto di doverli indovinare senza successo.
Harry prese un respiro più profondo e strinse i pugni. «Mi dispiace di averti fatto questo», disse piano, senza che la sua espressione lasciasse trasparire altro se non sincerità.
Emma colse subito il collegamento: evidentemente aveva pensato che fosse partito tutto dalla loro storia, da quell’amore non ricambiato che l’aveva tramortita, e aveva dato per scontato che fosse stato il responsabile di quel cambiamento, della paura che lei provava.
Decise di rassicurarlo. «Andiamo, Harry. Non essere così presuntuoso», sospirò, scuotendo la testa. «Tu mi hai fatto male, certo, ma non sei stato l’unico né il più importante».
Provò un vago senso di colpa dopo aver lasciato andare quella verità, perché l’aveva pronunciata con troppa durezza. Inconsciamente, stava cercando di proteggersi: si era esposta così tanto con Harry, da sentire il bisogno di imporre delle distanze, delle misure di sicurezza contornate da cinismo, per quanto potessero essere sgradevoli.
Harry si indispettì, offeso dal suo comportamento, e lei poté notarlo grazie alla sua mascella che si serrava. «Mi chiedi di consolarti e questo è il ringraziamento», esclamò piccato.
«Non ti ho chiesto di consolarmi, ti ho chiesto di ascoltare prima di riempirmi di accuse», precisò Emma, corrugando la fronte. Sentiva la tensione insinuarsi nuovamente tra di loro: era assurdo come i ruoli si fossero capovolti, come in quel momento toccasse ad Harry accettare la sua schietta sincerità, quando anni prima era stata lei ed esserne vittima.
«Ed io ti ho ascoltato», ribatté lui, irrequieto. «Adesso che si fa?»
Lei assottigliò gli occhi e fece caso al tono che aveva utilizzato, alla stizza insensibile che era tornata a tormentarla. «Ho capito», sbuffò, alzandosi dal divano con gesti spazientiti: l’istinto di andarsene a guidarla nei movimenti, nella conferma dell’impossibilità, per due persone come loro, di restare nella stessa stanza per più di un numero definito di minuti.
«Emma», la chiamò lui, con la voce ferma e seria, così decisa da obbligarla a fermarsi. Gli dava le spalle, con gli occhi chiusi ed il respiro nervoso, mentre udiva dei passi lenti avvicinarsi.
Il cellulare nella tasca della propria tuta interruppe quel momento con la sua suoneria squillante.
«Pronto?» rispose, schiarendosi la voce.
«Hey, ti passo a prendere e andiamo a pranzo da Dino’s?» La voce di Miles era pacata, serena, e fu un sollievo poter sfruttare il suo potere di tranquillizzarla.
«Certo», sorrise appena. «Per mezzogiorno va bene?»
«Mezzogiorno sia. A dopo», la salutò, con un’adolescenziale impazienza nel tono.
Emma annuì nonostante non potesse essere vista e ripose il telefono in tasca: si voltò e trovò Harry ad una distanza minore di quella che aveva previsto.
«Devo andare», disse soltanto, improvvisamente più seria.
Lui annuì senza scomporsi e le camminò di fianco, fino ad arrivare alla porta per aprirla lentamente: attese in silenzio che lei si avvicinasse, una mano sul pomello in ottone ed i capelli che gli incorniciavano disordinatamente il volto.
Emma non sapeva nemmeno in che rapporti fossero, in quel momento, non sapeva come sentirsi né come comportarsi: si alternavano così tanti screzi, sia da parte di uno che da quella dell’altra, da essere impossibili da conteggiare e valutare. Poteva solo imparare a convivere in quella confusione inarrestabile.
Appena mise un piede oltre l’uscio della porta, le dita di Harry raggiunsero quelle della sua mano destra, accarezzandole in un leggero tentativo di trattenerle: le sfiorava con una tale delicatezza da farle trattenere il fiato. Quando due mani si toccano, è tutto più intimo di quanto si pensi, tutto più intenso di quanto si possa immaginare: e quelle di Harry avevano ancora la stessa morbidezza, le stesse linee di contorno che lei aveva imparato a memoria e che in quel momento le si ripresentavano in un ripasso sbiadito.
Emma si irrigidì: per un attimo, aveva percepito una sensazione simile a quando per la prima volta aveva avuto le sue mani su di sé, certe e beffarde, ed era stata vittima di un infimo brivido, che sembrava volerla riscuotere.
«Non chiedermi perché io continui a cercarti, se tu fai lo stesso con me», sussurrò lui, senza avvicinarsi ma senza allontanarsi, con la voce vellutata e sicura di chi sta guardando oltre le piccole cose. Aveva sicuramente colto l’accenno di ipocrisia nel rimprovero di Emma, che non si capacitava del suo comportamento, quando lei stessa tornava da lui pur non comprendendolo, sempre. Quello era il suo modo di dimostrarlo, un modo più subdolo e con un maggior impatto delle solite urla.
Emma alzò il mento, ma non rispose.
Se ne andò senza voltarsi, e solo quando si sedette di nuovo al volante della propria auto si concesse di stringere la mano in un pungo serrato, come a voler scacciare la sensazione che poteva ancora sentire, o come a volerla trattenere.
 
 
 
«Tu non mi bacerai per almeno qualche ora», rise Emma, porgendo un fazzoletto di carta a Miles ed assumendo un’espressione esageratamente disgustata.
«Non potresti mai resistere», rispose lui con la bocca piena, pulendosi le labbra e masticando con gusto. Il kebab che aveva ordinato conteneva quantità industriali di cipolla, senza contare tutti gli altri ingredienti, ed Emma temeva che lui non si sarebbe sbarazzato in fretta di quel sapore.
«Te lo dimostrerò, senza dubbio», ribatté con un sorriso, mordendo di nuovo il secondo trancio di pizza: accavallò le gambe sotto al tavolo e si spostò di poco verso destra, per poter sfuggire al sole che le colpiva insistentemente il viso.
Dino’s era un chiosco alla periferia di Bradford, nascosto da palazzi grigi addossati l’uno all’altro: pochi e minuti tavoli all’esterno, due soli responsabili dell’attività e tante calorie da regalare.
«Tutto bene?» chiese Miles dopo qualche minuto, osservandola con attenzione. Gli occhi neri erano sottili, impegnati nella loro analisi, ed i capelli sembravano di un biondo più scuro solo per la sua posizione: si leccò le labbra fini e si grattò il naso dritto con la nocca di una mano, per evitare di sporcarsi con il polpastrelli bagnati d’olio.
Emma annuì, corrugando la fronte e deglutendo il boccone. «Sì, perché?» domandò, bevendo un sorso di CocaCola. Sapeva che la curiosità di Miles non fosse semplice routine, perché sembrava esser stata stimolata da qualcos’altro, da un particolare sfuggito al proprio controllo: sperava di non portare ancora i segni della tensione sperimentata a casa di Harry, di non avere le impronte delle sue dita sulle proprie, ma aveva dei deboli dubbi a riguardo.
«Non so, sembri strana», si giustificò Miles, stringendosi nelle spalle. «Stanca», precisò più seriamente.
Emma accennò un sorriso, abbassando lo sguardo: talvolta dimenticava quanto fosse semplice per lui interpretarla senza alcuno sforzo. Decise di essere sincera e di non nascondergli troppo.
«Stamattina sono andata da Harry», esclamò, sostenendo il suo sguardo e leggendovi un vago stupore. «Discutere con lui è abbastanza estenuante».
Miles si inumidì le labbra e posò il kebab nel piatto. «Discutere riguardo cosa?» le domandò, pulendosi le mani con il tovagliolo stropicciato.
«Sembra essere ancora particolarmente attaccato al passato», spiegò Emma, con una calma che in realtà non provava. «Sai anche tu che abbiamo sempre avuto molte cose da rimproverarci», continuò, riferendosi al racconto che gli aveva regalato riguardo la loro storia.
«Be’, forse è il momento di lasciar perdere tutto», commentò Miles, senza guardarla: una tranquillità controllata nei suoi movimenti studiati e, inconsapevolmente, le stesse parole di Harry nella sua bocca.
«Cosa intendi?» indagò Emma, ipotizzando un’eventualità che la metteva a disagio.
«Quello che ho detto anche l’altra volta», riprese lui, appoggiando i gomiti sul tavolo instabile e tornando a parlarle con gli occhi. «Forse dovreste metterci una pietra sopra, mettere da parte ogni rancore e continuare ognuno per la propria strada. Forse dovreste persino smettere di vedervi».
La soluzione a parte dell’agonia emozionale di Emma le era appena stata offerta su un piatto d’argento, ma non sembrava allettante come aveva sperato.
«Mi stai chiedendo di smettere di vederlo?» domandò a bassa voce, assottigliando gli occhi: conosceva Miles, conosceva le sue iridi scure ma cristalline, e quelle parole non erano state dei semplici consigli.
«Tu lo faresti?»
Lei corrugò la fronte e si ritrasse impercettibilmente, senza riuscire a comprendere fino in fondo le sue e le proprie intenzioni. «Perché dovrei?»
«Perché ti condiziona», rispose lui, ancora immobile. «Ed ora come ora la nostra storia non ha di certo bisogno di questo».
Emma era allibita. «Sei stato tu a dirmi che avremmo dovuto parlare e chiarire quello che era rimasto in sospeso: perché ora vuoi tutto il contrario?»
Miles sbatté le palpebre e respirò profondamente. «Voglio la stessa cosa invece, ma in modo diverso. Non pensavo che ci sarebbe voluto così tanto, né che per te sarebbe stato così difficile».
«Questo non significa niente», lo contraddisse, iniziando ad alterarsi ma cercando di non dimostrarlo. «I problemi tra me ed Harry non hanno nulla a che fare con noi».
«Ne sei certa?»
Non riusciva a capire se fosse solo geloso o se la sua preoccupazione fosse più profonda: il suo spirito di osservazione non aveva di certo surclassato ogni segnale che lei lasciava trasparire involontariamente, ma non poteva interpretarlo ad occhi chiusi. Era vero, gli incontri e gli scontri con Harry la sconvolgevano più di quanto fosse normale, ma non per il motivo che lui stava immaginando.
«Ti stai comportando da stupido», lo rimproverò stizzita. «Harry non ha nessun ruolo nella nostra storia, a differenza di quello che pensi: non provo nulla per lui e trovo assurdo che tu possa anche solo ipotizzare una cosa simile».
«Io invece trovo assurdo che tu voglia farmi credere che lui ti sia indifferente, quando dimostri il contrario», ribatté Miles, con una decisione tale da valere quanto un tono di voce in più.
Emma lo guardò con forte risentimento, serrando la mascella: proprio lui osava mettere in dubbio i suoi sentimenti e non concederle fiducia. «Non smetterò di vederlo per un qualcosa che non esiste, così forse ti accorgerai di quanto ti stia sbagliando», esclamò a denti stretti. «E non ho intenzione di continuare questo discorso», lo liquidò, distogliendo nervosamente lo sguardo.
Miles restò ad osservarla per qualche istante, stringendo nel pugno della mano il fazzoletto di carta, e da quel momento non parlarono oltre.
 
 
 
Il salotto di casa Clarke era immerso nel buio, contrastato solo dai colori provenienti dalla televisione accesa: stava trasmettendo vecchie puntate di America’s Got Talent, rendendo l’atmosfera leggera e piacevole.
Melanie era sdraiata su uno dei divani, con le braccia incrociate dietro la testa, appoggiata su uno dei braccioli: il viso pulito e dalla carnagione pallida si tingeva di sfumature diverse ad ogni cambio di immagine, mentre le labbra ben definite le si increspavano frequentemente in un sorriso.
Era passata a far visita alla sua famiglia, dato che Zayn era uscito con degli amici e che lei era sempre stata una persona fin troppo nostalgica: i loro genitori erano già andati a letto, dopo aver cenato tutti insieme, e Fanny si era addormentata pochi minuti prima.
Emma la osservò di nascosto: era raggomitolata sul suo stesso divano, con l’innocenza dei suoi tredici anni a cullarla silenziosamente. La sua bellezza stava fiorendo grazie all’età dello sviluppo, nonostante qualche fisiologica imperfezione del viso e qualche capriccio superfluo. I capelli bruni e mossi da onde ampie le arrivavano oltre la metà schiena, mentre il corpo asciutto si modellava in base alle sue lezioni di nuoto.
«Alcune persone non sanno davvero cosa significhi la parola talento», mormorò Melanie, commentando uno strano tizio in tv, che era appena stato eliminato.
Emma non era in vena di grosse distrazioni, quindi sospirò e si passò una mano sul viso e dietro il collo. «Tu e Zayn state insieme da quasi sette anni», esordì allora, attirando la sua attenzione. «Spiegami come diavolo fate».
Melanie rise piano. «Problemi con Miles?»
«Quando non ci sono problemi con Miles, ultimamente?» sbuffò lei, rabbuiandosi appena.
«Be’, non credere che tra me e Zayn non ce ne siano mai stati», fu la risposta che ottenne, forse in un tentativo di consolazione.
«Ma per favore, mi aspetto che da un momento all’altro qualcuno bussi alla porta per consegnarvi il premio “miglior coppia di sempre”», la prese in giro, sorridendo divertita.
Melanie accolse la battuta e scosse la testa, arresa. «Ti sbagli», la corresse con un sospiro. «Altrimenti non ci saremmo lasciati cinque volte».
Emma spalancò gli occhi e sbatté più volte le palpebre. «Che fai, tieni il conto?» domandò ironica, per nascondere lo stupore di quella rivelazione. «Comunque il punto è che… Voi non vi lasciate come fanno tutti gli altri esseri umani. Voi vi lasciate solo per tornare insieme».
La sorella rise sonoramente a quelle parole, abbassando la voce solo quando Emma le ricordò di Fanny addormentata al suo fianco. «Ti posso assicurare che due… No, tre di quelle volte sembravano piuttosto definitive», specificò. «Ma sì, in un certo senso sappiamo sempre come ritrovarci».
Lei restò in silenzio, spostando lo sguardo distratto sullo schermo della televisione: non voleva credere che quella che provava fosse invidia per la relazione della sorella, cercava di definirla come senso di ingiustizia.
«Vuoi parlarne?» le chiese Melanie, assumendo il tono con il quale sembrava caricarsi di qualsiasi peso le persone intorno a sé potessero portare.
Emma scosse la testa. «No, o rischio di impazzire», sussurrò.





 


Buooooooooooooongiorno!
Questo capitolo è stato un PARTO, santo cielo. Sul serio, questi personaggi prima o poi mi manderanno al manicomio.
Comunque, passiamo alle cose "serie":
- Emma/Harry: dopo il litigio dello scorso capitolo e dopo il comportamento di Harry, Emma non poteva di certo starsene zitta EH. Da qui nasce il suo monologo/sfogo compreso di epiteti poco carini ahahah Delle persone che ho sentito, non tutte si erano soffermate sull'assenza di delicatezza da parte di Harry nell'urlarle contro in un momento del genere: inoltre, avevo "spoilerato" che aveva parlato senza sapere tutto. INFATTI, si scopre il reale motivo per cui Emma è ancora con Miles: io spero davvero che sia chiaro, però ho dei seri dubbi ahhah In pratica lei non è incoerente come dice Harry, non ha usato un peso e due misure e non ha davvero intenzione di perdonare il tradimento di Miles: vorrebbe farlo con tutta se stessa, è vero, ma è anche consapevole di non poterlo fare. Nonostante questo, stare senza Miles le è risultato ancora più straziante (immaginate la solita Emma, innamorata - come ama lei! - di una persona e costretta a fronteggiare una realtà del genere: se aveva reagito in quel modo nello scoprire che Harry non la amava, figuriamoci come è stato scoprire che il ragazzo con cui stava da più di un anno se l'era spassata con qualcun altro e senza un reale motivo) e ne è rimasta talmente ferita, da esserne quasi traumatizzata: rifiuta la possibilità di stare ancora così male, quindi si sforza di continuare la loro relazione. UN CASINO, ma in fondo si parla di Emma.
Lo ama o non lo ama? Domanda da un milione di dollari buttata lì, a metterla ancora un po' di più nei casini.
Ed Harry, il solito presuntuoso, che crede di essere l'unico responsabile della nuova debolezza di Emma hahaha Sì, forse lui è stato il primo a ferirla davvero, ma non può davvero pensare che dipenda tutto da lui, che Miles possa davvero averla ferita in misura minore!
Comunque solite cose, quindi la parte finale la lascio a voi :)
- Emma/Miles: come vedete, Miles sta iniziando a porre dei limiti, sempre in modo razionale e senza sfuriate, ma lo sta facendo. Ed Emma non è disposta ad accettarli, figuriamoci! Ribadisco: niente triangoli! Emma è sincera quando dice che la storia con Miles non è influenzata da Harry: le due storie sono su due binari separati :) In ogni caso il loro rapporto è sempre più in crisi...
- Emma/Melanie: patatine piccine picciò!!!!!! E poi lo Zelanie è il top, come sempre hahahaha
Bene, come sempre ho straparlato, quindi vi lascio ai vostri commenti, sperando di non aver reso tutto un casino!!

Ah, piccolo appunto:
so perfettamente che la storia si sta sviluppando lentamente, con continui piccoli avvenimenti che sembrano non portare da nessuna parte, e so che questa cosa possa "stancare", ma non ho intenzione di stravolgere tutto solo per accelerare le cose: devo tener fede ai personaggi, che non sono di certo la cosa più semplice del mondo come ormai sapete, e devo rendere realistica la situazione. Quindi, mi dispiace che alcuni di voi risentano di questo andamento, ma non può esere altrimenti!

Me ne vado sul serio adesso ahhaah


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Un bacione,
Vero.

 
Il trio: Harry, Melanie (strafiga terribile) ed Emma (strafiga ++)
 
   
  
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