Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Luke_White    08/12/2014    3 recensioni
1977. Ad Hogwarts, gli studenti vanno e vengono in continuazione. Per ogni anno che finisce, un altro inizia e la scuola è perennemente affollata da giovani maghi, pronti a dedicarsi allo studio delle arti magiche. Fra questi, Lily Evans è sicuramente una delle più brillanti: al sesto anno, ha avuto voti migliori rispetto a tutti i suoi coetanei. Durante l'estate, però, qualcosa la tormenta e continua ad avere incubi tremendi. Il peggiore avvenne quell'unica volta in cui si addormentò sull'Espresso per Hogwarts, il primo settembre. E il risveglio non fu migliore del sogno.
Chi è questo "Mike" che dichiara di essere suo fratello? Perché è l'unica a non ricordarsi assolutamente di lui? E, infine, perché qualcuno sembra così deciso a non voler farla indagare?
[From Fragment I:
«Lily» fece Emmeline, cauta. «Mike è tuo fratello». (...)
«Ah, ma davvero? E allora perché non lo ricordo? Perché so per certo di avere una sola e unica sorella che, tra parentesi, mi odia» esclamò la ragazza.]
[From Fragment III:
«Il “cosa”?» fece la ragazza.
«Oh, è come lo chiamo io, ma ha molti nomi. Prigione, Manicomio, Abisso, Altromondo, Inferno… a me piace chiamarlo così, "Paese delle Meraviglie". Molto più poetico, non trovi?» chiese il Cappellaio.]
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmeline Vance, I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
III
~The rose on the hat~



«Ma io non ci voglio andare in mezzo ai matti» obbiettò *****.
«Be’, è inevitabile» le rispose il Gatto. «Siamo tutti matti qui. Io sono matto, tu sei matta.»
«Come fai a sapere che sono matta?» chiese *****.
«Devi esserlo» fece il Gatto. «altrimenti non saresti venuta qui»



Nel sogno, Lily stava giocando a carte con Mike. Erano seduti alla tavola dei Grifondoro, in una Sala Grande deserta. I due sembravano non trovare affatto strana la situazione e continuavano a pescare carte e a scartarne altre, in un gioco all’apparenza infinito di cui Lily non riusciva a ricordare le regole con chiarezza. La ragazza osservava le sue carte e di tanto in tanto si scambiavano occhiate da sopra le mani, sorridendo dietro le carte.
Il gioco andò avanti per alcuni turni senza che accadesse nulla, poi Mike posò le sue carte sul tavolo.
«Finito!» aveva esclamato, allineando la sua scala che andava dall’asso fino alla regina di cuori. Il re era curiosamente posizionato fra il fante e la regina.
Lily fece una smorfia di disappunto osservando le proprie carte. Le mancava poco per finire: se solo avesse avuto un due di cuori, piuttosto che quella carta così bianca…
«Ehi, Mike?» chiese Lily, sentendosi più lucida e stranamente nervosa.
«Dimmi» fece il fratello, con un sorriso gentile.
«Perché su queste carte ci sono solo i cuori?» chiese lei, osservando con attenzione sia le sue che quelle del ragazzo. Lui la guardò, confuso.
«Cos’altro dovrebbe esserci?» replicò Mike.
«Be’, gli altri semi, no? Cuori, picche, quadri e fiori. No?» insistette Lily.
Mike sbuffò. «Ma come ti saltano in mente certe idee? Esistono solo i cuori, dovresti saperlo!».
Lily annuì, ma non ne era del tutto convinta. Prese la carta bianca dalla sua mano e la mostrò al ragazzo.
«E allora perché questa è vuota?».
«Semplice» sbottò lui. «Se non è di cuori, allora non significa nulla, quindi quello è ciò che rappresenta. Il Nulla». Mike drizzò la schiena e poggiò i gomiti sul tavolo, giungendo le mani davanti alla bocca. «Un po’ come te e me, no?».
«Che intendi dire?» chiese Lily, aggrottando le sopracciglia.
«Be’, io sono uno dei cuori, tu no» spiegò lui, come se ciò chiarisse tutto. Lei gli lanciò uno sguardo confuso, così Mike, sbuffando, estrasse uno specchio dalla tasca della divisa e glielo porse. Lily lo prese e si specchiò, facendolo cadere all’istante e spaccandolo in mille pezzi. Fece appena in tempo a vedere le scritte insanguinate sulla carta che prima era vuota, dopodiché si svegliò, soffocando l’urlo che aveva lanciato nel sogno, dopo che quel volto aveva ricambiato il suo sguardo. Un non-volto, se così lo si vuole chiamare. Privo di naso, occhi, bocca, capelli…
Nella sua mente, la carta ancora grondava parole di sangue.
Non parlare. Non più.

Lily mescolava pigramente il suo tè con un cucchiaino, facendo sciogliere la zolletta nell’acqua bollente e profumata. L’incubo era stato breve ma fin troppo intenso per ciò che stava passando in quel momento. Al pensiero che quello era solo il secondo giorno di scuola, Lily sentiva tutte le sue forze sparire. Sentiva che, se avesse continuato così, entro un mese al massimo sarebbe impazzita.
Bevve un sorso, senza curarsi del bruciore che il liquido le provocava alla lingua, e si guardò intorno. Erano solo le sette di mattina e nella Sala Grane erano presenti sì e no una dozzina di persone, compresi due insegnanti che facevano colazione leggendo la Gazzetta del Profeta. Il cielo era coperto da nuvole grigie gonfie d’acqua. Il silenzio che regnava nella stanza era irreale, abituata com’era al chiasso e alla confusione, specialmente al suo tavolo, con i Malandrini che ritenevano che la tranquillità fosse una cosa sopravvalutata. Se si stava bene attenti, si riusciva addirittura a sentire le gocce di pioggia cadere sull’antica pietra della costruzione.
Assonnata e ancora un po’ intontita, Lily si sostenne la testa con la mano e socchiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, mentre con l’altra ancora mescolava il tè fumante. Dopo l’incubo che aveva avuto, aveva capito che dormire sarebbe stato impossibile. Aveva quindi ricominciato a meditare sulle parole che la perseguitavano dal giorno precedente, ma presto aveva dato forfait e aveva sentito il bisogno di cambiare aria. Quindi si ritrovava lì, distrutta e completamente priva della voglia di fare lezione (a dirla tutta, non è che ne avesse mai avuta molta, ma in quel momento aveva raggiunto i minimi storici).
Il suo campo visivo incontrò, però, una visione celestiale e orrenda allo stesso tempo. Una delle sue acerrime nemiche la osservava poco più in là, sfidandola ad avvicinarsi, tentandola. Lily si mise il cucchiaino bollente in bocca, assaporando il poco tè che era rimasto sopra, e, tenendolo fra le labbra, valutava le sue opzioni. Avrebbe potuto cedere, ma sapeva che se ne sarebbe pentita. Avrebbe potuto resistere, ma se ne sarebbe pentita ugualmente.
Quando il suo conflitto interiore ebbe fine (cedendo, ovviamente), l’oggetto del suo desiderio era stato preso e sistemato su un piattino, quindi posato sul posto di fronte a lei da colui che ci si stava sedendo.
Mike la guardò, sorridendo mentre giocherellava con le dita con una piccola forchetta.
«Ciao, sorellina» disse, mantenendo un tono basso, forse per non rompere l’atmosfera di pace che si era creata nella Sala. «Come mai sveglia così presto?».
«Pianificavo il tuo omicidio» rispose lei, d’istinto. Forse non avrebbe dovuto essere così scortese, ma Mike l’aveva appena derubata, quindi se ne sentiva completamente in diritto. Lui, d’altro canto, ridacchiò, per poi infilzare la fragola che sovrastava il quadrato di torta e farla scomparire dietro le proprie labbra. Lily assottigliò lo sguardo.
Mike sgranò gli occhi, come se avesse capito qualcosa solo in quell’istante. «Oh, ne volevi un pezzo?».
Le labbra di Lily diventarono tanto sottili da far invidia a quelle della McGranitt, mentre il fratello prendeva un pezzo di torta con la forchetta e glielo porgeva, invitandola a mangiarlo.
Lily soppesò l’idea per qualche istante, poi decise di fidarsi e provò a mordere il dolce che le veniva offerto. All’ultimo istante, Mike tolse la forchetta e mangiò il pezzo al posto suo, ridacchiando e ammiccando.
«Sei un bastardo» mormorò la ragazza, arrossendo un po’ e guardandolo malissimo. Lui ghignò.
«Io ci andrei piano con questi insulti: siamo gemelli, ricordi?» fece. Lily sussultò leggermente per la battuta: le sembrava quasi troppo adatta alla situazione per essere casuale. Lui sembrò accorgersi di qualcosa perché cambiò argomento. «Allora, perché sveglia così presto?».
Lei scrollò le spalle e, non vedendo perché mentire, decise di dire la verità, per la prima volta da un po’ troppo tempo per i suoi gusti.
«Il solito incubo» disse con noncuranza. Lui aggrottò le sopracciglia, continuando a mangiare piccoli pezzi di torta. «Tu?».
«Ti cercavo» rispose Mike, estraendo da una tasca della tracolla una lettera. «L’ha portata Horus per noi poco fa».
Lily la prese.
«Come facevi a sapere che non ero nel Dormitorio?» chiese. Mike sorrise.
«Regola numero sette: i Malandrini non rivelano i propri segreti» spiegò con semplicità.
Lei inarcò le sopracciglia. «Ah, be’, ovvio. Come ho fatto a dimenticarmene?» disse, sarcastica. Lui sbuffò e con un gesto la invitò ad aprire la lettera. Lei obbedì e il nome del mittente la scoraggiò all’istante.
«Che vuole Petunia adesso?» chiese, con aria stanca.
«Lei proprio niente, credo sia stata mamma a costringerla» replicò Mike. «Leggi».
Ci mise solo un paio di secondi, ma bastarono per farle venir voglia di bruciare la lettera e per far costruire a Mike una torre di zollette di zucchero piuttosto traballante (avendo finito la torta da un po’, si era trovato un’altra occupazione).
«Quindi va a vivere da questo tizio, Vernon, eh?» disse, seccata. «E si sposeranno a novembre… Onestamente, non capisco perché mi abbia voluto informare».
«Ci abbia voluti informare» la corresse Mike, aggiungendo zollette alla pila sempre più in bilico. Lei si morse un labbro: doveva evitare stupidaggini del genere. «Te l’ho detto, penso sia stata nostra madre».
«E perché? Tanto non potremo partecipare, quindi è inutile farcelo sapere» commentò lei, aspramente, mentre valutava l’idea di far crollare la colonna di zuccherini.
«Io in realtà vorrei andarci» replicò Mike. Lily inarcò un sopracciglio.
«Sul serio?» chiese. Il ragazzo sorrise, malandrino.
«Certo! E mi divertirei a rovinarglielo!» spiegò, ammiccando. Lei ridacchiò a sua volta, per poi assumere un sorriso triste.
«Non se lo merita» mormorò, abbassando lo sguardo. Mike sgranò gli occhi.
«Stai scherzando, vero?» esclamò.
«Mike, è solo invidiosa. Cercare di boicottare il matrimonio peggiorerebbe solo le cose e inutilmente. Non ne vale la pena» spiegò, incrociando le braccia e posando il mento su di esse.
«Lily» Mike le prese una mano e la costrinse ad alzare lo sguardo. Il volto del ragazzo era fin troppo vicino alla colonna di zucchero. «So che non dovrei farlo, ma ti ricordi delle estati del secondo e del terzo anno?».
Lei aprì e richiuse la bocca senza dire nulla. Evidentemente, anche con Mike, Petunia non era stata meno perfida nei suoi confronti.
«Non importa» decise infine. «Ora si trasferirà e non dovremo più avere a che fare con lei. Ripensare al passato è inutile».
Era ironico, ma le loro frasi avevano fin troppi richiami alla situazione che lei stava vivendo.
Mike aggrottò le sopracciglia e la osservò con una strana espressione.
«Che c’è?» fece lei, infastidita.
«Mi sto chiedendo quanto debba essere stato brutto l’incubo per farti invecchiare di vent’anni in una volta» spiegò lui.
«Ehi!» esclamò Lily, offesa. Lui scrollò le spalle, versandosi una tazza di tè con gesti piuttosto eleganti, tanto da ricordare in parte Sirius. Evidentemente la vicinanza gli aveva trasferito qualche abitudine dell’amico, perché Lily era certa che l’eleganza non fosse nei geni Evans. O, perlomeno, non si era manifestata né in lei né in Petunia.
«Quando tornerai in te e riabbraccerai i propositi di vendetta, fammi un fischio, okay?» disse Mike, dando un colpetto alla torre di zollette. Le tre più in alto caddero direttamente nella tazza, creando piccole macchie di tè sulla tovaglia. Mike non se ne curò, mescolando la bevanda con aria annoiata.
«Be’?» fece Lily, sorpresa. Mike alzò lo sguardo su di lei inarcando un sopracciglio.
«“Be’”, cosa?» replicò.
«Tutto qui?» chiese lei.
«Dovrebbe esserci altro?». Lily si limitò, in risposta, a divorare uno dei pezzi di torta crema e fragola* che tanto aveva desiderato poco prima.
Quando arrivarono anche gli altri ragazzi (Lily fu lieta che nessuno chiedesse del loro largo anticipo) non si accennò più a Petunia ma, piuttosto, venne a crearsi una certa eccitazione per l’ultima ora che avrebbero avuto quella giornata. Alle orecchie dei Malandrini era arrivata, infatti, la voce di ciò che era successo il giorno precedente agli studenti del settimo anno con il nuovo professore di Difesa, “Hamilton”, le pareva di ricordare: a quanto sembrava, il professore era a dir poco eccentrico, ma anche un genio. Le loro fonti non erano entrate nel dettaglio, ma i ragazzi di Grifondoro sembravano percorsi da continue scosse elettriche che li rendevano frenetici, tanto da venir richiamati in continuazione da un’impaziente professoressa McGranitt, che era stata costretta più volte a interrompere la lezione. I Malandrini decisero di darsi una calmata solo quando l’insegnante minacciò imperiosamente di togliere venti punti a testa a Grifondoro.
Mentre anche Mary sembrava piuttosto eccitata per la lezione di quel pomeriggio, Lily ed Emmeline sembravano un po’ più titubanti. “Eccentrico” poteva significare davvero molte cose e, in quel periodo, per delle Nate Babbane poteva rappresentare un vero svantaggio, se non una tortura.
«A pranzo gli chiediamo chi è questa “fonte attendibile”» decise Lily, sussurrando a Emmeline mentre il resto della classe si stava esercitando nel ripasso generale di Incantesimi assegnato loro da Vitious. L’amica annuì, un po’ preoccupata, lanciando l’Incantesimo di Esilio sul suo cuscino, scaraventandolo in aria. Lily scagliò sullo stesso cuscino un Incantesimo Levitante e questo tornò a posarsi dolcemente sul tavolo.
«Ancora non mi hai detto cosa hai intenzione di fare stasera con James» disse Emmeline, cambiando improvvisamente discorso. Lily aggrottò le sopracciglia, sospettosa.
«Di che stai parlando?» chiese, pensando immediatamente ai numerosissimi pensieri maliziosi che la ragazza doveva aver fatto.
Emmeline sospirò. «Lils, non sono Mary, ricordalo».
«E tu ricordati di non chiamarmi mai più Lils» replicò lei, rabbrividendo. Era il soprannome che usavano i suoi genitori e, quando i suoi amici lo avevano scoperto, per lei era stato un trauma.
«Sì, sì, come ti pare». Viva le amiche, proprio. «Comunque parlavo delle scritte e di Mike. Glielo dirai?».
Lily deglutì. Quello era uno dei pensieri che l’aveva accompagnata sin dal suo brusco risveglio. Le scritte erano ancora incise nella sua mente e non aveva la minima idea di come comportarsi. Non dire nulla significava, in un certo senso, ubbidire a quelle scritte e ammettere a se stessa che ciò aveva realmente visto qualcosa. Confessare tutto, invece, avrebbe potuto essere controproducente: James avrebbe potuto crederla pazza. E, se le scritte erano reali, allora l’artefice non sarebbe stato affatto contento. O contenta.
«Non ne ho idea» confessò. Emmeline sospirò, come se si aspettasse la risposta.
«Secondo me dovresti dirglielo» commentò. «Se non vuoi parlarne con Mike perché non ti fidi, almeno dillo a James. Lui lo conosci bene».
Lily rimase per qualche secondo in silenzio. «Credo che farò quello che mi verrà sul momento».
«Fa’ come vuoi» replicò Emmeline. «Ma ricordati che James è parecchio insistente quando è curioso, quindi l’unico modo che avrai per distrarlo sarà saltargli addosso».
«Em!». L’esclamazione di Lily fece girare parecchie teste. Mary, seduta poco più in là assieme a Sirius, doveva aver capito di cosa stavano parlando perché era scoppiata a ridere sotto lo sguardo stralunato e divertito del fidanzato.
«Va bene, va bene!» fece Emmeline, esasperata. «Ma devi darti una mossa: questo è il nostro ultimo anno, l’ultima possibilità che avrai».
«Esagerata» borbottò Lily, voltandosi dall’altra parte per riprendere l’esercitazione. Nessuna delle due tornò sull’argomento per il resto della lezione.
A pranzo, invece, Lily prese coraggio e chiese ai Malandrini di rivelarle il nome della loro fonte. Non ci fu bisogno che nessuno dei quattro aprisse bocca: bastarono i ghigni che rivolsero a Remus e il rossore di quest’ultimo per farle capire che Tonks era la responsabile, cosa che la tranquillizzò non poco. Almeno poteva essere sicura che il nuovo professore non fosse un Mangiamorte in incognito.
È facile immaginare che le ore che precedettero Difesa Contro le Arti Oscure passarono fin troppo lentamente per gli studenti del settimo anno. Quando anche Aritmanzia e Pozioni finirono, i ragazzi si catapultarono nell’aula di Difesa. Mentre il professore ancora non era arrivato, ci fu una sorta di combattimento all’ultimo sangue per i primi posti. I Malandrini e un gruppetto di Serpeverde (fra cui Piton, che Lily evitò accuratamente anche solo di guardare) rischiarono anche di mettersi a duellare. Alla fine, Lily e Remus si erano ritrovati davanti, sebbene lei non sapesse come, seguiti da James e Sirius, Emmeline e Mary e, all’ultimo banco, Mike e un Serpeverde con un grande naso aquilino e una faccia arcigna. A Lily dispiaceva relegare il neo-fratello con uno sconosciuto dall’aria sgradevole, ma i ragazzi dichiararono che non era colpa di nessuno: avevano fatto la conta!
Quando il professore non si fece vedere per circa un quarto d’ora, però, tutta la classe tornò ad agitarsi. Avevano aspettato tanto per quel momento e l’insegnante gli dava buca? Per i Malandrini era inconcepibile!
Il professor Hamilton entrò proprio un istante dopo che James e Sirius avevano annunciato alla classe che sarebbero andati a cercarlo. Zoppicando e reggendosi su un bastone di legno scuro che Lily non aveva notato la prima volta, l’insegnante si diresse verso la cattedra senza degnare gli studenti di uno sguardo, poggiando sul ripiano una sorta di fascicolo. Estrasse la bacchetta da una tasca della giacca grigio polvere e la puntò sulla lavagna che, da verde, diventò bianca. Il professore aprì il fascicolo ed estrasse alcune foto che, avrebbero notato poco più tardi, non erano animate. Poggiò le foto sulla lavagna e queste rimasero incollate sulla superficie.
Il professore si girò finalmente verso la classe.
«Qualche mese fa, a Cardiff, abbiamo avuto tredici omicidi in sole quarantottore» disse, sedendosi sulla cattedra. «Le vittime sono di sesso, età e colore diversi, non sembrano avere alcun legame e sono morti in luoghi distanti l’uno dall’altro. L’unica cosa che hanno in comune è il decesso: a tutti e dodici il cervello è andato letteralmente a pezzi».
Lily spostò lo sguardo sulle immagini sulla lavagna: erano raffigurati uomini e donne con rivoli di sangue che uscivano da bocca, naso, orecchie…
Cosa può fare qualcosa del genere?, pensò, inorridendo, mentre sentiva Emmeline lanciare un piccolo gemito.
«I dettagli non sono mai stati rivelati al pubblico e gli stessi omicidi sono stati tenuti segreti».
«Perché?» domandò James, contrariato.
«Perché il nostro caro Ministro è un emerito idiota» rispose il professore, facendo ridacchiare qualche studente. «Come stavo dicendo, voi non potete saperne nulla, anche agli Auror è stato ordinato di rimanere in silenzio, quindi è, per me, un’ottima opportunità» continuò, per poi fare un cenno con la mano, come invitandoli a parlare. «Be’, iniziate! Voglio sentire ipotesi, domande, suggerimenti, qualsiasi cosa di vagamente intelligente per risolvere il caso».
Per un attimo gli studenti rimasero in silenzio, gli occhi che passavano rapidamente dall’insegnante alle foto. Per la maggior parte sembravano un po’ storditi, ma alcuni erano subito passati a cercare di dedurre qualcosa da quei pochi elementi.
«Erano Nati Babbani?» chiese Sirius. Lily, come anche Emmeline, sapeva cosa intendesse il ragazzo, quindi non la presero come un’offesa. Probabilmente, la cosa sarebbe stata ben diversa se fosse stato un Serpeverde a fare la domanda.
«Un paio di loro» rispose il professore, indicando le foto di una donna sui quaranta dai lunghi capelli corvini e un ragazzo appena ventenne con un grande naso aquilino. La cosa escludeva, quasi a priori, attentati da parte di Mangiamorte. Ovviamente avevano ucciso anche Mezzosangue e, anche se si contavano sulle dita di una mano, Purosangue, perché questi andavano contro di loro, ma sembrava impossibile che persone così diverse potessero avere avuto tutte dei conflitti con i Mangiamorte.
«Che cosa è stato usato per ucciderli?» chiese Piton, facendo sussultare leggermente Lily.
«Un veleno, creato appositamente dall’assassino» disse Hamilton. «Gli ingredienti sono tenuti segreti dal Ministero e il composto ancora non ha un nome ufficiale. Questo veleno, comunque, ha fatto entrare le vittime in una sorta di stato comatoso e gli ha poi ridotto il cervello in poltiglia».
«Quindi l’assassino dev’essere stato un Pozionista esperto» continuò il ragazzo, con una leggera sfumatura di riverenza nella voce. Il professore annuì con semplicità, senza manifestare alcuna emozione. Lily, invece, guardava di sottecchi il Serpeverde, chiedendosi come avesse fatto a sbagliarsi tanto su di lui.
«Quanto c’è voluto per catturare l’assassino?» chiese il ragazzo seduto accanto a Mike, con una voce tanto profonda da sembrare falsa. Lily si chiese che teoria potesse avere quel tipo, ma poi pensò che, magari, potesse essere anche solo curiosità personale.
«Mai catturato» disse il professore con tono leggero.
«Chi è stata l’ultima vittima?» chiese improvvisamente Mike. Qualcosa sembrò brillare negli occhi dell’insegnante.
«Un certo Thomas Clearwater» rispose Hamilton. Mike aprì bocca, come per chiedere altro, ma il professore lo interruppe. «Era un malato mentale, rinchiuso per alcuni anni nel Mirrty Asylum per alcune tendenze violente che aveva mostrato in pubblico. Aveva mandato in coma un bambino di dieci anni senza alcun apparente motivo».
«Com’era la sua vita prima di essere rinchiuso?» incalzò Mike. Lily aggrottò le sopracciglia, chiedendosi perché il fratello volesse tanto insistere su quel pover’uomo.
«Discreto studente a Hogwarts, diplomato con soli due M.A.G.O. Ha lavorato come garzone nella Farmacia di Misurino a Diagon Alley per tre anni mentre cercava di ottenere un posto al San Mungo».
«In che materia aveva i M.A.G.O.?» chiese Remus, sorprendendo Lily.
«Erbologia e Pozioni» rispose Hamilton, trattenendo a stento un ghigno. Lily, come folgorata, capì a cosa stavano pensando i due ragazzi.
Ma certo, pensò. Perché è stata l’ultima vittima? Se l’assassino non è stato mai preso, avrebbe avuto tutto il tempo per uccidere altre persone. Invece si è fermato… perché? Se le vittime avessero avuto qualche legame, allora sarebbe stato facile da capire, ma se, invece, erano a caso come sembra, perché non continuare? A meno che…
«E dove sono state trovate le vittime, precisamente?» chiese Mike. Hamilton sorrise e, con un cenno della bacchetta, fece planare una cartina di Cardiff sulla lavagna. Segni rossi indicavano le case in cui erano stati trovati i corpi: dodici vittime erano disposte a distanza regolare l’una dall’altra, in cerchio, attorno a una centrale. Il nome “Thomas Clearwater” era scritto in caratteri dorati e brillanti accanto al segno centrale.
«Mi lasci indovinare» proseguì Mike. «Le vittime sono state trovate casualmente, ma da quella in alto a destra, proseguendo in senso orario, l’età aumenta. Giusto?».
Il professore sbuffò, divertito, e batté una volta le mani. «Bene, penso che ormai tutti lo abbiano capito».
Ci fu una serie di vari “sì”, alcuni un po’ svogliati.
«Ciò che Evans ha capito è esatto» proseguì l’uomo, battendo la bacchetta sulla cartina. I vari segni rossi si congiunsero, formando un cerchio diviso in spicchi e dei numeri romani, dall’I al XII, completarono quello che era un perfetto orologio. «Thomas Clearwater, seppur completamente ignorante nelle altre materie, era un eccellente Pozionista. Aveva scoperto alcune particolari proprietà che le foglie di mandragola assumevano quando venivano in contatto con composti di sangue di drago e… altro che non sto a elencarvi per evitare emulatori» il professore lanciò una veloce occhiata a Piton. «Da ciò, era riuscito a fondere il Distillato della Morte Vivente con questa sua nuova scoperta, generando una tossina che prima addormentava, poi uccideva in brevissimo tempo. Quando venne scovato il suo laboratorio – che altro non era se non una semplice cantina – e trovati i suoi appunti, si venne a conoscenza del nome che Clearwater aveva dato alla sua creazione: Sangue del Tempo». Hamilton indicò con il bastone l’orologio sulla piantina. «Non si sa con precisione cosa l’abbia spinto ad agire in questo modo: abbiamo trovato nei suoi appunti molti accenni a una certa “purificazione”, ma erano talmente confusi che abbiamo rinunciato a comprenderli».
«Quindi… ha ucciso dodici persone più o meno a caso e poi cosa? Si è suicidato?» chiese Mary, un po’ incredula.
«Non si sa se si sia ucciso da solo o se qualcuno l’abbia costretto, nonostante sembri che nessun altro fosse entrato nella casa di Clearwater. Comunque, il caso è ora chiuso, quindi la morte di Clearwater è stata archiviata come suicidio e le indagini sono terminate» rispose l’insegnante.
La campana di fine ora risuonò nel silenzio assorto della classe, risvegliando gli studenti. Lily si guardò attorno, stupefatta: le sembrava che l’insegnante fosse entrato solo da pochi minuti. Come lei, anche altri studenti sembravano un po’ confusi, sebbene alcuni Serpeverde sembrassero più che altro sollevati.
«Voglio che tutti voi facciate una ricerca di almeno trenta centimetri di pergamena sul Mirrty Asylum» annunciò il professore. «Non m’interessa di cosa parliate, se della storia o di qualche evento o personaggio specifico, l’importante è che sia inerente all’argomento. Avete due settimane di tempo. Ah, dimenticavo: venti punti a Grifondoro per l’intuizione di Evans e Lupin». Vide che gli studenti lo osservavano nuovamente immobili. Inarcò un sopracciglio e fece cenno con la mano di andarsene. «Be’? Che aspettate? Via! Sciò! Circolare!».
Gli studenti, un po’ scombussolati, si alzarono e si diressero fuori dalla porta più o meno in silenzio. Appena varcata la soglia, James e Sirius cominciarono a discutere animatamente di quanto, parole loro, fosse “figo” il professor Hamilton. La discussione continuò per tutta la scala a chiocciola che scendeva sul corridoio principale del Terzo Piano, arrivando a frasi come «non è vero: io lo amo più di te!» sotto lo sguardo divertito degli altri Grifondoro.
«A me non è piaciuto granché» borbottò Emmeline. I due la guardarono come se avesse li avesse schiaffeggiati.
«Ma… ma… come osi?» esclamò James, con il tono più sdegnato del suo repertorio.
«Cos’hai di sbagliato?» rincarò Sirius, mettendosi platealmente una mano sul cuore.
Mary e Mike risero mentre Emmeline fece una smorfia imbronciata.
«È che… sbatterci davanti così tutta quella gente morta in un modo così orrendo e parlarne così, alla leggera…» spiegò. «Quelle persone sono morte veramente, invece sembrava fosse quasi un gioco, tipo Cluedo».
«Clu-che?» fece Sirius, inclinando leggermente la testa. Remus gli lanciò un’occhiataccia, intimandogli di tacere.  
«Em, ormai è tardi per quelle persone» disse Mary. «Non possiamo impedire le loro morti né farli tornare in vita. Il loro assassino li ha seguiti dall’altra parte, quindi non potremmo nemmeno vendicarli. Tanto vale che la loro morte serva a qualcosa, no?».
Emmeline sgranò gli occhi e la guardò, sconvolta. «Come, scusa? Cosa ti fa pensare che la morte possa essere utile a qualcosa?».
«Non ho mai detto che la morte serva a qualcosa!» replicò Mary, alterandosi. Lily si preparò mentalmente per bloccarla in caso avesse esagerato, ma non ce ne fu bisogna.
«Quello che Mary intendeva dire» s’intromise James con tono gentile, sorprendendo Lily. «È che conoscere come le persone se ne sono andate può rivelarsi utile per impedire che questo accada ad altre. Se, per esempio, qualche altro pazzo cominciasse a uccidere usando lo stesso veleno di Clearwater, saprebbero sia cosa stanno usando sia che l’omicida deve avere qualche legame con il caso di Clearwater, visto che è stato lui a inventarlo. Capisci? Anche se quelle persone non ci sono più da tempo, possiamo far sì che la loro morte non sia stata vana con l’esperienza che ci hanno lasciato».
Emmeline, seppur un po’ sorpresa dalle parole del ragazzo, annuì. Sirius emise un lungo fischio che risvegliò gli altri dallo strano evento appena accaduto.
«Da quand’è che sei così saggio, Ramoso?» chiese il ragazzo. James ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli.
«Secondo me l’ha copiato da qualcuno» disse Remus, alquanto sconvolto.
«Oh, dai, ragazzi! Un po’ di fiducia, per Merlino!» esclamò James, contrariato.
«A te? Ma mai nella vita!» replicò Mike, ridendo e seguito a breve dagli altri.
«Stavo pensando a una cosa» disse Lily, dopo un po’, quando le risate cessarono.
«Tu che pensi? Strano, non l’avrei mai detto…» fece Mike.
«Oh, taci!» replicò, anche se in parte divertita. «Dicevo: stavo pensando che Hamilton conosceva i vostri nomi, anche se voi non glieli avete mai detti».
Remus e Mike si guardarono, incerti e un po’ sorpresi.
«Be’, siamo i Malandrini, dopotutto» disse Sirius, con un certo compiacimento. «Magari qualche prof gli ha parlato di noi. Siamo famosi!».
«Sirius, voi non siete famosi: siete famigerati» replicò Mary, facendo ridere le altre due ragazze.
«Che ci vuoi fare, è un mondo pieno d’invidiosi!» disse l’altro, con un sospiro.

«A cosa devo l’onore?» chiese il ragazzo, con aria di superiorità, osservando Lily da dietro il tavolo in mogano della Biblioteca. La Grifondoro sbuffò, un po’ infastidita.
«Piantala, Remus: fare l’offeso non ti si addice» replicò, sedendosi di fronte a lui e posando la borsa sul tavolo.
«Non è vero, sono bravissimo a fare l’offeso» disse Remus, convintissimo. Lily inarcò un sopracciglio, fermandosi a guardarlo mentre estraeva pergamena e inchiostro dalla borsa. «Sono James e Sirius che sono fuori scala, quindi la gente ormai ha standard troppo alti».
La ragazza sbuffò, divertita. «Già, sicuramente il problema sono loro» disse, ironica. «Comunque, non hai assolutamente nulla per cui fare l’offeso».
«Davvero? E il fatto che sono diventato la settima ruota del carro dove lo metti?» rispose lui, piccato. «Una volta eravamo amici e ora sono l’ultima spiaggia? Vergogna su di te, signorina Evans!».
«Non sei la settima ruota del carro!» ribatté la ragazza. «Sei la sesta: ti pare che mi confidi con Black?».
«Oh, allora tutto nella norma» fece lui, ironico, con un sorrisetto. «Come mai sei venuta da sola?».
«Mary è in giro con Sirius ed Emmeline ha detto che aveva sonno, quindi penso che sia andata a giocare a Spara Schiocco con le ragazze del sesto. Mike e James?».
«Progettano» rispose Remus, con noncuranza. Lily aggrottò le sopracciglia.
«Progettano cosa, esattamente?» chiese. Poi, prima che Remus potesse rifiutarsi di rispondere, aggiunse: «Giusto, regola numero sette, dimenticavo».
Remus fece una smorfia di apprezzamento.
«Allora, da dove iniziamo?» chiese Lily, precisa come suo solito.
«Ho chiesto a Madama Pince di fornirci alcuni articoli della Gazzetta riguardanti il Mirrty» disse il ragazzo, indicando una pila di giornali, tutti che parlassero, in qualche modo, del manicomio. «Sarebbero molti di più, ma questi sono quelli più importanti. Cominciamo?».
Lily sospirò. «Meglio di sì, altrimenti credo potrei scappare e passare il resto della giornata a dormire e a sentirmi in colpa per non aver iniziato».
«Si vede che non sei una Malandrina» fece Remus, sorridendo. Lily rispose al sorriso e prese un giornale a caso, iniziando a leggere.
Ci volle poco per capire che sarebbe stata una ricerca interessante ma davvero molto tetra. Tanto per cominciare, il Mirrty era nato come ospedale psichiatrico pubblico nel 1913 ma ben presto, a causa dell’Incidente Azkaban, venne convertito in manicomio criminale dalla stessa fondatrice, Madame Elizabeth Mirrty, per poter accogliere i prigionieri precedentemente presenti nella prigione magica e coloro che erano impazziti a causa di quello che venne definito “il Banchetto dei Dissennatori” del 1914. In seguito, Madame Mirrty offrì il manicomio come carcere provvisorio al Ministero della Magia e il Ministro Evermonde, sebbene un po’ titubante, fu costretta ad accettare, curandosi di far iniziare i lavori del penitenziario di Brackden il più presto possibile.
Nonostante tutto, Brackden venne completato solo nel 1929 e per ben quindici anni il Mirrty Asylum ha ospitato un gran numero di criminali. La tenuta, risalente al XVII secolo, era stata ampliata tanto da rendere quasi impossibile capire quale fosse la struttura originaria, questo soprattutto per tenere i malati mentali lontani da quelli “sani” (nonostante sembrasse molto frequente lo spostamento dalla seconda alla prima sezione).
Quando Brackden venne completato, tutti i criminali stabili vennero trasferiti, lasciando molto più spazio agli altri. Il Mirrty divenne quindi un vero e proprio manicomio criminale, con ali separate per “gravità”. Tuttavia, gran parte della struttura rimase vuota e tuttora non è ben chiaro cosa accada al suo interno. Spesso si è parlato di esperimenti su pazienti o scomparse degli stessi, ma il Ministero e Madame Mirrty hanno sempre smentito tutto con prove tangibili (ovvero i pazienti stessi, sempre mostrati fisicamente in ottima salute).
Spesso la Gazzetta del Profeta e altri giornali hanno cercato di capire cosa accadeva all’interno dell’istituto.
“Tutto ciò che accade nel Mirrty Asylum è approvato e controllato dal Ministero. Non possiamo rivelare nulla, ma la struttura lavora insieme al nostro Ufficio Misteri per garantire un futuro migliore per il Paese e per il mondo”, ha asserito Ignatius Tuft nel 1960.
«Considerando che ha cercato di proporre i Dissennatori come guardie a Brackden non mi fiderei troppo» aveva commentato Remus. Lily si era trovata completamente d’accordo.
 Il Mirrty Asylum apparteneva, in quel momento, a Julienne Mirrty, nipote della fondatrice dell’istituto, che regolarmente lasciava dichiarazioni al Ministero e alla Gazzetta per rassicurarli sul perfetto funzionamento del manicomio.
«Questo non ha impedito a Clearwater di scappare» commentò Mary, a cena, quando Remus e Lily raccontarono agli altri ciò che avevano scoperto. Il Mirrty era noto a qualsiasi mago, ma la storia era piuttosto oscura e, in genere, molti evitavano anche di conoscerla, tantomeno raccontarla agli altri.
«I criminali evadono continuamente dal Mirrty, solo che il Ministero cerca di metterlo a tacere» commentò Sirius. Gli altri lo fissarono. «Che c’è? I miei parlavano spesso del Mirrty: ho un po’ di parenti rinchiusi lì dentro».
«Per essere una struttura governativa creata per tenere la gente al sicuro, mi sembra non ci riesca un granché» commentò Mike, bevendo un sorso di succo di zucca. «Sembra quasi che vogliano che la gente evada».
Rimasero immobili e in silenzio per qualche secondo, analizzando le parole del ragazzo.
«Nah» disse Sirius dopo un po’. «Non ci guadagnerebbero nulla, solo più gente morta e più lavoro per gli Auror. Quindi più straordinari da pagare e più soldi che se ne vanno dal caveau alla Gringott del Ministero. Non penso sia una genialata».
«A meno che qualcuno non stia manipolando il Ministro per i propri comodi» commentò Emmeline.
Mary sbuffò, divertita. «Non mi starai mica diventando una di quelle che vedono complotti ovunque, vero?».
Emmeline la guardò male e l’amica rise.
«Be’, non è così impossibile» disse James. «Minchum è un idiota e un Purosangue in pieno stile Black – ah, piantala Sirius: lo sai di che parlo –, non penso sarebbe difficile per Voldemort portarlo dalla sua parte».
«E poi?» chiese Lily. «Che se ne fa Voldemort di un manipolo di malati mentali?».
«Quelli non sono solo “malati mentali”» ribatté James. «Sono criminali. Sta’ sicura che un buon novanta percento si schiererebbe più che volentieri con Voldemort, anche solo per il gusto di uccidere».
«E poi la maggior parte delle persone che si trova al Mirrty è esattamente come il tipico Mangiamorte: schizzato e con tanta voglia di fare a fettine qualcuno. Dove credi rinchiudano i seguaci di Voldemort quando li catturano?» fece Mary.
«Non mi meraviglio che gli Auror non facciano progressi, visto che appena catturano qualcuno quello torna libero come se niente fosse» commentò Remus.
«I miei e alcuni loro colleghi stanno cercando di convincere il Ministro a mandare i Mangiamorte a Brackden, ma non li ascolta nessuno» disse James con amarezza.
«Non credo migliorerebbe molto le cose: Brackden non è poi così sicuro» replicò Mary.
«Ma almeno le guardie sono sotto il diretto comando dell’Ufficio Auror» spiegò l’altro con pazienza. «Almeno loro dovrebbero essere dalla parte giusta, per quanto ne so».
«In ogni caso, non credo che Voldemort c’entri con le evasioni dal Mirrty: se avesse voluto intervenire e prendere dalla sua parte i pazienti, avrebbe già provocato un’evasione di massa» disse Lily. «Prenderne un po’ per volta non ha molto senso».
«Invece sì» ribatté Mary. «È difficile controllare una folla di psicopatici tutta insieme. Uno alla volta, invece, può convincerli a entrare nelle sue fila e a fare i bravi soldatini».
«Io sarei più curioso di sapere di cosa si occupa la parte del Mirrty che non viene usata per i pazienti» commentò Mike. «Cosa potrebbe fare un manicomio criminale per il governo?».
«Super-soldati-maghi pronti a combattere per la creazione dell’Impero Magico Britannico?» propose Emmeline, ridendo degli sguardi sconcertati e divertiti che aveva provocato.
«Io vorrei ribadire il fatto che Hamilton sia un mito» disse Mary. «È riuscito a far parlare i Malandrini di roba seria: non è un’impresa da tutti».
«Ma noi parliamo di roba seria!» replicò Sirius, offeso. «Ogni tanto».
Fortunatamente, la cena non venne rovinata dall’argomento tetro che Remus e Lily avevano portato e per il resto della serata il Mirrty Asylum e Voldemort vennero completamente dimenticati. Ben più presente, invece, fu il problema che per Lily rappresentava la ronda. Ancora non era certa se e cosa rivelare a James e l’argomento le era sparito dalla mente fino a quel momento, quindi non aveva pianificato nulla.
Lily era ancora indecisa mentre, nel suo Dormitorio, era distesa sul letto, i capelli rossi che facevano a pugni col copriletto, e aspettava che arrivasse il momento di scendere per la ronda. Di Mike, pensò, forse poteva parlargli. Dopotutto, nonostante l’amnesia, se la stava cavando abbastanza bene, non era impazzita e parlare con lui non era poi così difficile. I problemi c’erano quando ci si riferiva al loro passato: Lily non era più certa di cosa fosse accaduto realmente e chiedere spiegazioni al fratello la spaventava a morte. Parlare delle scritte, invece, era fuori discussione. Con quelle, era sicura che si sarebbe liberato un posto per lei al Mirrty, ed era abbastanza sicura che non sarebbe uscita tanto facilmente.
«Ehm, Lily?» fece Emmeline mentre, seduta a gambe incrociate sul proprio letto, sfogliava distrattamente una rivista babbana.
«Mmh?» mormorò la Caposcuola, senza prestarle particolare attenzione.
«Non avresti dovuto scendere dieci minuti fa?» chiese.
Lily mormorò qualcosa d’indecifrabile, ma Emmeline immaginò fosse qualche imprecazione rivolta a lei.
«E tu perché non sei in Sala Comune?» chiese Lily, alzandosi a sedere e valutando l’idea se raggiungere il neo-collega o darsi malata e posticipare il suo trasferimento in manicomio.
«Aspetto il “via libera” di Mary» rispose la ragazza, arrossendo leggermente e assottigliando le labbra, ricordando molto Lily (che, a sua volta, ricordava la McGranitt).
«Underwood?» chiese la Caposcuola, finalmente alzandosi dal letto e dirigendosi a passo lento verso la porta, mentre una parte di sé ancora lottava per spingerla a fermarsi e tornare indietro.
Emmeline, in risposta, si limitò ad annuire e ad abbassare nuovamente gli occhi sulla rivista.
«Stavo pensando di accettare l’offerta di Sirius e James» aggiunse. Lily, con la mano sulla maniglia, si bloccò per lanciarle uno sguardo di disapprovazione. «Va bene, va bene, non gli dirò nulla. Ora vattene, o James troverà un modo per salire e ti farà scendere lui. E gli darò una mano».
Borbottando nuove parole indistinte, Lily uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Fece un grande sospiro e, infine, si decise a scendere le scale.
James quasi saltò in piedi quando la vide arrivare e Lily notò che, lì accanto, Mike e Remus sembravano piuttosto sollevati che fosse arrivata.
«Ehilà!» salutò allegramente James, come se non avesse aspettato quasi un quarto d’ora.
«Era ora!» sbottò Mike, prima che Lily potesse dire qualsiasi cosa. «James rischiava di avere una crisi di nervi… e noi pure».
«Non è vero!» esclamò James, offeso, mentre Lily arrossiva leggermente. «Siete voi che sembravate impazziti».
«Certo!» replicò Remus, esasperato. «Eri tu a farci impazzire!».
«“Non è che si è scordata? O forse non vuole vedermi? E se si fosse sentita male ed io non posso andare ad aiutarla perché sono troppo occupato a fare il melodrammatico?” Porco Merlino, James! Faresti perdere la pazienza anche a Silente in persona!» gli fece il verso Mike.
James sbuffò e si rivolse alla ragazza.
«Ti dispiace se andiamo?» chiese. «A quanto pare non mi vogliono, qui».
Lily ridacchiò per la stranezza degli eventi e annuì.
Mentre i Caposcuola si dirigevano verso il ritratto della Signora Grassa, la voce di Mike arrivò da dietro le loro spalle: «Vedete di non tornare prima delle due, oppure sarò molto deluso da entrambi».
A suo favore, c’è da dire che non batté ciglio quando la Fattura Pungente di sua sorella gli mancò il volto per un soffio. Il ragazzo si limitò a sfoggiare un sorriso furbo. «Si metteranno insieme prima della fine del mese».
«Ottimo incantesimo» disse James, quando i due furono dall’altra parte del ritratto. «Peccato per la mira, però».
Lily inarcò un sopracciglio e lo guardò con sufficienza. «Per chi mi hai preso? Quello era un colpo d’avvertimento, la prossima volta gli faccio direttamente saltare il naso».
Forse il rapporto con il fratello non stava andando nel migliore di modi (sebbene avessero avuto qualche bel momento) e non avrebbe dovuto essere così acida, ma il sorriso soddisfatto di James sembrava dirle che aveva fatto la cosa giusta.
«Questa è la Lily Evans che conosco» disse lui, incamminandosi verso un corridoio a caso. Lily lo seguì, un po’ sorpresa.
«Che intendi dire?» chiese.
«Be’, ultimamente sei diventata un po’ più… introversa? Te ne stai sulle tue, spesso in silenzio…» rispose, per poi aggiungere frettolosamente: «Lo so che stai passando un brutto periodo con gli incubi e… tutto quello che non vuoi dirci, ma mi mancava questa Lily».
«E, sentiamo, cosa ti mancava di questa me?» chiese la ragazza, non senza un po’ di malizia presa in prestito da Mary. «Attento, però: in base alla risposta la durata della tua vita potrebbe accorciarsi di parecchio».
James rise. «Proprio questo! Mi mancava la Lily divertente, sarcastica, ligia alle regole e sempre pronta a far saltare il naso a chi la innervosisce».
«Hai dimenticato “geniale”» disse lei, cercando di non apparire lusingata dalle parole del ragazzo. Cosa che, fra l’altro, non era mai accaduta prima, nonostante, in sei anni, non fossero mancati complimenti da parte di James Potter.
«Be’, non lo sei poi così tanto» replicò il ragazzo, accelerando un po’ il passo, forse consapevole del pericolo in cui si stava cacciando. Lily rimase interdetta per un attimo, prima di raggiungere il suo ritmo.
«Ah, davvero? E come mai?» chiese, con tutta la modestia del mondo. O forse no.
«Perché non hai chiesto a Tonks di venire a studiare con te e Remus» rispose James, sicuro, lasciando cadere Lily in un baratro di disperazione e sgomento. Trovava incredibile che l’idea non le fosse venuta in mente: sarebbe stato semplicissimo portarla in Biblioteca e, per qualche motivo di cui “si era dimenticata”, volatilizzarsi e lasciare quei due idioti da soli.
«Non ci posso credere» mormorò la ragazza, con occhi spiritati. «Cosa, per Godric, non ho fatto».
«Si vede che non sei una Malandrina» replicò il ragazzo, con una punta malcelata di orgoglio. Era la seconda volta in meno di dodici ore che Lily sentiva quella frase.
«Perché i Malandrini sarebbero esperti di queste cose?» chiese, sarcastica. «Devo forse ricordarti che Sirius è l’unico di voi che ha una ragazza e che è ancora un mistero perché stiano insieme?».
 James sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la bocca e si limitò ad assumere un colorito più acceso. Una parte di Lily le suggerì cosa potesse star pensando il ragazzo e lei arrossì a sua volta. Possibile, si chiese, che due persone che si conoscevano da sei anni (cinque dei quali passati a urlarsi addosso per un motivo o per un altro) arrossissero come dodicenni al primo appuntamento? La parte del “primo appuntamento”, poi, le fece capire che aveva bisogno di cambiare argomento, subito.
«Remus mi ha detto che tu e Mike progettavate qualcosa, oggi pomeriggio» disse. James sembrò sorpreso per un secondo, poi assunse il ghigno malandrino che era marchio di fabbrica suo e di Sirius.
«Regola…».
«Numero sette, sì, lo so» lo interruppe Lily, un po’ delusa.
Il ghigno di James si allargò un poco. «E allora come mai chiedi?».
La ragazza scrollò le spalle. «Ero curiosa».
«Lily Evans, rigido Caposcuola e cacciatrice di Malandrini per eccellenza, è curiosa riguardo ai nostri scherzi?» chiese il ragazzo, sorpreso e divertito.
«Ah-ah! Allora stavate progettando uno scherzo!» esclamò la ragazza, trionfante, puntano un dito verso il petto di James. «Voglio i dettagli».
«Perché, vuoi partecipare?» sbuffò James, sarcastico e un po’ infastidito per l’essersi fregato da solo.
«Forse» disse lei, prendendo il Grifondoro alla sprovvista. «O forse potrei voler sapere chi sono le vittime, così vedo se è il caso di fermarvi oppure no».
«Oh, be’, allora ‘sta sicura che ti dirò tutto» replicò lui, incrociando le braccia e osservandola con aria di scherno. Lily non sapeva con precisione quando si fossero fermati, ma in quel momento erano uno davanti all’altra, con James che sovrastava la ragazza di quasi una spanna.
«Allora farò in modo che Mary estorca le informazioni da Sirius» disse lei con sicurezza, incrociando le braccia a sua volta. «Sai benissimo che Black non resisterà».
James imprecò a bassa voce. «Ma perché devi per forza saperlo? Non puoi semplicemente goderti la sorpresa? Vedrai che ti divertirai anche tu».
«Perché dovrei fidarmi?» chiese, assottigliando lo sguardo.
«Perché… è da un anno che non facciamo scherzi di quel tipo, e non ho… non abbiamo intenzione di ricominciare adesso» rispose, un po’ titubante.
«Okay, mi fido». Lily sorrise e, voltandosi, riprese a camminare per il corridoio. James impiegò qualche secondo per capire ciò che era appena successo, poi trotterellò accanto a Lily, canticchiando qualcosa che somigliava a un inno di vittoria.
Quando terminarono di controllare il Settimo Piano, i Caposcuola di Grifondoro si spostarono ai piani più bassi, senza riscontrare alcun problema. Al Sesto incrociarono Pix che stava cercando di infilare pezzi di armatura a un gargoyle, ma entrambi decisero di lasciarlo in pace: dopotutto non stava facendo nulla di dannoso per gli studenti. Al Quarto, invece, incontrarono un paio di Prefetti di Corvonero che pomiciavano allegramente in uno sgabuzzino (anche piuttosto rumorosamente): Lily li rimproverò e gli ordinò di continuare la ronda, senza togliergli alcun punto, ma le sembrò di sentire James consigliare un posto più appartato ai due; Lily decise di non indagare.
Proprio quando sembrava che tutto stesse andando per il meglio, al Primo Piano, l’argomento venne tirato fuori.
«Ehi, Lily» mormorò James. Lei si voltò a guardarlo, sorprendendosi nel trovarlo imbarazzato.
«Che succede?» chiese la ragazza, avvicinandosi a lui.
«Ecco, non voglio essere scortese o assillarti o altro, ma…» cominciò lui. Sebbene sembrasse non saper continuare la frase, Lily immaginava cosa le avrebbe chiesto. Aspettò, paziente, che il ragazzo continuasse. «Insomma, sai che voglio aiutarti e, anche se adesso sembra tutto normale, so che non è così. So che siamo amici da poco e tutto il resto… ma mi piacerebbe che ti confidassi con me, che mi dessi l’opportunità di aiutarti». Il ragazzo sembrò bloccarsi un attimo, come se stesse pensando a qualcosa, poi arrossì leggermente. «So che posso sembrare ipocrita o presuntuoso o…».
Lily lo interruppe prendendogli una mano e guidandolo con sé verso un’aula in disuso. Fece entrare il ragazzo e richiuse la porta, per poi accendere fiammelle bluastre che galleggiavano nell’aria, illuminando la stanza. Era piuttosto piccola, per essere una vecchia aula: poche scrivanie curiosamente alte erano sistemate al centro della stanza, le sedie poggiate sopra, e, dietro alla cattedra, una vecchia pendola era ferma, segnando le undici e mezza.
«Carine» mormorò James, osservando le luci create dalla ragazza, che prese una sedia e si sedette. James si sistemò sul tavolo, facendo dondolare le gambe a pochi millimetri da terra.
Lily si sfregò le mani, cercando di capire come cominciare. La mano che James le poggiò su una spalla la fece sussultare.
«Ehi, se non vuoi non serve che…» cominciò, interrompendosi sotto lo sguardo scettico della ragazza.
«Ci ho pensato parecchio, su se, cosa e come dirtelo. Alla fine credo di aver capito che un tuo consiglio potrebbe essermi parecchio utile» disse lei.
«Spara» la incoraggiò James.
«Sto avendo alcuni… problemi, diciamo. E non parlo degli incubi, non solo. Hai presente il viaggio sull’Espresso, l’altro giorno, no? Be’, potrei dire che, da quando mi sono risvegliata, mi… sono resa conto della presenza di una certa persona» spiegò lei, rimanendo sul vago. James si mosse un po’ sul posto e Lily capì che le sue parole potevano essere interpretate in un certo modo… «Sto parlando di Mike».
Questo, sicuramente, James non se l’aspettava. Rimase immobile per qualche secondo, osservandola con serietà.
«Scusa?» fece, inebetito. Lei sospirò, alzandosi. Sentiva di aver bisogno di muoversi un po’.
«Ne ho parlato anche con Emmeline e Mary e non abbiamo nessuna idea di come sia possibile. Lui ancora non lo sa ma credo che si farà sempre più insistente e non so come dirgli di farsi gli affari suoi perché questi sono affari suoi e…».
«Ehi, frena, frena!» la interruppe James. Lily lo guardò, mordendosi un labbro quasi a sangue. «Non riesco più a seguirti! Per favore, dimmi, chiaro e tondo cosa c’è che non va».
Lily chiuse gli occhi e fece un bel respiro. Sentì una presenza davanti a sé e, quando li riaprì, vede che James si era spostato di fronte a lei e la guardava, preoccupato.
Come si guarda un pazzo, pensò lei, tristemente. Ma era troppo tardi per tirarsi indietro.
«Mike. Non so chi sia, non ho alcun ricordo di lui». Accadde appena finì di pronunciare queste parole. La campana della scuola risuonò nella notte, in un fracasso che mai aveva udito prima. Il rumore di una seconda campana, più vicina e meno rumorosa, fece voltare la ragazza di scatto. La pendola non era più ferma e le lancette avevano cominciato a girare vorticosamente. All’indietro. Il rumore assordante dei due orologi la spinse a tapparsi le orecchie e, quando tutto cessò, sentiva ancora i rintocchi risuonare nel cervello. Le lancette della pendola segnavano le dodici in punto.
«Cosa diamine sta succedendo?» chiese. Al nulla, evidentemente, perché, voltandosi, vide che James era sparito. Sentì il sangue gelarsi nelle sue vene e sudore freddo scenderle giù per la nuca. Il respiro si mozzò quando le fiamme che aveva generato divennero rosse, illuminando una scritta incisa sulla parete. Corri. Senza pensare, uscì velocemente dall’aula, senza curarsi del rumore (tanto, in ogni caso, la campana aveva già svegliato tutta la scuola).
Quando uscì, inciampò e cadde a terra, strusciando il ginocchio. Non emise, però, nemmeno un piccolo gemito di dolore, tanto grandi erano paura e sorpresa. Sembrava che fosse sorto il sole, ma non la solita stella gialla che brilla ogni giorno nel cielo, bensì un astro rosso brillante, che tingeva le pareti come sangue rappreso. Pareti che ora erano composte da una roccia nera, tagliente e granulosa: non avrebbe saputo dire se somigliasse più a sangue coagulato o a una colonia di un miliardo di scarafaggi. Guardò la porta dietro di sé e la vide di metallo scuro, con delle sbarre che bloccavano una fessura rettangolare posta ad altezza d’uomo, come la porta di una qualche prigione. O di un manicomio.
Cominciò a correre quando vide due mani chiudersi attorno a quelle sbarre. Erano mani dalla pelle bianca e malaticcia, coperte di vesciche e sangue rappreso. Tutto ciò che sapeva era che non aveva la minima intenzione di incontrare e chi appartenessero, che fossero reali o, ora ne era quasi certa, parto della sua mente malata.
Corse senza pensare, diretta verso il Piano Terra, sperando di uscire dalla scuola. Arrivare alle scale fu faticoso e lungo, poiché il pavimento era composto della stessa sostanza delle pareti e questa sembrava trattenerla a terra, rendendo ogni passo complicato e goffo. Ogni tanto, delle scritte comparivano sulle pareti, ma Lily si rifiutava categoricamente di guardarle: temeva cosa avrebbero potuto dirle.
Mentre scendeva le scale (scale metalliche e scivolose, coperte di ruggine), Lily smise di trattenere le lacrime, che cominciarono a sgorgare e ad appannarle la vista. Si passò la manica della divisa sugli occhi, ma sembrava che l’acqua salata non volesse smettere di uscire e, onestamente, alla ragazza non importava poi granché.
Arrivata alla fine della scalinata, Lily corse verso la porta d’ingresso, lottando estenuantemente contro il pavimento. Un paio di volte cadde a terra e alzarsi fu molto complicato. Dei rumori cominciarono a provenire dalle scale alle sue spalle, urla e strepiti lontani. Non capì se fossero frutto della sua immaginazione o altro, ma accelerò il passo, per quanto il pavimento glielo permettesse.
Arrivata alla porta, poggiò le mani sui battenti, grata che almeno quella fosse rimasta normale, e tentò di tirare. Smise non appena questa tremò sui cardini, colpita da qualcosa, all’esterno. Lily camminò all’indietro, mentre la porta continuava a piegarsi sempre di più verso l’interno. Alle orecchie le giunse un verso animalesco, a metà fra un ruggito leonino e una risata di iena.
La ragazza rimase immobile, con gli occhi spalancati dall’orrore, a fissare la porta che veniva colpita dalla pura forza bruta di qualche essere a lei sconosciuto, mentre la sostanza che ricopriva il pavimento le fissava sempre di più le scarpe al terreno. Lily era ferma, in quel mondo sconosciuto senza alcun pensiero nella mente, solo la consapevolezza di non sapere, non sapere cosa fare, dove andare o come reagire, e un immenso terrore che le faceva risuonare il cuore nelle orecchie.
Percepì vagamente le urla che, da dietro, cominciavano ad avvicinarsi un po’ troppo, ma non furono nulla, assolutamente nulla, in confronto all’essere che sradicò il portone dalla pietra, ruggendo sotto il cielo rosso sangue di quello che, si disse, poteva solo essere l’Inferno. E, a quanto pareva, come comitato d’accoglienza aveva ricevuto il Diavolo in persona, a giudicare dal mostro che aveva davanti.
Alto una decina di metri, l’essere aveva il busto da uomo, le gambe caprine e il volto felino. Dietro di esso, una coda di serpente vibrava nell’aria, sibilando e sputando veleno corrosivo. Tutto l’essere era nero come la pece e le mani terminavano in artigli grandi almeno quanto lei. Il mostro ruggì, mostrando le enormi zanne, e Lily cadde all’indietro, come colpita da un’onda d’urto. Sentiva il sudore colarle per il volto e l’aria bloccarsi nella sua gola mentre l’essere si avvicinava, l’intera scuola che tremava ogni volta che gli zoccoli colpivano il terreno.
Lily, finalmente, seppe. Ebbe coscienza di star morendo e la cosa la tranquillizzò un po’: almeno sarebbe scomparsa mantenendo un briciolo di lucidità, cosa che, negli ultimi tempi, era andata bellamente a farsi benedire.
La Grifondoro chiuse gli occhi e aspettò pazientemente che l’essere la prendesse.
«Buonasera» disse una voce, calma e dolce. Lily spalancò gli occhi, sorpresa. Si scoprì seduta su una sedia di legno bianco, più un trono a giudicare dalla splendida lavorazione. Davanti a sé, dietro a un tavolino rotondo e seduto su un trono fatti dello stesso legno, era seduto un ragazzo, forse di un paio d’anni più grande di lei. Tutto il resto, invece, era Nulla. L’universo sembrava essersi ridotto a quelle due persone e al luogo su cui erano sedute. Con tutta l’oscurità che li avvolgeva, le sedie e il tavolino erano quasi accecanti.
«Tè?» chiese il ragazzo, facendo un cenno con la mano. Sul tavolo apparvero due tazze piene di tè fumante, più un bricco di latte, un piattino con delle zollette di zucchero, un vasetto di miele e un calice colmo di fette di limone. Canticchiando a bocca chiusa un motivetto allegro, il ragazzo versò un po’ di latte nella tazza e cominciò a mescolare, sorridendo dolcemente.
Lily sentiva ancora il cuore in gola e non aveva la minima idea di ciò che stesse accadendo, ma decise di stare al gioco. Tutto quello doveva essere un parto della sua mente, non poteva essere altrimenti, quindi prima lo accettava e meglio sarebbe stata. In un certo senso, l’idea la rese più tranquilla: se quella era la sua immaginazione, allora non poteva farsi alcun male.
Osservò il ragazzo dall’altra parte del tavolo. Per l’aspetto, le ricordava un po’ James, sebbene i capelli neri fossero più lunghi e una frangia copriva parte dell’occhio sinistro. Gli occhi, però, che intravedeva dietro le palpebre socchiuse, avevano uno scintillio sinistro. Indossava una lunga giacca bordeaux, finemente decorata in oro, accompagnata da un paio di guanti dello stesso colore; il tutto le ricordava un po’ certe statue di cera che ritraevano uomini di metà Ottocento. Da una tasca sporgeva la catena dorata di un orologio, di cui le sembrava di percepire il leggero ticchettio anche da quella distanza. Poggiato delicatamente sulla testa, c’era un cilindro di seta con un nastro dorato che ne circondava la base. In mezzo al nastro, a sinistra, era stata sistemata una splendida rosa rossa.
«Chi sei?» chiese Lily, non preoccupandosi dell’educazione: dopotutto, quel ragazzo l’aveva creato lei.
«Il mio nome ufficiale è Mad Hatter» rispose, bevendo un sorso di tè. «Ma in genere mi chiamano solo “il Cappellaio”».
«Capisco» mormorò Lily. Dopotutto, non era difficile pensare che una matta come lei avesse creato un Matto per farsi compagnia. «E… dove siamo?».
Il Cappellaio sbuffò, divertito. «E chi lo sa?».
«Come, scusa?» chiese lei, sorpresa.
«Be’, se proprio vuoi una risposta, potremmo dire che siamo ovunque e, allo stesso tempo, da nessuna parte. Anche perché ovunque è da nessuna parte, se ci pensi» disse lui, continuando a sorridere con gentilezza.
«Sul serio?» chiese lei, per nulla convinta.
«Hai mai visto “ovunque”?».
«Ehm… no».
«E pensi che lo vedrai mai?» insistette il Cappellaio.
«No» rispose Lily, pensando che, quando sarebbe stata rinchiusa al Mirrty, al suo risveglio, avrebbe visto ben poco del mondo.
«Quindi l’”ovunque” non è raggiungibile, in quanto nessuno può vedere “tutto”. Per questo, l’”ovunque” non c’è, quindi è “da nessuna parte”» concluse il ragazzo, bevendo un altro sorso. Lily rimase spiazzata per un secondo.
«Ma il mondo esiste, l’universo c’è. Quindi, se l’”ovunque” comprende l’universo, allora l’”ovunque” esiste» ribatté la ragazza, aggrottando le sopracciglia. Non riusciva a capire dove la sua mente volesse portarla: dopo l’incontro con un mostro alto tre piani non aveva la forza di fare ragionamenti così complicati.
«Ma l’universo è in continua espansione, ogni volta che penserai di aver visto “tutto” ci sarà sempre dell’”altro” ancora da visitare».
«Questo significa solo che “ovunque” è infinito, non che non esista!».
«In quest’universo ogni cosa esiste solo se ne è presente l’opposto. La luce crea l’oscurità e viceversa, il caldo esiste perché c’è il freddo e viceversa. Se l’”ovunque” fosse infinto, allora non esisterebbe “da nessuna parte”. Ma, secondo il principio precedente, se il “da nessuna parte” non esiste allora neanche l’”ovunque” esiste, poiché è impossibile definire qualcosa senza conoscerne l’opposto».
«E allora? Questo vuol dire che sarai sempre da qualche parte ed è impossibile non esserci».
«E tu, in questo momento, dove credi di essere?» chiese il Cappellaio, con un sorriso furbo. Lily arrossì per l’irritazione.
«È quello che ti ho chiesto due minuti fa!» replicò.
«Be’, sei in un luogo che è “ovunque”, prendendo in considerazione quest’universo, e “da nessuna parte”, prendendo in considerazione il tuo» spiegò l’altro, aggiungendo dello zucchero al tè che, benché fosse stato bevuto, riempiva ancora la tazza.
«Che vuol dire?» chiese Lily, cominciando a non capire più nulla.
«Come hai detto tu, una persona c’è sempre, pertanto è perennemente nell’”ovunque”. Qui, inoltre, il concetto ha ancora più sfumature, poiché lo spazio e il tempo possono variare a piacimento. Per di più, questo posto non è quello da cui provieni, quindi, riferendoci a quel luogo, noi non siamo “da nessuna parte”» rispose il Cappellaio. «Forse può sembrarti un po’ complicato da capire, ma ci arriverai. È un posto strano, il Paese delle Meraviglie».
«Il “cosa”?» fece la ragazza, sempre più confusa.
«Oh, è come lo chiamo io, ma ha molti nomi. Prigione, Manicomio, Abisso, Altromondo, Inferno… a me piace chiamarlo così, Paese delle Meraviglie. Molto più poetico, non trovi?» chiese il Cappellaio, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Ehm… sì, certamente» rispose Lily, un po’ a disagio. La conversazione stava prendendo una piega che non la convinceva affatto. Il Cappellaio ridacchiò.
«Direi che è ora di passare al motivo per cui ti trovi qui, non sei d’accordo?» chiese il ragazzo, prendendo una zolletta di zucchero e ingoiandola intera. «Sei stata cattiva, lo sai, Lily Evans?».
Lily non si sorprese che conoscesse il suo nome, dopotutto lo aveva creato lei.
«E cosa avrei fatto?» chiese la ragazza, anche se in cuor suo conosceva la risposta.
«Non parlare. Non più» recitò il Cappellaio, diventando improvvisamente serio. «Era un messaggio semplice e facile da comprendere, cara. Mi ci sono impegnato: dopotutto è difficile entrare in contatto con il vostro mondo senza un ospite e non avevo tempo per cercarne uno. Credevo che, comunque, il messaggio avrebbe fatto effetto. Invece, eccoti lì, pronta a raccontare tutto al primo ragazzo che ti fa gli occhi dolci». Il Cappellaio sospirò, come se fosse davvero dispiaciuto e Lily sentì il proprio respiro diventare più affannoso. Sentiva la paura prendere nuovamente il controllo del suo corpo. «Sai, credo che dovrò prendere provvedimenti. Mi dispiace tanto, sei una così brava ragazza, ma devi imparare a tener chiusa la bocca». Il Cappellaio si alzò dalla sua sedia e Lily tentò di fare altrettanto, scoprendo con orrore che non riusciva a muoversi. Quando la ragazza alzò nuovamente lo sguardo, l’altro era sparito.
«Sono qui» la voce, dura e tagliente, venne pronunciata proprio accanto al suo orecchio. Una mano coperta da un guanto rosso smorzò velocemente l’urlo che la ragazza aveva lanciato. Il Cappellaio le sussurrò all’orecchio di fare silenzio e non muoversi. Lily ubbidì, tremando per il terrore. Vide, con la coda dell’occhio, il riflesso di una lunga lama che le passava proprio accanto al collo. Dopo un istante percepì il freddo metallo sulla pelle e dovette resistere all’impulso di ritrarsi.
«Ecco, vedi?» sibilò il Cappellaio. «Sei bravissima a ubbidire, hai solo bisogno… del giusto stimolo. Bene, vorrà dire che provvederò a dartelo». Lily sentì il fiato del Matto sul collo. «Sai, quasi mi dispiace per quel ragazzo: era quasi riuscito a farti innamorare di lui, e ora non potrai dirgli più nulla. Oh, be’, se è così che devono andare le cose, chi sono io per discutere?».
Il Cappellaio inclinò la lama e, per un breve istante, Lily vide il suo volto riflesso nell’acciaio e i suoi occhi dorati che la osservavano, divertiti e maligni. Poi, Mad Hatter passò la spada sul suo collo.

Lily si alzò di scatto a sedere, ansimando e portando istintivamente una mano sulla gola. All’improvviso, delle mani le cinsero le spalle, facendola sobbalzare dal terrore, e tentarono di spingerla nuovamente supina. Credendo che fosse di nuovo il Cappellaio, Lily spinse via persona che la stava tenendo. James arretrò, alzando le mani e osservandola con un’espressione fra il preoccupato e il ferito, gli occhiali che pendevano da un lato. Il ragazzo le disse qualcosa che non riuscì a sentire: il cuore le batteva così forte da tapparle le orecchie.
Lily si guardò intorno, sorpresa e con il fiato corto. Era sdraiata su un letto di un candore abbagliante e, riconosciuto quello, non fece fatica a capire di trovarsi nell’Infermeria. La professoressa McGranitt si stava avvicinando di corsa insieme a Madama Chips. James, accanto a lei, non muoveva un muscolo, osservandola come si fa con un cucciolo ferito… o una fiera pericolosa.
La ragazza era troppo confusa per capire cosa stesse accadendo: recepì a malapena le parole di conforto delle due donne e capì troppo tardi che ciò che Madama Chips le stava facendo bere era una Pozione Soporifera. Lily non avrebbe voluto riaddormentarsi, aveva troppa paura di rincontrare Mad Hatter nel Paese delle Meraviglie, ma la pozione sconfisse la volontà e, in pochi istanti, sentì i propri occhi chiudersi.
L’ultima cosa che il suo cervello registrò fu un particolare nei capelli di James: nel bel mezzo del nero corvino, una fiamma rosso sangue brillava alla fioca luce delle lampade. Un petalo di rosa. Un particolare troppo strano per essere casuale. Seppe con certezza da dove quel petalo proveniva: dalla rosa sul cappello di Mad Hatter.
Mentre si addormentava, capì il senso delle ultime parole del Cappellaio e il significato del petalo.
«Sono qui. Non parlare. Non più».





*Okay, ammetto di non sapere se le colazioni a Hogwarts prevedano anche torte o altro… A me piace pensare di sì, quindi consideriamola una sorta di licenza poetica, okay?!



Hello guys!
Finalmente, dopo secoli, sono riuscito a concludere il capitolo! Yay!
Chiedo scusa per il ritardo, ma la scuola prende ogni briciola di tempo, non trovo quasi più momenti per leggere, figuratevi per scrivere. Ho dovuto aspettare una mini-vacanza per poter concludere (mi sono riuscito a fare 7 pagine in 4 ore, e credo si veda dal casino che ho scritto...) e ignorare la verifica di Fisica e le interrogazioni di Biologia per potermi trovare un po' di tempo. Be', spero che almeno quei due 4 che prenderò ne siano valsi la pena! (Chissà se la fanfiction potrebbe valere crediti a scuola... temo di no, ma potrei controllare).
Oh, be', dopo aver fatto causa a Crono per aver portato via tutto il Tempo utile, direi che posso parlare del capitolo, che è... un capitolo, credo di aver poco da aggiungere. Come avete potuto leggere, si può dire che, finalmente, la fanfiction è iniziata. Il personaggio di Mad Hatter è stato ed è colui che dà più filo da torcere a Lily, iniziando il suo piano malefico con scopi più o meno (più "meno" che "più") chiari. So che il capitolo è piuttosto confusionario (si passa da un argomento all'altro rapidamente e penso sia un po' difficile capirci qualcosa) e contorto, ma vi chiedo di prestarci particolare attenzione, perché, probabilmente, sarà uno dei più importanti di tutta la storia. Per quanto riguarda il dibattito filosofico fra il Cappellaio e Lily... Si vede che quella parte l'ho scritta ieri a mezzanotte, vero?
Non credo di aver altro da aggiungere... Tutto ciò che ci sarebbe da dire sarebbe spoiler, e quello non va bene!
Passo, quindi, ai più che dovuti ringraziamenti.
Voglio ringraziare Aregilla, Deek, Marty Evans e Selene Potter93 per aver inserito la storia fra le seguite e Fenice25 per averla inserita fra le seguite, le ricordate e le preferite (wow... sul serio?). Ma, più di tutti, voglio ringraziare 16th e cat_princesshp per le loro recensioni incoraggianti e che mi riempiono di soddisfazione. Grazie, davvero, a tutti voi. Sì, okay, mi sembra giusto: grazie anche ai numerosi lettori silenziosi!
Rinnovo l'invito a lasciare una recensione a questa storia, anche breve, per farmi sapere cosa ne pensate, se crediate che tutto stia andando a farsi friggere o se trovate che, dopotutto, un po' di sano sovrannaturale/horror ci stia nel mondo magico di un (ricordo) universo parallelo.
Non so se durante le vacanze di Natale riuscirò a scrivere un nuovo capitolo (credo che mi concentrerò sulla mia altra fanfiction, più impegnativa e che richiede più concentrazione), ma spero di farcela.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Con affetto,
hufflerin
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Luke_White