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Autore: TaliaAckerman    11/01/2015    3 recensioni
[Revisione in corso]
Il secondo atto della mia personale saga dedicata a Fheriea.
Dal terzo capitolo:
- "Chi hanno mandato?- mormorò Sephirt dopo essersi portata il calice di liquido rossastro alle labbra. – Chi sono i due maghi?
- Nessuno di cui preoccuparsi realmente. Probabilmente due che dovremmo avere difficoltà a riconoscere. Una ragazzo e una ragazza, lei è quasi una bambina da quanto l’infiltrato mi ha riferito. Credo che ormai l’abbiate capito: non devono riuscire a trovarle.
- E come mai avete convocato noi qui? – chiese Mal, anche se ormai entrambi avevano già intuito la risposta.
Theor rispose con voce ferma: - Ho un incarico da affidarvi"
Se volete sapere come continua il secondo ciclo di Fheriea, leggete ^^
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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25








UNA SETTIMANA DOPO


Città dei Re non era nemmeno visibile all’orizzonte.
Jel aveva pensato che il viaggio sarebbe durato all’incirca qualche ora in più rispetto a quello per Amaria, ma era evidente fosse stato fin troppo ottimista. Lui e Gala continuavano a procedere il più speditamente possibile verso nord-est, eppure ancora non avevano idea di quanto fosse lontana la capitale di Fheriea. In verità non sapevano nemmeno se avessero già oltrepassato il confine con lo Stato dei Re.
«Forse stiamo andando troppo a nord…» suppose il giovane pensieroso, mentre spezzava una pagnotta e ne porgeva una metà a Gala.
Si erano appena fermati per sostare qualche minuto all’ombra di due imponenti querce e i due cavalli di Kor erano poco distanti da loro occupati a brucare tranquillamente.
Gala arricciò il naso.
«Credo che abbiamo sbagliato ad allontanarci così tanto dalla Grande Via… se l’avessimo seguita forse a quest’ora saremmo già arrivati». Inspirò impaziente e si ficcò un po’ di mollica in bocca.
Lui non rispose subito: in effetti non avrebbe saputo cosa dire. Che seguendo la Grande Via la durata del tragitto fosse minore era innegabile, ma lui era stanco. Stanco di essere osservato, stanco di rischiare, stanco di incappare in sgradevoli personaggi. La Grande Via era la principale connessione fra le maggiori città di Fheriea, vi si poteva incontrare di tutto, da famiglie nobili trasportati da sontuose carrozze a bande di mercenari, da vagabondi a viaggiatori, a Ribelli, forse.
Non ci pensare, si disse.
Già. Per il momento erano al sicuro e in solitario; la loro vita era decisamente più importante di una giornata o due di ritardo.
Consumarono lo spuntino senza più parlare; mentre mangiava, distrattamente Jel infilò una mano nella propria tasca, all’interno del sacchetto con le Pietre. In qualche modo sapere di averle ancora lo rassicurava – l’idea del loro immenso potere era piacevole – e lo onorava. Erano lo scopo del loro viaggio, il prezzo per tutte le difficoltà e in fin dei conti, lui era contento di non averle perdute.
Alla fine, controvoglia, il mago richiuse il suo sacco con le provviste e si accinse a ripartire.
«Vieni, Gal. So che sei stanca, ma prima raggiungiamo Città dei Re meglio è…»
«Certo, certo, non c’è problema».
Da quando avevano lasciato Tamithia lei e Jel non avevano più discusso neanche una volta. Forse perché entrambi erano troppo stanchi di qualsiasi tipo di contrasto, forse perché semplicemente non avevano nemmeno più la forza per litigare.
Per i primi giorni Gala aveva mantenuto la stessa espressione sconvolta che aveva ostentato subito dopo aver pugnalato alle spalle Sephirt; durante i riposi notturni Jel l’aveva sentita agitarsi nel sonno e svegliarsi madida di sudore: per giorni quasi non aveva parlato, cavalcando a capo chino e mangiando solo il minimo indispensabile.
E poi le cose avevano cominciato ad andare un po’ meglio. Era persino capitato che – qualche volta – la strega gli sorridesse, come nel momento in cui l’aveva salvato. Gli incubi si erano apparentemente affievoliti e fra i due si era stabilita una immobile e insolita calma. Aveva qualcosa di surreale, eppure Jel la trovava piacevole.
Non avevano più parlato della morte di Sephirt. Jel pensava fosse inutile pressare Gala a esternare come si sentisse, perché lui non era certo di poterle essere d’aiuto. Superare il trauma di aver ucciso una persona era una svolta che doveva compiere da sola. Dopotutto era la stessa cosa che aveva dovuto affrontare lui.
In verità non avevano più neanche affrontato l’argomento Ribelli. Ora che stavano attraversando un momento relativamente di pace Jel non aveva alcuna voglia di rievocare gli sgradevoli dettagli dell’immediato passato o la paura per il futuro: era molto meglio concentrarsi sulla loro destinazione e sul prelievo della Pietra del Nord. Poi sarebbero stati liberi di tornare a casa.
«Se davvero siamo arrivati troppo a nord sarà meglio deviare un po’ verso est» propose mentre entrambi montavano di nuovo a cavallo.
«Dovrebbe essere la cosa migliore, sì» concordò Gala. «Io ti seguo, d’accordo?»
«Allora andiamo».
Ripartirono. Avevano ancora almeno tre ore e mezza di luce e, se non avessero raggiunto la meta entro allora, avrebbero potuto continuare ancora per le prime ore della notte. In ogni caso Jel avrebbe preferito raggiungere Città dei Re in un’ultima, forse estenuante, tirata.
Prima saremo nella capitale, prima saremo al sicuro.
Jel sentiva anche il bisogno di rientrare in contatto con il mondo cui era abituato, anche per apprendere qualche notizia in più sulla morte di Camosh. Forse, se il corpo fosse stato ritrovato, avrebbe ottenuto il permesso di partecipare al suo funerale per dargli un ultimo saluto. Ripensò anche a ciò che aveva ascoltato nel palazzo di Amaria e alla possibilità che fosse stato proprio Raek, il traditore, a uccidere il suo vecchio maestro. Istintivamente strinse i pugni: con tutti i pericoli cui avevano dovuto sfuggire in seguito a quella scoperta, non aveva ancora avuto modo di soffermarvisi. Era incredibile che il lord dell’Isola Grande fosse riuscito a fare il doppio gioco per così tanto tempo senza destare il minimo sospetto... Come se non bastasse, ricordò in quel momento, anch’egli probabilmente era diretto a Città dei Re, per la loro medesima ragione: recuperare la Pietra Bianca.
Avevano lasciato il luogo dove avevano pranzato da non più di una decina di minuti quando Jel udì la voce di Gala dietro di sé chiamarlo a gran voce.
«Che cosa c’è?» chiese stupito, mentre di colpo induceva il proprio cavallo a rallentare e a fermarsi. Gala lo raggiunse in pochi secondi e, quando Jel vide che il suo viso era impallidito dalla paura, il suo cuore sprofondò; si voltò nella direzione che la ragazza stava indicando e non ebbe bisogno di alcuna spiegazione.
Almeno una quindicina uomini a cavallo erano dietro di loro, a non più di una trentina di metri di distanza. In sella ad altrettanti destrieri di razza, portavano tutti un simile mantello, ma da quella distanza Jel non riuscì a distinguere se fosse viola, blu o nero. E in solo vorticoso istante il Consigliere comprese che non avrebbero avuto alcuna possibilità nell’affrontarli.
Da quanto tempo erano dietro di loro? Non importava.
«Scendi da cavallo e alza le mani» ordinò immediatamente a Gala. «Non possiamo combattere. Fa’ come ti dico».
Chiunque fossero, dovevano arrendersi: forse gli inseguitori non erano maghi, ma quindici guerrieri era davvero un numero troppo alto per loro. Quella volta non avrebbero potuto cavarsela con gli incantesimi che erano abituati a padroneggiare.
In meno di un attimo furono circondati: gli uomini a cavallo li serrarono in uno stretto e minaccioso cerchio, ruotando attorno a loro squadrandoli diffidenti. Jel afferrò Gala per una spalla tenendola stretta a sé. «Stai calma…» le sussurrò tentando di sembrare convincente.
«Jel… oh, Jel…»
Ma il giovane la zittì. Ora che li vedevano da vicino, poté riconoscere che i mantelli dei soldati erano di un'intensa tonalità violacea, quasi borgogna. Il mago poteva distinguere con chiarezza il familiare simbolo ricamato con cura nella stoffa delle loro pettorine: un letjak, argentato però, non d'oro come quello della famiglia reale ariadoriana. Quelli che li avevano circondati non erano nemici: doveva appartenere alle truppe di qualche signore feudale dell'Ariador settentrionale.
«Chi diavolo siete voi?» domandò uno di loro in tono duro, scendendo da cavallo e facendosi avanti. «Come mai attraversate queste lande?»
Jel che, per il sollievo, era stato tentato di scoppiare a ridere, cercò di assumere il tono più naturale e rispettoso che gli riuscì: dovevano essere convincenti. Per un attimo fu tentato di dire la verità, che erano Consiglieri in missione, ma poi cambiò idea. Ora come ora, vedendoli così stanchi e malconci, senza alcuna prova ufficiale – era improbabile che un capitano di ventura qualunque fosse in grado di riconoscere le loro spille – nemmeno lui stesso ci avrebbe creduto.
«Ci siamo persi» si affrettò a rispondere, mollando una gomitata a Gala che stava per aprire bocca anch’ella. «Non siamo di qui, ma stiamo cercando di raggiungere…. ehm…»
Quale diavolo era una città, un villaggio che si trovasse in quella regione?
«... In verità stiamo andando a trovare dei nostri parenti. Sappiamo che non abitano troppo distanti dalla Grande Via, a est del confine, ma non sappiamo con esattezza dove» cominciò ad acquistare sicurezza. «È da ore che vaghiamo, ma…»
«Ragazzo» lo interruppe l’uomo con un sorriso sornione. «Conosciamo queste terre, e puoi stare sicuro che da qui a Hiexil non si trova anima viva, se non sulla Grande Via».
Sempre molto efficace.
La sicurezza di Jel venne meno alquanto repentinamente.
«Allora, dove andate?»
«Noi…»
«Siete Ribelli?»
«No!» rispose Jel con veemenza. «Non centriamo nulla con la ribellione!»
«Non siamo nemmeno mai stati a Nord!» aggiunse Gala fingendosi scioccata, e forse lo era veramente, ma Jel ammise che suonò abbastanza convincente.
Qualche soldato rise. Jel avvertì la tensione crescere.
«Mi chiamo Jackson Melliser» affermò. «E lei è Lumia Shift. Va bene, non stiamo andando a trovare nessun parente o simili, ma siamo innocenti. Non stiamo andando nelle Terre del Nord e non siamo Ribelli. Siamo di Grimal, non…»
«Perquisiteli» l’uomo biondo che li aveva interrogati non parve aver prestato attenzione alle sue parole. Due dei suoi soldati separarono bruscamente i due maghi e si apprestarono a controllare che non portassero armi.
Fa’ quello che ti dicono… avvertì Gala senza parlare, ma proprio allora pensò alle Pietre.
Oh no…
Se le avessero trovate sarebbe stata la fine. Non sarebbero riusciti a spiegare il perché i più importanti talismani di Fheriea si trovassero così lontani dalle rispettive cripte, in un sacchetto nella sua tasca. Doveva solo pregare che – per un caso fortunato – i soldati non le riconoscessero…
Guardò con apprensione l’uomo che perquisiva Gala, sperando che non esagerasse con i modi bruschi, e attese con il cuore in gola che il proprio terminasse di tastargli braccia e bambe e passasse a torace.
«Ecco, quello è…» azzardò con la gola secca mentre l’uomo estraeva dalla sua tasca il sacchetto con le Pietre e lo guardava con aria interrogativa. Accanto a lui, un lampo di disperazione attraversò gli occhi di Gala.
I due guardarono impotenti il capitano della compagnia che afferrava dalle mani del soldato l’involucro di stoffa e, con cautela, lo apriva. Jel immaginò le cinque Pietre brillare davanti a lui e lo sguardo dell’uomo farsi sgomento.
Non andò proprio così.
Passarono diversi lunghi istanti, poi l’Ariadoriano proferì a mezza voce:«Questi non li lasciamo andare. Legateli e prendetegli i cavalli, torniamo al campo».
«No, aspettate!» tentò di protestare Jel mentre due uomini tiravano fuori dalle tasche altrettante corde e altri due agguantavano le redini dei cavalli di Kor. «Non è come sembra, quelle non sono…»
«Di’ un’altra parola» lo avvertì il capitano estraendo la spada e puntandogliela alla gola. «Di’ un’altra parola e giuro che ti taglio la gola da un orecchio all’altro».
«Jel!» tentò di intervenire Gala, ma l’uomo che la stava legando la zittì con un ceffone in pieno volto.
«Non ti azzardare a toccarla!» esclamò Jel con rabbia.
Un’unica risata si levò dalla compagnia di soldati.
«Direi che al momento non sei nella posizione per fare minacce, ladro» commentò freddamente l’uomo di fronte a lui rinfoderando la spada. Si assicurò il sacchetto con le Pietre alla spessa cintura di cuoio. «Voglio proprio vedere la faccia di Jack, a questo punto…» si voltò, e con un calcio quello che l’aveva legato costrinse Jel a rialzarsi, mentre Gala faceva lo stesso.
Maledizione, inveì Jel mentalmente. Forse lui e Gala avevano ancora qualche speranza di spiegare le proprie ragioni a chiunque fosse stato disposto ad ascoltarle, ma sarebbe stato molto difficile. Da quanto aveva capito gli uomini li avrebbero condotti al campo militare dal quale provenivano, probabilmente uno dei tanti istituiti a Nord per controllare le scorrerie e gli attacchi dei Ribelli. Lì li avrebbero interrogati, e a quel punto loro avrebbero fatto meglio a trovare un’argomentazione convincente, almeno quanto bastava ad impedire che i soldati li impiccassero per furto e, soprattutto, alto tradimento.
Per l’ennesima volta erano caduti dalla padella nella brace.
Non faranno del male Gala, tentò di rassicurarsi mentre l’uomo che lo scortava lo aiutava a salire a cavallo. Forse… forse uccideranno me, ma lei è solo una ragazzina.
Se le cose si fossero messe per il peggio avrebbe confessato di averla costretta ad aiutarlo a rubare le Pietre, minacciandola di ancora-non-sapeva-quale cosa terribile se avesse rifiutato. Sì, era penoso e lo sapeva, ma avrebbe fatto tutto quanto era in suo potere affinché Gala vivesse.
Legato e seduto in sella dietro ad uno dei tanti combattenti della compagnia, Jel non aprì bocca durante l’intero tragitto verso l’accampamento ariadoriano, troppo abbattuto per proferire qualsiasi parola in sua difesa.
Siamo stati degli idioti, riuscì solamente a pensare. Due idioti.
Raggiunsero il campo in meno di un quarto d’ora e, nonostante la paura, Jel non riuscì a non rimanere a bocca aperta: la situazione nel nord dell’Ariador doveva essere a dir poco instabile, perché era molto più grande di quanto il giovane si fosse immaginato. Almeno due centinaia di tende allestite a poca distanza l’una dalle altre, reticoli di strette vie e qualche spiazzo con sgabelli e rimasugli di falò ormai spenti, strutture in metallo dove erano poste lance, spade, persino qualche scudo. Un insistente brusio si levava dall’ambiente.
La compagnia a cavallo si era fermata ed era smontata a pochi metri dall’ingresso, aveva superato una coppia di guardie guardie e loro erano stati trascinati all’interno. Gli uomini presenti, chi seduto a terra parlottando con un altro, chi intento ad affilare le proprie lame, alzavano lo sguardo su di loro fissandoli stupiti. Man mano che avanzavano il drappello di sentinelle si disperse e rimasero solamente in tre: il capitano e i due uomini che li avevano legati. Alla fine, si fermarono di fronte ad un tendone bianco più imponente degli altri, proprio di fronte ad un ampio slargo.
«Spero per voi che queste pietre siano solo cimeli di famiglia » disse in tono cupo l’uomo ammiccando al sacchetto delle Pietre, al che Jel vide distintamente Gala deglutire. Sarebbe servita loro tanta, tanta fortuna.
Poi vennero spinti con malagrazia all’interno della tenda. Un uomo alto, tranquillamente accomodato su una sedia di legno, smise all’istante di lucidare la spada più lunga che Jel avesse mai visto e alzò gli occhi su di loro.
«E questo che cosa vorrebbe dire?» chiese all’istante alzando un sopracciglio. «Az?»
Era giovane, più di quanto Jel si fosse aspettato. Un ciuffo di capelli biondo scuro gli ricadeva sulla fronte, celando solo in parte la striatura chiarissima che faceva pensare ad una cicatrice non ancora cancellata dal tempo. Sembrava annoiato, forse infastidito per l’essere stato interrotto.
Il capitano prese in mano il sacchetto di velluto chiuso e lo appoggiò sul tavolo che aveva di fronte.
«Giudica tu» disse asciutto. «Li abbiamo trovati mentre tornavamo dal giro di perlustrazione. E a quanto pare hanno qualcosa che non dovrebbero avere».
L’altro scoccò un’occhiata ai due maghi – Jel si sentì ancora più a disagio di quanto già non fosse – e poi si alzò, avvicinandosi e aprendolo. Per un attimo parve rimanere interdetto, poi le sue labbra si curvarono in un sorrisetto.
«Mi state prendendo in giro?» domandò aspro, tornando a guardare il primo uomo, Az. «Come avrebbero fatto questi due manichini a rubare cinque delle Pietre Magiche?»
«Non le abbiamo rubate!» esplose Jel frustrato facendo per muovere un passo in avanti, ma la guardia che lo stava trattenendo lo mise a tacere con una gomitata nel fianco che lo piegò in due. Quello che il capitano aveva chiamato Jack lo guardò storto, ma nei suoi occhi azzurri balenò anche un pizzico di curiosità.
«E dimmi, ragazzo, se non le avete rubate, come mai erano nelle vostre mani?»
«È nostro compito proteggerle» sputò il giovane tutto d’un fiato. L’unica loro salvezza sarebbe stata la verità. «Non siamo ladri, né tantomeno Ribelli. Se siamo qui e abbiamo le Pietre è perché dobbiamo terminare una missione».
«E tu credi che noi ci berremmo una stronzata del genere?»
«Az!» Jack zittì irritato il compagno d’armi. Guardò i tre soldati rimasti nella tenda. «Se pensate di non riuscire a tenere la bocca chiusa allora uscite. Sì anche tu, Az».
Loro non protestarono, ma Jel vide il capitano scuotere con fastidio la testa.
«Vedi di non fare l’idiota, Jack» lo avvertì prima di sparire dietro l’orlo dell’apertura della tenda. Per tutta risposta l’uomo lo salutò con la mano.
Senza ancora riuscire a farsi un’idea ben precisa del tipo d'uomo che avevano davanti, Jel voltò di nuovo verso di lui e Gala fece lo stesso.
«Significa che ci credi?» azzardò la strega speranzosa.
«No» rispose lui secco. «Non ne avrei motivo».
«Lasciaci spiegare, allora» Jel non voleva mollare. Se manteneva la calma e riusciva a mostrarsi diplomatico aveva buone possibilità di convincerlo.
Jack lo guardò un attimo sorpreso, poi ridacchiò.
«Di norma dovrei essere io a fare le domande…»
Jel avvertì le proprie guance farsi purpuree. Aveva dimenticato. In quel luogo remoto e isolato lui non era un Consigliere, a nessuno importava delle sue doti o conoscenze politiche. Doveva attenersi e rispettare ogni gerarchia…
«… ma se ci tieni tanto, prego. Spiegati
Mentre si accingeva a parlare il mago evitò di guardare il comandante ariadoriano negli occhi.
«Siamo Consiglieri, membri del Gran Consiglio e alleati delle Cinque Terre. Siamo stati mandati in missione dal Re in persona a recuperare ognuna delle Sei Pietre dalla loro cripta» s’interruppe, poi si fece coraggio e affermò:«Voi… non avete alcun diritto di imprigionarci».
«Però…» commentò l’uomo senza abbandonare quell’espressione rilassata e, forse, canzonatoria. «Avanzi delle belle pretese per essere un… ladro, vagabondo?»
«Consigliere» ribadì lui che, oltre alla paura, cominciava ad avvertire anche parecchia irritazione. Non aveva attraversato l’intera Fheriea per sopportare l’arroganza di un uomo che nemmeno conosceva. «Te l'ho già detto. Siamo membri del Consiglio…» ci ripensò un attimo. Tanto valeva essere sinceri del tutto. «In realtà Gala non è propriamente un Consigliere» e mentre parlava lanciò all’amica uno sguardo di scusa. «È un’apprendista esperta, ma ha il permesso di partecipare a ogni seduta del Gran Consiglio. E siamo entrambi stati apprendisti del maestro Janor Camosh».
«Non ho idea di chi sia questo Camosh e non mi interessa» intervenne Jack in tono pratico. «Ma… Consiglieri? E sentiamo, anzi, fatemi indovinare: il Re ha inviato i due membri più giovani proprio per compiere una missione così importante?»
«Veramente siamo stati noi a offrirci volontari» Gala gli venne in aiuto. Jel notò che era terribilmente rossa in viso e, non appena ebbe parlato, tornò a fissare la terra battuta. «Siamo partiti diversi mesi fa».
Jack tornò a sedersi con un sospiro e, senza un apparente motivo, riprese in mano la propria lama per terminare la manutenzione.
«Mi piacerebbe credervi, davvero» disse infine e, questa volta, il suo tono risuonò stranamente stanco. «Ho certamente altro da fare piuttosto che terrorizzare ogni viaggiatore che incontro. Ma quelle Pietre…» ammiccò al sacchetto sul tavolo. «Beh, non posso prendere la cosa con leggerezza. Dove sono le vostre prove?»
«Noi…» rispose Jel con la gola secca. «Noi non…»
Ma poi ricordò. Come aveva fatto a non pensarci prima? Le spille.
Dovevano ancora averle, da qualche parte. Probabilmente i due soldati che li aveva perquisiti non erano riusciti a percepirle al tatto, erano piccole e nascoste sotto strati di indumenti…
«Solo un attimo» mormorò, infilandosi le mani nelle tasche del mantello e dei pantaloni.
«Cerca anche la tua spilla, avanti» invitò Gala a fare lo stesso e la ragazzina non se lo fece ripetere. Come aveva immaginato, l’elegante spilla simbolo del Consiglio era rimasta nascosta nella più piccola tasca del mantello che il mago aveva rimediato a Città dei Re settimane prima. Era leggermente scalfita in alcuni punti, ma tutto sommato in buone condizioni.
«Ecco» annunciò mostrandola a Jack con un sospiro di sollievo. «Dovrebbe essere sufficiente».
Mentre l’uomo la prendeva in mano esaminandola con occhio attento anche Gala estrasse la sua da una tasca interna e la poggiò sul piano del tavolo senza dire una parola. Erano sul filo della corda.
«Sembra…» Jack esitò ancora qualche secondo. «Mi sembra sia a posto. È autentica».
La bolla di tensione che li aveva avvolti fino a quel momento parve sgonfiarsi tutta d’un pezzo. Ringraziando il cielo della fortuna avuta – era incredibile che Jack avesse avuto modo di conoscere l’aspetto del piccolo gioiello di appartenenza – Jel rivolse uno sguardo rassicurante a Gala, la quale rispose con un piccolo sorriso.
«Mi spiace per il trattamento che vi hanno riservato i miei uomini» si scusò Jack con leggerezza battendosi le mani sulle ginocchia. «Ma credo sappiate che è il nostro dovere: qui siamo in zona di guerra».
In quel momento Jel era troppo sollevato e felice per il fatto di essere ancora vivo per fare l’offeso. Non si era aspettato che l’uomo di fronte a loro abbandonasse il modo sicuro di sé solo per aver scoperto di avere davanti due membri del Gran Consiglio.
«Molto bene, Consiglieri…» appoggiò a terra la propria spada per la seconda volta. «Per colpa di Az non mi sono nemmeno presentato» rivolse loro un sorriso decisamente affascinante, poi gli porse la mano. «Sono Jack Cox, comandante in seconda di questo campo».
«Jel Cambrest» il giovane rispose alla stretta. Non seppe che altro dire. Non era sicuro che conoscerlo fosse stato precisamente unpiacere. Jack strinse la mano anche a Gala e a lui non sfuggì la leggera strizzatina d’occhi che l’uomo, beffardo, le rivolse. Fu tentato di alzare gli occhi al cielo: l’età di Gala era sempre stata per lei fonte di diffidenza o, forse ancora più spesso, ilarità.
«Possiamo ripartire, dunque?» chiese Jel impaziente mentre Jack restituiva loro le spille. «Dovremmo raggiungere Città dei Re al più presto».
«Avete un bel problema, allora» commentò l’altro. «Stavate andando troppo a Nord. Qui non siamo lontani dal confine con le Terre del Nord, non ve ne siete resi conto?»
Jel sussultò; possibile che non si fossero accorti di aver percorso così tanta strada più del necessario?
«È per questo che avete incontrato una nostra compagnia: mando spesso una ventina di uomini a perlustrare i territori qui intorno. Le incursioni dei Ribelli sono piuttosto frequenti».
Fu allora che Jel si rese conto di una cosa cui prima non aveva fatto attenzione. «Comandate in seconda, hai detto?» chiese aggrottando la fronte. «E il vostro comandante dov’è? »
«Sottoterra, probabilmente già mezzo divorato dai vermi. È stato ucciso in battaglia una settimana fa, stiamo ancora aspettando un sostituto… nel frattempo, le leggi le faccio io».
«Beh, buona fortuna, allora» concluse il giovane sperando di cavarsela così e poter ripartire subito senza entrare nei dettagli del loro racconto «Potreste restituirci i cavalli…?»
«Jel» azzardò Gala, che fino a quel momento era rimasta in silenzio. «Non potremmo… insomma… ci farebbe comodo qualche provvista in più…»
In effetti…
Guardò Jack speranzoso. «Avreste qualcosa da…»
Ma le sue parole furono interrotte dall’ingresso nella tenda di qualcun altro, un uomo preoccupato e col fiatone.
«Jack!» esclamò il nuovo venuto con urgenza. «I Ribelli ci attaccano, una sentinella dice di essere riuscito a tornare qui appena in tempo. Abbiamo bisogno di disposizioni».
Il cambiamento d’espressione sul volto di Jack fu immediato.
«Arrivo immediatamente. Tu comincia a preparare la fanteria e gli arcieri. Falli disporre all’esterno del campo, subito!»
Gala fissò Jel spaventata, come a dire “e adesso che diavolo facciamo?”, ma lui non seppe come rispondere. Non avevano scelta. Erano davvero arrivati lì nel momento giusto…
In meno di un attimo Jack aveva infilato la spada nel fodero e aveva indossato una pesante cotta di maglia; appena prima di scostare il lembo della tenda per uscire si voltò verso di loro.
«Temo che dovrete rimandare la vostra partenza, Consiglieri».
Poi sparì.








NOTE:

Finalmente sono riuscita ad essere puntuale, ed ecco il capitolo 25! E finalmente sono riuscita ad introdurre il personaggio di Jack, era da un sacco di tempo che volevo farlo. Che ve ne pare?
Jack Eccolo qua, ovvero il bellissimo Jeremy Renner....
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto, sono sempre gradite recensioni. Ho già iniziato a scrivere il 26 ma non so quanto ci vorrà ancora, mi vedo un po' nelle curve... Spero di riuscire a pubblicare ancora entro la fine del mese. Alla prossima.
TaliaFederer
  
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