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Autore: Francine    11/01/2015    4 recensioni
You remember me when the west wind moves
Upon the fields of barley
You'll forget the sun in his jealous sky
As we walk in fields of gold

È giunto il tempo di pagare i debiti. Do ut des, dicevano i romani. Ed è giunto anche per Saori il momento di saldare i suoi, di debiti. Cominciando col riscuoterne uno che risale a qualche anno addietro...
Genere: Avventura, Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Saori Kido
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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So she took her love for to gaze awhile
Upon the fields of barley
In his arms she fell as her hair came down
Among the fields of gold

 
 


«TU vorresti cosa

Cristiana non è bella. Mento forte, naso aquilino, occhi piccoli e altezza nella media. Voce bassa. Arrochita dal fumo, quasi, se non fosse che Cristiana non ha mai messo in bocca nemmeno una sigaretta di gomma americana, come quelle che i bambini trovano nelle calze il 6 gennaio, e come quella con cui Francesca si sta atteggiando da mezzora, sullo sgabello accanto a lei. Pensando che sì, maneggiare una sigaretta richiede una certa gestualità. Una gestualità elegante. Da signora. Qualcosa che entrambe, con i jeans e le camicette a quadretti e le scarpe da tennis rosa ai piedi difficilmente possono ambire ad emulare. Non con quelle unghie smangiucchiate, si è detto Lui, osservandosele col sorriso paternalistico di chi pensa Beata Incoscienza...
E poi è entrata Lei. Il vestito bianco, la borsa a tracolla, i sandali di cuoio ai piedi. E allora Cristiana si è alzata – colla sua montagna di capelli, lunghi e rossi e grossi come spaghetti alla chitarra, la sua pelle chiarissima e spruzzata di lentiggini, i jeans troppo larghi – e le andata incontro, lasciando Francesca a parlare da sola agitando la sua sigaretta di gomma americana, in attesa che Vinicio portasse loro il tè freddo.

Saori ha sorriso. Ha stretto le mani di Cristiana e si è lasciata guidare ad un tavolo più appartato. Dove poter parlare. Da pari a pari. Con Lui. Senza il sottofondo di tutte quelle sciocchezze che tanto angustiano questi umani pasticcioni. Che alzano la testa dal fango in cui piace loro sguazzare solo per vedere come brillano le stelle. Senza avere il coraggio di allungare una mano e strapparle a quel cielo scuro e lontano.
E poi Lei è entrata in argomento. E Lui – e Cristiana – la sta fissando. Coi suoi occhi di un verde impossibile. Luminosissimi. Profondi. Come cocci aguzzi di bottiglia in controluce.

Saori sorride. Sa che Lui ha capito perfettamente sia la sua richiesta, sia l’entità della stessa. E sa che adesso Lui si sente messo alle strette. E non ha un posto dove fuggire, dove riparare, dove nascondersi. Ha tagliato la testa al vento, la Fanciulla. Lo ha messo in scacco con una manciata di parole. Con la sua stessa arma. Ed è questo a dare fastidio a Colui che sonnecchia dentro Cristiana.  Perché non è mai piacevole assaggiare la propria medicina. Neppure quando sei un dio. Specialmente quando sei un dio.
«Vorrei vedere tua figlia», ripete Saori, mentre il bar attorno a loro va avanti senza fretta. Vinicio ha posato due bicchieri piedi di chinotto sul tavolo ed è tornato dietro al bancone, attorniato dalla mole impossibile di cimeli di un tempo che fu. Quando il sogno di Cuba non sembrava poi così utopistico. Quando il cuore di Vinicio era giovane, e non esiste utopia che non si possa realizzare per un cuore giovane. Capace di accontentarsi anche solo di vivere idealmente, in quell’utopia. Nel migliore dei mondi possibili.
La voce di Cristiana non chiede il perché della sua richiesta. Sa che se lo facesse mostrerebbe il fianco. Si dimostrerebbe interessato alla faccenda, ed è proprio quello che vuole evitare. Si limita a tamburellare le dita sul tavolo di legno. Ha le unghie cortissime. Con lo smalto trasparente. Così crede di evitare di mangiucchiarsele. Almeno, così spera.
Saori teme che la vera Cristiana non se la stia passando bene. Che lui, nella sua visione distorta della magnanimità, le abbia concesso di vedere e sentire come lui sta usando e come userà il suo corpo. Pensieri, parole, opere ed omissioni.
«Sai cosa sia un vincastro?»
Quella domanda la coglie in contropiede.
«No. Perché lo chiedi?»
«Perché sarà la centesima volta che questa pecorella chiama il suo pastore. È come una nenia. O un esorcismo. Che però non funziona.»
«E ripete vincastro
«No, dice altre cose, ma mi manca questo vincastro…», dice Cristiana, lo sguardo corrucciato. «Vinicio, ascolta. Ventisette verticale. Vincastro», dice al barista, tamburellando con una penna sulle parole crociate che stava compilando mentre ascoltava Francesca chiacchierare, prima che Saori entrasse nel bar di via dei Delfini. E prima che Lui entrasse in lei.
Vinicio alza la testa, corruga le sopracciglia e poi risponde: «Bastone», tornando ad occuparsi dei bicchieri nel lavello.
«Bastone», ripete Cristiana. Come accarezzando quelle lettere con la voce. «Bastone…»
«Per quanto tempo ancora hai intenzione di occupare quel corpo?»
Cristiana sorride. Un sorriso lucido come una moneta appena uscita dalla zecca e pericoloso come una tagliola che occhieggia tra l’erba alta. E ti dice che no, lei non è pericolosa. A meno che tu non sia un coniglio, una volpe o una donnola. O un tasso.
«Cos’è? Sei gelosa?», e ridacchia, le labbra che si arcuano all’insù. «Ma dimmi, dimmi… Il tuo fidanzato sa che sei qui? Che sei da sola? Che sei con me
La Fanciulla tace. Sostiene il suo sguardo con durezza. Non le è piaciuto quello scherzo. Non le è piaciuto affatto. E questo lo diverte ancora di più.
«O hai cambiato idea? Non dirmi che adesso che hai visto quanto sappia essere noioso il Mare, vuoi farti un giretto con tuo maritino…»

Saori sospira. Un suono basso, sconfortato. Come la madre che ha a che fare col monello da raddrizzare. Bastone e carota, si dice. Ma sembra che Saori – che la Fanciulla – non sappia quali dei due usare. Perché entrambi, con Lui, non funzionano. Se non è Lui a volere che funzionino.
«Desidero vedere tua Figlia», ripete Saori, per la terza volta. «Te lo sto chiedendo. Non costringermi…»
«… a fare cosa? Ad impormelo?»
Cristiana alza la voce. Vinicio solleva un sopracciglio nella loro direzione. Francesca, che le sta osservando perplessa, si sistema meglio sulla sedia.
«Tu la conosci, quella», chiede a Vinicio, fissando Cristiana e Saori.
«No», le ripete lui. Sistemando i bicchieri nella lavastoviglie e premendo il tasto d’avvio.
Cristiana fissa Saori con uno sguardo incendiario, ma lei non abbassa la testa. Mantiene i suoi occhi di stelle nel verde chiarissimo dell’altra.
«Posso farlo. Lo sai.»
«Lo stai già facendo, Fanciulla. Lo stai già facendo», risponde Cristiana. C’è una nota di amarezza che le colora la voce. «Ti è bastato chiederlo…»
Silenzio.
Cristiana si è voltata sulla sedia, lo schienale contro il fianco sinistro, le gambe accavallate e  la testa reclinata a fissare la punta delle scarpe e quel buco sulla tela rosa confetto da cui spunta l’unghia dell’alluce.
Anche Saori tace. Sa che quello non è il momento per parlare. Per spiegarsi. Perché a Lui non interessano le sue spiegazioni, o gliele avrebbe chieste. No, Lui non ha reagito a quel modo per un amore per la teatralità. Ha reagito a quel modo perché è sincero. Anche se sul suo conto si racconta l’esatto contrario.
Poi Lui sospira. Scuote la testa e Cristiana si alza e va in bagno. Come un automa. Seguita a ruota da Francesca. Lasciando Lui sulla sedia. Colla sua camicia rosso scuro, i suoi pantaloni a sigaretta, le scarpe lucide e i suoi capelli. Neri. Lunghi fino alle spalle, che gli incorniciano il volto magro e affilato.

«Speravo fossi diversa.»
Saori tace. Diversa. Diversa da tutti loro. Da tutti gli altri. Ma lei no, non è diversa dagli altri dei. È come loro. Tale e quale. Né più, né meno.
«Sta’ a vedere che l’unico diverso sono io, alla fine…», dice Lui. Tornando a fissarla. Piazzandole negli occhi il suo sguardo verde chiarissimo. Come cocci aguzzi di bottiglia in controluce. Fa male, Fanciulla? Fa male? Ti causa dolore?, pensa Lui. Sorridendole.
«Questa è la mia natura», gli dice. Prendendo a prestito uno dei suoi tanti alibi. Temendo che la cosa lo mandi in bestia, ma non è quello che Saori vuole, no. Lei vuole farsi capire. Da Lui. Vuole che sappia che ha bisogno di Lui, anche se questo può rivelarsi pericoloso. Ma non vuole imporgli di aiutarla per quell’assurdo patto che hanno stipulato tempo prima. Non vuole che Lui la prenda nel modo sbagliato. Ma c’è un modo giusto?, si chiede Saori.
«La tua Natura... Sai quanti anni ho passato credendo che forse, dico forse, c’era speranza anche per gli dei? Che forse non tutti sono come il Viandante, il Tuono, il Sole, la Guerra, la Gatta… » Lui si stringe nelle spalle. «Perché mi hai salvato, allora? Per questo? Per potermelo chiedere oggi? Vedi così lontano, Fanciulla?»

Saori osserva il suo profilo. Affilato come un pezzo di ghiaccio. Nobile, a modo suo. Perché lo ha salvato? Oh, Athena se lo è chiesto. Saori se lo è chiesto. E nessuna delle due ha saputo rispondere. Ed entrambe hanno pensato che andasse fatto. Che quella vita andasse reclamata. Andasse difesa.

«Lui è mio», ha detto quel giorno al Viandante. Piazzandosi di fronte al Tuono e alla sua ira. «Ha bevuto il mio sangue. La sua vita mi appartiene di diritto», e a quelle parole anche lui, anche il possente Tuono ha dovuto arrendersi. Ha dovuto abbassare le armi, il livore che gli deturpava i bei lineamenti virili.
«Dice il vero?», ha chiesto il Viandante a Lui. Fissando Lei negli occhi scintillanti.
«Sì», ha soffiato fuori Lui. Dietro le spalle da uccellino di Lei, il chitone candido che galleggiava nell’aria come una coperta che lo riparasse dal freddo.
E ha quel punto Lui non ha visto l’occhio buono del Viandante scintillare, perché Lei gli stava fornendo un aiuto insperato, imprevisto e preziosissimo? Sì, che l’ha visto. Ma non ha visto il suo, di sguardo. Perché Lui non ha avuto il coraggio di osservare il bel viso della Fanciulla.
«Fanciulla, tu non puoi conoscere un uomo», ha detto il Viandante. E il Tuono ha borbottato basso. Pronto ad agguantarlo alla gola. Fanciulla o non Fanciulla.
«E Lui appartiene alla Sposa.»
«Ma mi sono concesse delle nozze bianche.
Che non porteranno onta né a me, né a Lui, né alla Sposa.»
Il Viandante ha riso. Un suono forte, di gola, di pancia, di cuore. Mentre il Tuono lo fissava con occhi smarginati e confusi. Perso, come un bambino che ha rincorso l’aquilone finendo per perdersi nei campi. Dove l’erba è alta. E dove il Serpente può sgusciare e arrivarti alle spalle. All’improvviso.
«Questa è Follia, Fanciulla!», ha detto il Viandante, lo sguardo orbo che scintillava di azzurro.
«Ma sia! Lui ti appartiene. Nessuno gli torcerà un capello. Ma se commetterà un’altra simile nefandezza…»
«Non lo farà», ha detto Athena. Interrompendolo. Sorridendo al Vecchio guerriero. Che non aspettava altro che tornarsene a casa portandosi il Fuoco dietro. Incolume.
«Come fai a dirlo, Fanciulla?», le ha chiesto il Tuono.
«Mi piace scommettere.»

«Senza conoscere con cosa stai giocando?»
«È per questo che lo chiamano gioco d’azzardo.»

 
Un gioco d’azzardo.
Questo ha fatto Athena, anni prima. All’insaputa di tutti. All’insaputa dei suoi Santi. Degli altri Numi. Solo il Mare ha raccolto questa sua confidenza. E le ha ditto che è stato un gesto rischioso, il suo. Magnanimo, ma rischioso.
«E se loro lo venissero a sapere? E se Pegaso lo venisse a sapere?», le ha chiesto, sorseggiando una limonata sotto al porticato di limoni e all’ombra dell’Acropoli.
«Lui capirà», gli ha detto.
«Anche questa è una scommessa», ha replicato Julian. E poi ha cambiato argomento.
Perché Lei è fatta così. Perché Lui è fatto così. Perché il Mare sa che ognuno ha la sua propria natura.  Un’anima inquieta. Una ragazzina curiosa. Una persona paziente. Un'onda che sbatte senza sosta contro lo scoglio. E che no, non puoi cambiare quello che sei. Nemmeno se sei un dio.
 
«Perché vuoi incontrare mia figlia?», le chiede il Fuoco. Strappandola ai suoi ricordi. Riemergendo dallo stesso stagno dei pensieri in cui anche lui è sprofondato.
«Perché abbiamo sconfitto lo Straniero. Ma non il suo regno.»
«Quindi? Pensi che mia figlia ti ascolterà?»
«Non lo so. Ma fino a quando non le avrò parlato, non potrò saperlo.»
Lui la fissa, gli occhi ridotti a due fessure.
«Lo stai facendo apposta, vero?»
«Prego?»
«Lo sai. Tutta questa sciarada. Questo tuo dire e allo stesso tempo non dire. Tu vuoi mettermi curiosità, ammettilo! Vuoi che io sia curioso e che ti chieda di spiegarmi cosa vuoi fare. Non è vero?»
«Quello che ho da chiedere a tua figlia è una questione tra me e tua figlia, Fuoco. Non ti riguarda.»
«Lanci il sasso e nascondi la mano, Fanciulla?»
«Puoi vederla così.»
«Io la vedo per quello che è, mia cara.» Un sospiro plateale e il Fuoco prende il proprio bicchiere. I cubetti di ghiaccio tintinnano contro il vetro. «Avanti. Abbiamo molta strada da fare», le dice. Invitandola con lo sguardo a prendere il proprio bicchiere e ad unirsi al suo brindisi. Per suggellare un patto. O solo perché ha sete.
«Non si saldano col sangue i legami?»
«L’abbiamo già fatto, mia cara», le dice lui. «Anni fa, se ben ricordi. Solo che bevvi da solo, allora. E adesso mi sto strozzando. Quindi, sii gentile stavolta. Vuoi?»
Il vetro tintinna. Il liquido scuro scende in gola pizzicando. Il sole scende a colorare d’oro e porpora i tetti di Roma.
Lui posa il suo bicchiere sul legno sbeccato del tavolo. Si alza, si aggiusta una piega inesistente sui pantaloni e le porge la mano.
«Vogliamo andare, mia cara?»


Note:
Mi scuso per il ritardo imbarazzante con cui aggiorno, ma la Vita si diverte a scombinarti le carte in tavola per capriccio. O per farti capire quello che è davvero importante.

La scena cui alludono Saori e questo misterioso Lui è avvenuta in Quando piangono le Stelle, ma non abbiate timore. Non ho svelato tutte le carte nella mia mano (quattro assi, bada bene, di un colore solo), quindi spero vi piacerà godervi la scena, fra qualche tempo. Considerate questo come un assaggio. O, vista l'ora, un aperitivo.
   
 
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