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Autore: RinsWorld    30/12/2014    0 recensioni
Cassie Cole è come un’inutile bambola rotta. Ha solo bisogno di qualcuno che raccolga i suoi pezzi e li rimetta assieme, ha solo bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei e che le insegni a lottare, a vivere nuovamente.
ATTENZIONE: TEMATICHE DELICATE!
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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CHAPTER ONE
Li sentiva eccome gli sguardi che le lasciavano i suoi compagni di scuola una volta varcatone il cancello. Non sapeva come interpretarli, si sentiva solamente al centro dell’attenzione. Ciò la spinse ad abbassare lo sguardo e a guardarsi la punta delle Converse consumate e logore che una volta dovevano essere state bianche.
In quella maledettissima scuola erano tutti dei curiosi, pronti a captare ogni singolo scoop e farne diventare un pettegolezzo e lei era come carne fresca in una gabbia di leoni. E, purtroppo, sapeva anche il motivo del tanto improvviso interesse verso di lei.
Giusto ieri era appena uscito dal carcere Logan Bennet, dopo quasi 5 anni di prigionia. Era stato accusato di aver ucciso Adam Cole, fratello di Cassie, in una lite tra bande; tuttavia la settimana prima in un’udienza la polizia ha presentato una prova che a quanto pare sembrerebbe scagionarlo. Naturalmente i giornali non avevano fatto parola di cosa era realmente quella prova, rimanendo sul vago.
Sospirò lievemente mentre attraversava il cortile della scuola sotto lo sguardo di tutti.
Logan non era solo il compagno di gang di Adam, ma anche il suo migliore amico.
Si ricorda bene, Cassie, dell’allegria che la prendeva quando la lasciavano uscire con loro, ma si ricorda anche dei pomeriggi in cui Logan passava a casa loro, quando i loro genitori erano fuori, e che i due spendevano davanti alla televisione oppure in camera di Adam. Si ricorda di essere arrivata ad ammirare e invidiare la loro amicizia. Si ricorda, perfino, di quando a 11 anni si era presa una cotta per il migliore amico di suo fratello.
E lei lo sapeva che Logan non avrebbe mai fatto del male a suo fratello, non era mai stata convinta che fosse lui il colpevole. Li conosceva bene, tutti e due. Erano come fratelli, si volevano bene, si guardavano le spalle a vicenda e di certo sarebbero stati disposti a sacrificare l’uno la vita per l’altro. Quei due riuscivano sempre a ripigliarsi a vicenda, erano come il cielo e la terra: ben distinti se li guardi da vicino, forti, solidi, ma si sarebbero sempre uniti all’orizzonte. Non poteva esserci un confine tra loro due se non c’era una fusione. Erano così solidi perché ognuno aveva l’altro a sostenerli, perché sapevano che più proseguivano per la loro strada più si sarebbero trovati. Così come la terra insegue il cielo e viceversa, per poi incontrarsi nella linea infinita dell’orizzonte.
Cassie camminò fino alla classe di biologia e s’intrufolò dentro cercando di non essere notata e riuscì a sedersi nell’angolo infondo vicino alla finestra senza attirare l’attenzione di nessuno e pronta per le due ore di biologia.
Riuscì a stare attenta solo per i primi dieci minuti, contati dall’orologio appeso sopra la lavagna, poi si soffermò a guardare i suoi compagni. Osservava la classe dall’angolino più remoto della stanza, come se forse uno spettatore. Guardava i suoi compagni, i loro comportamenti e il loro stile. Cercava di leggerne la personalità e mentre faceva questo si rese conto di quando grigiore aveva attorno a lei. Tutti quei ragazzi erano l’uno la fotocopia dell’altro, non ce n’era uno che si distingueva per una spiccata originalità. Erano tutti grigi. Erano automi che calzavano modelli dettati dalla società, che ogni mattina si svegliavano vuoti in attesa di immergersi in un’altra noiosa routine. Erano diventate sagome vuote: fotocopie che non pensavano ma che erano state create solo per copiare, per l’appunto, ed erano state fatte di carta, perché la carta è un materiale debole, un materiale che puoi gettare via facilmente e talmente leggero che con un solo soffio di vento poteva volare via. E i ragazzi che la circondavano in quell’aula erano la carta. Bastava una piccola parola messa o omessa in un determinato punto a farli strappare e a ridurli in mille pezzettini, bastava un qualcosa in più che mollavano tutto e andavano dove avevano più convenienza ad andare. E ciò non si limitava certo ai giovani: ogni singolo essere di quella città era completamente e totalmente grigio, vuoto. Viveva di abitudini.
Se Cassie dovrebbe auto-associarsi un colore sceglierebbe il nero. Non perché sia diversa da loro: anche lei era vuota, anche lei viveva di abitudini che la rendevano sicura. Ma lei aveva già vissuto. Cassie era già cresciuta troppo in fretta. Era stata contaminata dall’aggressività di suo padre ancora quando era piccola, e lentamente quel colore grigio si era sempre più scurito sino a diventare nero. Il nero è un colore forte e che il più delle volte passa inosservato, non spicca come il giallo canarino o il fucsia. Se passa una persone nera semplicemente non te ne accorgi. E ciò era davvero un gran peccato perché di solito, le persone nere sono quelle che hanno di più da raccontare.
Le due ore le scivolarono addosso, come le altre sei rimanenti. Così si ritrovò a vagare per i corridoi della scuola con destinazione il suo armadietto. Aveva appena svoltato a sinistra quando la figura di Chelsea Robbins le si parò davanti con la sua canotta decisamente troppo fucsia, abbinata allo smalto, i suoi jeans decisamente troppo stretti, i suoi stivaletti in camoscio con qualche centimetro di tacco, che erano strati creati decisamente per produrre rumore ad ogni passo piuttosto che per renderla più alta. Anche perché era già un metro e settanta senza tacchi, si: un metro e settanta di pura perfidia.
“Oh… la piccola Cole” qui Cassie alzò gli occhi al cielo preparandosi a sentire l’ennesima stronzata che quella stronza avrebbe sparato che tuttavia non arrivò. Non arrivò perché tutta l’attenzione, compresa quella di Miss Grattacielo, era stata catturata da una delle tante risse da corridoio di quella scuola. Cassie sospirò e continuò il tragitto verso il suo armadietto.
Una volta fuori dall’edificio si ritrovò a percorrere il cortile e riuscì a vedere una macchina che stonava decisamente troppo nel parcheggio del London Institute. Quest’ultimo era una scuola pubblica frequentata per lo più da ragazzi delinquenti e non di certo da ricchi figli di papà, quindi non capiva cosa ci faceva una Lamborghini grigia metallizzata lì.
A quanto pare la macchina non aveva attirato solo l’attenzione della ragazza, ma anche quella della maggior parte dei frequentanti dell’istituto che ci ronzavano attorno come mosche. Fece per fare le spallucce e tirare dritto quando intravide una figura dietro il parabrezza. Gli occhiali scuri calati sugli occhi, eppure riusciva a sentire lo sguardo sulla sua pelle. Uno sguardo che le fece venire i brividi. Ma lei era il nero, il nero era forte. E, c’era da aggiungere, tremendamente incosciente. Per ciò si avvicinò sempre di più a quella vettura fino ad essere a circa due metri dal cofano e si fermò lì. Inclinò leggermente la testa per cercare di capire meglio chi c’era in quell’abitacolo. Strinse nervosamente la spallina della tracolla che le scendeva nel fianco destro.
La figura fece un ghigno decisamente poco rassicurante e le fece cenno con una mano di salire a bordo. Cassie strinse ancora più la tracolla per poi lasciare la presa. E si avvicinò alla sportella del passeggero, ma non la aprì. Sentiva su di se gli occhi di tutta la scuola, perciò tentò di temporeggiare la sua decisione. Sapeva che però essa sarebbe giunta presto. E, a suon malgrado, sapeva anche qual era. Conosceva bene la sua curiosità, la sua testardaggine e il suo coraggio. E sapeva dove l’avrebbero portata.
Così decise di non portare oltre quel supplizio e entrò in quella macchina che partì portandola fuori dal parcheggio della scuola.
Cassie guardò dal finestrino la sua scuola diventare sempre più piccola sino a sparire dalla sua visuale. Solo allora si voltò verso chi era al volate. Il ragazzo aveva la pelle leggermente abbronzata e i capelli neri che portava scompigliati sul capo, il sorrisetto che gli aveva visto in precedenza era stato sostituito con un’espressione concentrata: zigomi tesi, delle leggere rughe sulla fronte e i denti che masticavano il labbro inferiore. “Così Cassie Cole, eh…” disse il ragazzo alla guida trattenendo un sorrisetto sentendosi osservato. La ragazza fece un semplice cenno del capo per poi voltarsi a guardare la strada davanti a lei. Si sentiva leggermente irrequieta, come se non potesse mai abbassare la guardia, come se non bastasse il fatto di non sapere chi fosse lui e di non avere la minima idea di dove la stesse portando, il paradosso di tutta la vicenda è che era stata lei di sua spontanea volontà a salire su quella vettura. Certo che se l’avrebbe rapita e portata in un altro continente non le sarebbe dispiaciuto.
“Ti sto riportando a casa, se te lo stessi chiedendo.” Le disse il moro come se avesse letto i suoi pensieri. La ragazza fece un altro cenno con il capo, per far capire che avesse compreso la sua frase.
Non parlava molto Cassie. E lei stessa non riusciva a comprendere perché le parole non le uscissero dalla bocca, con alcune persone. Tentava di darsi spiegazioni inutili come il fatto che era un modo per non ammettere la realtà, oppure che fosse un modo per autopunirsi di chissà che crimini, oppure ancore che certa gente non era degna che lei gli rivolgesse la parola, o ancora che voleva essere capita. Più spiegazioni si dava più nella sua testa lampeggiava la parola ‘cazzata’.
“Non sei una persona di molte parole noto, allora dovremmo trovare un modo alternativo per comunicare come per esempio… un battito di mani per il no e due per il si, ti può andar bene?” aveva una voce particolarmente calda e calma che la fece sospirare. Batté due volte le mani. “Allora piccola Cole, hai paura?” il singolo battito di mani arrivò a dire che lei non aveva paura. Ed era vero. Aveva tutti i suoi sensi in allerta, ma non aveva paura. La paura lei la conosceva bene, ed era a prova di bomba.
Un sorrisino divertito si formò sulle labbra del guidatore, mentre svoltava a sinistra. Casa Cole non era troppo lontana dalla scuola, così ancora qualche minuto e quel viaggio sarebbe terminato. Riusciva già a scorgere il vialetto di casa sua, tuttavia la macchina passò oltre la casa e andò a finire la sua corsa parcheggiata nel discount a pochi metri dalla sua abitazione. Solo a quel punto il ragazzo si voltò e per la prima volta Cassie riuscì a vedere il suo volto che le parse terribilmente familiare. Si tolse gli occhiali scuri che le impedivano di vedere i suoi occhi. Il respiro della ragazza si fece pesante. Perché dentro quegli occhi color azzurro pastello riuscì a rivedere Adam Cole, lo rivide per la prima volta vivo. Logan, perché quello era Logan ne era certa, se ne stava sporto verso di lei con un sorrisetto divertito.
Ma di divertente per Cassie c’era ben poco.
Rivederlo era stato come un tutto nel passato. I ricordi erano una bestia troppo potente da poter affrontare se non si è almeno un po’ preparati.
Tentò di regolarizzare il respiro che tra l’altro non si rese conto di aver accelerato. La prima cosa che gli venne in mente fu di picchiarlo. E così fece. Gli tirò uno schiaffo in pieno viso. Lo schiocco di quel ceffone la fece calmare un po’.
Forse non era così vuota come si aspettava

Uhhh che bello, rivedo la luceee. Okay, no. Sapete: andare male a scuola richiede un particolare impegno che mi porta a non aggiornare più tanto frequentemenete… come se l’avessi mai fatto… uhm…
Vbb, volevo solo ringraziarvi, dato che state dietro a questa storia, che per voi potrà essere l’ennesima noiosissima storia della sfigata che ha una famiglia che va a catafascio e del super eroe figo che arriva e sistema tutto. Non sarà così.
Cate_dicarneedicarta.

   
 
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