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Autore: Halley Silver Comet    05/01/2015    11 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 8



- Capitolo Ottavo -
Vento di Dubbi




V
ittoria batteva in terra i piedi per il freddo, scrutando accigliata il treno notte che aveva di fronte e borbottando qualcosa tra sé e sé.
«Non capisco cos’hai da lamentarti tanto, nemmeno dovessi partire tu al posto nostro» commentò Marcello, spazientito da quel continuo brontolio, lanciando una rapida occhiata verso la zona commerciale, in attesa di riuscire a scorgere il suo amico che tornava. A quell’ora di sera, la Stazione di Roma Termini era quasi vuota, non sarebbe stato difficile individuarlo, anche a grande distanza.
«E tu spiegami ancora una volta perché avete deciso di intraprendere questo viaggio della speranza a Monaco
» ribatté lei, guardandolo bieca ed incrociando le braccia contro al petto.
«
Lo sai che Gerardo ha paura dell’aereo» le rispose il ragazzo, spiccio, sfregandosi le braccia con le mani per scaldarsi un po’.
«Che assurdità! Avreste fatto prima e meglio, così domattina sarete in condizioni pietose. Mi chiedo come farete ad affrontare Herr Berger ed Herr Müller» continuò la giovane, gesticolando con fare irritato.
«L’incontro sarà solo dopodomani» precisò Marcello, mantenendo invece un tono calmo, «abbiamo tempo. Considerando che la prima fermata è a Vienna, verso l’ora di pranzo dovremmo essere a Monaco».
Vittoria fece una smorfia dubbiosa, come se tutto quello che aveva sentito non la convincesse nemmeno un po’.
«Comunque, dopo aver affrontato Edward Carter, fare affari con Ludwig Berger sarà una passeggiata» concluse il ragazzo, abbastanza sicuro di ciò che stava dicendo. D’altra parte, bisognava riconoscere che sarebbe stato davvero difficile trovare un altro individuo dotato della sottile malvagità di quel britannico.
La ragazza lo guardò per un secondo, poi sospirò rumorosamente.

«
L’unica nota positiva è che non dovreste avere particolari problemi alla dogana».
«Sicuramente. Se avessimo intrapreso la trattativa con Herr Kohl di Lipsia, ci sarebbero stati dei problemi per ottenere il visto per la Germania dell’Est» confermò il biondo, scorgendo in quel mentre Gerardo che si avvicinava.
«Sembra che la neve non darà problemi. A quanto mi hanno riferito i macchinisti, pare che il passaggio del Tarvisio sia libero» esordì, trionfante. «Il treno partirà!»
«Questa è un’ottima notizia» affermò Marcello, mentre Vittoria sbuffava più forte.
«Nient’affatto! Piuttosto, sarebbe stata un’ottima scusa per prendere l’aereo».
«Veramente, se c
è una bufera di neve non fanno partire nemmeno i voli di linea» la corresse Gerardo.
La ragazza scosse la testa ma, alla fine, dovette arrendersi all’evidenza che i suoi amici sarebbero andati in Germania con il treno.
I due giovani, quindi si adoperarono per portare le proprie valigie nel vagone letto che avevano prenotato; nel giro di poco, però, erano già di nuovo sulla banchina, pronti per salutare Vittoria prima della partenza.
«Ricordatevi di portarmi un bel regalo! Sarei venuta con voi molto volentieri, ma ho i dettagli della mostra da definire».
«Quattro giorni di pausa non ti avrebbero fatto male» le fece notare Gerardo. «Magari ti sarebbero serviti per rilassarti un po’».
Vittoria gli si avvicinò e gli aggiustò per bene la sciarpa ed i capelli, che si erano spettinati nel continuo salire e scendere dal treno.
«
Sentirai la mia mancanza, Gerardo?»
«S-Sì, ce... certo» balbettò lui, evidentemente a disagio. Il biondo alzò gli occhi al cielo, ormai saturo di quelle continue scenette, domandandosi per la milionesima volta perché il suo amico non si sbrigava a dire alla ragazza tutto quello che provava per lei, così da risolvere tutte le questioni aperte nel migliore dei modi: il carciofone sarebbe stato liquidato per sempre e Gerardo e Vittoria sarebbero stati finalmente felici.
«Anche tu sentirai la mia mancanza, vero, Marcellino?» gli chiese la giovane, volgendo lo sguardo verso di lui, ma senza staccare la presa che aveva sui vestiti di Gerardo, il quale doveva avere una tachicardia con i fiocchi.
«Come no? La sento già» fece il ragazzo, ironico.
«Come sei acidulo!» lo redarguì in maniera scherzosa, facendogli la linguaccia. In quel mentre, il capotreno passò accanto a loro, avvisandoli: «I passeggeri sono invitati a salire sul treno, stiamo per partire».
«Oh. È arrivato davvero il momento di salutarci» mormorò la ragazza, abbandonando le risate e diventando di colpo triste.
«Come farò senza di voi?
»
«
Torneremo prima che tu te ne accorga» commentò Marcello.
«G-Già» gli fece eco l’altro con un filo di voce.
Le persone che erano lì accanto cominciarono a salutarsi, anche loro pronti a prendere posto nei vari vagoni. In particolar modo una coppietta, che stava dando grande spettacolo di effusioni amorose, come se il giovane stesse per partire per il fronte.
Nella sua rigidità, il biondo stava per commentare negativamente, quando Vittoria, dopo aver notato Gerardo che osservava imbarazzato la scena, gli chiese:
«Stai prendendo lispirazione per salutarmi? Sono sicura che tu potresti essere molto più elegante».
Il ragazzo si colorì all’istante delle più svariate sfumature del rosso, per poi balbettare qualcosa di sconnesso e scappare di corsa sul vagone, lasciando l’amica non poco sbigottita.
«Ma cosa mai avrò detto per farlo reagire così?
» domandò incredula, sbattendo le palpebre.
Marcello inarcò un sopracciglio, facendo una smorfia di disappunto. Erano entrambi così tonti che non meritavano il suo aiuto ed era davvero propenso a lasciarla cuocere nel suo brodo, quando decise che fosse meglio lasciarle una specie di compito da portare avanti nel corso della loro assenza: chissà, magari al loro rientro la situazione si sarebbe sbloccata.

«Vittoria?
»
«Sì?» rispose lei, pensierosa.
«Nei prossimi giorni rifletti bene».
«Su cosa?
»
«Sull’eventualità di lasciare Bartolomeo prima della mostra. Sai, quando ti diverti a stuzzicare il povero Gerardo...» spiegò il ragazzo, con una voluta reticenza, «la tua espressione dice come stanno veramente le cose».
In quel momento il capotreno fischiò, Marcello salì rapidamente sul treno e le porte si richiusero dietro di lui. Allora si voltò verso la banchina e, attraverso il vetro, fu certo di riconoscere una Vittoria dalle guance scarlatte che lo guardava attonita, poco prima che lei e la stazione cominciassero a scivolare via dalla sua visuale.
***

Approfittando dell’assenza di zia e cugina, Beatrice si sistemò sul divano tarlato del soggiorno, aprendo lo schema esecutivo della sciarpa che avrebbe voluto confezionare per Marcello e adagiandolo davanti a lei. Liberò con cautela un gomitolo dalla propria fascetta e, dopo aver cercato il capo del filo, lo assicurò ai ferri.
Una volta tanto, avrebbe tanto voluto concedersi un pomeriggio di relax, da dedicare a qualcosa che la faceva stare bene e che le impegnava piacevolmente la mente.
Per un bel po’ si udì solo il ticchettio dei ferri da lana che sbatacchiavano tra di loro mentre il filo veniva intrecciato e la fanciulla si perse completamente a seguire quel ritmo sempre uguale a se stesso; quando fu troppo buio, segno che la sera era giunta, si interruppe un attimo per accendere la luce e per ammirare il lavoro che aveva fatto fino a quel momento: stava venendo davvero bene, a Marcello sarebbe piaciuta sicuramente.
Un rumore improvviso dal tinello, però, la fece sobbalzare e la mise in allarme, giacché se si fosse trattato di Anna Laura che era rientrata in anticipo, sarebbe stato un bel guaio se avesse visto a cosa stava lavorando: conoscendo la maligna curiosità della cugina, non se la sarebbe cavata con poco.
Quando, invece, fu Guido a fare capolino oltre la porta, la fanciulla tirò un enorme sospiro di sollievo.
«Ah, sei solo tu».
«
Solo io?» ripeté lui, offeso. Entrò nel salotto e si buttò a peso morto sul divano, sedendosi accanto alla sorella. «Che stai facendo, Cicci? È per me quella sciarpa?»
«Affatto» rispose la ragazza, riprendendo a lavorare.
«Per il Navarra?» tentò nuovamente il giovane.
«L’unica cosa che vorrei vedere intorno al su’ collo è un cappio
» sibilò Beatrice, senza pensarci. Subito dopo si rese conto di essere stata abbastanza sanguinolenta, ma non riuscì a sentirsi in colpa più di tanto, almeno non dopo quello che le aveva fatto quel depravato.
Guido si accigliò, grattandosi la nuca.
«E allora per chi è?»
«Una commissione che mi verrà ben pagata» spiegò la ragazza con grande naturalezza, sorprendendosi da sola per l’abilità che aveva sviluppato nel mentire. Be’, come si dice in questi casi, di necessità, virtù.
«Te l’hanno affidata alla merceria? Meno male che, dopo aver sposato Navarra, potrai smettere di lavorare».
La fanciulla posò i ferri in grembo e gettò un’occhiata di fuoco al fratello.
«Io non lo sposerò mai, chiaro?»
Il giovane scosse nervosamente la testa, giocherellando con un pezzo dell’imbottitura del divano, fuoriuscita da un buco nei cuscini.
«Non sai quello che dici. Mi lasceresti davvero in mezzo ai guai?»
«Te li sei meritati! Quale medico ti ha prescritto di giocarti tutto cche rimaneva del patrimonio?»
Guido si alzò in piedi con uno scatto, mettendosi le mani nei capelli corvini e cominciando a fare su e giù per la stanza.
«Oh, tra l’altro nemmeno saccontenta solo di sposare te... Saremo costretti a dargli anche la villa all’Isola d’Elba!» piagnucolò, perdendo ogni briciolo di dignità.
A quella rivelazione, il cuore di Beatrice perse un battito.
«La casa della mamma?» sussurrò, sgomenta.
«Ecco, vedi, Bea... Ho promesso a Navarra che, dopo che diventerai la su moglie, potrà disporre di quella proprietà come megl...» cominciò a difendersi Guido, ma Beatrice non gli diede il tempo di finire.
«Tu sei pazzo!» gli gridò contro, mettendo da parte la sciarpa e alzandosi in piedi. «Non permetterò mai, e dico mai, che Navarra metta le su zampacce sulla casa della mamma!» continuò, puntando minacciosamente un dito contro il fratello.
Come osava quell’idiota distribuire l’ultimo ricordo che avevano dei bei momenti passati come famiglia, quando ancora facevano entrambi parte di una vera famiglia?

«
Ma, Beatrice, lè un rudere che porta più magagne che vantaggi, pensaci bene» si difese debolmente il ragazzo, guardandola piuttosto spaurito.
La fanciulla lo guardò e, all’improvviso, tutta la collera che provava nei suoi confronti scemò: suo fratello non era mai stato in grado di fare niente di buono e, probabilmente, sarebbe rimasto così per tutto il resto della sua vita.
«Io davvero non so come fai ad esser così insensibile e privo di logica».
Prese con sé la lana ed i ferri e corse fuori, in giardino, sedendosi sugli scalini sotto al vecchio glicine. In inverno sembrava un ammasso rachitico di rami, ma, in primavera, tornava a fiorire florido e splendido, ravvivando il giardino con il colore dei suoi fiori. Le piaceva quella pianta, le ricordava quella che avevano proprio a Villa Paolina, la casa dell’Isola d’Elba che sua madre le aveva lasciato, la stessa casa che suo fratello voleva svendere a quell’animale di Navarra.
Perché Guido era arrivato a tanto? Perché voleva insudiciare il luogo dei ricordi della loro infanzia? La casa di Firenze era stata la prima ad essere venduta e dopo di essa erano andate via, una ad una, tutte le altre proprietà. Perfino i mobili erano stati venduti all’asta per pochi soldi, perdendo miseramente tutto il loro grande valore affettivo.
Beatrice chiuse le braccia intorno alle gambe e poggiò il mento sulle ginocchia: ormai non aveva più lacrime per piangere la felicità perduta.
Dopo un po
, però, si mise in una posizione più comoda e riprese la sciarpa lasciata a metà; forse, faceva ancora in tempo a costruirsi una propria felicità, una che né Guido, né tantomeno Navarra avrebbero potuto distruggere. E pensò a Marcello e a tutti i bei sentimenti che riusciva ad ispirarle, così da poter allontanare la grande tristezza che sentiva dentro di sé e, quindi, riprendere a lavorare alla luce dei lampioni.
***

Essendo ormai prossimo il Natale, Marcello e Gerardo non si meravigliarono di trovare il Weihnachtsmarkt1 allestito di tutto punto, proprio
sotto l’orologio astronomico di Marienplatz: anche a Monaco, infatti, si respirava già una bella aria natalizia che mise i due ragazzi di buonumore. Per giunta, seppur durante la notte la neve fosse caduta in grossi fiocchi, quella mattina era uscito un pallido sole a cercare di riscaldare la fredda atmosfera.
Si erano svegliati entrambi molto presto, ancora provati dalla nottata trascorsa in treno, così, avendo ancora diverso tempo prima dell’incontro con Berger e
Müller, avevano deciso di andare a fare colazione in uno dei caffè della famosa piazza monacense, trovandovi dell’ottimo tè e una succulenta torta bavarese al cioccolato.
Quando il grande orologio batté le dieci, però, decisero di prendere un taxi, per recarsi nella lussuosa
Maximilianstraße, dove si trovava l’ufficio dei due imprenditori tedeschi; avrebbero tanto voluto vedere lo spettacolo del carillon della torre, ma, poiché il meccanismo si attivava solo alle dodici e alle diciassette, si ripromisero di tornare nel pomeriggio.
In compenso, durante il percorso in auto, poterono ammirare le particolarità dell’architettura nordica dei palazzi che fiancheggiavano le strade del centro, dal forte taglio mitteleuropeo, e Marcello si ritrovò inconsciamente a pensare che Beatrice avrebbe saputo certamente spiegargli quali erano le caratteristiche salienti di quelle costruzioni.
Il tassista, probabilmente conoscendo molto bene il posto, lasciò i due giovani proprio davanti al numero trentacinque di 
Maximilianstraße, che corrispondeva ad un alto edificio con un bel portico e tantissime finestre. Rintracciarono subito la targa d’ottone che indicava che Berger e Müller lavoravano proprio lì e, dopo aver suonato, oltrepassarono il grande portone nero, pronti ad incontrare i due pezzi grossi dell’industria automobilistica tedesca.
La prima cosa che notò Marcello, dopo che la biondissima segretaria li ebbe fatti accomodare in un ordinato salotto, fu che quell’ufficio era profondamente diverso da quello suo e di Gerardo: il parquet chiaro, la prevalenza del bianco nel mobilio, le alte finestre che lasciavano passare molta luce e la varietà spropositata di piante grasse messe in bella mostra lo rendevano molto simile ad un’area d’esposizione, piuttosto che ad un locale ad uso lavorativo.
Si voltò allora verso il suo amico e notò che si guardava intorno, meravigliato, come se avesse notato le stesse cose.
Tuttavia, non ebbero modo di commentare, almeno non in quel frangente, poiché due uomini, proprio in quell
istante, fecero il loro ingresso nella stanza; fisicamente, erano diversissimi tra loro, tanto è vero che il biondo li paragonò inconsciamente a Bud Spencer e Terence Hill.
«Guten Morgen!
» li salutò affabilmente il tipo più alto e grosso, con capelli corti e scuri ed un’espressione simpatica. Per fortuna, per proseguire il suo discorso adottò l’inglese, giacché né Marcello, né Gerardo sapevano il tedesco. «Io sono Ludwig Berger, è un vero piacere conoscervi di persona, finalmente!»
Marcello gli porse la mano.
«
Il piacere è nostro, Herr Berger».
L’uomo gliela strinse con calore, il che sorprese non poco Marcello, che credeva che i tedeschi fossero tutti freddi ed inospitali. Mai pregiudizio si rivelò più falso.
L’imprenditore strinse la mano anche a Gerardo, quindi si voltò e presentò il suo socio, un uomo più giovane e più asciutto, dai folti capelli biondi e dalla barba rada.
«Lui, invece, è il mio socio, Matthäus Müller».
«Piacere, Herr Müller» dissero entrambi i giovani, stringendo la mano anche a lui, che ricambiò con energia.
I
ragazzi vennero, quindi, condotti in una grande stanza rettangolare con un lungo tavolo di legno nero e le pareti coperte da maestose librerie da design squadrato. Sull’unico muro libero, che era quello prospiciente la porta d’ingresso, erano appese delle foto in bianco e nero che ritraevano alcuni edifici di Monaco distrutti dai bombardamenti del 1945.
«
Quelle ferite non si sono ancora rimarginate del tutto» disse Berger, avendo probabilmente notato che Marcello era stato incuriosito da quelle gigantografie. «La nostra divisione interna è la ferita più grande».
Il biondo aveva sentito diverse versioni sulla faccenda e voleva scoprire come stessero sul serio le cose, avendo l’occasione di interloquire con una fonte coinvolta in prima persona. Tuttavia, cercò di mantenere una certa delicatezza nel porre le domande.
«Alla frontiera non lasciano passare proprio nessuno?»
«Ci vogliono permessi speciali e ottenerli è molto, molto difficile» spiegò l’industriale.
«La Deutsche Demokratische Republik2 è molto ferrea nei controlli» intervenne Müller. «Mio fratello abita a Berlino Est e non lo vedo da venticinque anni».
«Deve essere atroce...» commentò Gerardo, con tono sommesso.
Calò un breve e triste silenzio, interrotto subito dai due tedeschi che invitarono i due giovani a ad accomodarsi al tavolo: il biondo ebbe il vago sospetto che non volessero alcuna compassione e rispettò la loro fierezza.
Quando ognuno si fu sistemato, cominciarono a parlare dell’affare che avrebbero dovuto concludere. Marcello e Gerardo, infatti, erano intenzionati ad acquistare delle azioni dell’azienda di Berger e Müller e si erano recati sul posto proprio per definire i dettagli della compravendita ed, eventualmente, per firmare il contratto
.
La trattativa di per sé non fu particolarmente pesante; Marcello aveva avuto la sensazione che sia lui che il suo amico fossero risultati in qualche misura simpatici ai due imprenditori, cosa che non era accaduta, per esempio, quando avevano fatto la conoscenza di quei farabutti dei due petrolieri.

«
Fare affari con voi è stato molto, come si dice... ehrlich».
«
Onesto» spiegò l’altro, venendo in soccorso del suo collega.
«Ultimamente ce la siamo vista brutta con quel Carter. Voi lo conoscete?» chiese l’imprenditore tedesco.
«Purtroppo sì» ammise Gerardo
«
Herr Berger, quindi anche lei ed il suo socio siete stati contattati da Lord Carter?» si informò Marcello.
«Ja» rispose l’uomo nella sua lingua, per poi riprendere in inglese, «lui e un certo Miller volevano coinvolgerci in un affare da diversi milioni di marchi, decisamente poco chiaro. Non è vero, Matthäus?»
«Infatti. Abbiamo rifiutato quando abbiamo notato diverse incongruenze
in ciò che ci ha detto» rispose Müller, tamburellando le dita sul plico di fogli che aveva davanti.
A quella rivelazione, dopo aver sollevato entrambi le sopracciglia, Marcello e Gerardo si lanciarono un’occhiata di intesa.
«
Senza contare» proseguì l’uomo, «che voleva convincerci a cedergli delle azioni della nostra società, dicendo che non valgono molto, quando le statistiche lasciano presagire che, tra qualche anno, potrebbe esserci una forte accelerazione dei tassi di crescita3».
«Inoltre sappiamo che ha cercato anche di mettere mani sulle aziende che operano nel bacino della Ruhr che, come saprete, è il cuore della metallurgia europea» aggiunse Berger, adombrandosi repentinamente.
Marcello assottigliò lo sguardo: Lord Carter sembrava davvero avere le mani in pasta negli affari di mezza Europa e quindi c’era davvero da sospettare che facesse parte di qualche complotto economico internazionale.
«
Anche noi non abbiamo avuto una buona impressione di lui» ammise, avendo ormai capito di essere entrato con quei due uomini in un clima abbastanza confidenziale.
«Esatto» confermò Gerardo, dandogli manforte.
Müller scosse nervosamente la testa: «Lui e Miller sembrano tipi pericolosi».
Marcello richiuse la sua stilografica con uno scatto secco del tappo. Se anche altre persone avevano avuto la stessa impressione su quel magnate britannico e sul suo viscido assistente, molto probabilmente l’opinione che si erano fatti non era tanto sbagliata.


Quando uscirono dall’ufficio di Berger e Müller, si resero conto che si era fatta l’ora di pranzo e, ricordandosi di un locale tipico che avevano già notato la sera prima, si fermarono a prendere qualcosa nell’alberata Leopold
straße.
All’interno, la birreria era abbastanza cupa, un po’ per via delle finestre opache e strette, un po’ perché, nell’arredamento, prevaleva ovunque il legno; tuttavia, furono accolti dal saluto di due cameriere brune e altissime, delle quali l’una era intenta a spillare la birra in grandi boccali di vetro e l’altra si stava occupando di eliminare l’eccesso di schiuma in superficie con l’apposita spatola.
Sopraggiunse allora una terza ragazza dai capelli rossicci, la quale fece loro segno di seguirli e, districandosi abilmente tra tavoli e panche già occupati da altri commensali, li condusse al piano di sopra, dove li fece accomodare davanti ad una finestrella e consegnò loro il menù.
«Cosa ne pensi dei nostri nuovi clienti tedeschi?» chiese Gerardo, mentre sfogliava la carta, assorto.
«
Mi sembrano brave persone. Se hanno avuto il coraggio di dire no a Carter, devono essere davvero onesti» commentò Marcello, piacevolmente colpito dalla moralità dei due imprenditori.
«Sono d’accordo. A proposito, hai visto? Quel delinquente ha cercato di espandere il suo dominio anche qui!»
«La cosa non mi meraviglia affatto, abbiamo visto di cosa sono capaci lui e Miller» fece il giovane, tetro, mentre l’amico, ricordando il loro incontro con il magnate del petrolio, non riuscì a trattenere un brivido.
«Non voglio nemmeno pensare a cosa ci sarebbe successo, se fossimo entrati in collaborazione con lui
» commentò.
La cameriera che li aveva accolti giunse a prendere le ordinazioni, riservando un sorriso languido a Gerardo e un’occhiata sospettosa a Marcello, segnando accuratamente tutto e,
nel giro di poco, i giovani si ritrovarono davanti due enormi boccali di Löwenbräu, una delle birre tipiche di Monaco.
Anche i loro stomaci furono grati della celerità del servizio, infatti non passò nemmeno un quarto d’ora che la ragazza servì ciò che avevano ordinato, facendo
l’occhiolino a Gerardo che, però, non sembrò farci caso.
Tuttavia, fu difficile non notare, invece, la grande differenza nella quantità di cibo dei due piatti: quello destinato al moro traboccava letteralmente, mentre
l’altro aveva solo un pezzettino di Schweinshaxe e un misero cucchiaio di Kartoffelsalat4.
«
Due sono le alternative: o ti ha visto deperito» commentò il biondo, sbalordito, «oppure hai fatto colpo sulla cameriera».
«Ma no, che dici» balbettò l’altro, rosso fino alla punta delle orecchie, agitandosi nervosamente sulla sedia.
«Dico che, secondo me, piaci alle tedesche».
«Che sciocchezze vai dicendo... Io non piaccio a nessuna donna».
«Non sembrerebbe» insistette Marcello, afflitto, osservando la miseria che aveva davanti. «E poi, ti ho già detto che non devi gettarti fango addosso in questa maniera».
«Be’, lo sai che sei tu quello che le ragazze guardano sempre, non io» notò con semplicità l’amico. «Comunque, per me è troppo tutto questo, passami il piatto, così facciamo a metà».
Il ragazzo fece come gli aveva detto, ringraziandolo e l
amico gli rispose alzando le spalle, come a dire che non stava facendo niente di che.
«
A me basterebbe piacere solo ad una» sussurrò, diventando improvvisamente malinconico.
«
Se continui a girare intorno a Vittoria senza prendere una decisione, la perderai» rispose il biondo.
«L’unica cosa che non voglio perdere è la sua amicizia. E se lei non mi volesse? Preferisco continuare a starle vicino soffocando i sentimenti nei suoi confronti, piuttosto che rischiare di non vederla più».
«Ma non puoi continuare così!» esclamò il ragazzo, sconcertato dall’ottusa ostinazione dell’amico. «Soprattutto, non potete continuare a discutere perché permettete sempre ad un Bartolomeo o una Maria Luisa di intereferire con le vostre vite. Di questo passo, sarà proprio la vostra amicizia ad essere compromessa».
Gerardo, però, sembrò sordo a tale osservazione, perseverando nel fissare il suo piatto senza dire nulla.
«
Se non vuoi rischiare, forse non la vuoi abbastanza» commentò, a quel punto, Marcello, stizzito da quell’atteggiamento. Tuttavia, non aveva nemmeno finito di pronunciare l’ultima parola, che l’altro scattò su e, incollerito, sbottò: «Tu non puoi nemmeno immaginare quanto io desideri ardentemente Vittoria!»
Non era da lui rispondere in tale maniera e la sua reazione lasciò il giovane letteralmente a bocca aperta.
Quando, però, Gerardo si rese conto di ciò che aveva appena detto, le guance gli si imporporarono come mai in vita sua,
si affrettò a dividere la sua porzione, spostando l’eccesso nel piatto dell’amico, e cominciò a mangiare seppellendo se stesso ed il suo imbarazzo dietro il proprio boccale.
***

Con le festività alle porte, la merceria fu letteralmente presa dassalto dalle signore, le quali cercavano disperatamente idee regalo per familiari, amici, conoscenti e vicini di casa.
Beatrice adorava dare consigli e suggerire gli accostamenti migliori di stoffe e passamanerie, al fine di aiutare le clienti nell’ardua scelta della combinazione perfetta
per la realizzazione di tovaglie e tovaglioli, poi esibiti durante i vari pranzi e cenoni del periodo natalizio; si sentiva utile e aveva la possibilità di mettere a frutto la sua passione per i giochi con i filati ed i colori.
La signora Sofia la lasciava fare, contenta di avere un’aiutante così entusiasta e di spirito, anzi, spesso le faceva seguire di proposito le clienti più esigenti.
Esattamente come fece quella mattina.
«Beatrice, puoi venire qui un attimo? Alla signorina serve una mano
».
«Arrivo!» rispose lei, con voce squillante per dare un cenno di aver sentito, in mezzo a tutta quella confusione. Spostò i vari imballaggi della nuova merce e, con qualche difficoltà, riuscì a farsi strada verso la parte opposta del bancone.
«Buongiorno, cosa posso fare per lei?» chiese, mettendo da parte l’ultima scatola che le ingombrava il passaggio.
La fanciulla rimase per qualche istante a guardare la ragazza che aveva davanti, concentrata nello scegliere una tra le tante varietà di pizzo, avendo la forte impressione di averla già vista da qualche parte e le bastò solo qualche istante di riflessione per capire chi fosse.

«Io ti conosco... Tu se’ la Vittoria, l’amica di Marcello!» esclamò.
La diretta interessata alzò lo sguardo sopra di lei e assunse, a sua volta, un’espressione di autentico stupore.
«Oh, Beatrice, non sapevo lavorassi qui!» 
«Lè già più di un mese che lavoro per la signora Sofia» spiegò lei.
L’altra scosse la testa: «Ah, ecco. Quel lazzarone non me l’ha detto, anche se lo sa, vero?
»
«Be’, sì» rispose lentamente Beatrice, certa che si stessa riferendo proprio a lui. Era rimasta molto colpita dall’epiteto con cui quella ragazza lo aveva chiamato: si percepiva che erano in grande confidenza e questa consapevolezza le causò una fitta interna.
Sebbene avesse avuto le sue conferme, riguardo il fatto che tra Vittoria e Marcello non c
’era nulla di più di una solida amicizia, la fanciulla non poté impedirsi di provare una certa gelosia nei confronti della sua interlocutrice; d’altra parte, già il solo fatto che potesse vedere il ragazzo ogni volta che voleva, senza doversi nascondere, la metteva in una posizione di vantaggio rispetto a lei.
«Ogni tanto viene a salutare» aggiunse, incerta. Le risultava particolarmente difficile non considerare Vittoria come una rivale, poiché le sue paure inconsce stavano avendo la meglio sui fatti: quella ragazza era talmente bella e spigliata che qualunque uomo l’avrebbe preferita a lei, che era solo un’insulsa ragazzina. Le parole che aveva detto Anna Laura, quel giorno a Campo de’ Fiori, le tornarono in mente, ferendola con lame affilate, temendo che potessero essere la triste verità.
Improvvisamente, la giovane donna schioccò la lingua in senso di grande disapprovazione, richiamando l’attenzione della fanciulla.
«Quando tornerà, gliela farò pagare
» affermò, battagliera.
«Dove è andato? Mha detto che sarebbe stato fuori città, ma non ha aggiunto altro» le chiese Beatrice, trovando il coraggio di fare quella domanda, spinta dalla curiosità di sapere dove si trovasse di preciso il giovane.
«In Baviera, a Monaco. Doveva concludere una trattativa in questi giorni. Sono partiti tre giorni fa».
«Partiti?»
Vittoria annuì: «Sì, Marcello è andato con il suo socio, Gerardo Marini. Lo conosci?»
«No, non ne ho ancora avuto modo. Però mi piacerebbe, Marcello ne parla sempre molto bene».
«
È un ragazzo davvero adorabile» fece l’altra, sorridendo con evidente trasporto. Si fermò per qualche istante, come se si fosse persa nei propri pensieri, e poi riprese: «Bene, bene. Vorrà dire che passerò di qui per portarti l’invito della mostra. Se dovessi darli entrambi a tua cugina, potresti non riceverlo».
Beatrice stava per dire che, se fosse stato per la parente, non avrebbe mai dovuto mettere piede fuori di casa, ma lasciò perdere, perché odiava andarsi a lamentare della sua famiglia con persone che non conosceva bene. Pertanto, disse solamente: «In effetti, l’Anna Laura è un po’... inaffidabile».
La ragazza sollevò le sopracciglia, forse pensando che c’era tanto altro da dire su quella donna così irritante, ma nemmeno lei si dilungò in altri commenti.
«
Comunque, cosa posso fare per te?» fece la fanciulla, cambiando argomento e preferendo dedicarsi ad altro.
Vittoria sollevò il pizzo e glielo fece vedere.
«Mi servirebbero due metri di questo
e poi avevo anche intenzione di comprare dello chiffon per rifinire il mio vestito di Natale... Che colore mi consigli?»
***

Il pomeriggio del ventuno dicembre, Marcello uscì di casa poco dopo le quattro, così da non arrivare tardi all’appuntamento che aveva con Beatrice.  
Le ombre si andavano affievolendo, man mano che il crepuscolo avanzava; nella luce del sole morente, che striava di rossastro il tufo grigio e poroso dei monumenti d’altri tempi, il giovane avanzava, in armonia con le sfumature sullo sfondo: era come se la storia si fosse imbevuta di luce.
In una mano, teneva il pacchetto che avrebbe consegnato alla fanciulla, sperando che lei potesse apprezzare il suo contenuto. Infatti, nonostante quello non fosse il primo regalo che le faceva, si ritrovò a nutrire, in merito a ciò, più dubbi di quanti avrebbe dovuto.
Si stava pian piano abituando alla presenza costante di quella ragazza tra i suoi pensieri, consapevole che aveva cominciato a nutrire verso di lei più che un semplice interesse; infatti, se dapprima era stato incuriosito e ammaliato da quella giovane, così profondamente diversa da tutte le altre che aveva avuto modo di conoscere, ora Marcello era certo di essere stato più che conquistato dalla sua indole romanticamente5 orgogliosa.
Tuttavia, parallelamente a questo sentimento positivo, nel suo cuore si era annidato anche un germe di negatività: nonostante la ragazza avesse dimostrato di essere molto matura per la sua età, il giovane sapeva di essere troppo grande, troppo adulto per lei, poiché ai suoi occhi, di fatto, lei restava poco più che una bambina.
Cosa avrebbe potuto offrirle lui? In realtà, poco o niente, conscio di avere un carattere molto rigido e severo, caratteristica che lo faceva sembrare ancor più vecchio dei suoi ventiquattro, ormai più venticinque, anni.
Mentre si angustiava con questi pensieri, si rese conto di star già percorrendo Via della Mercede e, poco dopo, intravide Beatrice, cordialmente intenta a discutere con la sua datrice di lavoro.
Sorrideva e Marcello lo interpretò come un buon segno: evidentemente la signora Sofia doveva essere molto soddisfatta di lei.
Si fermò, indeciso se continuare ad avvicinarsi ed interrompere la conversazione oppure rimanere lì, in disparte, aspettando che terminassero di parlare.
Una lieve venticello arrivò a scompigliargli i capelli e ad accarezzargli la pelle del viso, come se volesse invitarlo a non abbandonare quella posizione privilegiata, dalla quale poteva osservare la ragazza, seguendo i suoi gesti o provando ad immaginare cosa stesse dicendo, semplicemente cercando di interpretare la sua espressione.
Ma il vento non aveva finito di sussurrargli tutto il suo messaggio
, infatti, la cosa più importante l’aveva lasciata per ultima.
Seguendo l’ispirazione di quel delicato refolo, infatti, guardò meglio Beatrice e, tutto d’un tratto, ammise a se stesso il vero motivo per cui aveva quei cupi e brutti pensieri in merito alla loro differenza d’età: si era innamorato di lei.
Sebbene Marcello, in cuor suo, l’avesse già capito da qualche tempo, era stato restio a dichiararlo con voce ferma proprio per tutte le riserve che nutriva nei confronti di una sua possibile relazione con la fanciulla.
Non perché non la volesse, ovviamente, ma perché temeva che lei, un giorno, potesse innamorarsi di un altro, magari di un suo coetaneo o di un ragazzo più allegro.
Da questo punto di vista, capì meglio il punto di vista di Gerardo nel suo approccio con Vittoria, anche se continuava a non approvare la reticenza dell’amico.
In quell’istante, la sarta rientrò nella sua merceria, lasciando la ragazza in strada.
Resosi conto di ciò,
il giovane si riscosse dalle sue meditazioni e, preso un respiro d’incoraggiamento, si avvicinò alla ragazza.
«
Buonasera a te, Beatrice» la salutò, quando le fu più vicino.
«Oh, ciao Marcello!» fece lei a sua volta, radiosa. «Come è andato il viaggio a Monaco?»
«Molto bene...» le rispose lentamente il giovane, domandandosi come facesse la ragazza a sapere con tale precisione dove era andato. Era sicuro di non averlo scritto sul biglietto che le aveva inviato, non perché fosse un segreto, ma perché non credeva che fosse un dettaglio importante.
Beatrice dovette aver catturato la sua perplessità, infatti aggiunse:
«Me l’ha detto Vittoria, è passata in merceria per caso e ci siamo incontrate».
Ora sì che tutto quadrava.
«Sei arrivato proprio al momento giusto, comunque, ho appena finito di parlare con la signora Sofia e ora sono ufficialmente libera!» continuò lei, concedendogli uno dei suoi sorrisi più belli e spontanei.
Marcello pensò che fosse molto carina, avvolta nella mantella color carta da zucchero, per poi sentirsi in colpa subito dopo: era come se, nel suo animo, si fosse innescata la convinzione che non ci fosse nulla di più amorale dell’attrazione che provava per Beatrice.
«Ah, bene» replicò lui, abbastanza dimesso.
La fanciulla, udendo quel tono, mutò immediatamente espressione.
«
C’è qualcosa che non va? Hai qualche altro impegno e non possiamo andare?»
«No, no, va tutto bene, sono in pausa dal lavoro, per ora» si affrettò a risponderle lui, maledicendosi per aver dato voce ai suoi pensieri più opprimenti proprio poco prima di incontrarla.
Per risollevare la situazione, decise di consegnare subito il pacchetto alla fanciulla, cambiando così argomento: «
Questo è per te. So che i regali di Natale non dovrebbero essere dati in anticipo, ma non penso che avrò un’altra occasione di vederti, prima del venticinque».
Le iridi blu di Beatrice si illuminarono.
«Oh, grazie! Se’ sempre così gentile con me... Ti dispiace se lo apro adesso? Ah, no, aspetta un attimo, anch’io ho qualcosa per te!
»
Entrò nel negozio e ne riuscì solo qualche attimo dopo, portando tra la braccia un pacchettino avvolto in carta verde e bianca, con un simpatico fiocco di organza.
«Ecco il mio regalo per Natale e per il tuo compleanno. È il ventisette, vero?» disse la fanciulla, porgendoglielo, con le guance leggermente arrossate.
Il ragazzo la fissò, basito: «Sì, ma... Come fai a saperlo?»
«L’ossessione dellAnna Laura nei tuo’ confronti, a volte, può tornare estremamente utile» rispose lei, con una semplicità disarmante.
Nell’udire il nome della cugina di Beatrice, Marcello decise che era meglio non indagare oltre, dedicandosi invece a scartare il regalo e trovandovi, all’interno, una elegante sciarpa grigia.
«L’ho fatta io. Non sarà perfetta ma... spero che ti piaccia».
Il biondo la dispiegò e ne ammirò la fattura impeccabile, senza fili non intrecciati oppure spanati, scoprendola molto morbida al tocco.
«
In realtà è più che perfetta» ammise.
La fanciulla si fece ancora più rossa, ma, stando al sorriso che aleggiava sulle sue labbra, doveva essere contenta che lui avesse apprezzato così tanto il suo lavoro.
«Fammi vedere se è della lunghezza giusta».
Marcello l’assecondò, indossando la sciarpa e permettendo alla ragazza di sistemargliela per bene. Era molto calda e, avendo una trama priva di decori o punti particolari, era in linea con il suo stile sobrio.
Poi venne il momento in cui toccò a Beatrice scartare il suo pacchetto e, quando si ritrovò tra le mani l’elegantissimo soprabito lilla, rimase letteralmente senza parole.
«Oh, ma è bellissimo... Il lilla è uno dei miei colori preferiti, perché sta abbastanza bene anche con il colore dei miei capelli» considerò, soffermandosi a guardare la spilla appuntata all’occhiello. Lo piegò con cura e lo rimise nella busta, spiegando che l’avrebbe messo al sicuro nel retrobottega e che avrebbe pensato ad un modo per riportarlo a casa, senza che Anna Laura lo vedesse e fosse colta dal malsano desiderio di appropriarsene.
Prima di entrare, però, lanciò a Marcello
uno sguardo riconoscente.
«
Be’, ora che me ne hai regalato uno, non dovrai più prestarmi il tuo».

Una volta entrati nel comprensorio dei Musei Vaticani6, Beatrice e Marcello si inerpicarono su per i gradini di varie scalinate, trovandosi a percorrere un autentico sentiero dell’arte rinascimentale.
Il ragazzo, che non era mai stato particolarmente esperto di dipinti e affreschi, si lasciò alle spalle le preoccupazioni che lo avevano coinvolto poco prima, lasciandosi trasportare dall’enfasi con la quale la fanciulla gli stava descrivendo ogni singola opera d’arte.
Prima di accedere alla Cappella vera e propria, ebbero modo di visitare la Stanza della Segnatura, appartenente a papa Giulio II e affrescata da Raffaello in persona.
Marcello rimase seriamente colpito dall’armonia di colori e forme che regnava nella celebre Scuola di Atene, laddove riconobbe Platone ed Aristotele che si confrontavano sui principi delle loro filosofie, Il Mondo delle Idee e la Metafisica. Beatrice gli spiegò che Raffaello, per quell’opera, aveva usato numerosi presta volto, scelti tra i suoi colleghi artisti, per dipingere i volti dei soggetti, a cominciare da Platone, che aveva preso in prestito le sembianze del grande Leonardo da Vinci.
Ma tutto ciò non era niente in confronto a quello che riservò loro la Sistina.
Non erano nemmeno entrati, che già erano con il naso per aria a fissare il soffitto, poeticamente affrescato dall’abile mano di Michelangelo, dove La Creazione di Adamo sembrava il centro di quel microuniverso.
La sequela di affreschi, che correvano lungo le pareti dell’edificio, mostravano quella che era stata la vera essenza dell’Umanesimo: l’elevazione dell’abilità e dell’ingegno dell’uomo attraverso l’arte e l’architettura.
D’altra parte, non avrebbero potuto non rimanere incantati dinnanzi ad opere come La consegna delle chiavi del Perugino o La vocazione dei primi Apostoli del Ghirlandaio.
Eppure, il pezzo forte si mostrò loro solo quando si voltarono verso la porta da dove erano entrati, la stessa che oltrepassano i cardinali in occasione del Conclave: infatti, si trovarono davanti il Giudizio Universale, con le sagome che volteggiavano nella campitura azzurra, con Gesù Cristo impegnato a dare un ordine a quel vortice, mentre, al suo fianco, la Madonna era stata dipinta avvolta su se stessa, l’unica avvocata7 per le anime.
Entrambi i giovani restarono senza parole, ammaliati nel profondo da tanta espressività.
Quei dipinti narravano un qualcosa che andava oltre il significato religioso che avevano, aprendo un portale di comunicazione tra passato, presente e futuro; erano un messaggio iconografico, narrante la straordinaria capacità dell’essere umano di apprendere e comprendere, di andare oltre i propri confini.
Marcello si voltò verso Beatrice per chiederle se fosse soddisfatta, tuttavia, osservando il sorriso che esprimeva tutto il misto di emozioni che stava provando, decise di tacere, non volendo rovinare quel momento di contemplazione.
Anche perché, a farlo, ci pensò qualcun altro: un signore che, correndo mentre cercava di riacciuffare il figlioletto che scappava qua e là, urtò malamente la fanciulla, facendola quasi cadere.
«Mi scusi!
» le gridò, senza nemmeno guardarla in faccia, agguantando il bambino e trascinandolo via.
Il giovane stava quasi per commentare sulla scarsa educazione che aveva esibito il tizio, quando notò che la fanciulla aveva chiuso gli occhi e si era irrigidita, assumendo una posa come di difesa.
Trovandolo esagerato, nonostante l’entità dell’impatto, Marcello le chiese: «Cosa c’è, Beatrice?»
Lentamente, la ragazza ispirò a fondo e tornò più rilassata, anche se non del tutto: «Nulla, mi dà solo fastidio quando mi toccano gli estranei».
«Ti ha fatto male?»
Lei negò con il capo: «Non è solo quello. Sai, dopo quello che...».
E si interruppe, come se temesse di aver detto troppo, chinò rapidamente la testa e tornò contratta come prima.
Insospettito da quello strano atteggiamento, il biondo insistette: «Dopo quello, cosa?»
Beatrice ci mise qualche secondo per rispondere. Dal canto suo, Marcello attese paziente, non sollecitandola ulteriormente ed ottenendo così l’effetto contrario, giacché aveva tutta l’intenzione di scoprire il perché la ragazza si stesse comportando in maniera così strana.

«Ecciniziò lei, tentennante, «poco più d’una settimana fa, è venuto a trovarmi Navarra e... mi ha... messo le mani addosso».
Le ultime parole sortirono su Marcello un effetto istantaneo: avvertì montare una collera così forte che, se in quel momento avesse avuto davanti quel troglodita, l’avrebbe macellato all
istante come il maiale che era. Anzi, paragonarlo ad un maiale era un offesa, per l’animale, ovviamente.
«Che lurido bastardo!» ringhiò, avvertendo i visceri che si contraevano per la rabbia. La sola idea, che quello schifoso avesse allungato le sue zampacce sulla giovane, doveva avergli fatto schizzare la pressione alle stelle. «Come diavolo si è permesso!»
Solitamente, era un ragazzo che cedeva molto di rado alle passioni dell’animo, privilegiando il raziocinio ai sentimenti, eppure, già quando aveva sentito i tormenti di Vittoria, aveva sentito di odiare profondamente quegli uomini che trattavano le donne come se fossero giocattoli; apprendere quale orrore era toccato alla sua Beatrice non fece altro che amplificare la sua collera.
«Navarra non ha un codice donore, lo sai» gli disse la ragazza, guardandolo tristemente.
«Scommetto che quel coglione di tuo fratello non ti ha protetta» affermò lui, con rabbia, sicuro di ciò che aveva appena formulato.
«No...».
«Immaginavo».
Colto da un’improvvisa inquietudine, fece qualche passo in avanti, tornò indietro e ricominciò un’altra volta, per poi tornare nuovamente al punto di partenza.
«Ma un essere così inetto, come ha fatto durante il servizio di leva?»
Beatrice assunse un’espressione meravigliata: «
Infatti non l’ha fatto... È riuscito ad evitarlo, adducendo la motivazione che ’l babbo era in punto di morte e che il capofamiglia era lui».
Quella risposta non fece altro che peggiorare la bassa opinione che il giovane aveva di Guido Tolomei; se avesse potuto, Marcello l’avrebbe volentieri mandato a scavare in miniera, lontano dalla luce del sole e dall’aria pura.
Forse era giunto il momento di andare a parlare davvero con quell’inetto: non poteva continuare a costringere la sorella a frequentare quel rifiuto umano di Navarra.
Già, gli avrebbe parlato, ma che cosa gli avrebbe detto di preciso? Prima di offrirsi lui come probabilme marito, prima avrebbe dovuto chiedere a Beatrice se fosse d’accordo.
Bastarono quei pochi pensieri per far ripiombare di nuovo Marcello nella sua spirale di dubbi e timori.
A quel punto, la fanciulla, che doveva aver notato l’ombra che era passata sul suo viso, gli sussurrò, mortificata: «Scusa, non volevo deprimerti».
Tuttavia, Marcello scosse la testa, sospirando.
«No, non è per te, assolutamente. Stavo solo pensando
che, prima o poi, tuo fratello dovrà pagarla cara per tutto quello che ti sta facendo».
«Sì, ma non pensiamoci ora. Ti prego, non roviniamoci la serata» lo supplicò lei.
Il ragazzo la assecondò e la seguì, ultimando il tour degli affreschi, anche se, ormai, nella sua testa e nel suo animo, infuriava la peggiore delle burrasche.

Usciti dai Musei Vaticani, Beatrice espresse il desiderio di poter fare una passeggiata per il centro, dato che, da quando era a Roma, nessuno aveva avuto il buon cuore di farglielo vedere; data l’ora e il periodo dell’anno nel quale si trovavano, Marcello pensò che sarebbe stato molto suggestivo portarla a vedere la Fontana di Trevi, circondata dalle luci colorate degli esercizi commerciali circostanti.
Il monumento di marmo si presentò ai loro occhi maestoso e con un’aura quasi titanica, accentuata dai drammatici giochi di chiaroscuro delle statue, rese enfatiche dalla plasticità dei dettagli scolpiti.
Non c’era moltissima gente, a discapito del fatto che fosse quasi Natale, pertanto Beatrice riuscì ad avvicinarsi al complesso senza troppe difficoltà, rimanendo a guardare incantata i curiosi riflessi che l’acqua creava sulla pietra.
Temendo che ci potesse essere nei paraggi qualcuno con le stesse brutte intenzioni di Navarra, il biondo la seguì, per non perderla di vista nemmeno un attimo, sedendosi sul bordo della vasca.
Se già verso di lei aveva sempre provato una sorta di istinto di protezione, alla luce delle nuove dichiarazioni esso si era decisamente esasperato.
Incurante di tali pensieri, la giovane si sporse per guardare meglio il tutto ma, evidentemente, non doveva aver calibrato bene la spinta e fu sul punto di finire dritta in acqua.
Rapido, Marcello la riacciuffò per un soffio, tirandola verso di sé.
«Attenta! Hai voglia di farti una nuotata serale, per caso?» la rimproverò.
«Mi sono lasciata prendere dalla bellezza del posto» si difese lei, abbozzando un sorriso imbarazzato. «E poi, finirti addosso sta diventando un vizio».
Solo allora il giovane si rese conto che aveva la ragazza praticamente in braccio.
«
Già» rispose, avvertendo un piacevole stretta allo stomaco e, subito dopo, un tremendo senso di colpa.
Beatrice, invece, sembrava perfettamente a suo agio e diede un altro sguardo alla statua di Oceano.
«
Se fossi caduta nella fontana, avrei potuto provare anch’io l’emozione di recitare Marcello, come here!» esclamò, ridendo.
«
Cosa?» chiese il giovane che, assorto nello sbrogliamento dei suoi conflitti interiori, non stava affatto seguendo il filo del discorso.
«Ma sì! Come dice l’Anita Ekberg a Mastroianni ne La Dolce Vita».
«
Ah, sì, è vero» replicò lui, distrattamente.
La fanciulla lo guardò accigliata.
«
Come sei serio, la battuta era carina, dai. Mi è venuta spontanea, qui davanti» fece, sorridendogli mentre gli sistemava il bavero del cappotto.
Era così vicina a lui che poteva percepire i suoi capelli fargli il solletico sul viso.
Deglutì a vuoto: quella fu la prima volta in cui comprese cosa significasse provare l’ardente desiderio di baciare una ragazza e, per un secondo di follia, stava quasi per cadere nella tentazione di farlo.
Si alzò bruscamente, rischiando di farla cadere per davvero.
«Marcello, ma... mi dici cos’hai?» domandò Beatrice, sbigottita e irritata.
«Niente, è tutto a posto» le rispose il giovane, distanziandosi di qualche passo e dandole le spalle.
«
Non è vero. Ho capito subito che oggi eri turbato!»
«Sto bene» ribadì lui, secco.
Ne seguì un attimo di pausa, al termine del quale, udì la voce di lei, querula e più lontana di quanto pensasse, che diceva: «Avresti potuto dirlo subito, che non ti allettava l’idea di uscire con me...»
«Non è vero! Cosa stai...» iniziò il ragazzo, voltandosi verso la fanciulla e accorgendosi che non era più accanto a lui. La individuò un secondo più tardi, riconoscendola nella giovane che, mesta, si stava avviando in Via del Lavatore.
«Beatrice, aspetta!» esclamò Marcello, senza ottenere risposta.
Si sentì davvero un idiota ad averla allontanata per le sue paranoie, a tal punto che si sarebbe picchiato da solo. Si rizzò in tutta la sua imponente altezza e, con passo fermo, le andò dietro, raggiungendola nel giro di pochi istanti. Si stava preparando a chiamarla una seconda volta, quando un monito interiore gli suggerì che non era più il momento di parlare, bensì era arrivato quello di passare ai fatti.
Senza strattonarla, le prese una mano e la fece voltare verso di sé, come se volesse farle eseguire un’elegante piroetta danzante, ritrovandosi molto più vicino a lei di quanto avrebbe creduto.
Si concesse di ammirarla solo per un attimo, prima di cedere all’impulso, catturando le labbra di lei con le proprie. Per una volta, Marcello decise di assecondare le sue sensazioni: voleva sentirla più vicina e, per questo, le mise entrambe le mani sui fianchi, attirandola ancora di più verso di sé, mentre assaporava maggiormente quel dolce contatto.
Beatrice, dal canto suo, superati i primi attimi di stupore, gli buttò le braccia al collo, ricambiando il bacio con intensità e trasporto, mentre l’acqua continuava a scorrere nella fontana e i passanti proseguivano nel loro passeggio: il tempo sembrava essersi fermato solo per loro due.
Si discostarono leggermente poco dopo, entrambi restii a lasciarsi andare.
«Non pensavo fossi così... focoso» gli disse piano la fanciulla, piacevolmente sorpresa, dispiegando lentamente le labbra in un sorriso.
«Scusami, io...» rispose lui, lievemente imbarazzato: era il primo bacio che dava ad una ragazza, forse avrebbe dovuto essere meno impetuoso e più delicato?
Ma ciò che aggiunse dopo Beatrice gli fece capire che a lei, in realtà, quell
approccio non era dispiaciuto affatto.
«Ti prego, non dire niente» gli sussurrò dolcemente, accarezzandogli la guancia perfettamente sbarbata. «Ho aspettato fin troppo questo momento».
Marcello sorrise appena, chinandosi nuovamente su di lei: almeno per quel momento, aveva deciso di mettere a tacere tutti i suoi dubbi.






***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per aver letto tutto questo in anteprima.
***
[N.d.A]
1. Weihnachtsmarkt: il tradizionale mercatino di Natale di Marienplatz.
2. Deutsche Demokratische Republik: Repubblica Democratica Tedesca, come veniva identificato lo stato della Germania Est, in contrapposizione alla Bundesrepublik Deutschland, ossia la Repubblica Federale Tedesca (o Germania Ovest).
3. accelerazione dei tassi di crescita: effettivamente, tra il 1988 ed il 1993, l’economia della Germania ha attraversato un ottimo periodo.
4. Schweinshaxe... Kartoffelsalat: stinco di maiale e insalata di patate, piatti tipici della cucina bavarese.
5. romanticamente: il termine deve essere preso nell
accezione affine al movimento filosofico-letterario del Romanticismo, in quanto sottointende che Beatrice è paragonabile ad uneroina romantica perché vuole rivendicare la sua posizione, innanzi tutto, di persona con dei diritti inalienabili.
6. Musei Vaticani: Marcello e Beatrice sono riusciti ad accedere ai musei nel tardissimo pomeriggio, poiché hanno usufruito dell’apertura serale, che cade una volta alla settimana.
7. avvocata: termine volutamente scelto per ricalcare i versi del Salve, Regina!: “orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi”.

***


Buon anno nuovo a tutti!
Il caso ha voluto che oggi dovessi aggiornare, proprio in occasione del mio quinto anniversario di permanenza su questo sito. Ovviamente questo non interessa a nessuno, quindi vado oltre.

Vorrei aprire una piccola parentesi sul perché ho scelto di ambientare la trasferta a Monaco di Baviera: punto primo, ci sono stata in vacanza quest’estate, pertanto ero abbastanza sicura di poterla descrivere in maniera veritiera e concreta; punto secondo, come sapete, la Germania è stata la nazione che meglio ha impersonato e risentito della Guerra Fredda, essendo stata divisa a lungo. Siccome ci tengo a dare la parvenza di anni ’80, mi è sembrato che fosse emblematico, ecco.
Ringrazio chi legge, chi ha messo questa storia nelle preferite, ricordate e/o seguite, chi ha commentato lo scorso capitolo.

A questo punto,
lascio il link al mio blog e alla pagina facebook, dove (nei prossimi giorni) troverete uno spoiler del capitolo nono e altre cose.
Saluti e alla prossima, per chi avrà la bontà di continuare a seguirmi.
Halley S. C.

  
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