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Autore: LindaBaggins    04/01/2015    6 recensioni
Fu sorpreso del lucchichío di determinazione nei suoi occhi, e ancora di più della fermezza della sua voce quando parlò:
«Hai in casa tredici nani esausti, bagnati fradici e, con molta probabilità, affamati. Mi sembra che tu abbia bisogno di aiuto.»
[...] Bard sospirò e non riuscì a fare altro che fissarla senza dire nulla. Ana lo guardava con il più rassicurante dei sorrisi, e il primo, bizzarro pensiero che gli attraversò la mente fu che quel giorno, con il naso arrossato dal freddo e quel piccolo ciuffo di capelli castani che spuntava dal berretto, era particolarmente bella.

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Ana e Bard si conoscono da sempre, ma tra loro non c'è mai stato altro che amicizia. Ma l'arrivo in città della compagnia di Thorin Scudodiquercia porterà un certo scompiglio, e molte cose non saranno più come prima ...
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bard, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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LA RAGAZZA E L’ARCIERE
 

I.

Ana strizzò gli occhi alla tenue luce della candela e fletté le dita della mano destra con uno sbuffo di fastidio. Sebbene l’inverno non fosse ancora ufficialmente iniziato – l’ultimo giorno d’autunno sarebbe stato proprio l’indomani – le giornate si stavano facendo sempre più fredde, e il sole riusciva a malapena, con la sua fioca luce, a scalfire la spessa coltre di nebbia che ormai da settimane avvolgeva Pontelagolungo. Sulla superficie del fiume Anduin galleggiavano già grossi pezzi di ghiaccio, e non appena il pallido disco del sole spariva dietro l’orizzonte il fiato cominciava a condensarsi in piccole nuvolette. Soltanto all’interno delle case, accedendo fuochi e avvolgendosi in spesse coperte di lana, si riusciva a trovare un po’ di sollievo dal freddo umido che ti entrava nelle ossa, ma spesso e volentieri queste precauzioni erano a malapena sufficienti, dato che alla maggior parte della popolazione mancava ciò che era più indispensabile ad affrontare le stagioni fredde: il cibo.
Ana cercò di ignorare le mani gelate e doloranti, che le impedivano di maneggiare l’ago con la destrezza per la quale era famosa in tutta la città, e di concentrarsi sul lavoro che aveva davanti. Doveva assolutamente finire di rammendare quei vestiti entro la mattinata, così avrebbe potuto riconsegnarli ai legittimi proprietari e, con un po’ di fortuna, avrebbe racimolato abbastanza denaro da mettere insieme una cena decente per lei e per i suoi genitori.
Il suo stomaco produsse un buffo e sordo brontolio che, nel silenzio della loro piccola casa di legno, le sembrò echeggiare come un tuono. Strinse le labbra e si dedicò con maggiore foga al suo compito, facendo del suo meglio per sgombrare la mente. Nemmeno la rabbia l’avrebbe aiutata a concentrarsi, questo era poco ma sicuro. Aveva imparato ormai da tempo, come del resto quasi tutti gli abitanti di quella città, a chinare la testa e accettare le cose così com’erano, cercando di tirare avanti come poteva, anche se il disgusto che provava per la situazione di Pontelagolungo cresceva dentro di lei ogni giorno di più.
C’era stato un tempo in cui quella città non era stata solo case fatiscenti, puzza di pesce e gente affamata. Ana e la maggior parte della gente di Pontelagolungo non poteva averlo visto con i propri occhi, ma le storie che si raccontavano a proposito della vecchia Esgaroth parlavano di maestosi e splendenti edifici, commerci fiorenti, ricchezza, prosperità e, più di ogni altra cosa, giustizia. Ricordava che da bambina, quando i suoi nonni e gli altri anziani della città rievocavano davanti al fuoco quei giorni felici, sgranava gli occhi e si beveva ogni parola, fantasticando su come sarebbe stato uscire dalla porta e scoprire che tutto a un tratto il grigiore e la bruttura erano spariti. Che cosa era rimasto di quei tempi lontani?, rifletté amaramente Ana facendo entrare e uscire l’ago dall’orlo della sottana che teneva adagiata sule ginocchia. Soltanto un Governatore grasso e meschino che pensava esclusivamente ai propri interessi, chiudendo gli occhi di fronte alle difficoltà della sua gente, e una popolazione troppo stanca e affamata per tentare di ribellarsi.
Sospirò profondamente. Quasi si vergognava di quanto, ultimamente, la sua rabbia fosse rapida a scemare e a trasformarsi in rassegnazione. Se molta più gente avesse dato sfogo al suo malcontento, invece che continuare a reprimerla in nome dell’istinto di sopravvivenza e dell’inerzia, forse …
Dei forti colpi di tosse arrivarono dalla stanza adiacente a interrompere i suoi pensieri e a distrarla per un attimo dal lavoro di rammendo.
«Arrivo tra un attimo, mamma» disse ad alta voce, girando appena la testa verso sinistra. Dette un altro paio di punti alla sottana e si alzò, deponendo il lavoro sulla sedia di paglia quasi del tutto sfondata. Mentre versava dell’acqua da una brocca di peltro sbirciò distrattamente oltre il vetro della piccola finestra della cucina. La nebbia si era infittita, e a giudicare dal modo intirizzito con cui le persone si aggiravano alla spicciolata per le stradine e i ponti della città, anche il freddo doveva essere aumentato. Si augurò che suo padre fosse ben coperto, e ringraziò il cielo che il suo turno di guardia ai cancelli della città fosse quasi terminato.
«Ecco qua» disse pochi secondi dopo, entrando nella stanza accanto con in mano un bicchiere. «Ti ho portato dell’acqua.»
La camera da letto dei suoi genitori, piccola come tutte le altre stanze della casa, era avvolta nella penombra. L’unica fonte di luce era il fuoco che scoppiettava senza troppa convinzione nel camino, gettando ombre tremolanti su ogni cosa. Sua madre, distesa sul letto sotto vari strati di coperte e con la schiena appoggiata ad un cuscino, la accolse con un debole sorriso.
«Grazie, cara» disse con voce fioca, allungando le mani verso il bicchiere che la figlia le porgeva. Bevve avidamente ma con difficoltà, mentre Ana gettava un altro pezzo di legno nel fuoco (“Uno degli ultimi”, constatò abbattuta) e ravvivava il fuoco con l’attizzatoio.
«Come va il lavoro?» le domandò sua madre dopo aver poggiato il bicchiere vuoto sul comodino. «Tuo padre mi ha detto che ti hanno dato diverse cose da rammendare.»
«Ho quasi finito. Devo soltanto dare gli ultimi punti alla sottana di Hilda, e poi potrò uscire per le consegne» rispose Ana. Si stupì della nota di allegria e soddisfazione che avvertì nella propria voce. Era un modo per non preoccupare sua madre e non farle pesare le difficoltà che doveva affrontare ogni giorno, certo, ma era anche un segno del piacere con cui, a dispetto del freddo, della fame e dei pochi guadagni, svolgeva le sue occupazioni. Immaginava di dover ringraziare sua madre, per questo: quella del cucito, più che un lavoro, era una vera e propria passione tramandatale da Miriel, che prima di ammalarsi e vedere la sue mani ridursi ad estremità gonfie, nodose e pressoché inservibili, era stata la sarta più abile della città.
«Vorrei tanto aiutarti a fare qualcosa, Ana» sussurrò mortificata, fissandosi le mani abbandonate sulla coperta con espressione amara. «Vorrei esser ancora in grado di maneggiare un ago.»
«Non pensarci, mamma. Io e papà ce la caviamo benissimo, lo sai» rispose Ana dolcemente, sistemandole le coperte. Era una mezza bugia, ma sua madre stava già abbastanza male senza che dovesse venire a sapere quanto, effettivamente, lei e suo padre faticavano a garantire una vita dignitosa alla loro famiglia. «Tu, piuttosto, come ti senti?»
«Abbastanza bene, come sempre» sorrise Miriel rivolgendole uno sguardo pieno di tenerezza e riconoscenza. Ana la scrutò di sottecchi. Anche quella di sua madre era una mezza bugia, lo sapeva bene. Il suo viso, già di per sé molto pallido, sembrava quasi cereo illuminato fiocamente dal bagliore del fuoco. Negli ultimi giorni, complici il freddo e il cibo sempre più scarso, era peggiorata sensibilmente, ma non l’avrebbe mai ammesso davanti a sua figlia e a suo marito. D’altronde, pensò Ana senza riuscire a trattenere un moto d’orgoglio, da qualcuno doveva pur aver ereditato quella sua tendenza a mostrarsi forte anche nei momenti più duri, a rifiutarsi di far pesare agli altri le proprie difficoltà.
Proprio in quel momento sentì la porta principale aprirsi con un cigolìo e richiudersi subito dopo con un lieve tonfo.
«E’ tornato papà» annunciò a Miriel, finendo di rimboccarle le coperte. «Tornerò da te più tardi. Cerca di dormire un po’, nel frattempo. Hai gli occhi stanchi.»
Le rivolse un rapido sorriso rassicurante e tornò nella stanza accanto, dove Percy, suo padre, stava appendendo berretto e cappotto al gancio di ferro vicino alla porta. Ana gli si accostò per salutarlo con un bacio sulla guancia.
«Ciao, papà.»
«Buongiorno, cara. Come sta tua madre?»
«Non troppo bene, temo» rispose Ana evitando il suo sguardo. «E’ pallida, e questa mattina ha tossito più del solito. Le mani sono particolarmente gonfie.»
Percy sospirò e si massaggiò stancamente le palpebre chiuse con le dita, poi depose una rapida carezza sulla guancia della figlia e sparì per qualche minuto nella sua camera da letto, a salutare Miriel.
Quando riapparve, Ana era seduta di nuovo sulla sedia di paglia e aveva ripreso sulle ginocchia il lavoro di rammendo. Gli rivolse una rapida occhiata, e scorse sul suo viso segnato dalla fatica e dalle rughe un’espressione tirata.
«Ti ho lasciato un po’ di stufato al caldo nella pentola» lo informò, vedendolo avvicinarsi alla cucina.
«Oh, bene» rispose suo padre, prendendo la pentola e poggiandola sulla tavola accanto ad una scodella  e ad un cucchiaio di legno. «Tu hai già mangiato, spero. Ti avevo detto che non dovevi aspettarmi.»
«Certo» mentì Ana, senza alzare lo sguardo dall’ago che entrava e usciva dall’orlo della sottana. In realtà si era fatta bastare solo qualche boccone di stufato per lasciare la sua razione alla madre, sempre più debole ogni giorno che passava, ma non voleva che nessuno dei suoi genitori lo scoprisse. Si sarebbero arrabbiati, non volevano che soffrisse la fame per loro.
«Qualche novità dal turno di notte?» domandò al padre, per sviare il discorso su un terreno più sicuro e alleggerire l’atmosfera.
Percy si abbandonò sulla sedia con un gemito esausto. Era ancora forte, per la sua età, ma quando si avvicinava la stagione fredda le ossa cominciavano a fargli sempre più male.
«E’ stato tutto abbastanza tranquillo» rispose cominciando a versarsi lo stufato nel piatto con l’aiuto di un mestolo. «Beh, perlomeno fino a un paio di ore fa.»
«Perché, cosa è successo?» domandò Ana incuriosita.
«Oh, c’è stata una piccola scaramuccia tra Bard e quel viscido verme di Alfrid» spiegò suo padre con la bocca piena. «Diciamo che la solita consegna di barili vuoti dal Reame Boscoso di Bard, questa volta, non era poi così vuota. Lo hanno beccato con del pesce di contrabbando. Io ero già pronto a farlo passare, puoi immaginartelo … lo sa il cielo, se questa città ha bisogno di cibo in più … ma proprio in quel momento è arrivato Alfrid, ed era sul punto di rovesciare i barili e buttare a mare il pesce. Stavo quasi per sentirmi male, al pensiero di tutto quel ben di dio che andava sprecato, ma fortunatamente Bard è riuscito a fermarlo in tempo e a convincerlo a farlo passare.»
Ana, che pur ascoltando attentamente non aveva smesso di lavorare, si lasciò sfuggire un piccolo sorriso all’angolo della bocca. Avrebbe dato volentieri la sua razione di stufato di una settimana, per vedere la faccia di Alfrid in quel momento. Non aveva dubbi che Bard fosse riuscito a sistemarlo a dovere.
Bard.
Bard, l’uomo più benvoluto di tutta Pontelagolungo, probabilmente l’unico che avesse il coraggio di opporsi ai soprusi e alle ruberie del Governatore e dei suoi accoliti, e proprio per questo malvisto e guardato con ostilità dalle autorità cittadine. Era anche un vecchio amico famiglia, forse il più stretto che suo padre potesse vantare, malgrado la forte differenza d’età tra i due uomini. C’era sempre stato un forte rapporto di affetto e aiuto reciproco tra le loro famiglie, e dopo che, qualche anno prima, sua madre era stata costretta a letto dalla malattia, Bard non aveva mai mancato di venire loro in soccorso con cibo, denaro o generi di prima necessità, quando aveva potuto. L’ammirazione e la riconoscenza che Ana provava per lui erano difficili da descrivere a parole, e sentire che, ancora una volta, era riuscito ad avere la meglio sul lacchè del Governatore le gonfiò il petto di feroce soddisfazione.
«Devo giusto andare a casa sua per riconsegnare dei vestiti rammendati» disse Ana in tono divertito. «Appena lo vedrò mi congratulerò con lui. C’è talmente poco di cui sentirsi soddisfatti, di questi tempi … sentir raccontare di Alfrid che viene messo nel sacco è sempre un toccasana per l’umore.»
Suo padre emise un grugnito di divertito assenso mentre masticava un boccone di stufato. Poi assunse un’aria più seria e riprese a parlare. «Dato che devi andare da lui, Ana, potresti chiedergli se per questa volta, invece del denaro che ti deve, può darti un po’ di quel pesce che ha portato in città. E’ raro trovarne di fresco, in questo periodo, e i prezzi dei contrabbandieri iniziano a diventare proibitivi per le nostre finanze.»
Ana annuì mentre dava gli ultimi punti alla sottana. «Glielo chiederò.»
Spezzò con i denti il filo avanzato dal rammendo della sottana e la ripiegò con cura, disponendola poi all’interno di una grossa cesta insieme agli altri vestiti che aveva provveduto a sistemare in quegli ultimi due giorni.
«Tornerò tra qualche ora» disse a suo padre deponendogli un veloce bacio sulla guancia, dopo essersi infilata il berretto e avere indossato il mantello. «La legna per il fuoco nella stanza di mamma è quasi finita. Credi di riuscire a procurarcene altra?»
«Certo, cara. Ci vediamo più tardi.»
Ana, il manico della cesta infilato sul braccio, uscì in strada e si chiuse la porta alle spalle. Il tiepido sole della tarda mattinata aveva contribuito ad alzare un po’ la temperatura, ma l’aria rimaneva sempre fredda e pungente. Nonostante ciò, fu quasi felice di sgranchirsi le gambe e uscire finalmente all’aperto dopo tante ore passate in casa a cucire. Si strinse nel mantello e si avviò di buon passo lungo il canale che costeggiava la loro casa, per iniziare il suo giro di consegna dei vestiti rammendati.
Aveva intenzione di passare per prima cosa da casa di Bard, e si rese conto che la prospettiva di quella tappa era uno dei motivi per cui il suo umore, negli ultimi minuti, era decisamente migliorato. Era diverso tempo che non faceva due chiacchiere con lui e con i ragazzi, sarebbe stato piacevole fermarsi per un po’ a parlare con loro. Non vedeva l’ora di sentir raccontare come era andata la faccenda di Alfrid, e di scoprire che effetto avrebbe fatto su Sigrid il vecchio vestito che aveva scovato nella sua cassapanca e che aveva riadattato e rimesso a nuovo apposta per lei. Le sarebbe stato benissimo, non c’erano dubbi. La primogenita di Bard, che aveva da poco compiuto sedici anni, si stava rapidamente trasformando in un’attraente giovane donna, e Ana era sicura che di lì a poco suo padre avrebbe dovuto vedersela con un esercito di pretendenti. Era inevitabile che accadesse, con dei genitori come i suoi. Sua madre Rhaella, morta otto anni prima alla nascita della piccola Tilda, era una vera bellezza, forse la donna più bella di Pontelagolungo, e suo padre …
Quasi rischiò di sbagliare strada e di finire dritta nell’acqua gelida del canale, mentre il volto del chiattaiolo le si materializzava improvvisamente davanti. Ana interruppe bruscamente il corso dei suoi pensieri, sentendo il volto prendere fuoco e il cuore farle un buffo saltello nel petto.
Per quanto cercasse di evitarlo, si stava rendendo conto che il modo in cui vedeva Bard era molto diverso da quello in cui lo vedeva fino a poco tempo prima. Aveva sempre nutrito, soprattutto da bambina e da adolescente, una fascinazione particolare per lui e per il suo sfrontato coraggio nell’opporsi ai soprusi del Governatore, ma i suoi sentimenti non si erano mai spinti oltre l’ammirazione, l’affetto e la riconoscenza. Era quasi una persona di famiglia: lui e suo padre erano buoni amici da diversi anni, e dopo la morte di Rhaella era stata la stessa Ana, diciassettenne già fin troppo adulta per la sua età, a badare ai suoi figli quando lui non c’era. Aveva cambiato i pannolini e dato da mangiare a Tilda, aveva vegliato sui giochi spericolati di Sigrid e Bain, li aveva rimproverati quando si comportavano male e aveva rimboccato loro le coperte quando erano ammalati. Il fatto che adesso non riuscisse a non pensare a Bard in quel modo la disorientava e le faceva provare una strana sensazione di eccitazione mista a forti sensi di colpa, come se stesse infrangendo un tabù o stesse facendo qualcosa di immorale. Durante il giorno era piuttosto facile non pensarci, perché il lavoro di rammendo, le riconsegne dei vestiti ultimati e i costanti sforzi per procurare cibo alla sua famiglia occupavano la maggior parte del suo tempo e delle sue energie. Ma alla sera, quando finalmente spegneva la candela e si ritirava nella sua piccola stanza da letto, quando finalmente si ritrovava da sola con se stessa e con i suoi pensieri …
Chiuse gli occhi per un momento e respirò profondamente, cercando di sgombrare la mente e di concentrarsi sul ritmo dei suoi passi e sulla strada da fare, ma si rivelò più difficile del previsto.
Si era chiesta varie volte se fosse possibile che Bard provasse nei suoi confronti le stesse sensazioni che provava lei; aveva passato in rassegna e analizzato fino alla nausea un certo suo sguardo, o un certo suo sorriso, o un certo suo modo di poggiarle la mano sulla spalla, ma era sempre giunta alla conclusione che quei segnali di interesse che a volte credeva di vedere fossero tutto un parto della sua mente. Considerati i rapporti tra le loro famiglie e la non trascurabile differenza di età fra di loro – Ana aveva appena compiuto venticinque anni, mentre Bard andava per i trentacinque – era assai probabile, se non certo, che lui la vedesse come una sorta di sorella adottiva. Questa convinzione, unita al fatto che Bard non era mai riuscito a superare del tutto la morte dell’amatissima Rhaella e (per quanto lei ne sapeva) non aveva più provato interesse per nessun’altra donna, di solito aiutava a gettare acqua sul fuoco che si ostinava ad accendersi nel petto di Ana ogni volta che pensava a lui. Anche questa volta il pensiero la aiutò a recuperare a mantenere il controllo di sé, permettendole di percorrere il resto del tragitto in uno stato emozionale meno alterato del previsto. Non riuscì a trattenersi, tuttavia, dallo specchiarsi rapidamente nel vetro di una finestra e dal darsi una fugace sistemata alla lunga treccia castana che le pendeva su una spalla e al piccolo ciuffo di capelli che spuntava da sotto il berretto.
Era ormai arrivata nei pressi della zona del mercato di Pontelagolungo, e si immerse volentieri in mezzo allo sciamare e al vociare della gente e alla confusione della merce esposta. La aiutò, almeno per qualche minuto, a distrarsi e ad abbandonare i suoi pensieri, anche perché quasi subito cominciarono ad arrivarle all’orecchio chiacchiere curiose e bizzarre frasi sussurrate a mezza voce dietro la mano. Tutte, in un modo o nell’altro, avevano a che fare con un nutrito gruppo di nani che, come ad Ana parve di capire, erano spuntati fuori all’improvviso da dei barili pieni di pesce e avevano seminato lo scompiglio proprio lì nel mercato, prima di sparire misteriosamente chissà dove. Qua e là, pronunciato con stupore e incredulità, Ana captò in mezzo ai sussurri anche il nome di Bard.
Seriamente incuriosita e desiderosa di saperne di più, stava per avvicinare una vecchia signora che – a giudicare dal modo solenne con cui raccontava e scuoteva la testa – sembrava saperne più degli altri, quando una voce alle sue spalle la bloccò.
«Buongiorno Ana! Che piacevole coincidenza incontrarsi qui!»
Ana chiuse gli occhi e trasse un piccolo sospiro prima di voltarsi. Conosceva quella voce, e al momento non era particolarmente entusiasta di sentirla. Si sforzò di stirare le labbra in un sorriso cordiale e si voltò.
Il ragazzo che le stava davanti era soprendentemente alto e massiccio per la corporatura media degli uomini di Pontelagolungo, ed era vestito con abiti che ne denotavano, se non la ricchezza (perché a parte il Governatore di persone propriamente ricche, in quella città, non si poteva parlare), perlomeno una certa agiatezza.
«Buongiorno, mastro Oswyn. Anche voi al mercato?»
Il ragazzo le sorrise con aria allettante, fissandola come qualsiasi altra persona, di quei tempi, avrebbe fissato una tavola imbandita, il che mise Ana un tantino a disagio.
«Sono solo di passaggio, stavo tornando a casa» le rispose, chiaramente desideroso di iniziare una conversazione con lei. «E voi? Avete trovato qualcosa di interessante da comprare?»
Nonostante la sua voglia di scappare via e continuare per la sua strada, Ana si sforzò di essere gentile.
«A dire la verità sono di passaggio anch’io. Sono appena uscita per il mio giro di riconsegna dei vestiti rammendati.»
Sperò ardentemente che questo gli facesse capire quanto fosse impegnata e lo spingesse a lasciarla andare, ma aveva fatto male i suoi calcoli. Il sorriso di Oswyn si tramutò all’istante in un’espressione premurosa, e subito il ragazzo si affrettò ad allungare le mani verso la sua cesta.
«Allora lasciate che vi aiuti a portare il vostro carico! Da che parte andate?»
«Da quella parte» rispose disorientata Ana indicando vagamente verso destra. «Ma non disturbatevi, vi prego, la cesta non è affatto pesante, posso benissimo …»
«Splendido, vado da quella parte anch’io!» la interruppe Oswyn entusiasta. «Sarebbe un piacere fare la strada insieme a voi!»
«Oswyn, davvero, non ce n’è bisogno.»
Oswyn le rivolse un sorriso di condiscendenza, come se le sue proteste fossero dettate solo dalla pura formalità. «Voi siete troppo orgogliosa, Ana. Scusatemi, ma insisto per accompagnarvi.»
Sconsolata, Ana si rese conto con disappunto di non poter fare altro che cedere. Lasciò quindi che Oswyn le prendesse la cesta dal braccio e le si affiancasse baldanzoso mentre riprendevano il cammino.
«Siete particolarmente bella, oggi, Ana. Radiosa, oserei dire» esordì Oswyn dopo che ebbero camminato fianco a fianco in silenzio per qualche secondo.
Ana non poté trattenersi dallo scoppiare in una risata sarcastica e alzò gli occhi al cielo. «Non siate sciocco, Oswyn. Ci vuole del coraggio per definire “radiosa” una persona che ha passato gran parte della nottata e l’intera mattinata a cucire alla luce della candela.»
Oswyn si esibì nello stesso sorriso di condiscendenza di poco prima, come se fosse convinto di saperla più lunga di lei. «Non soltanto siete orgogliosa, ma vi piace anche schernirvi pur essendo consapevole della vostra bellezza!» disse in tono complice. «Ah, Ana, tutto questo vi rende doppiamente affascinante!»
«Potrò anche essere orgogliosa, ma non mi sminuirei mai per il solo gusto di sentirmi rivolgere dei complimenti» replicò Ana il più gentilmente possibile, anche se cominciava ad essere irritata da quei modi da bellimbusto. «Sono sempre stata molto schietta, e questo dovreste saperlo.»
Il rossore e l’aria di mortificazione che invasero il volto di Oswyn furono così evidenti che per un attimo Ana si pentì di avergli parlato con tanta durezza. Oswyn, in fondo, non era un cattivo ragazzo. Era soltanto un po’ superficiale, e la sua famiglia era troppo vicina al Governatore per i gusti di Ana. Non che Oswyn personalmente avesse mai fatto esplicite dichiarazioni di amicizia o simpatia nei confronti di quell’uomo, ma non aveva nemmeno mai dimostrato di contestarlo o di prendersi a cuore la causa dei cittadini.
Oswyn, evidentemente imbarazzato, non parlò per i successivi due minuti, cosa di cui Ana fu enormemente grata. Poi, però, mentre già iniziava a scorgere in lontananza la casa di Bard, il ragazzo ruppe il silenzio per porre domanda che Ana temeva fin dal momento in cui si erano incontrati.
«Avete pensato a quello che vi ho chiesto l’altro giorno?» domandò a mezza voce con tono di colpo più profondo, più maturo.
Ana sentì il sangue gelare improvvisamente nelle vene e il cuore aumentare i suoi battiti. Il fatto che se lo aspettasse non aveva contribuito affatto a prepararla psicologicamente alla cosa. Per qualche secondo fu incapace di rispondere e boccheggiò come un pesce in cerca delle parole adatte.
«Io …» riuscì a balbettare alla fine. «Io sono molto … confusa, al riguardo, Oswyn. Dovete darmi ancora un po’ di tempo. Mia madre è peggiorata, negli ultimi giorni, e non sono in grado di darvi una risposta adesso …»
«Il fatto che le condizioni di vostra madre siano peggiorate, al contrario, è un elemento che dovrebbe aiutarvi a decidere!» disse Oswyn con foga. «Pensateci, Ana: io potrei proteggervi, dare una vita migliore a voi e alla vostra famiglia, potrei mettere fine ai vostri problemi!»
«Non è così semplice » tagliò corto Ana. «Ci sono altre … questioni su cui devo ancora fare chiarezza dentro di me.»
«Quali questioni?»
Ana sospirò. «Voi siete un ragazzo gentile e cortese, Oswyn, ma i miei sentimenti … io non sono sicura che … che possano bastare. Vi prego, cercate di capire cosa intendo.»
Al contrario di quanto si sarebbe aspettata, Oswyn non si scoraggiò, ma si slanciò verso di lei con rinnovato ardore prendendole le mani nelle sue. «I sentimenti possono essere coltivati, Ana» replicò in tono febbrile, fissandola dritto negli occhi. «Come una pianta, capite? I miei genitori non provavano altro che stima l’uno per l’altra, quando si sono sposati, eppure col tempo hanno imparato ad amarsi. E anche voi potrete imparare ad amarmi. Il mio amore per voi basterà per tutti e due, all’inizio.»
Sporse focoso le labbra verso le sue, ma Ana, pur presa alla sprovvista, reagì appena in tempo.
«Vi prego!» esclamò con voce tremante, respingendolo e indietreggiando di un paio di passi. Il corteggiamento di Oswyn nei suoi confronti era sempre stato un po’ insistente, ma non si era mai spinto ad un’invadenza di questo genere. «Vi prego, smettetela. Per favore, cercate di rispettare i miei tempi e i miei sentimenti. Non voglio offendervi né sminuire il vostro sentimento, solo … solo farvi capire che il mio modo di concepire il matrimonio potrebbe essere troppo diverso dal vostro.»
Oswyn sembrò riprendersi da un’ubriacatura. Tacque per qualche secondo, fissandosi i piedi. Quando parlò di nuovo, la sua voce era di nuovo ferma e controllata, il suo viso tirato in un’espressione tesa.
«Spero che possiate darmi presto una risposta» disse sommessamente. «Posso lo stesso accompagnarvi fino alla vostra destinazione?»
Ana chiuse gli occhi e deglutì. «Se non vi dispiace, preferisco liberarvi dal vostro disturbo e  terminare il mio tragitto da sola. Non manca molto, sono quasi arrivata.»
Indicò la casa di Bard con il dito, e istantaneamente, come se avesse appena inghiottito qualcosa di sgradevole, il volto di Oswyn si deformò in una smorfia appena trattenuta. Aveva sempre provato un’istintiva e ostinata antipatia per Bard, anche se tra loro non era mai accaduto nulla di spiacevole. Ana sospettava che si trattasse di gelosia nei suoi confronti: non perché Oswyn sospettasse qualcosa dei suoi confusi sentimenti per il chiattaiolo (che era stata bene attenta a tenere nascosti a chicchessia), ma perché, a parte i suoi genitori, era la persona a cui era più vicina; e tutti coloro che catalizzavano l’affetto e il tempo di Ana sottraendolo a Oswyn erano probabilmente visti come dei nemici.
Come si aspettava i modi di Oswyn si fecero improvvisamente freddi e formali. Le tese la cesta dei vestiti con un gesto brusco. «Vi lascio andare per la vostra strada, allora. Sono certo che mastro Bard vi starà aspettando con impazienza.»
Ana avrebbe voluto dirgli che, in realtà, non era attesa, ma prima che potesse parlare Oswyn si congedò con un rapido inchino e si allontanò lungo la strada, nella direzione da cui erano appena venuti. La ragazza rimase a fissarlo per qualche secondo con aria sconsolata, le gambe e i polsi che ancora tremavano, ma poi si impose di recuperare il controllo di sé e riprese a camminare. Quando ebbe superato il ponte e la scala di legno che la separavano dalla porta della casa di Bard, fortunatamente, era riuscita a tranquillizzarsi quel tanto che bastava per non apparire troppo turbata. Sollevò il pungo chiuso e lo picchiò per tre volte sulla porta.
Quasi immediatamente sentì dei passi infantili correre verso l’ingresso, e un secondo dopo il viso rotondo di Tilda comparve nello spiraglio della porta aperta. Subito i suoi stupefacenti occhi azzurro scuro – così simili a quelli di suo padre - si allargarono di felicità e la sua bocca si aprì in un largo sorriso.
«Pa’!» gridò contenta verso un punto imprecisato alle sue spalle. «C’è Ana!»
La reazione a quell’annuncio non fu affatto quella che Ana si sarebbe aspettata. Altri passi, più pesanti e più rapidi, risuonarono sulle assi del pavimento di legno alle spalle della bambina, e la voce di Bard gridò allarmata: «Tilda, no! Aspetta!»
Ana alzò lo sguardo oltre la testa di Tilda, disorientata. Nello stesso momento in cui la figura trafelata di Bard, ancora vestito in abiti da lavoro, compariva nello spiraglio della porta, la ragazza fece in tempo a vedere qualcos’altro alle sue spalle: volti duri, dalle barbe lunghe e dall’aspetto selvaggio, appartenenti a degli individui dalla statura soprendentemente piccola, bagnati e gocciolanti come se fossero appena emersi da un tuffo nel fiume. Subito gli strani discorsi sui nani che aveva sentito poco prima al mercato, messi momentaneamente in secondo piano dall’episodio con Oswyn, le affiorarono alla memoria, e Ana si rese conto con sgomento che non si trattava affatto di frottole mese in giro da vecchie e annoiate signore che volevano movimentare un po’ la sonnacchiosa vita di Pontelagolungo.
Alzò lo sguardo attonito verso Bard, che nel frattempo aveva raggiunto Tilda sul vano della porta, senza riuscire a proferire una sola parola.
«Posso spiegarti» fu tutto quello che le disse Bard, fissandola con espressione tesa.

 
 
 
 
 
 
 
 

ANGOLO AUTRICE

Salve a tutti! Come avete potuto vedere, la visione della Battaglia delle Cinque Armate ha dato interessanti frutti. Per essere più precise, il buon Bard tutto precisino, ripulito e in casacca blu era talmente brutto, ma talmente brutto, che … ecco …  ho deciso di scriverci una ff. Che volete farci, è la vita. Tutto quel ben di dio senza che nessuna potesse goderne mi sembrava sprecato, quindi ho deciso di inventare Ana per lui.
Spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento! J Come al solito, vi invito a lasciarmi qualche parere, che sia positivo o negativo…anzi, soprattutto se è negativo, così potrò rimediare ai miei errori!
I prossimi aggiornamenti, studio permettendo, dovrebbero essere abbastanza regolari…spero di riuscire a mantenere l’impegno, in caso contrario perdonatemi!
A presto!

MrsBlack90
   
 
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