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Autore: verystrange_pennylane    18/01/2015    9 recensioni
John Lennon, giovane sognatore, punta a conquistare il cuore della bella Cynthia. Si trova dunque, in una notte d'estate, ad esprimere un desiderio ad una stella cadente.
Ma cosa succede se, quella stella, in realtà si rivela essere un ragazzo di nome Paul?
Storia ispirata a "Stardust" di Neil Gaiman.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mr. Moonlight
 
Capitolo 10



John ispirò profondamente, lasciandosi beare dal profumo di miele che proveniva dai capelli di Paul. Spostò con una carezza il ciuffo dalla fronte del ragazzo, e lo ammirò di nuovo, in tutta la sua bellezza.
Gli diede un leggero bacio sul naso e lo strinse ancora più forte a sé, in un abbraccio impacciato e sonnolento. Il solo vederlo sbadigliare e muoversi lentamente nel sonno tra le sue braccia era una visione stupenda.
Dio, non c’era altro posto in cui sarebbe voluto stare, se non lì. In un letto troppo piccolo, con mezze gambe fuori al freddo, solo per poter permettere a Paul di dormire con lui. In una casa in cui dovevano parlarsi sottovoce perché, santo cielo!, figuriamoci se zia Mimi potesse capire che lui e Paul…
In ogni caso, a svegliarlo dai suoi stupidi pensieri romantici, ci pensò l’altro ragazzo.
“John, mi stai stritolando.” Sussurrò, ridendo.
Un piccolo bacio a fior di labbra.
“Cosa succede, Johnny, un altro incubo?”
Il ragazzo si limitò ad annuire, di risposta.
“Oh andiamo, va tutto bene. Lo sai che è solo un sogno. Io sono qui con te.”
“Ma se il cielo ti rapisce di nuovo e ti porta via da me?”
“Non succederà. Io sono sempre qui.” Disse, baciandogli prima la fronte e poi abbassandosi per baciargli il petto, dove il cuore batteva come un tamburo.
“E se invece fosse questo un sogno?”
Paul sorrise appena, avvolgendo le braccia al suo petto.
“Non lo è, John. Non lo è.”

Invece lo era eccome.
John si era addormentato sulla panchina di fronte al pub, di nuovo. La bottiglia di birra si era rovesciata sui suoi pantaloni, lasciandogli un alone imbarazzante sul cavallo.
Merda.
Non sapeva esattamente quante birre avesse bevuto, ma erano davvero parecchie. Forse troppe.
Nonostante i giramenti di testa e la nausea, la prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco fu il cielo. Quelle piccole, dannatissime stelle.
Si rialzò in piedi, aspettò che il suo andamento fosse più stabile e si accese velocemente una sigaretta, mentre cercava di sistemarsi alla bell’e meglio i pantaloni. Controllò l’ora: le tre di notte. Senza dubbio meglio del giorno prima in cui era tornato a casa alle cinque del mattino.
Zia Mimi l’avrebbe ucciso, se si fosse accorta che era scappato di nuovo.
Cercò di aprire la porta d’ingresso nel modo più silenzioso possibile, e si rifugiò in stanza, gettando rapidamente i vestiti sporchi di birra in un angolo, lontani dal letto. Quell’odore aumentava la nausea e il disgusto verso se stesso.
Prima di mettersi a letto però, fece una cosa: aprì la finestra e guardò il cielo.
“Buonanotte, Paul. E buon compleanno a me.”

In quei mesi ne erano successe di cose, in realtà.
Subito dopo aver perso Paul, aveva passato parecchie settimane a piangersi addosso, a sospirare e a non mangiare, esattamente come una ragazzina mollata dal primo spasimante.
Poi, come reazione opposta, con l’arrivo del suo compleanno aveva cominciato ad uscire, ad assentarsi da casa per giorni interi, a bere, a fumare e a fare la solita vita sregolata. Zia Mimi aveva smesso di preoccuparsi e aveva ricominciato ad arrabbiarsi, a rimproverarlo e a metterlo in punizione, senza risultati.
Le settimane erano corse veloci: l’estate aveva lasciato spazio all’autunno, l’autunno all’inverno, e John era ancora senza Paul, era ancora tremendamente solo.
Aveva provato a scrivere a Cynthia, ma non aveva ricevuto risposta. Aveva provato anche a fermarla per strada, durante una delle sue solite passeggiate nei pressi della drogheria, ma lei non sembrava ricordare nulla di quel giorno allo Stanley Park, né di aver effettivamente ricevuto un qualche tipo di corteggiamento da parte di John.
Bella fregatura! Non solo aveva perso Paul, ma non si era nemmeno esaudito il desiderio per cui l’aveva fatto cadere.
Doveva essere parte della punizione del cielo, ne era certo.
Non che pensasse di riuscire a vivere felicemente con Cynthia. Probabilmente l’avrebbe solo fatta soffrire. In fondo, ci aveva messo del tempo a realizzarlo, ma ora era fin troppo chiaro: il suo destino era quello di stare con Paul, e se non poteva essere felice accanto a lui, non avrebbe più trovato la pace, ne era certo.
Dunque si era limitato ad arrendersi e a ritornare il solito sognatore che si aggirava per Liverpool, bighellonando. Questa cosa a suo modo era rassicurante, no?
Era quello che si aspettavano gli altri da lui.
In realtà, per quanto mentisse a se stesso, John era terribilmente in dubbio, e questa crisi si palesava sempre, ogni giorno, ogni notte, non importava quanto fosse ubriaco o stanco o spaventosamente sobrio. Era un dubbio che gli divorava l’anima e il cuore: era successo davvero, o era stato solo un sogno? E se la stella cadente era piombata davvero sulla Terra, non c’era nulla che potesse fare per riaverla con sé?
Doveva pur esserci una soluzione, no?

Alla fine l’illuminazione gli venne una notte di Dicembre. Aveva toccato il fondo di nuovo, aveva bevuto davvero troppo, di nuovo, e si stava odiando, di nuovo.
Nascosto in un angolo di strada mentre Stuart e Pete ridevano di lui, si era deciso: avrebbe fatto qualcosa.
Non sapeva ancora bene cosa, in realtà. D’altronde era ubriaco marcio.
Ma il giorno dopo, quando si svegliò, tra i giramenti e la nausea, si diede dello stupido per non averci pensato prima: avrebbe contattato George. Lui avrebbe saputo qualcosa a riguardo.
Era finito il tempo del ‘solito John’, ora avrebbe fatto qualcosa.
Il giorno dopo dunque, prese la prima diligenza disponibile, e si fiondò a Didsbury. Il viaggio gli bruciò parecchio, nella memoria. Era sì bello rivedere quei posti, ma era anche molto doloroso. Bloccato tra tanti altri passeggeri e i loro bagagli si sentiva dannatamente solo.
Ci volle poco meno di mezza giornata per tornare nella campagna di Manchester, e molto meno tempo per ritrovare la casa di George. Insomma, non male per una persona che pochi mesi prima, per fare lo stesso tragitto, di giorni ce ne aveva messi due.
Si era fumato una sigaretta, aveva mangiato un sandwich scadente al pub irlandese, e aveva atteso che gli Harrison tornassero a casa dal lavoro. Stranamente, quel pomeriggio, la prima a rientrare fu Pattie, che non solo non lo riconobbe, ma si dimostrò anche parecchio spaventata dal suo atteggiamento. Possibile che anche lei si fosse dimenticata di lui e di Paul?
Stava quasi per ricevere un pugno in piena regola, quando arrivò George.
“Cosa sta succedendo qui?”
“Scusami, George, ma Pattie non si ricorda di me, e forse nemmeno tu…”
“No, so perfettamente chi sei tu, e temo di sapere anche perché sei qui.”
Con un rapido gesto del capo lo invitò a seguirlo in casa, tranquillizzando la moglie. Nonostante la vicinanza al Natale, la casa si presentava esattamente come in quelle giornate di luglio, eccezion fatta per un piccolo ramo di vischio appeso allo stipite della porta d’ingresso. Anche il riscaldamento era scarso, e il salotto era parecchio freddo.
Un brivido gli percorse la schiena, più per i ricordi che per la temperatura della casa, ma di tutta risposta Pattie accese la piccola stufa in cucina, e gli porse una tazza di tè.
“Amore, ti andrebbe di prepararci le tue meravigliose Jacket potatoes? Credo che John sarà nostro ospite fino a domani, non possiamo farlo tornare a casa, non con questo freddo.” Le chiese George, e lei intuì che in realtà avevano solo bisogno di una scusa per stare da soli, e non fece ulteriori domande.
John la osservò distrattamente mentre si metteva ai fornelli. Non sapeva da dove cominciare il discorso, e fu molto dispiaciuto quando il suo tè finì, perché significava non avere più una scusa per temporeggiare.
“Allora, il mio amico è tornato in cielo?”
Il ragazzo gli annuì di risposta, lentamente. Era come realizzarlo di nuovo, era come rivivere quel momento.
“Pensi di raccontarmi cos’è successo o devo leggerti nella mente?” disse George, ridendo. In realtà aveva pensato parecchio a Paul, nel corso di quei mesi. Ma sapeva perfettamente cosa poteva essere successo, e non si era illuso neanche per un secondo che gli eventi fossero andati diversamente.
John raccontò tutto. Più o meno.
Tralasciò qualche piccolo dettaglio, per esempio quello del bacio. George non chiese nemmeno come la stella avesse raggiunto il massimo splendore semplicemente stando su un divano, perché intuiva cosa il ragazzo tenesse nascosto e intuiva anche il perché lo facesse.
Pattie li chiamò a tavola non appena John terminò il suo racconto, e questo sospirò di sollievo.
Non che fosse affamato, ma sentiva che qualcosa di caldo sotto i denti potesse calmare un po’ il nervosismo che lo stava tormentando.
La cena terminò con i complimenti verso la cuoca e una tazza di punch caldo. Le spezie e il rum aiutarono John a sentirsi molto meglio, persino più ottimista verso il futuro, e sperò che George gli desse una buona notizia, ora che erano rimasti nuovamente soli. Poteva vedere benissimo come pesasse nella sua testa le parole da dire.
Alla fine dovette aver scelto la strada più diretta possibile, perché evitò ogni giro di parole. Ma, in fondo, era quello di cui John aveva bisogno.
“Senti amico, ci ho pensato a lungo. Io non posso dirti che tornerà, o che c’è un modo per farlo cadere sulla Terra di nuovo. Ma una cosa posso dirtela: non dargliela vinta.”
“Come?”
“Io lo so come agiscono. Ti portano via ciò a cui tieni e ti lasciano alla vita di tutti i giorni all’improvviso, a chiederti se ti sei sognato tutto, se sei andato fuori di testa o se è effettivamente successo.”
John annuì gravemente. C’erano dei giorni in cui si aggrappava al minimo ricordo: la chitarra, un profumo, una frase che gli tornava alla mente. Mentre c’erano altri giorni in cui non aveva la forza e la voglia di farsi coraggio, e si trovava a pensare, svuotando l’ennesimo bicchiere, di essere semplicemente impazzito.
“Non permettere loro di averla vinta. Se Paul non dovesse tornare, potresti trovarti davanti a due alternative: o dimenticartelo e vivere sereno la tua vita credendo di aver semplicemente sognato; o andare fuori di senno e rifugiarti in un mondo che non esiste per nessuno all’infuori di te. Un mondo in cui le stelle cadenti cadono davvero sulla Terra per esaudire i desideri. In entrambi i casi faresti il volere del cielo, ma nel dubbio, ti prego di scegliere la prima opzione e di lasciarlo andare.”
“Cancellare il ricordo di Paul? Non credo di volerlo fare.” Perdere il ricordo dell’unica cosa bella che gli era capitata fino a quel momento? Oh no, non l’avrebbe permesso. Se non avesse potuto riavere la stella con sé, che almeno potesse portare sempre nel cuore il ricordo di ciò che avevano vissuto. Al diavolo pure il cielo!
“Io ti dico soltanto di non ostinarti a vivere per una persona che non c’è più, John. Se Paul non dovesse più tornare, vivi la tua vita, per favore. Ci vorrà del tempo, ma sei ancora così giovane! Non farti rovinare l’esistenza troppo presto.”
“Va bene.” Disse alla fine. Era una promessa difficile da mantenere, ma era la cosa migliore da fare, George aveva ragione. Non poteva permettere di finire in manicomio a 20 anni!
Dopo qualche minuto di riflessione, John spostò lo sguardo dal pavimento all’amico.
“Ma tu perché non mi hai dimenticato?”
“Oh beh, sono stato una stella anch’io, no?” e ammiccando teatralmente, se ne andò a letto, lasciando il ragazzo da solo con i suoi pensieri.

La mattina seguente i due sposi dovevano andare al lavoro presto, quindi John doveva prendere la diligenza delle sette per Liverpool, oppure un treno. Non che avesse paura del treno, sia chiaro, è che quei mostri viaggiavano su rotaie, e facevano un gran trambusto, e sembravano così instabili! Meglio la buona e vecchia diligenza, decisamente.
Fece parte del tragitto con George, ma parlarono principalmente di politica ed economia, poi le loro strade si separarono, e il ragazzo gli diede una pacca sulla schiena.
“Spero di vederti tornare a Didsbury in compagnia, amico. Ma se ciò non dovesse succedere, beh, sappi che il mio divano ci sarà sempre, anche per un viaggiatore solitario.”
John sorrise, grato, e gli infilò di nascosto nella tasca della giacca una piccola sterlina, avvolta in un biglietto di ringraziamenti.
Aveva fatto così tanto, per lui, che si meritava un piccolo rimborso.
Dopo mezza giornata di viaggio sulla carrozza, scomodo e stretto sul proprio sedile, stringendo a sé il proprio bagaglio, finalmente arrivò a Liverpool.
Quel viaggio, che gli provocò qualche acciacco e un gran mal di testa, si rivelò utile a qualcosa, perché John si mise a scrivere.
E non sembrava più essere capace di smettere.

John continuò a scrivere per i seguenti mesi. Di giorno stava in biblioteca, leggendo tutto quello che c’era sulle stelle e sui loro moti, mentre di notte consumava fogli e inchiostro, trovando questo passatempo di gran sollievo. Era il suo modo per andare avanti con la vita, conservando però il ricordo di Paul.
In pochi mesi era stato concepito il suo primo romanzo: Julian e la Stella cadente.
La storia parlava dell’amore tra Julian, un umano, e Stella, caduta dal cielo per esaudire il desiderio del giovane terrestre. Il resto delle vicissitudini tra i due era noto: era la versione romanzata di ciò che aveva vissuto lui con Paul. Solo, la loro vicenda aveva il lieto fine.
Con tanto di matrimonio e tutto il resto, chiaro.
Chi se la sentiva di scrivere nero su bianco che la vita fa schifo, e che non tutti quelli che si amano hanno un finale felice? La gente non aveva bisogno di leggere la cruda verità in un libro. Che si illudessero tutti che potesse esistere un mondo in cui le cose andavano bene.
Certo, non avrebbe mai pensato di pubblicarlo davvero o di farlo leggere a qualcuno, se solo un giorno non l’avesse dimenticato sulla scrivania e zia Mimi l’avesse letto. All’inizio la reazione della donna era stata fredda e cinica, come se non volesse dar adito all’ennesima stranezza artistica del nipote, ma alla terza rilettura, dopo aver corretto alcuni passaggi, dovette essersi convinta che c’era qualcosa di buono e promettente, in quelle righe, perché decise di dargli una possibilità.
Alla fine di Aprile il manoscritto fu dunque inviato ad alcune case editrici di Birmingham, seppur contrariamente al volere di John e, dopo un mese e mezzo, il ragazzo ricevette una lettera entusiasta da parte di un editore. Il suo libro sarebbe andato in stampa, all’inizio solo con poche copie, circa un centinaio, ma poi, se avesse avuto successo, la tiratura sarebbe aumentata.
Fu così che la primavera volò via, tra la burocrazia e  la correzione del romanzo. In un battito di ciglia, arrivò l’estate.
John mantenne ancora una volta la promessa fatta a George: era finito il tempo di aspettare la sua stella cadente. Ormai Paul era uno dei personaggi del suo libro, non era tornato e non si era più palesato, se non nella sua testa. Insomma, era l’ora di voltar pagina per davvero.

Il romanzo sarebbe stato messo in commercio a metà giugno, ma sarebbe stato ufficialmente presentato al pubblico il 6 luglio.
Di nuovo, quella maledettissima data. Era il giorno in cui aveva conosciuto Paul.
E se invece, non fosse stata una casualità? Se fosse stato un regalo da parte del Cielo, per spronarlo a continuare a vivere la sua vita, senza la stella?
Carico e ottimista, si diresse fuori casa alla ricerca di Pete e Stuart per dar loro la notizia della pubblicazione.
Non che i suoi amici avessero preso bene tutta la faccenda della scrittura, l’avevano pure preso in giro per qualche giorno. Alla fine, però, dovevano aver capito che era un buon modo per rimorchiare, perché smisero all’improvviso e anzi, si appassionarono alle vicissitudini di John con la casa editrice.
Dunque, la notizia di un evento pubblico atto a sponsorizzare il libro del loro migliore amico, li fece esultare di gioia, pensando già alle donzelle che avrebbero potuto conoscere.
Inoltre, John sembrava aver raggiunto un certo equilibrio. Non che non si fossero divertiti, quando pensavano solo a sbronzarsi e a fumare, ma non credevano che fosse normale un comportamento del genere. Per quanto cercassero di non palesarlo, erano sollevati di vederlo sempre più simile a quello di una volta.
Furono ben felici, perciò, di brindare al successo del loro amico.
John ammirò le loro reazioni entusiaste e pensò che sì, quello era un segnale.
Il Cielo non avrebbe vinto contro di lui, non stavolta.

Il 6 luglio arrivò velocemente, e iniziò con un temporale, che svegliò John nel bel mezzo della notte. Un tuono fortissimo fece tremare i vetri della finestra della sua camera, e la pioggia incessante, che sbatteva contro il vetro, non lo fece dormire.
Quando il sole iniziò a sorgere, e zia Mimi gli capitò in camera pronta a richiamarlo, fu ben sorpresa di trovarlo già in piedi, vestito e pettinato.
Il programma della giornata era fitto di impegni, e John doveva essere il più operativo possibile: la presentazione sarebbe stata vicino all’Albert Dock all’ora del tè, e già nel primo pomeriggio doveva essere tutto pronto.
Una diligenza l’avrebbe accompagnato all’ufficio postale di Chester per andare a ritirare alcune copie del suo libro, dopodiché sarebbe ritornato a Liverpool in tempo per cambiarsi, lavarsi e relazionarsi con tutta quella gentaglia invitata dalla zia. La sola idea lo faceva rabbrividire.
In ogni caso avrebbe fatto qualsiasi cosa per non pensare a cosa quella giornata rappresentasse nella sua testa. Dunque fu ben felice di trovarsi, sulla diligenza per Chester, in compagnia di Stuart e Pete, che lo intrattennero con i loro stupidi commenti. Meno tempo passava da solo, meglio era.
Tra una corsa e l’altra si trovò in completo elegante, stretto tra Mimi e i suoi amici, in direzione dell’Albert Dock, senza nemmeno rendersene conto.
Entrò nella sala prenotata dalla zia e la prima cosa che lo sorprese fu la musica: un giovane pianista accompagnava le presentazioni e le chiacchere formali della gente. Poi l’odore di colonia cominciò a fargli pizzicare il naso, e dovette slacciare i primi bottoncini della camicia per riuscire a respirare. Il caldo era soffocante.
La pila di libri che aveva ritirato a Chester troneggiava su una piccola scrivania, e il dorso azzurro era ancora più bello, alla luce di quella sala.
Il suo breve romanzo era stato molto richiesto, e parecchie persone stringevano in mano la loro copia. Questa cosa lo faceva sentire molto strano, ma allo stesso tempo eccitato. Forse pubblicare quel libro non era stata un’idea poi così stupida.
Zia Mimi si avvicinò a lui, e lo strinse in un abbraccio imbarazzato, per sussurrargli qualcosa all’orecchio.
“Sono fiera di te, John.” Era come se non riuscisse più a trattenere quel pensiero, ora che gli si era formato nella testa. Non era da lei, esternare così i propri sentimenti, e per questo un pensiero simile valeva più di ogni complimento che potesse ricevere da uno sconosciuto.
“Ti voglio bene, zia.” Gli rispose il ragazzo alla fine, sussurrandolo appena e ricambiando impacciato quella stretta.
Quando Mimi fu chiamata da uno dei camerieri, John si staccò, si sistemò la giacca, e si avvicinò al banco del buffet: per la prima volta dopo qualche giorno sentiva di nuovo lo stimolo della fame. Meglio socializzare a stomaco pieno, si trovò a pensare.

Le sette arrivarono velocemente, ed era l’ora in cui John avrebbe letto un piccolo estratto dal suo libro. Dopodiché avrebbe risposto a qualche domanda e avrebbe firmato qualche copia, prima di congedarsi da tutti.
La gente sembrava divertirsi, in ogni caso. Alcuni bevevano, altri parlavano fitto fitto, mentre i pochi bambini presenti ballavano al ritmo della musica del signor Martin, il “pianista più talentuoso di tutta Liverpool”, come l’aveva definito sua zia. Nel mentre, Stuart e Pete sembravano molto delusi dalla scarsa presenza di giovani donzelle in età da marito, e si consolavano abbuffandosi di sandwich.
John si prese cinque minuti per sé e fumò nervosamente una sigaretta di nascosto da tutti. Non voleva far preoccupare la zia, ma non si sentiva affatto bene: i pensieri su Paul si stavano facendo sentire, più violenti che mai. Un brivido gli percorse la schiena: non aveva detto che avrebbe voltato pagina? Dannazione, si stava comportando come una checca!
Gettò indispettito il mozzicone il più lontano possibile, e tornò alla festa, stringendo nervosamente la sua copia del libro tra le mani.
Aveva scelto, come pezzo da leggere, uno dei più difficili e strazianti da scrivere: quello della realizzazione del desiderio.
Non sapeva esattamente cosa gli avesse detto che era una buona idea, forse il fatto che George Martin si fosse offerto di accompagnarlo con una melodia malinconica, o forse il fatto che sentisse il bisogno di avere vicino a sé Paul, e quello era l’unico modo di farlo rivivere.
Dunque, si schiarì la voce, si sedette comodo, aprì il suo manoscritto e cominciò a leggere.

“Stella guardò a lungo negli occhi verdi di Julian. Poteva quasi sentire il profumo dei prati di Irlanda che aveva ammirato dal cielo, e che non aveva mai toccato. Oh, se solo avesse potuto avere un giorno di più, un solo giorno di più! Non chiedeva molto! Per poter guardare solo per un altro giorno quei meravigliosi occhi e immaginarsi la vita che avrebbero potuto avere insieme.
Intanto, Julian tratteneva il fiato. Quando il petto iniziò a dolergli così forte da dover ricominciare a respirare o avrebbe perso i sensi, realizzò che tutto quello non era un sogno.
E realizzò soprattutto che avrebbe perso Stella, se avesse continuato a temporeggiare così.
Si avvicinò, sfiorando appena la morbida pelle delle sue guance. Gli ricordavano una pesca, uno di quei frutti succosi che rubava dalla dispensa della nonna quando era piccolo e andava in vacanza in Provenza.
Mentre quelle labbra, oh quelle labbra erano due meravigliose ciliegie. Rosse, lucide, invitanti. Erano inumidite come se avesse appena smesso di piovere.
Il respiro della giovane stella era sempre più affannoso e irregolare, ma Julian doveva provare, doveva rischiare. Si avvicinò ancora di più, e lasciò che i reciproci respiri si mescolassero.
In quei centimetri era racchiuso un piccolo universo di infinite possibilità: parole non dette, sogni infranti, futuri da vivere e passati già vissuti, da loro, o da altri amanti. Amanti che non avrebbero mai conosciuto, o di cui avevano solo letto nei libri.
Cosa avrebbero detto di loro, di Julian e di Stella, gli scrittori più bravi del sottoscritto?
Come sarebbero stati giudicati se qualcuno avesse aperto la porta, scoprendoli così vicini, così intimi?
Julian non sembrava pensarci, troppo spaventato dal semplice pensiero di perdere l’amore di Stella. Finalmente, dunque, trovò il coraggio di coprire quei pochi centimetri che li separavano, e poggiò le sue labbra su quelle della ragazza. 
Il solo contatto lo fece rabbrividire, prima di essere scaraventato dall’altra parte della stanza da un vento folle che fece spalancare le finestre. Il bagliore che illuminava la camera era immenso, e Julian pensò di essere morto. Che fosse quello il meraviglioso Paradiso?
No, perché Stella era ancora lì, sul suo divano, in preda alla sofferenza, e lo chiamava, lo implorava di avvicinarsi di nuovo a lei. Julian dunque strisciò fino al sofà, socchiudendo appena gli occhi, che ormai bruciavano come se andassero a fuoco. Non gli importava in realtà di morire, se questo avesse permesso alla sua amata di sopravvivere e di restare felice sulla Terra.  Le prese le mani e le strinse a sé, sfiorandole appena con le proprie labbra.
Ammirò per l’ultima volta Stella e, versando una piccola lacrima, chiuse gli occhi, esprimendo il suo grande desiderio: “Rendi possibile il mio vero amore.”
E detto questo, cadde in un sonno pesante e senza sogni.
Quando la mattina si svegliò, con gli occhi si mise a cercare Stella, ma sul sofà non c’era. Era rimasta solo la coperta, infagottata in un angolo. Si mise dunque a cercare, a chiamare, mentre sentiva il panico prendere possesso delle sue azioni e dei suoi pensieri.
Neanche il tempo di cercare le scarpe per fiondarsi fuori dalla casa, che dalla cucina una voce famigliare richiamò la sua attenzione.
“Dove scappi senza aver preso il tè?”
Julian spalancò la bocca, e gettò a terra la giacca e le scarpe.
Era Stella. La sua Stella.
Ed era lì, davanti ai suoi occhi, in tutta la sua bellezza.
“Temevo di averti persa.” disse il ragazzo alla fine, cercando di tranquillizzare la sua voce.
“Avevi o non avevi espresso il desiderio di realizzare il tuo vero amore?”

Con un tonfo chiuse il libro, facendo spaventare alcune persone, assorte nell’ascolto.
George Martin cambiò melodia, lasciando che l’accompagnamento diventasse più allegro e vivace. Alcuni cominciarono subito a parlottare fitto fitto, mentre Stuart e Pete si avvicinarono ed iniziarono sin da subito a prenderlo in giro.
Zia Mimi, che già vedeva in cattiva luce quei due ragazzi, non aveva del tutto approvato la scelta del nipote di invitarli alla presentazione ufficiale, ma alla fine aveva ceduto, dopo parecchi litigi e insistenze.
Eppure, ogni volta che li vedeva comportarsi come in uno dei pub di Liverpool, si sentiva in dovere di intervenire, e anche stavolta non fece eccezioni.
“Winston, caro, è ora dell’incontro con il pubblico.”
“Ma signora Smith, noi siamo parte del pubblico.” Disse Pete, con una gesto teatrale.
L’occhiata che gli rivolse Mimi fu così gelida da pietrificarli tutti e tre all’istante.
“Va bene, abbiamo capito! Noi ce la squagliamo allora, Jane Austen. Ci si becca dopo!” concluse Stuart, accelerando il passo e lasciando John da solo sotto lo sguardo severo della Zia.
“Oh andiamo, Mimi. Era solo uno scherzo!”
“Al lavoro, Winston. Non sei qui per divertirti. Ti chiedo di mostrare un po’ di responsabilità, solo per stasera. Fallo per me e per tutti i soldi che sto investendo in questa tua pubblicazione.”
John chinò lo sguardo, colpevole. Si sentiva di nuovo come quando, da bambino, saltava una lezione e veniva beccato. Zia Mimi difficilmente era stata una da schiaffi o da grida, ma usava una tecnica estremamente elegante, che provocava immediato senso di colpa. E la stava praticando di nuovo, nonostante John avesse ormai quasi 20 anni. Ed ottenne l’effetto sperato, come sempre.
Il ragazzo annuì gravemente, e si sedette alla scrivania, cercando di non strisciare troppo le gambe della sedia, per non fare troppo rumore. Proprio come uno scolaretto i primi giorni di scuola.
Le persone, pian pianino, si avvicinarono al suo tavolo, e cominciarono a porgergli la copia da firmare, mentre alcuni si soffermarono un paio di minuti per fargli qualche domanda.
La coda era scemata in modo rapido e piacevole. Il suo libro sembrava esser stato apprezzato davvero, e questa cosa non finiva di sorprenderlo.
Ormai la sala si stava svuotando rapidamente, e John si stava dedicando a fare un piccolo disegnino su una copia che gli era stata affidata da una piccola bambina asiatica. Era per la sua mamma, e stava per chiedere se “Yoko andasse con la i o con la j o con la y”, quando una voce maschile interruppe il flusso dei suoi pensieri.
“Mi dica, signor Lennon, non trova strano che il desiderio di Julian si sia realizzato così velocemente? Di solito ci vuole più tempo… per esempio, non saprei, un anno?”
John alzò lo sguardo, rovinando il piccolo disegno e la dedica per la bambina giapponese.
Si infilò velocemente gli occhiali, cercando di non danneggiare ancora di più il libro che aveva tra le mani, e guardò la persona davanti a sé.
“Un anno, non mi dire.”
“Sì, di solito è così che funziona. Credo che il suo romanzo sia poco realistico.”
“E lei sarebbe?” chiese, coprendosi la bocca con la mano libera.
“Sono del.. sì, del sindacato delle stelle cadenti. Mi chiamo Paul.” Rispose l’altro, non riuscendo a smettere di sorridere a sua volta.
Si guardarono per dei minuti, forse per delle ore, non lo sapevano con esattezza. John stringeva la stilografica tra le mani così forte da farsi male; Paul si aggrappava alla scrivania, come se avesse paura di cadere in preda all’emozione.
Se possibile, pensò la stella, John si era fatto ancora più bello. La barba cominciava a intravedersi sempre di più nonostante fosse rasata, il capello era ordinato e ben pettinato, ma sempre dispettoso, con qualche piccolo ciuffo mosso sfuggito alla cera. Solo le occhiaie si erano fatte più accentuate, ma doveva essere normale, con l’ansia per la presentazione.
John studiò la stella davanti a sé e la trovò invece esattamente uguale a com’era un anno prima. Solo, indossava un completo bianco diverso, e i suoi capelli erano leggermente più lunghi, ma per il resto era il solito Paul. Il suo Paul. Il suo bellissimo Paul.
Mollò la penna calligrafica per allungare la mano: doveva toccarlo. Sentiva il bisogno di avere la conferma immediata che fosse lui, che fosse vero, e che non stesse sognando. Ma, ad interromperlo, intervenne la piccola bimba asiatica che, mano nella mano con la mamma, reclamò il libro autografato.
John glielo diede, senza però badare troppo a ciò che faceva, impegnato com’era dal non distogliere lo sguardo da Paul. Aveva il terrore che se si fosse voltato per un solo istante, la stella sarebbe scomparsa.
Il tomo cadde con un tonfo, e madre e figlia si indispettirono molto davanti al comportamento dello scrittore, e se ne andarono, lasciando John nel suo mondo.
Alla fine riuscì a prendere la mano di Paul, e Dio sì, era vero. Era davvero lì. Non era un sogno. Poteva sentire la pelle d’oca sul braccio della stella, poteva percepire il freddo delle sue dita, nonostante facesse un caldo tremendo in quella stanza. Poteva persino sentire la morbidezza del raso della sua camicia.
Zia Mimi si avvicinò per informarlo che di lì a pochi minuti la festa sarebbe finita, ma la sua voce non arrivò davvero alle orecchie del nipote.
Paul gli rivolse un sorriso più dolce, mentre si staccava dalla sua presa con forza.
“Ora questa gente ha bisogno di te. Io ti aspetto fuori.” Sussurrò appena, voltandosi.
Il ragazzo cercò di farlo rimanere, ma senza risultato.
“Promesso, sarò al molo ad attenderti.” La voce della stella era così melodiosa e rassicurante. Era esattamente come se la ricordava.
John si morse il labbro e si trattenne dal gridare come un pazzo.  Lo guardò uscire dalla sala e si trovò a pregare che non stesse davvero sognando ogni cosa, e che avrebbe davvero trovato la stella, fuori ad aspettarlo.

I saluti si protrassero per parecchi minuti. Dovettero congedare George Martin, il catering, gli ultimi ospiti che non sembravano aver voglia di andarsene, e infine accordarsi per i pagamenti.
John affidò a zia Mimi la piccola busta con i guadagni della serata, e fu molto fiero di se stesso. Il suo romanzo poteva anche essere melenso e banale, come l’avevano definito i suoi amici, ma gli aveva permesso di intascarsi un buon gruzzolo! Uscì dunque da quella dannata sala e inspirò a pieni polmoni l’aria fresca che profumava di estate, prima di accendersi una sigaretta. Con una scusa si allontanò dalla zia, e si mise a cercare Paul attorno al molo.
Passarono i minuti, gettò in acqua il terzo mozzicone, e la stella ancora non si vedeva. Il cielo intanto si era scurito, e fu portato dal vento il rintocco delle campane della cattedrale: erano le 10. La festa era finita da un’ora, ormai.
E di nuovo, il dubbio. Se si fosse sognato tutto? E se Paul fosse stato una visione?
Uno scherzo di cattivo gusto del Cielo per farlo andare fuori di testa?
Si mise a correre ancora prima di accorgersene: doveva chiedere a zia Mimi se avesse visto anche lei il giovane ragazzo alla festa, o se fosse stato l’ennesimo miraggio. Forse, se avesse avuto fortuna, l’avrebbe trovata ancora ferma sotto il Royal Liver ad aspettare il taxi.
Durante quella sua folle corsa, John si scontrò con una figura smilza, e cadde con un tonfo, sbattendo rovinosamente il fondoschiena contro il marciapiede.
“Ehy, attento amico!”
“Paul?” esclamò John, immobile a terra.
“Oddio, sei tu? Grazie a Dio!” rispose Paul, gettandosi su di lui, abbracciandolo impacciato.
“Dove..? Cosa…?”
“Dio, avevo paura ti fossi dimenticato di me! Temevo di dover trascorrere tutta la notte qui, e ho già visto un paio di barboni che adocchiavano il mio bellissimo cappotto bianco. Per non parlare delle zanz…”
Paul non finì mai il suo sproloquio, perché John lo interruppe prima, scoppiando a ridere rumorosamente.
“Sei tornato.” Disse alla fine, senza smettere di sorridere come un idiota.
“Sì.”
“Per davvero?”
“Per davvero.” Rispose Paul, avvicinandosi.
“E non è un sogno o una mia proiezione mentale, o uno scherzo del Cielo?”
“No, sono qui davvero. Per restare.” I loro nasi cominciarono a sfiorarsi.
“Per restare con me.” Solo pochi centimetri ormai separavano le loro bocche, quando un barbone, vedendoli così vicini,  gridò una bestemmia e sputò a pochi metri da loro.
Fu come vivere, da cosciente, quella strana sensazione di precipitare, che di solito ti coglie prima di addormentarti. Un duro, durissimo ritorno alla realtà.
“Vieni, Paul, andiamo a casa.” Disse John, rosso come un pomodoro, alzandosi da terra.
La stella, con la testa bassa, lo seguì.

Mendips distava quasi due ore a piedi dall’Albert Dock, ma decisero di non prendere il taxi e di camminare. Avevano un anno da recuperare, no? E John aveva così tante domande in testa!
“Allora, cominciamo dall’inizio, cosa è successo?”
“Io e te abbiamo espresso lo stesso desiderio, nel pieno del massimo splendore, quindi andava realizzato. Ma in Cielo hanno provato lo stesso a farla franca, a separarci, forse perché non riuscivano davvero ad accettare una simile sconfitta? Non lo so, ma una volta dimostrato che non potevano più tenermi lontano da te, mi hanno rispedito giù. Ed eccomi qua.”
John si morse nervosamente l’unghia del pollice. Gli sfuggiva qualcosa.
“Ed è bastato esprimere lo stesso desiderio?”
“Sì perché, mh, a quanto pare io sono sceso dal cielo proprio in quanto tuo… tuo… e come tale il desiderio si è realizzato.” Il suo tono di voce si fece sempre più basso, e cominciò a gesticolare sempre più nervosamente.
Cosa?”
“Sì, hai capito.”
No, John non aveva affatto capito, si voltò a guardare Paul, e nonostante il buio poteva vedere quanto fosse arrossito, e quanto si vergognasse di quello che doveva dire.
“Va bene, ma come sei duro di comprendonio, dannato terrestre! Il fato ha voluto che proprio io insistessi in quella occasione, e scendessi io ad esaudire il tuo desiderio, perché ero io la persona giusta per te. E quando abbiamo chiesto… di rendere possibile il tuo vero amore, non poteva andare altrimenti. Cioè, così mi è stato detto. Ma se hai cambiato idea, io posso.. mh, andare da George?”
“Aspetta, vuoi dirmi che il mio desiderio sin dall’inizio non si rivolgeva a Cynthia, ma a te? Perché tu sei il mio…?” era una sua impressione o cominciava a fare caldo? La brezza estiva si stava facendo stranamente soffocante, per essere notte.
“Sì, il tuo… vero amore. Ecco.” Concluse Paul, abbassando la testa e  arrossendo ancora di più.
Cadde un silenzio imbarazzato, e l’unico rumore che accompagnava i loro pensieri frenetici era quello del loro passo, veloce e nervoso.
John si spronò a trovare qualcos’altro da dire in fretta, in fondo ne aveva ancora di cose da sapere! Ma un groppo alla gola gli rese difficile prendere la parola.
Alla fine si fece coraggio, strinse i pugni e cominciò a parlare.
“E sei piombato giù dal cielo oggi?”
“Oh no, sono caduto sulla Terra qualche settimana fa. Ero finito nei pressi di Dublino, e non sapevo minimamente cosa fare. Fortunatamente, dopo solo pochi giorni, il proprietario di un pub mi ha offerto un lavoro. All’inizio ero un tuttofare, poi hanno cominciato a farmi suonare il pianoforte per intrattenere i clienti. Non credevo di essere in grado di strimpellare anche quello! In ogni caso sono stato lì per quasi un mese, il tempo di lavorare e di guadagnare i soldi per raggiungere Liverpool. Sono arrivato con il traghetto ieri, è stato un viaggio terrificante! Non credevo si muovessero così tanto quelle barche, che nausea terribile! Stavo dicendo? Ah, sì! Sono giunto a Liverpool e ho subito chiesto di te in giro, e un tizio, credo sia un tuo amico, mi ha detto che oggi c’era la presentazione ufficiale del tuo libro. E così mi sono imbucato. Avrei potuto aspettare, ma non ce la facevo più, avevo bisogno di vederti!”
Un’altra lunghissima pausa.
John in realtà aveva quella domanda in testa da quando l’aveva rivisto alla festa. Era stato il suo pensiero fisso, ma formularla implicava ricevere una risposta che faceva paura, tanta paura.
“E non hanno chiesto nulla in cambio, stavolta?”
Paul cominciò a giocare con una ciocca dei suoi capelli e cercò di pesare bene le parole da dirgli.
“Pensano che il semplice fatto che due uomini vogliano stare assieme sia una punizione più che sufficiente.”
Il silenzio, se possibile, si fece ancora più imbarazzante e pesante.
“Sempre se lo vorrai, John. Questo è ovvio. Io.. credo che dovremo pensarci bene. Tu sei ancora in tempo per trovarti qualcun'altra e vivere felice la tua vita. Hai vissuto bene sulla Terra senza di me per un anno, puoi continuare, no? E’ vero, anche a me ha fatto piacere rivederti e…”
“Paul, per favore, sta’ zitto.”
E la stella, mordendosi le labbra, obbedì.

La seconda parte del tragitto fu ben più lunga della prima. L’aria era piena di domande che nessuno dei due aveva il coraggio di fare, e i ragazzi si tenevano a distanza di sicurezza. L’unica volta in cui si sfiorarono, per caso, un brivido percorse la schiena di entrambi, e aumentarono ancora lo spazio tra di loro.
In quella situazione così impacciata e precaria, il commento di odio ricevuto dal barbone si ripeteva in continuazione, nelle loro teste.
Era quello che li aspettava: un mondo di segreti, di confessioni sussurrate, di paure e di rischi.
John sapeva perfettamente cosa avrebbero dovuto affrontare se fossero stati scoperti: potevano essere o puniti severamente, o peggio, arrestati. Voleva davvero che la stella, la sua meravigliosa, innocente stella, patisse tutto quel dolore? Forse Paul si stava già pentendo di essere tornato sulla Terra, un pianeta con così tanto odio.
John scoprì dunque che avrebbe preferito restare solo tutta la vita, piuttosto che forzare colui che amava a vivere in una situazione del genere. Che stupido ed egoista era stato: in quell’anno era stato così preso da sé e dal suo dolore, da non pensare all’altro.

Finalmente arrivarono a Mendips, poco dopo lo scoccare della mezzanotte. Zia Mimi, stranamente, sembrava dormire nella grossa.
Paul, dunque, decise di sistemarsi sul divano, per non disturbare il sonno di John. Si sciacquò il viso, si tolse la giacca e si coprì alla bell’e meglio, prima di fingere di dormire. Non è che si sentisse davvero stanco, voleva solo mettere a tacere la sua testa per un po’. In quelle settimane sulla Terra era stato così preso dal solo pensiero di quell’incontro, da non considerare minimamente le conseguenze che avrebbe potuto avere sulla sua vita. Inoltre, se fosse stato rifiutato, cosa che credeva fermamente sarebbe successa, si sarebbe trovato sulla Terra a vivere una vita senza amore, senza… senza senso. E questo pensiero faceva paura.
Che stupido era stato a chiedere di diventare un umano. Stupido ed egoista, così preso da se stesso da non pensare a come avrebbe rovinato la vita della persona che amava.
Si asciugò velocemente le lacrime e si morse il labbro.
Cosa aveva fatto?
 
 John intanto, chiuso nella sua stanza, si spogliò e indossò la sua vestaglia da camera, dopodiché prese una sigaretta e la accese, cercando di buttare tutto il fumo fuori dalla finestra spalancata.
All’ultimo, lunghissimo tiro, sapeva perfettamente cosa fare. E non era dormire, oh no.
Gettò il mozzicone in giardino, sentendo già i rimproveri di zia Mimi il giorno dopo, e si diresse con un balzo fuori dalla propria camera e giù dalle scale.
Non si preoccupò nemmeno di fare poco rumore per non svegliare Paul, era esattamente ciò che voleva.
Gli gettò via la coperta, lo prese per un polso e lo trascinò su con sé, ignorando i suoi lamenti e le sue domande confuse. Una volta chiusa a chiave la porta della camera, John prese il volto della stella tra le sue mani e gli sorrise appena.
“Cosa diavolo stiamo facendo, Paul?”
“Non capisco.” Rispose la stella, rabbrividendo a quel contatto.
“Io ho aspettato di rivederti per un anno intero, ho bevuto, Dio solo sa quanto ho bevuto! Ho fumato, ho fatto cazzate che mi vergogno di ripetere, sono persino tornato a Manchester… tutto questo per te.
Ho passato settimane intere chiuso in casa perché il solo pensiero di affrontare un mondo in cui non saresti stato al mio fianco era spaventoso, terrificante. Ho creduto di aver sognato ogni cosa, perché tutti mi dicevano che ero un pazzo, che non eri mai esistito. E ora sei qui con me, finalmente. E questo non è un sogno, è la dannatissima realtà. Non lascerò che tu vada via da me un’altra volta, non lo permetterò.”
Paul lo guardò intensamente, e cercò di farsi forza, di non cedere subito.
“Ma non capisci a cosa vai incontro? Non sarei mai dovuto venire a cercarti, sono uno stupido…”
“Fanculo tutto quanto. Andremo a vivere in un paese sperduto della Scozia e là ci faremo una fattoria. Vuoi le caprette? Avremo le caprette. O se vuoi ce ne scappiamo in America, in quelle grandi città nessuno saprà nemmeno come ci chiamiamo. Oppure, oppure… potremo cercare gli Hurricanes e girare l’Inghilterra con loro. Potremo essere tutto quello che vogliamo. Ma insieme. Non azzardarti a lasciarmi un’altra volta, stellina.”
Lo sguardo di John era la cosa più bella che Paul avesse mai visto. Non c’erano stelle che potessero reggere il paragone con quegli occhi ora. Gli occhi di un uomo che costruiva un gigantesco, meraviglioso, sogno su misura per loro due.
A cosa serviva negare la verità ancora? Sopprimere i propri sentimenti di nuovo?
“Non posso lasciarti, John. Non più.” Sussurrò appena, cercando di non crollare davanti a lui.
“Ti conviene, o me la pagherai.”
“Ah, e come?”
“Ti faccio vedere io.” Concluse ridendo, prima di coprire quei pochi centimetri che li separavano per baciarlo.
Fu un bacio all’inizio impacciato e teso, le mani di John cercavano di non tremare troppo mentre stringevano il viso della stella. Paul si aggrappò alla schiena dell’altro, un po’ perché non credeva che le sue gambe avrebbero retto, un po’ perché aveva sognato per troppo tempo quell’abbraccio.
Il calore del corpo di John spazzò via in un solo colpo ogni pensiero negativo, ogni dubbio. Non poteva mentire a se stesso, era quello il suo posto nel mondo. Non nel cielo, ma lì, tra quelle braccia.
E sì, fanculo, quel bacio valeva tutte le sofferenze e i dolori della Terra.

John ispirò profondamente, lasciandosi beare dal profumo di miele che proveniva dai capelli di Paul. Spostò con una carezza il ciuffo dalla fronte del ragazzo, e lo ammirò di nuovo, in tutta la sua bellezza.
Gli diede un leggero bacio sul naso e lo strinse ancora più forte a sé, in un abbraccio impacciato e sonnolento. Il solo vederlo sbadigliare e muoversi lentamente nel sonno tra le sue braccia era una visione stupenda.
Dio, non c’era altro posto in cui sarebbe voluto stare, se non lì. In un letto troppo piccolo, con mezze gambe fuori al freddo, solo per poter permettere a Paul di dormire con lui, stretti dopo aver fatto l’amore.
“John, mi stai stritolando.” Sussurrò, ridendo.
Un piccolo bacio a fior di labbra.
“Ti amo, Paul. Lo sai?”
La stella sgranò gli occhi, e sorrise senza essere in grado di trattenersi.
“Ce la faremo, John?”
“Ce la faremo, promesso. E lo sai perché?”
Paul fece cenno di no con la testa, mordendosi appena il labbro. Non credeva fosse possibile provare una tale felicità. Non c’era splendore che reggeva il confronto con qualcosa di così straordinario e magico.
“Perché sei il mio desiderio realizzato.”








Angolo dell’autrice:

Ma salve a tutti!
Avevate paura che fossi sparita per sempre, anche io insieme a Paulie vero? Magari qualcuno di voi ci sperava pure… e invece, fregati tutti! Muahahaha.
Sono molto triste/felice di annunciare che la mia prima long del fandom è giunta al termine, ma ehy, avete avuto il lieto fine, siete o non siete fortunati? Vi voglio poco bene? ;)
Scherzi a parte, vi voglio davvero molto bene.
Innanzitutto perché per merito vostro ho portato a termine questa mia “cosa”. E poi perché ormai era diventato per me un appuntamento immancabile con tutti voi.. e mi mancherete tanto.
Vorrei citarvi uno ad uno, ma la cosa si farebbe troppo lunga, dunque vi basti sapere che sto mandando un gigantesco abbraccio a chiunque abbia letto e, magari, recensito questa storia. E un abbraccio ancora più forte a chi, in via privata, mi ha dato sostegni preziosissimi. Grazie, siete stati meravigliosi tutti.
Spero questo mio ultimo capitolo non vi abbia deluso <3
Infine, non mi sono dimenticata di te, Kia85. Pensavi che non t’avrei ringraziato?
Senza di te, mia cara, questa Au sarebbe rimasta in una cartella remota del mio pc, ad ammuffire. E poi, probabilmente, l’avrei cancellata. Invece tu mi hai fatto ricominciare a scrivere, in primis, e poi mi hai incoraggiata un sacco ogni volta che ti scrivevo, con le mie noiosissime paturnie. E tu, non solo non ti sei stufata di me, ma sei diventata anche mia amica!
Quindi, lasciami dire, che mi sento fortunata, perché questa semplice storia mi ha fatto riscoprire un hobby e mi ha fatto trovare un’amicizia. Grazie della pazienza, del sostegno e dell’affetto.
Che altro dire? Ho parlato anche troppo, come al solito. Ci si legge presto, prestissimo. E’ una minaccia  promessa ♥
Grazie ancora,
Anya



 
   
 
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