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Autore: visbs88    09/11/2014    0 recensioni
Caroline aveva trovato un nome ai propri fantasmi: li chiamava “ombre di ghiaccio”.
Un delitto, bugie, intrighi, orrori: al suo ritorno a New York da un viaggio in Europa durato un anno, una giovane critica d'arte dovrà affrontare ricordi del passato e violenze del presente, mentre i suoi spettri si agitano e accolgono tra loro nuovi compagni pronti a distruggerla.
E lei non è mai stata forte.
[Scritta per il contest Giallo a scelta multipla indetto da Faejer sul forum di Efp]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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3. In your arms

 

Era presto, per cenare.

Il suo corpo l'aveva portata lì perché nei suoi sogni era in quel ristorante semplice, sobrio, raffinato e tranquillo che lei e Rosaline avrebbero dovuto recarsi per mangiare insieme, per la prima volta dopo un anno.

Avremmo riso, avremmo parlato, avremmo raccontato, saremmo rimaste in silenzio senza imbarazzo alcuno”.

Ai tavoli, alle pochissime persone già sedute con i menù in mano, ai vasi di fiori e ai quadri alle pareti si sovrappose con chiarezza estrema e crudele un'immagine: Rosaline che ora si nutriva non di cibi, ma di quei condizionali ormai radicati nei pensieri di Caroline – l'ombra di ghiaccio che si allontanava sempre di più, diventando possibilità distrutta, ipotesi frantumata, futuro spezzato.

Non c'era conforto in quel luogo. Era troppo presto perché il ricordo delle serate passate insieme suscitasse nostalgia e non nausea, non vuoto, non dolore. Sarebbe mai venuto il giorno di ripensare agli anni trascorsi senza sentirsene smembrata, frammento di anima dopo frammento? Forse no. Di certo no.

Ma il mondo proseguiva e il passato le veniva incontro.

Marianne le si avvicinò con il suo passo rapido e scattante al punto da apparire nervoso. Figura familiare – proprietaria di quel locale da quando le gemelle l'avevano scoperto – ma non abbastanza per soffiare sul suo cuore più di un tiepido refolo di sorpresa nel rivederla.

– Rose, cara, sei qui per la conferma della prenotazione? Jayson non te l'ha detto? È tutto a posto, sono riuscita a trovarvi un cantuccio anche se verrete all'ora di punta...

Caroline annuì in silenzio. Il pugno di ghiaccio attorno al suo cuore la aiutò a rimanere impassibile mentre un'idea viscida ma brillante le sfiorava la mente. “Se non sanno, non mentono. Parleranno a lei e io ascolterò. Lei era più vicina al mostro di me”.

– Puoi tornare con calma più tardi. Sei pallida, tesoro. Come stai?

Il tono e lo sguardo di una persona che conosceva dei problemi e si chiedeva se fossero stati risolti o se ci fossero ancora. Marianne era una buona donna. Era materna.

Come stava? Come stava Rosaline prima di morire? Caroline non aveva percepito cambiamenti in lei negli ultimi tempi – solo commozione all'idea del suo ritorno, o così era sembrato. C'era stato qualcosa nei suoi occhi che lo schermo del computer aveva nascosto?

Scelse la risposta più semplice e più profonda – quella che poteva essere la più pacifica delle verità e la più falsa delle menzogne, quale era per lei in quel momento.

– Bene.

Marianne si rabbuiò, ma tentò di ricomporsi.

– Come va con quegli articoli? Sei riuscita a pubblicarli, alla fine? O devi sistemarli ancora?

Caroline tenne lo sguardo basso, in silenzio. Era un argomento delicato e cruciale, se Marianne ne parlava con voce tanto morbida, tanto cauta. Ma lei non capiva, anche se riuscì a impedire alla propria fronte di corrugarsi. Nessuna delle ombre di ghiaccio si fece avanti per suggerirle la risposta – stavano lì a far stridere le loro unghie sulle sue ossa, confondendola. Rosaline aveva pubblicato tutto quello che aveva scritto negli ultimi tempi. Era stata pagata bene.

Solo il silenzio l'aiutò.

– Passerà, vedrai – riprese Marianne, poggiando una carezza affettuosa sul suo braccio – Sarà successo a tutti gli scrittori, no? Ho letto l'ultimo articolo di tua sorella, un bel pezzo davvero, ma anche l'ultimo tuo non aveva niente da invidiare, presto lo capiranno... a proposito, tesoro, Caroline doveva tornare in questi giorni, giusto?

– A più tardi, Marianne.

Fece un cenno di saluto senza guardarla negli occhi, si voltò e uscì.

Le parole erano scivolate fuori dalle sue labbra spezzate – quella scena surreale era stata come prendere un respiro profondo e ridare ossigeno e sollievo a membra provate da un malessere ammorbante, salvo poi espirare e tornare a sentire ogni briciolo di nausea e orrore, mentre la delusione e il disincanto aggravavano ogni tormento. Sopportare, fingere, celare si erano rivelate prove ardue che era sì riuscita a vincere, ma a testa bassa e senza onore, solo grazie al gelo e a quel dolore che tentava di rifuggire. E Marianne non era sembrata sorpresa nel vedere Rosaline spettrale, tetra, chiusa come mai doveva essere apparsa in vita propria.

L'ombra di ghiaccio più amata non solo feriva, ma le aveva anche voltato le spalle.

E da quando? Da quanto tempo Rosaline aveva smesso di parlarle? Da quando covava difficoltà e dubbi senza sussurrarglieli per trovare una soluzione insieme? Quanto abili erano entrambe a mentire e nascondere, aiutate da un'indole silenziosa e malinconica che non risultava mai insolita a chiunque le conoscesse, e ancor meno a loro stesse? E cosa? Cosa era mai accaduto di sbagliato, mentre Caroline si bagnava nel sole della Grecia, o perfino prima?

Sentì le lacrime affacciarsi ai suoi occhi già stanchi e provati dal bruciore della sofferenza, per la prima volta dopo la fine del suo universo. La strada di fronte a lei si appannò e per un attimo l'angoscia sembrò troppa – e si domandò quale senso potesse avere tale crudeltà del destino, a quale osceno spirito dovesse essere stata affidata la sua sorte, se essa continuava a rivelarsi così meschina, se perdita e paura e incertezza dovevano mescolarsi in quella maniera così vivida, repentina e asfissiante.

Poi un passante la urtò, le lacrime caddero sul marciapiede nero come gocce di pioggia estiva e lo sguardo poté notare un giornale sotto il braccio dello sconosciuto.

Forse ogni cosa da lì proveniva e lì si trovava.

 

Non c'era nessun altro all'edicola – non nel lato dedicato alle riviste più specialistiche, tra scienze, scoperte, meccanica e arte, quello a cui era abituata a rivolgersi sin dalla più tenera età, ignorando quasi del tutto ciò che non concernesse il suo interesse più profondo. Era stata una gioia tremante e avvolgente vedere per la prima volta il proprio nome stampato su quelle pagine accarezzate e annusate nei pomeriggi grigi dell'adolescenza, ma quel giorno la sensazione cambiò fin nel profondo delle proprie radici.

Perché quel pezzo, firmato da lei, a lei non apparteneva davvero.

Lo lesse due volte, costringendo quella sua mente stanca, torturata e debole a concentrarsi su ogni parola, ogni frase, ogni virgola, in piedi in mezzo alla folla indifferente che tornava a casa e comprava il giornale della sera per scoprire i drammi altrui o collettivi. Entro poco tempo anche lei sarebbe finita nella cronaca nera grondante di sangue, forse; quello che sapeva per certo era che quell'articolo lo aveva scritto Rosaline, le era stato inviato da Rosaline, Rosaline le aveva detto di averlo sistemato e pubblicato – e c'erano le poche correzioni di Caroline e tante modifiche sconosciute, superflue, che alle sue orecchie suonavano stonate e inutili rispetto all'originale. Parole e costruzioni che forse, in realtà, lei era solita usare più della sua vecchia gemella, della sua nuova ombra di ghiaccio. E il nome alla fine era quello sbagliato.

Ripose la rivista, ne prese un'altra e l'angoscia nelle sue viscere crebbe un altro poco – fino a quando, al terzo pezzo trasfigurato in quella maniera, Caroline dovette fuggire via da quei demoni d'inchiostro che urlavano menzogna e misteri disgustosi.

 

Avrebbe voluto rannicchiarsi, accoccolarsi, chiudere gli occhi e non vedere più nulla, ma il rumore del traffico le sussurrava che la città era ancora viva e la guardava, che il mondo respirava e la giudicava ancora, che era meglio fissare il vuoto davanti a sé, composta sulla panchina, diventare un ordinario fantasma e non una bizzarra creatura rinchiusa nel dubbio e nel dolore penetrati nella sua carne.

Cos'era accaduto di sbagliato? Quale passaggio della scrittura un tempo così spontanea si era bloccato in Rosaline? L'idea o la forma? Il contenuto o lo stile? L'inizio o la conclusione? Domande inutili, ormai, perché non v'era più modo di rimediare – nessuno che potesse rimediare, nessuno che avesse bisogno di farlo, perché la luce dell'ispirazione di una giovane scrittrice si era spenta con la sua vita. Ma esistevano questioni diverse, questioni che non riguardavano una sola mente ormai estinta, ma due.

Perché lei non aveva notato nulla?

La risposta non poteva essere semplicemente che il tutto le era stato nascosto. Problemi tanto profondi da meritare di divenire segreti dovevano avere radici tenaci e crudeli. Leggendo gli articoli originali nulla le era parso insolito o sgraziato – ma se c'era qualcosa che mordeva le sue interiora, che le scavava le ossa, che sfibrava i muscoli e torturava ogni centimetro della sua pelle come se essa avesse dovuto squarciarsi da un istante all'altro, quello non era il possibile fallimento del suo sensibile senso artistico, bensì il tormento di non aver saputo decifrare nemmeno il cuore della sua metà, il cuore che riteneva anche suo.

Aveva già perso Rosaline, prima ancora che la morte l'accogliesse tra le sue ali gelide? La distanza aveva ucciso ciò che avevano – o aveva – creduto immortale? I soldi, le menzogne, il mercato, la richiesta, una crisi, un vuoto, una paura, qual era il fulcro?

E lei – lei, Caroline, lei che avrebbe dovuto capire ogni cosa e proteggere il loro mondo – lei, quante colpe aveva? Come avrebbe mai potuto espiarle, in passato e in futuro? In lei non esisteva ancora nessuna ipotesi, nemmeno remota, su chi si fosse macchiato le mani di quel sangue così prezioso e innocente e forse disperato; nessun colpevole materiale e solo l'orribile, oscena idea di essere l'omicida della propria anima, l'assassina maledetta che non aveva premuto nessun grilletto, ma che aveva lasciato altri agire – e la lontananza non era una giustificazione, non era una scusa. L'immagine di un ladro disperato o crudele, colto a rubare e pronto a sparare per salvare la propria libertà, era dolce rispetto a quella di un nemico spietato che non erano riuscite a combattere insieme perché insieme non erano state. Perché Rosaline non aveva usato la difesa più naturale, quella che aveva sempre risolto ogni cosa, fin da quando le difficoltà erano la crudeltà dei bambini ingenui a scuola o un padre assente? Perché non correre a ripararsi sul suo seno, piangendo e cercando aiuto? Perché non tentarvi, anche se da lontano? Forse per non farla soffrire, come lei aveva nascosto la sua ombra di ghiaccio più recente, il suo dio infedele, il suo effimero amore? Rosaline aveva cercato di essere troppo forte, sottovalutando o non accorgendosi di un pericolo?

Quanto avevano perso di loro stesse mentre fingevano che il viaggio non contasse e che fosse tutto come prima?

 

La folla iniziò a fluire nei ristoranti, nei locali, a casa per una cena preparata con amore o per abitudine, con passione o con noia. Caroline vi si mescolò, annullandosi in mezzo alla massa, nella vana illusione di essere ancora una persona come tutti loro e non la pallida imitazione di una vita interrotta. Ai loro occhi non era nessuno – ed era una sensazione quasi rassicurante, pensare di non esistere o di essere solo un numero fra tanti, un'unità indistinta, uno spirito normale. La coperta della bugia era avvolgente e profumava di infima calma.

Dovette aspettare, stavolta, per avere l'attenzione di Marianne: il ristorante era affollato, persone attendevano nervose che venisse assegnato loro il proprio tavolo, il tintinnio di posate già riempiva l'aria e magliette, gonne, sandali e bibite si avvicendavano di fronte ai suoi occhi come i costumi di uno spettacolo teatrale che risuonava di mille idiomi diversi, realistico, ma vuoto.

– Jayson non è ancora arrivato, tesoro, ma puoi andare a metterti comoda...

Caroline annuì. Una cameriera giovane quanto lei la condusse in un angolo della sala più lontana, a un tavolino apparecchiato per due.

– Posso portarle qualcosa da bere, intanto?

Scosse la testa e si sedette per aspettare Jayson.

Per quanto provasse a scavare nella propria memoria, anche frugando tra le ombre di ghiaccio, non riusciva a ritrovare nessuno con quel nome che fosse già entrato nella sua vita. Doveva essere un amico di Rosaline, qualcuno con cui lei era uscita spesso, se Marianne mostrava tanta familiarità. Un'altra informazione taciuta e scoperta troppo tardi per chiedere spiegazioni.

Sul tavolo era posata una piccola candela, la cui fiamma ondeggiava languida. I suoi occhi si persero tra i riflessi del fuoco, mentre lei si domandava quale calore sarebbe mai riuscito a toccarla davvero. Il dolore iniziò a riemergere, affilato e fosco, stringendole il cuore e offuscandole la vista – rimaneva solo quel bagliore dorato a ipnotizzarla, mostrandole l'allegoria di una gioia che le era stata negata per l'eternità.

– Ciao, Rose.

Sollevò la testa per guardare due occhi azzurri e seri, brillanti ma maturi. Il volto di un bel ragazzo, incorniciato da ricci neri e ornato di un debole sorriso che si spense in fretta mentre Jayson si chinava su di lei.

Non era uguale. Non era un sosia. Non era una copia perfetta. Ma gli assomigliava – assomigliava al suo dio, al suo caparbio e arrogante ed egoista eroe, e bastò questo a farle capire: si protese appena, al momento giusto, mentre lui posava le proprie labbra sulle sue in un bacio casto, rapido, ma non privo di una sfumatura d'affetto che perfino lei seppe cogliere. Quando si divisero Jayson la guardò negli occhi, un fugace velo di tristezza a offuscargli lo sguardo, e qualcosa dentro Caroline tremò – l'avrebbe riconosciuta? Ma la luce era scarsa, in quel locale. Talvolta si era trattato di un dettaglio fastidioso, in altre occasioni aveva aiutato a creare un'atmosfera dolcemente intima, questa volta forse fu provvidenziale: Jayson si allontanò, per poi sedersi di fronte a lei.

Il fidanzato affascinante di Rosaline, di cui Rosaline non aveva mai parlato.

– Come stai?

– Bene.

Jayson fece un piccolo cenno, come d'assenso, poi aprì un menù. Caroline lo imitò, salvo poi non leggere alcuna parola di ciò che vi era scritto.

Il destino era così spietato da metterle i brividi – o forse erano solo le due ombre di ghiaccio che la fissavano, le ultime due, che si agitavano permeandola del loro gelo, fondendosi in quell'unico individuo davanti a lei, reminiscenza del passato e schiaffo del presente. La sua mente era bloccata e forse era meglio così: non aveva nemmeno la forza di porsi quelle domande ovvie, scontate e tremende che si sarebbero limitate a roderle l'anima, in attesa di risposte che non sarebbero mai giunte.

Sapeva solo che lui non poteva averla uccisa, se non era stato sorpreso di incontrarla lì.

– Hai fame?

– Non molta.

– Nemmeno io. Prendiamo qualcosa di leggero e andiamo a casa. Forse... niente.

– Cosa?

– Niente, lascia stare.

Lo guardò negli occhi, lui e quel pallido sorriso che aveva sul volto. Forse era più simile all'eroe di quanto Caroline non avesse voluto ammettere all'inizio – forse si sentiva disperata e l'ombra di ghiaccio era lì per lei, lì per confortarla, o forse per distruggerla. Era un angelo destinato a rimanere tale per sempre o era un demone uscito dal suo cuore solo per farle comprendere che il dolore non avrebbe avuto mai fine?

Era così tranquillo mentre ordinava per entrambi alla cameriera, così composto e silenzioso quando la ragazza se ne fu andata. Di tanto in tanto si guardavano negli occhi e Caroline sentiva che forse avrebbe dovuto parlare, ma le parole morivano prima ancora di giungerle in gola, attratte e inghiottite dal vortice delle sue paure e dei suoi dubbi. Perché non rivelargli la verità? Perché c'era qualcosa di strano, nell'espressione di quel volto attraente. Qualcosa che pareva sottendere una sorta di ansia mascherata con maestria – ma non a sufficienza –, un fremito nelle ciglia, un piccolo morso al labbro: dettagli, nulla di più, forse dettati dall'imbarazzo per l'assenza della benché minima conversazione. No. La verità era che ciò che di sbagliato c'era in quella situazione era proprio quello: non pareva sorpreso del silenzio della sua ragazza, della sua aria turbata, del pallore del suo viso, dell'inquietudine che non poteva essere celata del tutto. Sembrava sapere che lei covava dolore nel proprio petto. E tuttavia non le chiedeva nemmeno il perché. Non un accenno agli strani articoli, non una domanda sulla sorella ritornata – Rosaline poteva non averlo avvertito dell'imminente arrivo di Caroline? Si era chiusa a tal punto in se stessa? Non esisteva nessuno che sapesse qualcosa di lei? O forse Caroline era stata dimenticata da lungo tempo, ritenuta un'entità lontana, inutile, insignificante? Mangiarono in silenzio e Jayson si arrogò il diritto di affermare che non volevano nessun dolce senza prima averla consultata, per poi chiedere il conto – come se intuisse il profondo disagio di quella situazione, come se tutto fosse naturale così, come se quella scena l'avesse vissuta migliaia e migliaia di volte insieme a una persona identica in ogni particolare. Tuttavia, a poco a poco durante la serata pareva essersi rilassato, almeno in parte: il suo sguardo era più caldo, ora che aspettavano il conto e che aveva stretto una mano di Caroline nella propria. L'espressione era più dolce e più magnetica.

Era un estraneo e la amava. E lei sentiva di avere bisogno di fingere l'amore.

 

Non un'occhiata interrogativa, quando Rosaline continuò a camminare dopo che ebbero raggiunto la casa di Jayson, come se non se ne ricordasse l'ubicazione; non un'alzata di sopracciglia al modo in cui la sua ragazza si guardava attorno in quella casa sconosciuta; non un moto di sorpresa quando dovette percepire la sua tensione mentre la abbracciava, stringendola al proprio petto prima di legarla in un bacio in cui pretese e ottenne di più rispetto al primo. Le ricordò il sapore di sale sulla riva del mare.

La lasciò distendersi nel letto con calma; con cautela prese posto accanto a lei, sopra di lei.

Rosaline era morta, ma Caroline la sentì vivere sotto le dita che le sfiorarono la pelle con esperta delicatezza – sentì quante volte quelle labbra avevano massaggiato con dolcezza i seni di una donna che non era mai stata lei. Spesso lui la guardava negli occhi, come a chiedere il permesso di proseguire, insinuandosi con le dita sotto la gonna stretta, slacciandola, abbassandola. E alla fine lei abbassò le palpebre perché il pensiero di quell'azzurro le rimanesse impresso nel cervello, e perché potesse sovrapporlo al volto del suo dio di ghiaccio e lasciare che un tepore si sciogliesse tra le sue cosce. Jayson le prese una mano prima di iniziare a baciarla tra le gambe, facendole inarcare la schiena e spezzando ciò che era rimasto in lei: Caroline pianse senza singhiozzi tra mugolii di piacere, odiandosi e non potendosi odiare se la sua parte più debole aveva bisogno di aiuto, bisogno di calore, se il dolore era troppo per essere sconfitto ma lei doveva aggrapparsi al piacere più carnale e immediato per sopravvivere alla prima notte senza la sua gemella – se quel sollievo che la invase alla fine era tutto ciò a cui poteva aspirare, una bugia afrodisiaca, pochi secondi in cui dimenticare.

Jayson si distese a fianco a lei, la coprì con le lenzuola, l'abbracciò. Le asciugò le lacrime e non le domandò nulla.

– Andrà tutto bene – le sussurrò, accarezzandole i capelli.

No, non esisteva più nulla che potesse andare bene – tutto il peggio era accaduto ed era un male a cui non si poteva porre rimedio.

C'era un assassino, fuori nella città variopinta e sfrenata, e c'era un'anima irrequieta che le chiedeva giustizia, ma c'era anche lei, che dalla verità rischiava di essere sconfitta.

E dunque rimase tra le braccia di quell'uomo così strano o così umano, così vicino e così distante, così sospetto nella sua calma e così rassicurante nel suo semplice esistere.

Il dio e Rosaline dormirono stretti l'uno all'altra.

Era metafora o realtà?

   
 
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