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Autore: L o t t i e    16/01/2015    2 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Viaggi in corso.








«[...]Cancellate il mio sesso, stivatemi di crudeltà dalla corona ai piedi!
Ispessite il mio sangue, sbarrate ogni accesso al rimorso:
che nessuna ipocrita istanza di umanità scuota il mio disegno mortale o ne distorni l'effetto! [...]
Densa notte, vieni e ammantati del più buio fumo dell'inferno,
poiché il mio aguzzo coltello non veda le ferite che infligge,
né il cielo possa sbirciare oltre la coltre di tenebra [...]»
Macbeth, William Shakespeare.










Oslo, Norvegia.

«Victoria!» il ragazzo, molto più alto di lei, corse dietro aggiustandosi alla bell'e meglio la camicia con una mano, tenendo la cravatta blu notte nell'altra. Che casino, che casino! Sbuffava esasperato aumentando il passo ― oh, al diavolo le regole! Prese a correre, l'eco dei suoi passi si espanse per tutto l'immenso corridoio, accompagnati da quelli della sorella.
«Stammi lontano!», urlò la bionda con il fiato corto arrivando ad una porta in legno, bianca. Poggiò la mano sulla maniglia e bruscamente aprì.
L'uomo al pianoforte stonò, irrigidendo le spalle già di sé dritte, alzando lo sguardo ambrato verso la porta, mentre la donna dai capelli brizzolati raccolti in uno chignon come se non fosse accaduto nulla continuò a leggere un libro. Subito dopo, alla porta comparì anche il ragazzo con un aria pressoché sconvolta ed il fiatone.
«P-padre, non la ascoltare!»
Quindi la donna chiuse il volume di scatto, scagliando frecce color turchese verso i due.
«Elijah, Victoria; un poco di decenza, vi pare il modo di entrare ed interrompere vostro padre?», disse lei, algida, alzandosi dal divano.
«Vostro figlio ha una relazione con un uomo!», squittì Victoria, come a giustificarsi del gesto tanto sconsiderato ― il ragazzo impallidì, deglutendo rumorosamente, altra stonatura da parte dello strumento musicale. Il tempo parve arrestarsi in quell'istante, mentre in modo flemmatico l'uomo dai folti capelli e baffi si alzava e camminava verso il figlio, senza scomporsi.
Elijah sentiva la gola secca ed un innaturale odio verso la sorella crescergli dentro; era successo tutto talmente così in fretta che i pensieri dentro la sua mente si erano come volatilizzati. Immaginava già che reazione avrebbero avuto quei due, i suoi genitori. Se solo quell'idiota della sorella imparasse a bussare prima di entrare nelle camere altrui, lui avrebbe potuto portare avanti la sua reputazione da figlio ed erede modello. La madre si era congelata vicino al divanetto, livida, quasi stesse per svenire da un momento all'altro, suo padre gli era di fronte ― il Re di Norvegia. Poi un forte schiaffo gli fece girare il viso, il dolore sordo che si estendeva dalla mandibola a tutto il cranio, l'orecchio gli fischiava; ma non un fiato uscì dalle sue labbra.
«...È vero?»
«Ha rilevanza?», ribatté, le labbra tese come la corda di un violino, gli occhi blu ghiacciati.
Non ne aveva, ma quella sfacciataggine gli costò molto: la diseredazione. Era una famiglia rigida la sua, ottusa e lui troppo se stesso per poter stare alle regole della normalità ― normalità? Non è normale amare qualcuno senza badare a ciò che ha in mezzo alle gambe?

Il freddo vento invernale norvegese gli pizzicava le gote arrossate e leniva il bruciore al viso del giorno prima, sentiva che si sarebbe preso un malanno in quel modo, ma non importava più di tanto a lui ― Synnøve, la sua tutrice aveva insistito per seguirlo, accompagnarlo almeno all'aeroporto; una donna di tutto rispetto che l'aveva visto crescere, l'unica evidentemente che lo amava davvero. Ogni tanto lei tirava fuori dalla tasca del cappotto un fazzoletto soffiandosi il naso, scusandosi del “raffreddore”. Che cara.
«Non piangere, dai», mormorò lui caricando le valigie sull'auto.
«La Francia è così lontana!» singhiozzò lei aggiustandogli ancora una volta il colletto della camicia, mettendogli poi al collo una sciarpa bianca.
«E tu così tragica, Sy. So la lingua, ho con me del denaro per sistemarmi, troverò un lavoro», le sorrise.







* * *









Di solito, si sta così da uno psichiatra ― William pensava, sdraiata sul divano con le mani giunte sull'addome e le palpebre abbassate che, nonostante le ciglia immacolate, facevano ombra sulle gote esangui. Ogni suono ed il canticchio di Claude in cucina quasi rilassante.
Era mattino e Trevor uscito con un paio di suoi amici; avrebbe scommesso qualunque cosa che fossero Jean-Pierre e Allen, ma pazienza. La vampira albina non riusciva ad aprire occhio e certo non si aspettava che il tedesco sapesse cucinare, cosa, poi non l'aveva capito bene. Dall'odore le parve cioccolata calda, ma con una punta acre ― insomma, il sonno le stordiva anche i sensi in quelle mattina di domenica.
In tre giorni tutto aveva preso una piega diversa, equilibrata ― strana. Da quando restava in casa, sola, con un Claude allegro che canticchiava in cucina? Doveva trattarsi di un sogno, no, un incubo. Sola, poi, vi chiederete perché ― dov'era Michela? Già bella domanda. La vampira mora non si faceva vedere da qualche giorno, ma il tedesco era tranquillo, non proprio una buona cosa in certi casi e Trevor anche; che fosse tornata in Italia senza dire nulla a nessuno? Se lo domandava ogni tanto, William, ma comunque era la cosa più plausibile dato che anche tutto ciò che le apparteneva era sparito. Nonostante questo, poi tutto tornava in un angolino delle sue mente, ignara di cosa fosse successo realmente.

Claude salì velocemente le scale percorrendo il corridoio del primo piano fino alla penultima porta ― occasionalmente si soffermava sulla grandezza di quella mostruosa ed imponente villa. Con nonchalance aprì la porta senza bussare né ovviamente avvertire la donna che vi era all'interno; ce n'era davvero bisogno? Michela, come ogni altro vampiro, dormiva come una roccia se non la si disturbava ― lui coglieva solo la palla al balzo e ne approfittava per sbrigare le sue faccende. Oh, nulla di che ― eliminare il superfluo.
Di solito quel compito spettava ai Cacciatori, ma se doveva estirpare un'erbaccia di nome Michela De Vita, allora quello spettava a lui. La stanza era completamente immersa nell'oscurità, ed in essa, le iridi cremisi sembravano illuminate da una luce propria.
Si avvicino con passo felpato al letto sulla quale giaceva Michela su un fianco: i capelli color mogano erano sparpagliati sul cuscino ed appariva così...
«Per quanto ancora vuoi fissarmi, eh, Ritcher?»
«Ah. Sei sveglia?»
«Hai la grazia di un elefante quando ti muovi, stai facendo il digiuno?», la donna sollevò le palpebre, poi, rigirandosi tra le coperte, si mise i modo da poter osservare il corvino. «Cosa vuoi? È presto.»
«In verità, mandarti via», sorrise l'altro con fare innocente sedendosi sul materasso.
«...in pratica staccarmi la testa, sì, capisco.»
«Oh, suvvia, non fare quella faccia! Vorrai mica prendertela a male? Mi è successo qualcosa di davvero bello, non rovinare il momento con la tua... presenza―», così come si tirava il collo ad un pennuto, Claude in un gesto secco protese la mano sulla gola della donna, la quale, presa alla sprovvista sobbalzò con un verso strozzato afferrando il braccio del vampiro, stringendolo. Socchiuse le palpebre, Michela, assottigliando lo sguardo color cioccolato; rifletté, tra sé e sé che quella certo non era la forza del Claude che aveva conosciuto anni or sono, sicché riuscì a sollevarsi assestando poi un calcio allo sterno del tedesco.
«Che fai, giochi?», gracchiò Michela.
«Per niente!», ridacchiò l'altro, un occhio socchiuso. «L'ho detto, sei di troppo, perché non sparisci?»
«Stai parlando con me o William?!» urlò la vampira avventandosi su lui allo stesso modo, stringendogli la gola con forza, digrignando i denti. «Non mi sarei mai aspettata da uno come te questi sentimentalismi, eri davvero così affezionato alla tua Creatrice da vendicarti sulla figlia di quel Cacciatore?»
Claude soffocò un gemito costretto dalla presa ferrea, mantenendo a stento la curva derisoria che gli ornava il viso ― inspirò. Non si aspettava nulla di diverso, per questo voleva sfruttare il sonno dell'altra per ucciderla , poiché la differenza di forza, per quanto gli costasse ammetterlo, tra lui e l'italiana era troppa.
D'altronde perché continuare ad allenarsi e sfidare con ammirevole sfrontatezza gli altri vampiri? Non aveva senso, tutto ciò, ai suoi occhi dopo la morte della sua amata; in quei anni, l'unica cosa che era cresciuta, alimentata dall'odio, era la sete di vendetta verso quel dannato albino.
E albina era pure sua figlia, ironia della sorte.
Alexandre era stato davvero furbo a darle un nome il quale ne confondesse l'identità: William.
William, così fragile nel suo candore esterno e tanto sfrontata da gettarsi nella gabbia del mostro per adorarne le fauci.
No, Henrike non era solo la sua Creatrice, ma la sua amante, sorella e madre ― era ciò di più caro avesse al mondo e non avrebbe permesso che invece la strirpe di quel Cacciatore avesse continuato a vivere.
«Sei patetico Ritcher, mi fai pena», sibilò lei avvicinando il viso al suo e... sì, ah, tutto era sensualmente esilarante. «Mi sono stancata: a me una ragazzina non interessa. Lascerò Parigi, ma non dimenticarti» ed in questa piccola, quanto significativa, pausa strinse ancora il collo del tedesco facendolo annaspare come un pesce fuori d'acqua «che lei è figlia di un Cacciatore ce l'ha nel sangue, è pericolosa.»



«Spero vivamente che ti piaccia, Will» disse il corvino portando con sé due tazze fumanti nel soggiorno. «Mh?» sorrise poi quando vide la piccola vampira aggrovigliata in quei filamenti argentei come in un bozzolo ― che magnifica farfalla ne sarebbe uscita. Si era addormentata; e lui che aveva messo tanto impegno nel preparare quel sanguinaccio1 speciale. Poggiò le tazze sul tavolo, vicino alla scacchiera e la guardò intensamente con i suoi occhi verdi. E si chiese cosa passasse per la graziosa testolina albina e quali brutti sogni infestassero il suo sonno; lo lusingava immaginare che fosse lui uno dei suoi incubi.
Accavallando le gambe, portò le mani sul grembo, come quando doveva posare per un qualche ritratto o semplicemente ascoltare qualche consigliere. Abbassò le palpebre. Se Henrike... se non si fosse presentata dinanzi a lui, con quella genuina felicità di fanciulla, se non l'avesse trasformato... chissà come sarebbe finita la sua vita. Forse avvelenato da qualcuno il quale gli portava rancore.
«William, dai, svegliati.»
Si alzò dalla poltrona andandole più vicino, magari per scuoterla. La chiamò un'altra volta e sospirando le scostò con una mano i capelli dal viso trovandoli umidi; si accigliò quindi, perplesso. Ah, non si era accorto che stesse piangendo ― quella ragazzina stava diventando una vera piagnucolona.
«Allora oggi tua madre parte?», domandò ad alta voce con tutto l'intento di farla sussultare, poi si mise seduto, mentre la vampira spalancava gli occhi; ghignò. «Dormivi?»
«...Solo appisolata», borbottò lei fissandolo con astio. «Cosa hai preparato?»
«Cioccolata calda. Ieri stavi dicendomi che Yoshiko andrà in Giappone.»
«È il compleanno di mia nonna, domani. ...Dove ho lasciato l'elastico? Senti, non è che c'hai messo qualcosa di strano dentro?»
«Perché?», domandò l'altro sorridendo e porgendole la tazza.
William alzò le spalle. «Ti conosco, sai.»
«Uh, capisco. Trevor mi ha chiamato, prima: chiede se puoi fargli trovare pronto il pranzo.»
«Non mangiava con i suoi amici?», mugugnò soffiando sulla sulla bevanda per berne un sorso. E quanto lo ― e si maledisse per essersi fidata, ancora. Dieu, quella cioccolata era una schifezza. Trattenne un conato e mandò giù senza risparmiarsi una smorfia.
«Dice che la tua cucina è insostituibile. Buona?»
«Diciamo che ho bevuto di meglio, fai pena a cucinare.»
«Oh, beh...» fece spallucce.
In tutto questo, il tedesco le sembrò troppo gentile, anche per i suoi standard; si chiese se non fosse diventata paranoica. Intanto il vampiro più grande aveva accavallato le gambe e stava bevendo anche lui ― la sua mente, a quella vista, le fece fare un passo indietro, permettendole di riflettere sul fatto che Claude sviava ogni pasto o bevanda; quindi perché proprio ora stava gustandosi della cioccolata?
Con gli occhi celesti inchiodato sulle labbra piene e rosee dell'altro, intravide i canini, quindi un pensiero folle si trascinò in lei facendole poggiare la tazza sul tavolino ed alzare ― la bocca piena.
«Siediti e manda giù», le ordinò asciutto, con tono neutro. «Verdammt2, il tuo palato non si è ancora abituato che riconosce già il sapore del sangue?» borbottò passandosi una mano fra i capelli neri con disapprovazione.
William deglutì, più che altro si costrinse ― il tutto coronato da un'espressione schifata. «Sei subdolo.»




«Trev, devo chiederti un favore abissale», mormorò William accostandosi all'orecchio del ragazzo che frattempo si premurava di spazzolare la pasta nel piatto ― di tutta risposta, all'inizio, le arrivò un mugolio soffocato.
Rabbrividì a quel fiato gelido ed era più che plausibile.
Era più che plausibile che in cambio di un pranzo la vampira gli chiedesse un favore dandogli così qualcosa da fare, sperava, nel pomeriggio in quanto i suoi amici erano impegnati con le rispettive ragazze. E, per farla breve, si sentiva il terzo... uhm, quinto incomodo.
«Dimmi tutto. Mentre mi faccio un panino.»
«No, no! Ora resti seduto e mi ascolti. Anzi, dovresti metterti a dieta.»
«...dieta?»
«Certo! Ma intanto, dimmi, ce l'hai la patente?»
«No» e si accigliò vedendo l'espressione dell'albina incresparsi come carta stracciata. «Era importante?»
«Cruciale! Come fai, alla tua età, a non avere la patente?» esclamò lei sedendosi di peso su una sedia, la testa sulla superficie della tavola. Sbuffò sonoramente, iniziando a tamburellare con le unghie sul legno. Trevor dovette per forza accorgersi del nervosismo latente di William per aggrottare la fronte ed aggiustarsi gli occhiali sul naso.
Crucciandosi, giunse alla conclusione che un povero essere umano non era sempre utile in ogni situazione, anche se si trattava di una neo-vampira, specialmente se era William Leroy.
«'Well!» e si tirò indietro con la sedia, producendo un rumore stridulo, alquanto fastidioso. «Vado a fumarmi una sigaretta», si alzò, stiracchiò e contò fino a dieci. Puntuale come un orologio svizzero William lo prese per un braccio trattenendolo. «Hey!», protesto abbozzando un sorriso.
«Guarda che poi puzzi.»
«Verissimo», s'intromise Claude comparso chissà quando, poggiato al muro che li osservava sogghignando. «Tra qualche ora accompagneremo la madre di Will all'aeroporto.»
Trevor scoccò un occhiata perplessa all'albina dietro di sé, poi guardò Claude.




Deliri Note dell'autrice:
[...] Sanguinaccio1[...]: Dalla Wiki; Il sanguinaccio è una crema dolce a base di cioccolato fondente amaro e aromatizzato con sangue fresco di maiale, il che gli fornisce un caratteristico retrogusto acidulo. Okay, sì, Claude ha modificato la ricetta con del sangue umano, se non si era capito. :]
[...] «Verdammt2» [...]: “Accidenti” in tedesco.

E CHI NON MUORE....
Salve a tutti cari lettori e lettrici, Gcchan torna vittoriosa con un nuovo computer e pronta a riprendere questa long-fic!
Ci tenevo un sacco a pubblicare questo capitolo poiché si introduce un altro personaggio molto importante: Elijah. Capirete in seguito perché. ~
Ovviamente, e ci tengo a dirlo, quell'accenno di omofobia trattata all'inizio capitolo resterà lì 5ever ― non sopportavo nemmeno di scriverlo, ma era cruciale per lo svolgimento della storia. è__è
L'uscita di Michela credo che non piacerà a qualcuno. ((Ogni riferimento a te, Senpy, non è casuale.))
Distribuirò le medaglie di Obama a chiunque sia arrivato fin qui! (?) Ed ora mi fermo, altrimenti queste note diventeranno più lunghe del capitolo stesso. ☆☆☆
― L o t t i e.

  
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