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Autore: FEdeLauris    12/01/2015    1 recensioni
Éléonore e Charlotte, due fanciulle di nobili natali, si trovano a trascorrere un’estate presso la zia della seconda. Si tratta della Marchesa de Vernon, famosa per la sua condotta irreprensibile e la sua solida morale, che si dice ella abbia trasmesso anche ai suoi tre figli. Tuttavia, nell’ambiente circoscritto della tenuta di famiglia, i personaggi si ritrovano a mettere in discussione i propri principî, sperimentando di persona l’intramontabile conflitto tra la natura umana e le regole imposte dalla società.
Da questa deliziosa giostra settecentesca, che raccoglie una notevole varietà di stimoli letterari dell’epoca e non, da "Orgoglio e Pregiudizio" a "Le Relazioni Pericolose" a "Justine", emerge una profonda riflessione filosofica, frutto di un progressivo rifiuto delle convenzioni. Ed è forse questo sottile nichilismo, questa rinuncia verso un’esistenza fredda e formale, che conferma l’assoluta contemporaneità dei protagonisti.
Il lettore viene trascinato inesorabilmente attraverso danze galanti, concerti di pianoforte, tra colpi di fioretto e passeggiate a cavallo, in una trama di intrighi, nel crescendo di una tensione incontrastabile che si risolve nel finale inatteso...
(tratto dal romanzo "La Rosa d'Oro, ovvero i paradossi della virtù" di cui possiedo i diritti d'autore)
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Il risuonare degli zoccoli che battevano sul selciato annunciò l’arrivo della carrozza. Tutta la servitù si era riunita all’ingresso della villa della Marchesa Bernadette de Vernon per dare il benvenuto a sua nipote, la Duchessa Charlotte de Duclair, e all’amica di quest’ultima, la Contessa Éléonore de Saumane. I cavalli si fermarono davanti alla scalinata d’ingresso dell’abitazione e un lacchè aiutò le due belle giovani a scendere dalla carrozza. La Marchesa andò loro incontro, la schiera di servi che si apriva al suo passaggio. Una fanciulla della stessa età delle nuove arrivate la seguiva.
«Benvenute!» accompagnò il saluto con un ampio gesto delle braccia. «Spero che il viaggio sia andato bene!»
Si avvicinò a Charlotte.
«Cara, era da tanto che attendevamo una vostra visita. Vi ricordate di mia figlia Sophie?» spinse delicatamente davanti a sé l’altra ragazzina, che fece un piccolo inchino.
«Certamente! In fondo, non è passato poi così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste.» disse sorridendo.
La Contessina che fino a quel momento si era tenuta un po’ in disparte, fece un passo avanti.
«Oh, e voi dovete essere Éléonore!» esclamò Bernadette, congiungendo le mani compiaciuta. «Mi avevano detto che avremmo avuto un’ospite in più quest’estate. Sono certa che qui vi troverete a vostro agio.»
Terminati i convenevoli, la nobildonna invitò la figlia ad accompagnare le ospiti nelle loro stanze, rassicurandole che i suoi servi avrebbero provveduto immediatamente a sistemare i bagagli.
Le ospiti, dunque, seguirono Sophie su per la scalinata d’ingresso, rispondendo con sorrisi agli inchini della piccola folla che attraversavano. Superata l’entrata, la giovane Marchesa le guidò al piano superiore, fino a due porte contigue.
«Queste saranno le vostre stanze finché non ci sposteremo nella residenza di campagna. Speriamo che siano di vostro gradimento». Stava per aggiungere qualcosa, ma si limitò a sorridere. «Mia madre ha insistito perché non vi tediassi con le chiacchiere fin dal primo momento del vostro arrivo. Vi lascio dunque in pace, dovete essere stanche. Se avete bisogno di qualcosa, domandate pure alle cameriere.»
Detto ciò, si accomiatò con un inchino, lasciando alle due giovani il tempo di riposarsi. Éléonore diede un’occhiata alla propria camera, poi seguì Charlotte nella sua, per stare in compagnia.
«Sono deliziose!» disse la Contessina.
Charlotte alzò le spalle.
«Già, ma sinceramente mi aspettavo qualcosa di più, data la ricchezza che fa la fama di mia zia».
Éléonore annuì senza convinzione.
La Duchessina sbuffò, guardando distrattamente fuori dalla finestra. L’amica le si avvicinò.
«Qualcosa non va?»
«No, è solo che questo soggiorno è una perdita di tempo». Si lasciò cadere sul letto. «Ci attendono tre mesi di noia. Mi sorprende che i miei genitori abbiano insistito tanto perché sprecassi qui l’estate. Non riesco a trovarne il motivo.»
‘Lo so io’ pensò Éléonore, passandosi una mano sul volto per impedire che la sua espressione la tradisse.
Purtroppo la condotta di Charlotte era la principale preoccupazione dei suoi genitori. Due erano le cose richieste alle donne del loro secolo dalla vita mondana: piacere e al contempo difendersi strenuamente dalle lusinghe profane. Le carenze della Duchessina si manifestavano unicamente riguardo a questo secondo punto. Nonostante fosse stata educata in convento, la fanciulla aveva spesso dato del filo da torcere alle suore, dimostrando senza sconti la noia suscitatale dall’insegnamento dei principî che avrebbero dovuto guidarla nella selva di tentazioni del bel mondo e manifestando altrettanto palesemente l’interesse per quei pericoli da cui avrebbe dovuto guardarsi e da cui invece era attratta per natura. In sostanza, una volta fatto il suo ingresso in società, Charlotte aveva subito dato modo di far parlare di sé, soprattutto alle donne più anziane, che in tanti anni non avevano mai visto uno spirito ribelle così mal-celato. E nonostante le dicerie sul suo conto, a cui lei si mostrava estranea o per grande ingenuità o per grande furbizia, l’alone di proibito con cui i suoi genitori tendevano a oscurare certi atteggiamenti che ella rasentava la rafforzava nei suoi propositi di trovare da sé le risposte ai suoi interrogativi riguardanti quel genere di esperienze tanto aborrite dai suoi educatori. Nella speranza di bloccare la cosa sul nascere, benché sin dall’infanzia della fanciulla un occhio attento avrebbe potuto prevederne gli sviluppi,  il Duca e la Duchessa di Duclair, che delle opinioni altrui si nutrivano, ritennero indispensabile mandare la figlia dalla zia materna, nota ovunque per la rigidità ferrea della sua morale fortemente impregnata dei principî cattolici, affinché quella piantasse nel cuore della nipote il seme della virtù che loro non erano riusciti a far attecchire. E proprio per non essere obbligata a riconoscere alla sorella esperienza maggiore in campo educativo, Madame de Duclair aveva accuratamente evitato di mettere la Marchesa al corrente della situazione, sperando che il semplice clima meno frivolo che si respirava in casa Vernon e i saggi discorsi della zia avrebbero permesso a Charlotte di capire la natura dei suoi errori. Éléonore sapeva tutto poiché sua madre era la migliore amica e stretta confidente della madre di Charlotte. Éléonore aveva un buon rapporto con sua madre, almeno per quanto riguarda la fiducia reciproca, ed ella sapeva di poterle riferire tutto senza problemi. In effetti, se la Contessina si trovava dalla Marchesa, lo doveva solo a quell’amicizia che tanto contrastava: non approvava infatti che sua madre frequentasse Madame de Duclair, dacché la riteneva una donna poco accorta, per usare un eufemismo, dati gli scarsi successi nell’educazione di Charlotte. Eppure l’avversione per Madame de Duclair non era paragonabile a quella che la Contessina provava per Charlotte stessa. Più che di avversione, in realtà, si trattava di invidia. Non che Éléonore avesse qualcosa in meno di Charlotte, anzi. A differenza della Duchessina, Éléonore era molto apprezzata dalle signore, soprattutto per la vasta cultura di cui poteva fare sfoggio, derivata dagli studi ma, soprattutto, dalle letture con cui la ragazza colmava gran parte del suo tempo libero. Ciò che rodeva alla giovane nobile era che, a parità di bellezza, la prediletta dalla galanteria maschile era solamente Charlotte. Forse per i suoi sguardi, forse per la lascivia che impregnava ogni suo gesto, la Duchessina era ricoperta dagli omaggi più lusinghieri – ai quali poi non sapeva porre un freno. Éléonore si accusava di troppa freddezza, ma pur desi-derandolo, non era in grado di cambiare il proprio modo di porsi, così apprezzato dalle grandi dame. Trovando ancora una volta nei libri un valido aiuto, la fanciulla, libera, a differenza della Duchessina, dai freni delle monache, si era documentata su tutto ciò che interessava così tanto Charlotte, battendola a livello teorico ma presentando paurose carenze a livello pratico. “L’art de plaisir non si insegna; ognuno la sviluppa da sé” le ripeteva sempre sua madre quando lei osava lamentarsi dei successi di Charlotte. E così  Éléonore si richiudeva ancor di più in sé stessa, interrogandosi costantemente su quale fosse l’atteg-giamento corretto da tenere senza compromettersi e affidando ai sapienti del passato e contemporanei il compito di consolarla. Consolazione ben magra, dal momento che la cultura, pur essendo una grande aspirazione di molti, era una ricchezza di pochi: per sedurre, i giovani si atteggiavano da filosofi e dottori, figure affascinanti, non c’è che dire, ma quando ciò consiste in pura finzione, per chi sa davvero è quasi un dovere etico polverizzare questo genere di maschere. Ed Éléonore non sapeva dire di no al proprio dovere.
 
 
 
Qualcuno bussò alla porta. Entrambe si voltarono.
«È aperto» disse Éléonore.
Una serva si affacciò discretamente.
«La Marchesa mi manda ad avvertirvi che la cena è pronta. Si scusa per il poco tempo di tranquillità che vi è stato concesso, ma credeva che sareste arrivate prima.»
«Grazie».
«È arrivata Madeleine?» chiese Charlotte.
«Sì. Ve la chiamo?»
«Sì, grazie».
La domestica uscì, chiudendo delicatamente la porta.
«Non ho per niente fame» commentò Éléonore.
Charlotte rise.
«Vi conviene farvela venire! Se non ricordo male, mia zia è solita far imbandire la tavola con la stessa quantità di pietanze che potreste trovare ad un ricevimento nuziale!»
Éléonore fu nauseata soltanto dall’idea.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e una graziosa fanciulla fece capolino nella stanza.
«Salve Madeleine! Come è andato il viaggio?»
«Bene, mia signora. Stanno scaricando ora i vostri bagagli.»
Madeleine era serva personale e amica fidata di Charlotte. Il loro legame era molto forte, un po’ perché alla base aveva le solide fondamenta del rapporto serva-padrona, un po’ perché Charlotte sapeva come tenere legate a sé le persone ingenue come Madeleine. Questa era arrivata sulla carrozza che trasportava i bagagli delle due nobili. La vista della villa della Marchesa aveva suscitato ben altre reazioni agli occhi della giovane, rispetto all’impassibilità snobista della padrona. Infatti, pur vivendo nella stessa lussuosa residenza di lei, non possedendo nulla non si sarebbe mai abituata alle forme che la ricchezza poteva assumere.
Le tre ragazze scesero per la cena, una domestica della Marchesa faceva strada. Le due nobili fecero il loro ingresso nella sala, lievemente imbarazzate per non essersi potute dare una rassettata dopo il lungo viaggio. Le cameriere invece proseguirono per unirsi ai loro pari nella stanza attigua.
La tavola era molto lunga, anche se la maggior parte dei posti era vuota. La luce dello sfarzoso lampadario lottava con le tenebre crescenti della sera, rischiarando l’ambiente e mettendo in risalto gli ori e i brillanti che ornavano i commensali.
«Prego, accomodatevi!» la Marchesa, a capotavola, indicò due posti accanto a lei.
Due serve scostarono le sedie perché le fanciulle potessero sedersi. Le ragazze notarono subito i volti nuovi che le circondavano.
«Sono certa che mi perdonerete se non ho potuto far uso delle formalità che convengono in certe situazioni, ma, come vi è già stato detto, eravate attese per un orario diverso e la cena era ormai pronta. Comunque,» indicò il giovane accanto a Sophie, seduta a sinistra della madre «vi presento mio figlio Lambert. Voi, Charlotte, l’avete già conosciuto, ma forse eravate troppo piccola perché ora possiate ricordarvene».
I due si sorrisero.
«Accanto a lui c’è Aline, la sua promessa». Pronunciò queste parole con ostentato orgoglio.
Aline salutò educatamente con un cenno del capo, i sereni occhi verdi che rilucevano del riflesso delle lampade.
«Domando perdono per non essere stato presente ad accogliervi oggi» disse Lambert. «Ero a cavalcare con degli amici e, si sa, quando ci si diverte, si è soliti perdere la cognizione del tempo».
Le ospiti annuirono, sorridendo per le occhiatacce che la Marchesa lanciava al figlio.
«Ringraziate che sono fanciulle di poche pretese! Vi avevo caldamente raccomandato di tornare puntuale!».
Ma i rimproveri scivolavano sullo sguardo angelico e sicuro di Lambert, che aveva già attirato l’attenzione delle giovani, con la differenza che la presenza di Aline aveva soffocato ogni pensiero di Éléonore, mentre era un dettaglio per Charlotte.
«Vi ricordate la tenuta estiva in campagna?» le chiese Bernadette.
Charlotte annuì, mentre una cameriera iniziava a servirli.
«Quella dove io e Sophie ci siamo viste tre anni fa?»
«Già,» intervenne questa «e come sempre Lambert era rimasto a Vernon con la sua compagnia…»
«Non fatemi passare per quello sempre assente! È Thierry quello che non è mai a casa!»
«Mi spiace contraddirvi, ma quella volta c’era» ribatté la sorella.
«Sì, è vero, me lo ricordo!» assicurò Charlotte. «Ma ora dov’è?»
«In Italia» rispose la cugina. «È via per questioni diplomatiche».
«Dopo la morte di mio marito, Thierry ha preso il suo posto» Bernadette guardò il gigantesco ritratto del defunto Marchese appeso alla parete.
«Che alla nostra famiglia non ha fruttato solamente un mucchio di soldi, vero Sophie?» le disse il fratello in tono allusivo. Lei arrossì leggermente.
Le due ospiti guardarono la Marchesa con aria interrogativa.
«Qualche mese fa - una delle poche volte in cui Thierry è tornato a casa -, ha portato con sé un ricco proprietario terriero, il Marchese Philippe de Vézillon, che ha chiesto la mano di Sophie. Ora stiamo aspettando che concluda certi affari, poi provvederemo alle nozze.» la donna sorrideva compiaciuta, stringendo la mano della figlia.
«Oh, allora è una cosa recente! Sono contenta per voi!» disse Charlotte, intenzionata a fare ricerche più approfondite una volta sola con la cugina.
«Dunque siete tutti sistemati…» aggiunse.
«Purtroppo no» la contraddisse la zia. «La fidanzata di Thierry è morta di tisi due anni fa e da allora lui non ha più voluto cercare nessuna». Bernadette sospirò. Poi lanciò un’occhiata intorno e abbassò la voce.
«Sono sicura che sia lui a scegliere le mete dei suoi viaggi, e non che gli vengano imposte, come mi vuole far credere. E tutto questo perché teme che rimanendo qui io lo spinga a trovarsi una compagna!»
«Non è forse quello che fareste, madre?» intervenne Lambert. Lei lo guardò indignata.
«Non vorrete, spero, che vostro fratello rimanga scapolo a vita? Una compagna gli farebbe bene, è sempre così preso dal dovere che non dedica mai un po’ di tempo a sé stesso. E se lo meriterebbe, povero ragazzo, così altruista e disponibile con tutti…»
Éléonore ascoltava e intanto mangiava, osservando i commensali: se, stando a quanto diceva Charlotte, la ricchezza di sua zia non poteva essere intuita osservando la maestosa dimora, di certo la si poteva indovinare dalle laute portate che venivano servite e che la Marchesa dimostrava di apprezzare più di tutti a quella tavola.
La Contessina cercò di ricordare cosa le aveva raccontato Charlotte durante il viaggio riguardo alla famiglia di sua zia. Era una descrizione molto approssimativa, in cui i ricordi erano uniti alle informazioni che Madame de Duclair aveva dato alla figlia prima che partisse. Al di là delle nozioni sulla posizione politica dei membri della famiglia Vernon e degli elenchi di matrimoni e parentele che avevano  consentito a Charlotte di condividere qualche goccia di sangue con il sovrano, la Contessina aveva focalizzato la sua attenzione sui dettagli personali dei membri di quella stessa famiglia, sicuramente, a suo parere, molto più utili per conoscere le persone che l’avrebbero ospitata. Nella narrazione aveva avuto largo spazio la figura della zia, forse perché, si disse Éléonore, la Duchessa di Duclair si era premurata di avvertire implicitamente la figlia della condotta più opportuna da tenere durante il soggiorno. Comunque sia, ecco ciò che la Contessina aveva appreso dall’amica: la Marchesa di Vernon era una donna famosa nei dintorni e forse fino a Parigi per la sua condotta onesta e dignitosa. Citata come esempio di degna madre di famiglia e mirabile istitutrice in campo morale, Bernadette aveva conservato, anche dopo la morte del marito, quella fedeltà la cui assenza in molte famiglie era sovente causa di scandali. Condotta ancor più onorevole in un’epoca in cui lo stato vedovile, spogliato dei lugubri riflessi della morte, era ambito in quanto forniva alle donne la libertà di cui erano private prima dal padre e poi dal coniuge. E tuttavia, non si fermavano qui i suoi meriti: la Marchesa aveva dato alla luce uno dei più importanti diplomatici del Regno, il primogenito, Thierry de Vernon, al cui ritratto la Contessina aveva aggiunto le informazioni appena udite dalla bocca della Marchesa stessa. Egli, come i suoi fratelli, era ammirato come il degno prodotto dell’abilità educativa di Madame de Vernon. Anche per quanto riguarda Sophie, più che il convento, si riteneva che alla fanciulla avessero giovato le attenzioni della madre.
E infine, c’era Lambert, il giovane dai capelli ramati e gli occhi di zaffiro seduto tra la sorella e la futura sposa. Di lui, l’aveva informata Charlotte, si diceva che grazie al suo carisma avrebbe potuto, un giorno, avvicinare il Re più di quanto non avesse fatto Thierry. Questi, infatti, mancava di ambizione e si accon-tentava di seguire le orme del padre senza intraprendere strade nuove, specialmente se in salita. Lambert, invece, con quel suo sguardo sfacciato prometteva tacitamente di raggiungere le vette che il fratello aggirava.
Per quanto riguarda Aline, Charlotte non l’aveva menzionata durante il viaggio e il modo in cui scrutava la giovane dai capelli d’ambra fece intuire ad Éléonore che anche per la Duchessina si trattava di un nuovo incontro. La Contessina dedusse inoltre che, se la fanciulla era stata accettata così di buon grado dalla Marchesa, di certo era perché possedeva tutte le virtù richieste dalla futura suocera. Si perse un attimo ad ammirare la purezza delle fattezze di Aline, quando la voce della Marchesa richiamò la sua attenzione.
«Éléonore, diteci qualcosa di voi. Mia sorella ci ha fatto solo qualche accenno, vorremmo conoscervi meglio.»
La Contessina appoggiò delicatamente l’estremità delle posate sul bordo del piatto. «Sono sicura che ne avrete modo in questi tre mesi» sorrise. Iniziò a raccontare qualcosa sulla sua famiglia, finché Sophie non la interruppe.
«Voi e Charlotte vi siete conosciute in convento?» chiese la fanciulla.
«No, le nostre madri sono grandi amiche e di conseguenza noi ci siamo conosciute grazie a loro. Io non ho studiato in convento, ho avuto un istitutore privato.»
«Davvero?» chiese sorpresa la Marchesa. «Di solito si preferisce far studiare le proprie figlie in convento. Anche per Sophie è stato così. Sinceramente ritengo che un’educazione impartita in questo tipo di ambiente sia più efficace alla formazione di donne virtuose e di oneste madri di famiglia.»
Éléonore trattenne il sorriso che le fece nascere il pensiero di Charlotte.
«Ma d’altronde, voi stessa mi dimostrate, o perlomeno mi dimostrano i commenti di mia sorella, che anche un’educazione come la vostra può dare buoni frutti» concluse la Marchesa. La fanciulla sorrise, grata per il complimento. In fondo, Madame de Duclair aveva dato una buona immagine di lei alla Marchesa.
La conversazione proseguì, mossa dalla curiosità e dall’interesse di Madame de Vernon per la giovane ospite, e, tra un argomento e l’altro, la cena fu conclusa. La Marchesa invitò tutti ad andare a riposare per lasciare in pace le due ragazze, spossate dal lungo viaggio, perciò ognuno si ritirò nella propria stanza. Al loro ingresso, le due amiche videro che i loro bagagli erano stati portati dai servi e gli abiti già accurata-mente riposti negli armadi e nei cassettoni. Entrambe le camere erano munite di un bagno con una vasca, di cui le ragazze si apprestarono a far uso una volta sole.
Per quanto stanca e poco avvezza alla fatica, Charlotte non riuscì ad impedirsi di chiedere alla cugina di trascorrere un po’ di tempo nella sua camera a parlare. Anche Éléonore fu invitata ad unirsi a loro.
«Dunque, Sophie, dovete aggiornarmi su ciò che è accaduto in questi tre anni. Innanzitutto, mi dispiace molto per Thierry e per i ricordi che ho risvegliato sollevando la questione a tavola…»
«Non dovete preoccuparvi. Ormai è passato. Inoltre, per quanto mi riguarda, devo dire che sono molto più legata ad Aline, che conosco da meno tempo, di quanto non lo fossi alla promessa sposa di Thierry.»
«E voi? Com’è?» chiese ansiosa la cugina.
Sophie descrisse a lungo il futuro marito, soffermandosi però, secondo Éléonore, più sui dettagli estetici e la quantità dei possedimenti che non sul carattere o le attitudini dell’uomo. Evidentemente era uno stile di famiglia. Perciò la Contessina si preoccupò di meglio indirizzare la domanda.
«Vi piace?»
«È il partito più virtuoso e onesto che mi abbia mai richiesta in sposa. Mia madre ne è entusiasta.»
Probabilmente Sophie lo era un po’ meno, pensò Éléonore; tuttavia proseguì.
«Siete fortunata: di certo Madame de Vernon cerca il meglio per voi. Siete al sicuro dai pericoli del nostro secolo sotto la sua protezione.»
Sophie annuì. «Già».
Dopo la sua ultima affermazione Éléonore fu esclusa dalla conversazione e le due cugine chiacchierarono del più e del meno con tanta vivacità che la Contessina, temendo che la cosa si protraesse fino a tarda notte, si accomiatò appena ne ebbe l’occasione.
 
 
 
Il giorno seguente le due ospiti furono le ultime a svegliarsi. La Marchesa aveva ordinato alle serve di lasciarle riposare per tutto il tempo che desideravano.
Come ogni mattina, Madame de Vernon si era ritirata nel suo studio, dove era solita riordinare le carte e i documenti e controllare lo stato delle finanze della famiglia. Si era da poco seduta allo scrittoio quando sentì bussare.
«Avanti».
Una serva entrò con una lettera in mano.
«Mia signora, è arrivata ora questa per lei» annunciò richiudendosi la porta alle spalle. «È da parte di suo figlio...»
«Portamela!»
La serva lasciò la lettera sulla scrivania della padrona.
«Grazie. Puoi andare.»
La serva si accomiatò con un inchino e uscì.
Bernadette ruppe la ceralacca ansiosa. Era da tempo che non riceveva nuove di Thierry. Sapeva che era impegnato, ma il fatto che fosse così lontano da casa non la faceva sentire tranquilla. Pretendeva che almeno le scrivesse spesso. Aprì il foglio ripiegato e iniziò a leggere:
 
Cara madre,
il mio soggiorno in Italia si è concluso con successo. Sarete contenta di sapere che entro tre giorni sarò dunque a casa. E non da solo.
Ho conosciuto un Lord. Deve recarsi in Inghilterra dalla sua promessa sposa e prima che la raggiunga l’ho invitato a trascorrere qualche tempo da noi. Spero non vi dispiaccia. Sono certo che vi piacerà. È un intellettuale e parla alla perfezione inglese, francese e fiorentino.
A proposito di ospiti, nella sua ultima lettera Sophie mi ha scritto che sarebbe arrivata Charlotte con una sua amica. Non sarà stata forse una vostra subdola manovra invitare anche lei, dal momento che insistete ogni giorno di più nel dire di volermi vedere ammogliato? Sapete che non apprezzo i vostri sforzi in tal senso. Comunque sia, con affetto
                            
                                                                                                                                                       Thierry
 
La Marchesa guardò la data riportata sulla lettera ed ebbe un tuffo al cuore: suo figlio sarebbe arrivato l’indomani. La Marchesa sospirò, stringendo la lettera al petto.
 
 
 
Madame de Vernon riuscì a malapena ad attendere l’ora di pranzo per poter dare il lieto annuncio. Una volta che tutti si furono riuniti a tavola, lesse la lettera ad alta voce, saltando le ultime righe.
«Porta un Lord? Chissà che anche questo non trovi moglie qui da noi! Così non dovrebbe tornare fino in Inghilterra!» disse scherzosamente Lambert rivolto alle ospiti. Éléonore e Charlotte si guardarono arros-sendo.
«Nessuna di voi è impegnata?» chiese il giovane.
Le fanciulle scossero la testa. La Marchesa si stupì un poco.
«Non avete ancora ricevuto una proposta?» chiese questa a sua volta.
Éléonore scosse di nuovo il capo, sconsolata, mentre Charlotte annuì con finta reticenza. Éléonore parlò per lei, appoggiando la mano su quella della Duchessina e rispondendo alla muta domanda della Marchesa.
«Più o meno una decina!»
Charlotte si mostrò indignata.
«Esagerata! Non erano così tante!»
Éléonore la guardò con aria di sfida.
«Volete che inizi l’elenco? Non costringetemi a farlo, non vorrei monopolizzare la conversazione fino al des-sert…»
La frase suscitò la risata degli altri.
«E non ne avete accettata neanche una?» domandò incredula Sophie.
Charlotte si strinse nelle spalle. «Mio padre è alla ricerca del partito ideale. E proprio perché è ideale, non lo troverà mai. Ma d’altronde, è meglio così. Sono giovane e c’è tempo perché mi leghi definitivamente ad un solo uomo!»
Éléonore si divertì ad osservare gli effetti che l’aggettivo “solo”, forse sfuggito per sbaglio dalle labbra di Charlotte, aveva provocato, cogliendo, come l’amica, l’approvazione nello sguardo di Lambert, il che le lasciò entrambe incredule, dacché egli aveva già accettato i vincoli matrimoniali. Ritenendo più importante l’opinione del cugino, Charlotte non si accorse dell’indignazione malcelata della Marchesa, che evidente-mente aveva colto il significato delle sue parole tanto quanto il figlio.
«Possibile che tra tutti quei giovani non ce ne fosse uno che andasse bene a vostro padre?» chiese Aline.
«Evidentemente no» fu la risposta.
«Permettetemi di dire che forse i suoi canoni sono un po’ troppo rigidi. A mio parere, avete perso molte occasioni!»
Éléonore si sforzò di non scoppiare a ridere per la situazione che si era venuta a creare: la Marchesa fissava Charlotte con occhi di ghiaccio, per vedere come avrebbe risposto, mentre questa non sapeva come vantare i suoi successi amorosi senza offendere la moralità della zia.
La Duchessina se ne uscì con un «non è detto» e un’occhiata eloquente rimandò i dettagli ad un momento più opportuno.
«Quasi dimenticavo!» esclamò Sophie, allentando la tensione. «Questa sera Madame d’Arvieux darà una festa. Ovviamente, siete invitate anche voi.» disse rivolta alle ospiti.
«Quando lo siete venuta a sapere?» chiese Lambert.
La sorella si stupì.
«Come sarebbe? Lo sapevate anche voi!»
Il silenzio che seguì la contraddisse.
«Comunque, sono già occupato. Non posso accompagnarvi.»
L’espressione delle tre donne di casa fece capire alle nuove arrivate che quella scena si ripeteva spesso.
«Non sarà un problema, andremo noi» concluse Bernadette.
Terminato il pranzo, le ragazze si riunirono in uno dei salottini. La presenza di Madeleine fu unanimemente     accettata.
«E dunque, ditemi, cosa intendevate a tavola?» domandò Aline incuriosita.
Charlotte si strinse nelle spalle. «Semplicemente, che il fatto che io non abbia potuto sposarli non implica per forza che io abbia negato loro… la mia compagnia» rispose in tono ambiguo.
Aline si fermò a riflettere. Sophie intese prima di lei e fissò la cugina con espressione turbata.
«In che senso?» le chiese sospettosa.
«Ho l’impressione che voi fraintendiate le mie parole…» disse Charlotte con indignazione ben simulata. Si era accorta che con le sue allusioni si stava giocando la reputazione all’interno della villa. Decise perciò di tornare sui suoi passi.
«Ciò che volevo dire era che… ho conosciuto meglio questi giovani che non se avessi accettato alla cieca. Sarebbe stato un danno maggiore se mio padre avesse approvato, dal momento che nessuno di essi mi aggradava». Talvolta si sorprendeva della facilità con cui riusciva a trovare un efficace espediente per salvarsi da ogni situazione.
«Sophie, non vi facevo così maliziosa! D’altronde, vostra cugina è di famiglia rispettabile, come potreste dubitare della sua onesta condotta?» esclamò Aline, sollevata dal fatto di non trovarsi di fronte ad una libertina, come aveva temuto pochi istanti prima.
Madeleine approvava con il capo ogni parola di lode alla sua padrona.
Éléonore osservava tutte celando il proprio disgusto.
Se c’era una cosa che la Contessina non tollerava, era l’ingenuità, l’incapacità di cogliere i significati nascosti tra le righe. Si domandava di continuo come Madeleine potesse non accorgersi dei comportamenti tenden-zialmente licenziosi di Charlotte quando era in compagnia di giovani di ogni rango, e spesso le veniva il dubbio che l’ottusità della servetta fosse un atteggiamento assunto per convenienza.
Per quanto riguarda Aline, invece, lei era palesemente innocente. Probabilmente non conosceva il pec-cato o, se lo conosceva, lo temeva e lo disprezzava più di ogni altra cosa. ‘La virtù si tocca con le mani in questa casa. Charlotte stona in questo quadro di purezza.’ pensò la Contessina.   
Osservava Charlotte riempirsi di boria per le qualità non sue che le attribuivano e avrebbe voluto dare scandalo gridando il motivo del soggiorno della Duchessina dalla zia.
Ma tacque, sapendo che non era compito suo quello di toglierle la maschera, e implorò che venisse presto il giorno in cui essa sarebbe caduta da sola mostrando il suo vero volto.
Tuttavia, Charlotte non si perse d’animo e, non potendo raccontare i dettagli più interessanti delle sue relazioni, si concesse perlomeno il piacere di iniziare un lungo monologo incentrato sulle lettere, i fiori, i gioielli che i suoi spasimanti le donavano e sui cuori spezzati che si era lasciata dietro, senza mancare di sottolineare la bellezza, il titolo e il patrimonio di tutti coloro che l’avevano chiesta in sposa e trovando per ognuno di essi un motivo di rifiuto.
Sophie ascoltava estasiata, e intanto cresceva inconsapevolmente in lei la stessa invidia che da anni rodeva Éléonore, incapace di avere gli stessi successi di Charlotte pur avendo i mezzi per ottenerli.
Aline invece era pensierosa: in sostanza, Charlotte aveva illuso tanti buoni partiti, scartandoli per motivi oltremodo futili. Forse il principale motivo era proprio che avevano chiesto la sua mano. Concluse che Charlotte, evidentemente, era uno spirito ancora troppo libero per accettare di essere chiuso nei vincoli del matrimonio. Di qui, dunque, quella che poteva sembrare una condotta frivola.
Fu un bene che non mise a parte dei suoi ragionamenti Éléonore, che sarebbe stata senza dubbio sopraf-fatta dall’ira a sentire l’ennesima persona che giustificava comprensivamente Charlotte.
Passarono il resto del pomeriggio chiacchierando. Mademoiselle de Duclair non mancò di informarsi sui loro ospiti di quella sera e ciò diede inizio a un lungo dibattito sui ricevimenti, le loro occasioni e il loro svolgimento. Sophie si mostrò all’altezza di Charlotte per quanto riguarda interesse e competenza della vita di mondo. Éléonore cercava di ascoltare con attenzione, ma questa a poco a poco venne meno. Fortunatamente, Charlotte chiese a Sophie il permesso di vedere i suoi abiti per le occasioni, per cui le due cugine uscirono dal salottino, seguite da Madeleine, lasciando sole Éléonore e Aline. Tutt’intorno, la servitù era in fermento per l’arrivo del Marchese e Bernadette non dava un attimo di tregua alle cameriere, riversando su ognuna una pioggia di ordini da eseguire in tempo reale. Voleva che ogni cosa fosse perfetta per il ritorno del figlio.
A Éléonore faceva tenerezza. Doveva volergli davvero molto bene. D’altronde, tutti in quella casa gliene volevano. Chiese ad Aline di descriverglielo.
«I suoi capelli sono oro puro e gli occhi sono di un azzurro meraviglioso…»
«Perdonatemi, ma chiedevo come fosse come persona» la interruppe.
«Oh, scusate!». Pensò un istante. «È molto educato, un vero gentiluomo. Ha tutte le virtù di sua madre: è onesto, generoso… e ha la stessa lealtà di suo padre. Il suo senso del dovere è proverbiale…  Non so che altro dire, dovete conoscerlo! Sono certa che vi piacerà.»
Éléonore annuì.
Le due fanciulle parlarono a lungo. Éléonore si rese conto che Aline era davvero la brava persona che aveva immaginato. Le sue parole stillavano sincerità ed ella era sempre portata a trovare il meglio in tutti. La Contessina le aveva chiesto di ritrarle con maggior precisione di quanto non avesse fatto Charlotte anche gli altri membri della famiglia Vernon e dalla descrizione erano emersi solo i lati positivi di ognuno. Aline parlò a lungo di Lambert, descrivendolo come un dio. Éléonore capì che doveva amarlo molto. Eppure, nonostante la fanciulla dipingesse la propria situazione a rosee tinte, la Contessina non provava per lei lo stesso fastidio che sentiva quando ascoltava i successi di Charlotte. Forse perché Aline non ostentava, forse perché non era in competizione con le altre. Éléonore si rendeva conto, con gioia, che al mondo non esistevano solo “Charlottes”. Era un errore che commetteva sempre: credeva che tutte le ragazze fossero come la Duchessina, invece c’erano anche persone come Aline, semplici, sincere, genuine.
Ormai i raggi del sole filtravano obliqui dalle finestre, quando una serva annunciò la cena. A tavola, l’atmosfera era carica dell’allegra tensione per il ritorno del Marchese. Charlotte se ne era lasciata contagiare, mentre Éléonore rimaneva indifferente, anzi, era quasi annoiata dai discorsi ininterrotti della Marchesa. La cena durò meno del solito, perché avessero più tempo per prepararsi per il ricevimento a Palazzo d’Arvieux.
 
 
   
 
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