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Autore: Giulia K Monroe    19/11/2008    7 recensioni
E se Harry Potter avesse avuto una sorella minore?
E se Sirius Black non fosse stato catturato e portato ad Azkaban?
Cosa sarebbe successo alla storia più amata di tutti i tempi? Scopritelo leggendo!
***
All'improvviso lo sguardo opaco, grigio metallo sporco, si accese. Luminoso e carico di rabbioso odio, si riversò su quello della ragazza, che trasalì spaventata.
Alexis fece per indietreggiare, ma lui non glielo permise: lasciata scivolare la mano da sotto le sue, le aveva artigliato le spalle con una presa tanto violenta da farla gemere per il dolore; l'aveva quindi trascinata contro l'armadio e l'aveva sbattuta furibondo contro lo specchio, facendole mancare il respiro.
«Perché non ti sei fidata di me?!» ruggì Draco e alzò il braccio con una mossa così repentina che lei, per un attimo, temette che stesse per colpirla; lui invece scaraventò il pugno al di sopra della sua spalla e il suo viso venne sfiorato solo dall'aria smossa: le nocche pallide avevano cozzato con lo specchio al quale era poggiata, incrinandolo.

[IN FASE DI REVISIONE]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Harry Potter, Nuovo personaggio, Sirius Black | Coppie: Harry/Ginny, Lucius/Narcissa, Ron/Hermione
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Il giorno tanto atteso era finalmente arrivato, la partenza per Hogwarts era vicina. Mezz’ora e il treno sarebbe partito, pronto a lasciare il mondo Babbano e a immergersi nel mondo magico.
E Alexis non era ancora pronta… mentalmente si intende.
Non era ancora entrata nell’ordine delle idee che di lì a qualche ora si sarebbe ritrovata in quei luoghi che da bambina aveva sempre sognato di vedere, quando Sirius, per farla addormentare, le raccontava delle sue avventure con i Malandrini; e, soprattutto, non era ancora preparata al fatto che avrebbe visto suo fratello ogni giorno: questo le riempiva il cuore di gioia e, allo stesso tempo, glielo faceva frullare nel petto agitato. Avrebbe dovuto trovare un modo per stargli vicino senza rivelargli che era sua sorella e avrebbe dovuto fare in modo che non la odiasse per essere una Black e, soprattutto, per essere la sorella di colui che tutti ritenevano avesse ucciso i loro genitori. Non sapeva se sarebbe riuscita nel suo intento e questo le contorceva lo stomaco in un groviglio di ansia e paure.
Si trovava alla stazione di King Cross, con un paio di gambe molle più del burro sciolto e un cuore che rischiava di uscire violentemente dal petto. Chissà se poteva davvero succedere. Erano mai capitati casi di cuori che squarciavano petti e balzavano via?
Scosse la testa, cacciando via quei pensieri pessimistici, e si costrinse a calmarsi.
Era sola. Sirius aveva insistito tanto per accompagnarla, ma lei non aveva acconsentito: andava bene uscire di notte, ma di giorno, al centro di Londra, non se ne parlava proprio. A volte si stupiva della sconsideratezza del padrino!
Così, si era limitato a darle le informazioni necessarie per arrivare al binario 9 e ¾ -ripetendo più volte le cose, per essere sicuro che non si perdesse. Aveva tenuto un’espressione imbronciata per tutto il tempo, neanche fosse lui il ragazzino tra i due, ma quando era stato il momento di salutarsi, l’arrabbiatura era scomparsa e l’aveva tenuta stretta a sé per una buona mezz’ora.
Alexis si avviò verso la colonna in mezzo ai binari nove e dieci, come le aveva detto Sirius.
È meglio se vai di corsa, se sei agitata” – le aveva suggerito.
E così fece. Un ultimo, profondissimo respiro, si assicurò che nessuno la stesse guardando e cominciò a correre, spingendo il carrello. Sicura che non avrebbe funzionato, chiuse gli occhi, pronta all’urto contro la colonna, ma questo non avvenne e lei sentì il terreno continuare a scorrere sotto i suoi piedi veloci. Frenò solo quando sentì il rumore tipico di una locomotiva. Aprì gli occhi, trovandosi in un posto del tutto differente rispetto alla stazione di King Cross. Sopra la sua testa, un cartello rosso indicava la scritta “Binario 9 e ¾”. Ce l’aveva fatta!
Si guardò attorno, notando la folla di gente che si spintonava eccitata per entrare nel treno: genitori che salutavano più volte i figli, ragazzi che si sporgevano dai finestrini, carrelli pieni di valigie e di gabbie, gufi, gatti e rospi!
Si avviò, facendo attenzione a non urtare qualcuno o qualcosa. Alla fine, seguì una famiglia che portava i bagagli verso la coda del treno. Lasciò il carrello, con tutti i suoi effetti personali, a un uomo incaricato di sistemarli all’interno di un vagone e finalmente salì.
Percorse i corridoi, pieni di ragazzi affacciati ai finestrini che ancora salutavano o rassicuravano i genitori. Scrutando all’interno degli scompartimenti, vedeva gruppi di ragazzi scherzare e ridere, eccitati all’idea di cominciare un nuovo anno ad Hogwarts.
Lei sarebbe mai riuscita a crearsi un gruppo tutto suo?
Alla ricerca di un posto, non si era accorta di essere ormai arrivata ai primi vagoni. Con sua grande felicità, trovò uno scompartimento vuoto e lo occupò, prima che qualche gruppo potesse rubarglielo sotto il naso. Poco dopo, il treno partì.
Alexis restò a osservare le strutture delle case di Londra trasformarsi pian piano in una landa verdeggiante, che correva veloce sotto i suoi occhi, unendosi in modo uniforme con l’azzurro del cielo di quella splendida giornata.
Si perse in mille pensieri e fantasticherie e si ridestò solo quando sentì la porta del suo scompartimento aprirsi lentamente. Guardò le due ragazze, ferme di fronte alla soglia: avevano un aspetto famigliare e, solo quando una di loro parlò, si ricordò dove le aveva viste; erano le ragazze che stavano insieme ad Harry al Ghirigoro.
«Possiamo?» chiese quella più grande, indicando l’interno dello scompartimento. «Tutti gli altri sono occupati.»
Alexis sorrise e fece loro cenno di entrare. «Certo, nessun problema.»
«Grazie.»
Si accomodarono sui sedili di fronte a lei, sistemando le borse sul portabagagli sopra le loro teste. Alexis allungò il collo per guardare il corridoio, col cuore in gola: se loro erano lì, forse anche Harry...
«Stai aspettando qualcuno?» le chiese la ragazza più grande.
Alexis scosse la testa. «No, nessuno. Sono nuova di qui» rispose, agitata suo malgrado.
A quanto pareva, suo fratello non era con loro stavolta. Si sentiva insieme sollevata e dispiaciuta.
«Anche Ginny lo è» rispose la ragazza dai capelli bruni, indicando l’amica che sorrideva imbarazzata. Era la stessa che aveva difeso Harry contro Malfoy, in libreria. «Io invece sono Hermione Granger, piacere di conoscerti» si presentò, porgendole una mano.
Alexis la strinse. «Piacere mio, Alexandra.» Omise appositamente il cognome: aveva imparato, con il suo viaggio a Diagon Alley, che dire “Black” non era un buon biglietto da visita per fare nuove amicizie.
Passarono due ore insieme, parlando del più e del meno. Alexis cominciava a sentirsi finalmente a suo agio. A un certo punto, Hermione si era alzata, dicendo che doveva andare a chiedere una cosa a un’amica di Grifondoro, ed era uscita, lasciando lei e Ginny da sole.
«Sono un po’ agitata» disse quest’ultima, torturandosi le mani in grembo.
«Anch’io» rispose Alexis, «ma credo sia normale… il primo giorno in una nuova scuola fa sempre sempre un po’ paura.»
Ginny annuì. «Spero che finiremo nella stessa casa, sarebbe bello conoscere già qualcuno.»
Alexis mostrò un sorriso di circostanza, ma non replicò e tornò a guardare fuori dal finestrino, oltre il quale il panorama si era ridotto a un’uniforme macchia nera.
Non era tanto sicura che la speranza di Ginny avrebbe potuto avverarsi. Forse, in altre circostanze… ma non in quella.
Quando il treno cominciò a rallentare, Alexis indossò il mantello della divisa e Ginny la imitò. Tutta l’agitazione che era riuscita a dimenticare nelle ore del viaggio la colpì con violenza, facendole tremare le gambe. Forse sarebbe crollata in ginocchio, se Ginny non le avesse stretto la mano, infondendole coraggio e prendendo lei stessa forza da quel contatto. Alexis le sorrise e insieme scesero dal treno.
Nella confusione generale, una voce possente sovrastò tutte le altre. «PRIMO ANNO! PRIMO ANNO! DA QUESTA PARTE!»
Le due ragazze seguirono la voce, fino ad arrivare davanti a un uomo gigantesco. Lo guardarono dal basso stupite, mentre lui sorrideva al loro indirizzo, riuscendo subito a metterle a proprio agio. Una volta che tutti i primini si furono radunati, si incamminarono.
Furono portati in riva all’enorme lago che circondava il castello e fatti salire su delle imbarcazioni in legno, che ospitavano quattro persone. Alexis e Ginny salirono sulla stessa, insieme a un ragazzino dai capelli biondo cenere e una ragazza con due graziose treccine castane. Cominciarono la traversata sul pelo dell’acqua nera, che brillava sotto le luci intense dell’imponente struttura che avevano davanti.
Il castello di Hogwarts era molto, molto più bello di come lo avesse mai immaginato.
«È stupendo!» esclamò meravigliata Ginny, togliendole le parole di bocca.
Dopo quella che sembrò un’eternità, approdarono a riva e scesero dalle barche. Seguirono il gigantesco uomo lungo un viale che conduceva all’entrata principale del castello. Attraversando un enorme portone in legno, si ritrovarono in un ampio e maestoso ingresso, dove faceva bella mostra di sé una scala elegante, ricoperta di un tappeto rosso. Li fecero salire, poi svoltare a destra, fino ad arrivare davanti ad un’altra grande porta.
Ad accogliere i primini arrivò una donna con un cappello a punta e un paio di occhialetti portati sulla punta del naso. «Siamo pronti per accogliervi» annunciò con un sorriso. Si voltò e aprì la porta. Oltre di essa, c’era un’enorme sala con quattro tavolate disposte verticalmente, dov’erano seduti gli studenti delle diverse casate, e una posta in orizzontale, rialzata su di un piano, con tutti i professori.
Ginny strinse di più la mano di Alexis e, insieme agli altri primini, si incamminarono per il corridoio creato dai due tavoli centrali.
Tutti gli occhi erano puntati su di loro.
Uno in particolare seguiva interessato la figura della più giovane della famiglia Black.
Si fermarono davanti alla grande tavolata dei professori e, alzando lo sguardo, Alexis notò uno sgabello in legno, sul quale era riposto un vecchio cappello logoro.
«Quando chiamerò il vostro nome, verrete avanti e indosserete il cappello, che vi smisterà nelle varie case» spiegò la donna che li aveva accolti all’ingresso. Dispiegò una pergamena e si sistemò meglio gli occhiali sul naso. «Canon Colin.»
Il ragazzo dai capelli biondo cenere, che era salito sulla barca insieme ad Alexis e Ginny, si mosse titubante verso lo sgabello (rischiando tra l’altro di inciampare lungo i gradini) e si sedette. La professoressa gli mise il cappello sulla testa e, dopo qualche secondo, questo gridò: «GRIFONDORO!»
Un boato esplose dal tavolo centrale, sulla sinistra, mentre il piccolo Colin scendeva dallo sgabello e si andava a sedere tra i suoi nuovi compagni.
«Cherin Diamond!»
Questa volta, a muoversi dal gruppo, fu una ragazzina dai capelli corti e biondissimi, elegantemente acconciati. Si sedette sullo sgabello e le fu messo il cappello. Qualche secondo e, di nuovo, questo gridò: «SERPEVERDE!»
Questa volta le urla di approvazione provenivano dall’ultimo tavolo sulla sinistra e Diamond si accomodò alla tavolata sovrastata dagli stendardi verde-argento.
Andarono avanti per un po’, fino a che la professoressa non chiamò: «Weasley Ginevra!»
La ragazza strinse ancora di più la mano di Alexis, presa da un improvviso attacco di panico. Questa si voltò e le sorrise. Andrà tutto bene, le comunicò con lo sguardo. L’altra annuì e le loro mani si lasciarono.
Ginny si sedette sullo sgabello, più tesa di una corda di violino, tanto che, quando la professoressa le mise il cappello sulla testa, sussultò spaventata. Qualche secondo, che ad Alexis e alla stessa Ginny sembrarono un’eternità, e infine il cappello gridò: «GRIFONDORO!»
Un boato, ancora più assordante dei precedenti, esplose al tavolo dei Grifoni, mentre i fratelli Weasley fischiavano e urlavano, fieri della loro sorellina. Sollevata, Ginny si diresse verso la sua tavolata, non senza ringraziare l’amica, con uno sguardo che Alexis ricambiò con un sorriso e un cenno del capo.
Con tutta quella tensione e il sollievo provato dopo lo smistamento di Ginny, si era quasi dimenticata che quella “tortura” toccava anche a lei.
L’agitazione tornò con tutta la sua prepotenza, quando, per ultimo, la professoressa pronunciò il suo nome. «Black Alexandra!»
Il silenzio, al quale ormai si stava quasi abituando quando qualcuno pronunciava il cognome che ora indossava, calò all’interno della Sala Grande.
Alexis chiuse gli occhi e respirò lentamente.
Lo spettacolo ha inizio.
Con passo sicuro, infinitamente di più di quanto non lo fosse in realtà, salì le scale. Schiena dritta, mento alzato, sguardo fermo. Con eleganza, si posizionò sullo sgabello e attese che la professoressa le deponesse il capello sulla testa. Le bastò un secondo per setacciare con lo sguardo la sala e notare come tutti la guardassero basiti, spaventati, incuriositi. Un paio d’occhi in particolare catturarono la sua attenzione: Malfoy la stava fissando dal tavolo di Serpeverde e Alexis fu sicura che lo sguardo, che si era sentita addosso da che era entrata nella Sala Grande, appartenesse a lui. Distolse subito l’attenzione da lui e andò alla ricerca di un altro paio d’occhi, che si aspettava la guardassero furiosi, ma questi mancavano all’appello.
Dov’è Harry?
Non ebbe il tempo di trovare una risposta che una vocina estranea le entrò nella testa, facendola sobbalzare. «Oooooh! Guarda tu chi abbiamo qui: la sorellina di Harry Potter! Quale onore entrare nella sua mente, signorina Alexis! Mmmh… vediamo… mi è stato già detto cosa devo fare con lei, ma è sicura della sua scelta? Non si torna indietro» le disse il Cappello, nella mente.
Già, era davvero sicura? Era pronta a ciò che l’aspettava?
– pensò, con poca convinzione.
«Quanto coraggio vedo, in questo cuore… e quanta bontà d’animo! Pronta a sacrificarsi per il bene delle persone care. Stiamo commettendo un grande errore, l’ho detto a Silente!»
Il silenzio che seguì nella mente della giovane fece capire al Cappello che non sarebbe tornata sui suoi passi. La sua decisione era quella e niente glie la avrebbe fatta cambiare.
«Va bene, come vuole, signorina Potter… o dovrei dire, signorina Black! Prima che urli la casa da lei scelta, vuole sapere dove sarebbe finita, se le cose fossero andate diversamente?»
Sì! – pensò di nuovo Alexis, questa volta con più vigore.
«I tuoi genitori sarebbero stati fieri di te, piccola Grifondoro» le sussurrò con dolcezza nell’orecchio.
L’espressione composta, che era riuscita a mantenere fino a quell’istante, vacillò per un attimo, mentre il cappello gridava: «SERPEVERDE!»
Dal tavolo sulla parete di sinistra scoppiarono fischi, urla e applausi, ma Alexis non sentiva nulla. Si limitò a ringraziare mentalmente il Cappello e a reprimere una lacrima, insieme al suo vero io.
Si accomodò al tavolo delle Serpi e subito alcune mani si allungarono a stringere la sua, congratulandosi con lei e ripetendo più volte il suo cognome, come fosse qualcosa di cui andare estremamente fieri. Alexandra Black rispose con cenni rispettosi del capo, sorrisi appena accennati e qualche parola di circostanza.
Gli occhi sgranati di Hermione e Ginny la fissavano dal tavolo dei Grifondoro, incredule e incerte di quale fosse la reazione giusta da avere a quel sorprendente smistamento. Non ci voleva molto a capire che tra i Grifoni e le Serpi non corresse buon sangue: Sirius glie lo aveva accennato, ma non credeva ci fossero ancora tutti quei pregiudizi.
Voltando lo sguardo, si ritrovò ancora una volta a intercettare quello di Malfoy. Continuava a fissarla in quel suo modo aperto e sfacciato. Le sorrise in modo sinistro, ma lei non ricambiò e anzi lo ignorò per il resto della cena.
La serata passò abbastanza velocemente. Finito che ebbero, i Prefetti delle varie casate mostrarono ai primini come arrivare al loro dormitorio. Quello dei Serpeverde li condusse nei freddi e umidi sotterranei. Si fermarono davanti a un tratto di pietra squallido e vuoto.
«Per accedere alla Sala Comune, bisogna pronunciare la parola d’ordine in questo punto. Quest’anno è: Purosangue» spiegò il Prefetto, mentre dietro di lui il muro di pietre scorreva, come una porta, e lasciava libero l’accesso al ritrovo delle Serpi.
La Sala Comune era lunga e dal basso soffitto, interamente in pietra; da questo scendevano delle catene, sulle quali erano appese delle lanterne rotonde, in vetro verdognolo; gli stendardi verdi e argento erano appesi a delle eleganti colonne, che dividevano l’ingresso dalla vera e propria sala, fornita di due ampi camini in marmo, qualche divano elegante, rigorosamente verde, e qualche tavolino tondo.
Era un ambiente freddo, ma di indubbia eleganza.
«Il dormitorio dei maschi è sulla destra, quello delle ragazze a sinistra» spiegò ancora il Prefetto, con aria stanca e annoiata. «Vi conviene andare a riposare, domani vi aspetta una giornata impegnativa.» Con quell’ultimo, indifferente consiglio, si congedò, sparendo di nuovo al di là del muro di pietra dal quale erano entrati.
I primini cominciarono quindi a dividersi e a entrare nei propri dormitori.
«Black, vieni?» la invitò Diamond, la ragazza bionda che per prima era stata smistata a Serpeverde e con la quale aveva scambiato qualche chiacchiera durante la cena.
«Sì, arrivo tra un attimo! Devo fare una cosa veloce e ti raggiungo» rispose Alexis, facendole cenno con la mano di precederla. Diamond annuì e sparì insieme alle altre dietro la porta del dormitorio femminile.
Era rimasta sola, a farle compagnia solo lo scoppiettare allegro del fuoco nel camino. Si avvicinò a uno dei tavoli, contenta che fosse fornito di qualche pergamena, di un piuma e di una boccetta d’inchiostro. Si accomodò e alla luce fioca delle fiamme cominciò a scrivere la lettera per Sirius: gli aveva promesso di scrivergli non appena fosse arrivata.
Quando finì, lasciò che l’inchiostro si asciugasse, poi piegò il foglio e lo ripose nelle tasche del mantello: l’avrebbe inviata l’indomani mattina.
Stava rimettendo a posto il tavolino, quando qualcuno le si avvicinò, silenzioso come un’ombra tra le tenebre. Fredde dita affusolate si serrarono intorno al suo polso sottile, facendola sobbalzare. La boccetta d’inchiostro le cadde di mano e il liquido nero si sparse per tutto il tavolino. Si girò di scatto e si ritrovò a fissare il volto cesellato di Draco Malfoy.
Erano vicini. Troppo vicini.
Cercò di controllare il cuore che le era balzato in gola per lo spavento. «Ah, sei tu» mormorò.
Malfoy la scrutò dall’alto con un’occhiata curiosa. «Sembri delusa, aspettavi qualcun altro?»
«Non aspettavo di certo te» rispose lei. Si divincolò dalla presa delle sue dita gelide e lui la lasciò andare, senza forzare la sua presenza su di lei. «Volevi qualcosa in particolare?»
«No, solo salutarti.»
Alexis scrollò le spalle. «Sì, beh. Ciao, allora.» Senza aggiungere altro, lo superò, pronta a infilarsi nei dormitori femminili.
Malfoy non glielo permise. «Frena. Perché tanta fretta, Black?» La sua mano si era mossa di nuovo ad artigliarle questa volta una spalla, fermando il suo incedere rapido. «Non è questo il modo di trattare la famiglia, quello zotico di tuo fratello non ti ha insegnato le buone maniere?»
Più Malfoy parlava, più lei lo odiava.
Si rivoltò come una furia, sottraendosi alla sua stretta. I suoi occhi verdi lanciavano lampi e le sue guance arrossate fecero ghignare Draco con una sorta di malsano divertimento.
«Lascia Sirius fuori da qualsiasi nostro futuro discorso.»
«Ma guarda, ho toccato un tasto dolente, cuginetta?»
Alexis strinse la mano in un pugno e di nuovo, come da Madama McClan, provò il selvaggio desiderio di colpirlo. Si costrinse invece a calmarsi, non poteva farsi provocare così ogni volta che qualcuno parlava male di Sirius: doveva aspettarselo, dopotutto. Lui non era altro che un assassino, per gli altri.
Rilassò le dita e se le lisciò sul mantello, cercando di controllarne il lieve tremore. «No» rispose, facendo del suo meglio per mantenere un tono neutro, «ma su una cosa hai ragione: Sirius Black è uno zotico e un traditore e il fatto che condividiamo lo stesso sangue non significa che io debba essere accomunata a uno come lui.» Fece una pausa e lo squadrò. «O a uno come te» chiarì.
Il sorriso scivolò via dalle labbra di Malfoy e un guizzo nervoso gli fece ballare una guancia.
«Il fatto che i nostri genitori siano imparentati non significa che debba sentirmi legata a te in qualche modo, metà del mondo magico lo è, quindi non vedo perché tu debba prenderti tutte queste confidenze solo perché condividiamo una linea di sangue. Io non ti conosco e, da quel poco che ho visto» concluse, squadrandolo da capo a piedi ancora una volta, «non mi interessa nemmeno farlo.» Si girò e con tutta la dignità conferitale dal suo falso cognome, si ritirò nei dormitori femminili.
Solo quando si fu chiusa la porta alle spalle, si permise di crollare: le gambe non la reggevano più; era disgustata da sé stessa, per le cose orribili che aveva detto su Sirius, ma era anche orgogliosa per come aveva rimesso al suo posto quel viziato di un Malfoy. Sperava che, dopo aver messo in chiaro come la pensava su di lui, l’avrebbe finalmente lasciata in pace.
Beh… sbagliava.
   
 
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