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Autore: Lullaby 99    23/01/2015    8 recensioni
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«Se dovessi dire qualcosa di romantico, sì insomma, una di quelle frasi sdolcinate che piace a voi ragazzine, cosa diresti?» chiese beffardo con finta indifferenza, nonostante la curiosità lo stesse divorando.
«Il mondo per un cuore.» rispose lei facendo un passo in avanti, continuando la sua danza in mezzo alla sala, fissandolo intensamente negli occhi.
«E se ci fosse qualcosa di più intenso e romantico?» disse lui col suo solito tono.
«Impossibile.» rispose sicura atterrando in un elegante caschè tra le sue possenti braccia.
«Se tu puoi darmi il mondo per un cuore, io posso donarti la vita per un istante.»
{...}
Una volta intrecciato il filo rosso del destino non può più essere sciolto
BuOnA LeTTurA ^^
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gelosia

InuYasha
Capitolo: 9


 
 

La porta si aprì lentamente, con un cigolio sinistro.
Sango la richiuse alle sue spalle, poggiandosi ad essa pesantemente. 
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva messo piede in quel luogo?
Accese la luce, avvicinandosi al centro della stanza.
Ormai, odorava di chiuso. Non c’era più il fresco profumo di allora. Eppure si ricordava ogni particolare di quella camera, nonostante il tempo trascorso.
Vi regnava un leggero disordine, come c’era d’aspettarsi da lui.
Il letto era sfatto, i cuscini sparsi su di esso. La scrivania, accanto alla finestra chiusa, era piena di oggetti vari, posati un po’ alla rinfusa. Penne, matite, fogli, libri.
Ogni cosa in quella piccola, quanto graziosa, stanza era impregnata dell’odore e dei ricordi di Sota.
Si erano conosciuti quattro anni prima, in un giorno anonimo di un tempo altrettanto anonimo, lei frequentava il liceo e lavorava in un locale molto carino e ben frequentato ogni pomeriggio, per guadagnarsi i soldi necessari per vivere.
Era orfana, senza genitori, ma aveva un fratellino, che ora era all’estero per gli studi, Kohaku.
Fu così che, un giorno, Sota si presentò nel bar in cui lavorava, divenendo un cliente abituale e perfino suo amico. 
E si erano innamorati, come succedeva a tanti ragazzi della loro età.
Si erano sposati presto, fin troppo forse, un anno e mezzo prima, poco dopo che lei aveva concluso gli studi. Era solo grazie a lui se era riuscita a mandare Kohaku a studiare lontano dal Giappone. Da sola non avrebbe mai avuto i soldi necessari per farlo, per questo gli era infinitamente grata.
Ma Sota aveva un sogno, lo sapeva, ed era quello di fare il pilota.
Dopo sei mesi dal loro matrimonio, fu costretto a partire, e non tornò più. Si ricordava vagamente il telegiornale che parlava di un aereo precipitato, le lacrime di Kagome, Ayame e Rin, la disperazione che l’avveva avvolta, la solitudine, il vuoto.
Annaspò, portandosi una mano sulla fronte, riscoprendola sudata. Ora ricordava perchè non entrava più lì dentro.
Fece scivolare il palmo lungo il viso, fino a raggiungere il collo, deglutendo. Aveva la gola secca e amarognola.
Scosse la testa violentemente, cercando di non dar troppo peso alla moltitudine di pensieri che le vorticavano in testa, per poi riaprire la porta e uscire, quasi correndo.


 
*
Kagome era in viaggio verso casa.
Il tassista guidava con una lentezza quasi maniacale da farla innervosire, ma le aveva lasciato molto tempo per riflettere su svariati argomenti.
Uno di questi, immancabilmente, era InuYasha No Taisho.
Aveva pensato a lungo, su di lui, sul suo comportamento, sui suoi modi di fare, eppure non riusciva a venirne a capo.
Era un soggetto assai complesso.
Però, in qualche modo, sapeva che il loro rapporto burrascoso stava pian piano mutando in qualcosa di più calmo e tranquillo.
Chissà, magari un giorno sarebbe potuto perfino sfociare in qualche cosa di piacevole.
“Pff, ne dubito fortemente.” si rispose, scuotendo la testa.
Purtroppo, non riusciva a smettere di ricordare le parole che aveva pronunciato la sera precedente, in quel suo attimo di debolezza, o come lo aveva definito.
“Non sapevo ... non sapevo che fosse così”
“Mia madre”
“Che mi ha amato, per abbandonarmi”
“Non si voltò nemmeno una volta”

“La odio
Per la prima volta aveva scorso dolore nei suoi occhi, sempre così freddi, pieni di orgoglio, accecati dal furore.
Forse ora era in grado di comprendere almeno in parte il motivo del suo comportamento, dopotutto, era stato abbandonato dalla madre ad un età così giovane.
Aveva nascosto tutto il suo dolore in un angolo del suo cuore.
Subiva ogni cosa, inflessibile, senza mai lasciarsi scalfire,
ripagando la vita con la stessa crudeltà che questa aveva esercitato su di lui.
In fondo, non era così cattivo.
No?
In quel momento venne distratta dallo squillo del cellulare.
«Pronto?» rispose controllando l’ora sull’orologio, cercando di capire se aveva fatto troppo tardi.
«Sì Rin, sono a casa tra cinque minuti, tranquilla.» 
Il tono che aveva usato sua sorella non le era piaciuto per niente.
Doveva sbrigarsi, indubbiamente.

*
 
Varcò la soglia del portone d’ingresso, rallentando i propri passi non appena vide la tensione che aleggiava nella casa, in quel momento rischiarata solo da una debole lampada.
Distinse suo padre, in piedi accanto ad un pilastro in mezzo al salotto, con le braccia incrociate al petto ed un’espressione palesemente infastidita sul volto;
qualche metro più in là vi era invece Sango, che dava le spalle all’uomo mentre si teneva un braccio all’altezza del gomito con fare inquieto;
in mezzo a loro vi erano due preoccupate Ayame e Rin che fissavano sconsolate il pavimento.
Fece qualche passo incerto verso di loro, con l’intento di capire cosa stava accadendo, ma la sua attenzione venne catturata da un particolare a cui non aveva badato prima.
La porta della camera di Sota era lasciata semiaperta, quando veniva sempre lasciata chiusa a chiave.
Decisamente, qualcosa non andava.
«E’ così tardi, eppure nessuno ha ancora cenato.» constatò a voce alta, fissando la tavola apparecchiata dove evidentemente nessuno aveva toccato cibo.
«Kagome, dì al papà di mangiare qualcosa.» le disse Sango, senza voltarsi.
«Puoi dirle che non ho fame.» rispose l’uomo, con voce secca.
«Digli che non deve scaricare la propria rabbia sul cibo.»
«E tu dille che non ho intenzione di starla a sentire finchè lei non ascolterà me.»
Kagome passò lo sguardo preoccupato tra entrambi, non capendo.
«Perchè mi stai dicendo questo? Sono forse un peso per te?» gli chiese Sango, voltandosi finalemente verso la schiena del padre, stringendo entrambe le mani in pugni stretti.
«Cosa? Cosa hai detto?» il padre si girò a sua volta, rivolgendole quelle parole di accusa con una malcelata ira negli occhi.
«Ti rendi conto di quel che stai dicendo?» 
«Ho solo detto la verità.» ribattè, distogliendo lo sguardo da quello infiammato dell'altro.
«Lascia che ti avverta: non osare mai più dire una cosa del genere.» disse, puntandole un dito contro e assottigliando gli occhi. 
La ragazza poggiò una mano sul muro accanto a lei, voltandosi leggermente di lato.
«E che cosa dovrei fare? Io ... non posso accettare.» sussurrò, in quella che sembrava una supplica.
Fu allora che il Signor Higurashi si decise finalmente ad avvicinarsi a lei.
«Hai sempre avuto me, tua zia, le tue sorelle accanto a te e non hai bisogno di nient’altro, mi hai detto.» cominciò, questa volta il tono dolce e remissivo. Dopotutto, lui non era mai stato il tipo da urlare contro le sue stesse figlie se non strettamente necessario.
«Ma per quanto tempo?» 
Kagome raggiunse le altre due ragazze, ponendo loro una tacita domanda con gli occhi, alla quale loro non poterono rispondere.
«Adesso io sono qui, vivo, ma cosa farai dopo di me? Anche queste tue sorelle, un giorno, si sposeranno e lasceranno questa casa. Chi è che sarà al tuo fianco, allora? Nessuno, perchè rimarresti completamente da sola.» nelle sue parole non c’era cattiveria, non vi era intento di ferire, eppure gli occhi di Sango divennero lucidi. Lui le mise una mano sulla spalla, girandola lentamente verso di sè, per poterla guardare in volto.
«I ricordi sono molto dolorosi quando si rimane da soli ... e io ne so qualcosa.»
“Mamma...” riuscì solo a pensare Kagome, ricordando tristemente il giorno del suo funerale. 
Dopotutto, lui era colui che probabilmente aveva sofferto più di tutti per la sua perdita.
«Vorrei solo che, ora che hai la possibilità di ridare una svolta alla tua vita, non la sprecassi in questo modo, ma ovviamente ... sei libera di fare la tua scelta.» concluse sospirando pesantemente e lasciando la presa sulle sue spalle, per poi andarsene.
Sango rimase lì, immobile.
Che cosa doveva fare?
Come doveva comportarsi?

*
 
Quando il sole si levò su Casa Higurashi, la famiglia era ormai già sveglia: c’era chi doveva andare a lavoro, chi doveva recarsi a scuola, e chi doveva preparare la colazione per tutti.
Peccato che, quando Sango la servì, nè Ayame nè Rin sembravano aver intenzione di toccar cibo.
«Ehi, perchè nessuna di voi due sta mangiando?» chiese, versando del succo in un bicchiere.
«Finché non cerchi di prendere almeno una volta in considerazione le parole di papà, non abbiamo la benché minima intenzione di farlo.» le rispose la rossa, sbuffando.
«Ragazze, per favore ..» cercò di persuaderle dai loro intenti, invano.
«Ehi.» la richiamò Kagome, presentandosi alle sue spalle, con un dolce sorriso.
«Hai tutta la vita davanti, se il destino ti sta dando un’altra possibilita di viverla, peraltro con una persona che sembra amarti davvero, cosa c’è di male nel fare almeno un tentativo?» disse, mettendole una mano sulla spalla.
Sango si morse il labbro inferiore, sentendosi in trappola.
Loro non la stavano obbligando a niente, lo sapeva bene, volevano semplicemente che ci riflettesse un po’ prima di rinnegare quella luce che desiderava illuminare prepotentemente la sua vita, eppure quella situazione le pareva opprimente.
Lei non voleva accettare, per svariati motivi che la mettevano a disagio.
O forse, semplicemente, non si sentiva pronta per compiere un gesto così avventato.
«Hmm, ci penserò.» mugugnò infine, sospirando.
Le ragazze sorissero estasiate e Kagome l’abbracciò di scatto, ridendo sollevata. 
«Però adesso mangiate!» disse, riutilizzando per un attimo il suo solito tono autoritario. 
«Così ti vogliamo!» rise la corvina, sedendosi a tavola.

*
 
Quando la casa rimase vuota, Sango si concesse un momento di riposo. Nemmeno suo padre era a casa, dato che era andato a fare la sua solita passeggiata mattutina.
Si sedetta sulla poltrona, in un vano tentativo di sprofondarci dentro, forse per non uscirne mai più. 
Che gran confusione.
Aveva assicurato alle sue sorelle che ci avrebbe riflettuto, certo, ma era più facile a dirsi che a farsi. 
Era stata colta del tutto impreparata da quella proposta.
Non credeva che  qualcuno le avrebbe mai chiesto la mano, e nè lei aveva mai pensato di rifarsi una vita. Lei era la vedova di Sota, la nuora del Signor Higurashi, apparteneva a quella famiglia e a quella casa. Come potevano adesso, di punto in bianco, chiederle di prendere una decisione? 
Se poi, il ragazzo in questione era Miroku, non sapeva proprio che pensare.
Lui era ... pazzo.
Non riusciva a definire in altro modo uno che si era innamorato di una come lei, senza che gli avesse rivolto nemmeno una parola decente negli ultimi tempi, peraltro. 
Eppure, nonostante non volesse ammetterlo, in un certo senso, il fatto che lui si fosse spinto a tanto, le aveva fatto piacere, perchè significava che non si stava semplicemente prendendo gioco di lei.
Forse ... avevano ragione loro, forse doveva concedergli una possibilità, forse, non era così male come temeva, forse ...
Ma ... Sota ... lui ... lei lo amava ancora, nonostante tutto. 
Come poteva lontanamente pensare ad un ipotetico futuro accanto ad un altro uomo, quando colui che amava non era più accanto a lei? Come poteva Miroku prendere il posto di Sota nella sua vita? Come poteva lei permettergli di prendere il posto di Sota nella sua vita? 
La risposta fu semplice e secca.
No, non ci sarebbe mai riuscita.
Era immersa in questi pensieri quando lo squillare impazzito del telefono la destò.
«Pronto?»
«Pronto? Sono il Dottor Matsumoto, volevo dirvi che sono arrivati i risultati degli esami del Signor Higurashi, lei è la figlia?» rispose una voce gracchiante, dall’altro lato della cornetta.
«Sì, mi dica, che succede?» chiese, improvvisamente tesa e preoccupata.
«Se per lei non è un problema vorrei che si recasse in clinica il più presto possibile.» 
«Certo, arrivo subito.» chiuse la conversazione, non senza una certa ansia a schiacciarle il petto.

*
InuYasha emise un ringhio basso e irritato.
Se c’era un momento in cui  decapitare amorevolmente qualcuno, per lui, indubbiamente, sarebbe stato quello.
«Miroku,» brontolò, digrignando i denti esasperato «non hai nient’altro di meglio da fare?» gli scoccò una delle sue peggiori occhiatacce, continuando a battere le dita sulla tastiera del computer, producendo dei suoni secchi, brevi e consecutivi.
«Effettivamente, no» rispose l’altro, pensieroso, mentre si massaggiava il mento.
Era sdraiato placcidamente sul letto dell’amico e continuava a muoversi disfando le lenzuola.
InuYasha si trattenne dal prenderlo a schiaffi. 
Perchè provava tutta questa rabbia nei suoi confronti, poi?
«Oh, quanto è bella...» esordì nuovamente il ragazzo moro, trasognante.
Ecco, perchè.
Chiuse lo schermo con un colpo secco, alzando gli occhi al cielo.
«Ma perchè sei sempre così nervoso, eh?» chiese Miroku, grattandosi un orecchio con noncuranza.
«Non sarà che ti sei innamorato vero?» aggiunse, assottigliando lo sguardo per assumere un’espressione vagamente maliziosa.
L’altro chiuse gli occhi, contando fino a dieci e prendendo un profondo respiro. 
«Che cosa diavolo centra?» sibilò.
«Ultimamente ti comporti in modo strano» rispose «cioè, più stranamente del solito, per intenderci.» ridacchiò poi.
Gli arrivò l’ennesima occhiata di fuoco della giornata.
Quel giorno si sentiva particolarmente irritato da lui, senza un reale motivo. O meglio, senza un reale motivo logico.
Precisamente da quando gli aveva detto chi era la sua presunta futura sposa, o almeno, da chi lui aveva dedotto fosse.
«Chissà se arriverà una fanciulla anche nella tua vita, prima o poi, sarei proprio curioso di vedere chi potrebbe essere.»
«Certo.»
«Oh sì, tu non puoi nemmeno immaginare cosa si prova ad essere innamorati,» riprese, con fare saccente «donare interamente il tuo cuore a qualcuno e riuscire a percepire tutta la tua esistenza in pochi attimi, pochissimi istanti.»
InuYasha lo guardò con la coda dell'occhio.
Che discorsi ... insensati.
Le persone di Osaka erano indubbiamente pazze, e a quanto pare pure il suo amico lo era diventato da quando ci aveva messo piede.
«Tsk.»

*

Sango uscì da quell’edificio così opprimente con un braccio steso lungo il fianco e la mano ad avvolgere un paio di fogli di carta graffettati. 
Sentiva il gelido venticello invernale corroderle le guance, facendole arrossare, e gli occhi pizzicare.
Quando volse lo sguardo alla sua destra, però, vide suo padre camminare nella sua direzione.
«Quindi ... te l’hanno detto.» constatò, accennando ad un sorriso mesto.
«Ma non c’è bisogno che tu ti preoccupi.» tentò di rassicurarla, mettendole una mano sulla spalla. Sango la spostò, fissandolo furiosa.
«Certo, perchè mai dovrei? Dopotutto non sono davvero tua figlia, giusto? Quindi non ho alcun diritto di preoccuparmi della tua salute, immagino.» rispose, tagliente, pentendosene quasi immediatamente.
Come poteva pretendere che facesse finta di nulla dopo quello che aveva appena scoperto?
Lei, dannazione, si era sentita morire, lì dentro.
«Scusami.» sussurrò l’uomo, stringendosi maggiormente nella giacca che indossava. La ragazza sbuffò, incapace di rimanere arrabiata.
«Sposerò Miroku.» dichiarò, decisa, stringendo la presa intorno a quei fogli, mentre il padre la fissava allibito. 
«Ad una condizione.» puntò lo sguardo ametista in quello castano, irremovibile e battagliero.
«Accetterò di sposarlo se e solo se tu mi permetterai di usufruire dei soldi che Sota mi ha lasciato per il trattamento a cui dovrai sottoporti e sarò io stessa a costringerti.» concluse.
Il Signor Higurashi la guardò un attimo, interdetto, per poi scoppiare in una leggera risata.
«Va bene.» acconsentì in seguito, passando un braccio intorno alle spalle della ragazza, che sorrise appena, anche se l’angoscia che provava in petto non sparì del tutto.

*
 
L’uomo non perse tempo e, già il giorno seguente, si recò a Villa No Taisho.
«Siamo lieti di vederla, Signor Higurashi.» disse Mikado, seduto accanto al Signor Taisho, dopo che l’ex-preside si fu accomodato di fronte a loro, mentre un cameriere serviva dei leggeri aperitivi sul piccolo tavolino tra le due poltrone.
«Ci dica, qual buon vento la porta?» incalzò Inu, accavallando le gambe, mentre appoggiava la mandibola sulle nocche della mano.
«Ecco, sono venuto a parlarvi in merito alla proposta che avete avanzato l’altro giorno a mia figlia.» rispose, leggermente a disagio. Quell’ambiente non faceva decisamente per lui, troppo sfarzoso.
«Oh, e cos’ha deciso?» chiese Mikado, scambiando una fugace occhiata complice con l’uomo al suo fianco.
«Vogliamo accettare.» annunciò.
«Ma è splendido!» commentò il moro, compiaciuto.
«Però ... a dire il vero, trattandosi di matrimonio, vorrei mettervi al corrente di alcune informazioni riguardanti Sango.»
Dopo uno sguardo perplesso, Inu annuì, facendogli cenno di proseguire.
«In realtà, Sango non è mia figlia.»
I due rimasero destabilizzati, non aspettandosi una rivelazione simile, ma non apriron bocca per far domande.
«E’ mia nuora, era sposata con mio figlio Sota, morto un anno fa in un incidente aereo, e se voi e Miroku siete ancora disposti a chiedere la sua mano dopo questa scoperta, ve ne sarei grato.» concluse, non sapendo bene come avrebbero reagito.
Il primo a riprendersi fu indubbiamente Mikado, che prese subito la parola.
«Stia tranquillo, credo che non avrà obbiezioni, anche perchè al giorno d’oggi non si fa più molto caso a certe cose, non penso ci siano problemi per noi.» rassicurò, sorridendo serafico.
«Vi ringrazio infinitamente.» rispose, alzandosi «le chiedo solo di dirlo a Miroku il prima possibile, per favore.» 
«Oh, ma certamente.» ribattè Inu, alzandosi a sua volta e porgendogli la mano prima che si congedasse.
Il moro fece altrettanto.
Quando lo ebbero salutato, rimasti soli, l’albino ghignò appena.
«Non sarà difficile rompere il matrimonio ora che la soluzione ci è stata servita su un piatto d’argento.»
«E Miroku verrà a scoprirlo solo quando lo riterremo opportuno, no?» aggiunse Mikado, incrociando le braccia al petto, soddisfatto.

*
«Ehi!»
Kagome si stava dirigendo verso la sua postazione di lavoro dopo aver preso una tazza di caffè fumante alla caffetteria, quando venne richiamata da una voce squillante alle sue spalle che la costrinse a voltarsi.
Si vide arrivare incontro un ragazzo alto, dal fisico allenato, occhi oltremare e capelli mori raccolti in un piccolo codino sotto la nuca.
«Tu sei Kagome, vero? La sorella di Sango?» le chise, aprendosi in un sorriso impacciato.
«Ehm, sì.» rispose, annuendo appena.
«Io sono Miroku, i miei genitori erano venuti a casa vostra per la proposta di matrimonio.»
«Oh.» si illuminò, studiando curiosa la sua figura, mentre ricambiava il suo sorriso, raggiante.
«Posso rubarti due minuti, se non ti dispiace?» chiese, speranzoso.

Intanto InuYasha si trovava dal lato opposto dell’atrio, e arricciò il naso, vagamente irritato, osservando la scena.
Da quando Miroku conosceva Kagome?
Da quando Kagome conosceva Miroku?
Da quando lui si faceva certe domande idiote?
«Signor Taisho, mi servirebbe la sua firma su questi documenti.» vide un impiegato avvicinarsi a lui, porgendogli un file dalla copertina nera e una penna stilografica.
Li prese in mano, lasciando una firma veloce sulla prima pagina, per poi voltare a quella successiva.
«Vorrei sapere tutto sulla mia futura sposa.» sentì provenire dalla voce decisamente squillante di Miroku, che lo costrinse a voltare nuovamente lo sguardo sulle loro figure.
Vide Kagome sorridergli ridacchiare, mentre annuiva entusiasta.
«Certamente, ti dirò tutto quello che vuoi.»
Poi sentì solo l’oggetto che aveva in mano perdere consistenza, seguito da un tonfo sordo.
Il ragazzo davanti a lui lo guardò, incerto, per poi premurarsi di raccogliere il file e consegnarglielo nuovamente.
InuYasha storse la bocca, infastidito, cercando di non farsi distrarre ulteriolmente.
«D’accordo, quindi all’una in punto in biblioteca?»
«Per me va bene, a quell’ora sono in pausa.»
Tracciò la firma con foga, quasi a voler strappare il foglio.
«Signor Taisho, ha firmato sulla brochure...» gli fece presente l’individuo, con voce traballante.
«E allora a cosa diavolo la mettete a fare?» sbottò scrivendo velocemente e sbattendo i documenti nelle mani dell’impiegato con poca grazia, per poi dirigersi nella sua cabina a passi grandi e pesanti.

*

«Mi ha chiamata?» fece la voce curiosa di Kagome, non appena mise piede all’interno dell’ufficio.
InuYasha era seduto sulla sedia in pelle e le dava le spalle. 
«Higurashi.» richiamò la sua attenzione, incrociando entrambe le mani sul ventre.
«Sì?»
«Qualche problema?»
«Ehm ... no, Signor Taisho.» rispose, perplessa.
«Bene.» sentenziò lui, alzandosi di colpo, afferrando un blocchetto e una biro qualsiasi. 
«Dettato.» disse semplicemente, con tono imperioso.
Kagome annuì, tendendo le mani in avanti per afferrare i due oggetti, ma InuYasha la anticipò, lasciandola interdetta.
«Lo scriverò io.» dichiarò, senza ammettere repliche.
La corvina alzò un sopracciglio, scettica.
Perché diamine l’aveva fatta chiamare allora?
«Oh, ehm, e io cosa dovrei fare allora?» domandò, guardandosi intorno.
«Lo scoprirai presto.» fu la risposta evasiva che ricevette, prima che si dilettasse ad aprire il blocchetto e battere la punta della penna sul foglio, quasi stesse cercando ispirazione.
Scarabocchiò una casetta più stilizzata di quella che potrebbe fare un bambino dell’asilo, per poi strappare il foglio, accartocciarlo e buttarlo per terra, a qualche metro di distanza.
«Higurashi, non mi piace avere sporco nel mio ufficio.» 
Kagome lo guardò, enormemente piccata, per poi aprire la bocca per ribattere, ma la richiuse subito dopo, intuendo la poca utilità di quel gesto.
«Certo.» bofonchiò, prima di avanzare ed abbassarsi a raccogliere la pallina di carta stracciata e gettarla nel cestino posto accanto alla scrivania.
InuYasha continuò a scrivere, o meglio, a fingere di scrivere, per un quarto d’ora, sprecando fogli su fogli, buttandoli tutti sul pavimento, intimando alla ragazza di raccoglierli.
Quando si sedette nuovamente al suo posto, Kagome si posizionò accanto a lui, tenendosi un fianco con la mano.
“Ma che problemi ha?” si chiese, esasperata, mentre sbuffava appena.
«Higurashi.» il richiamo arrivo fulmineo, ovviamente «io ho fatto il lavoro e tu sei stanca?» chiese retorico, non prestandole molta attenzione.
«Ah, ehm, no.» biascicò, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Ormai non si arrabbiava neanche più di tanto, essendosi abituata ai suoi sbalzi d’umore.
Più o meno.
InuYasha controllò l’ora.
Le 12:45.
Quindici minuti.
«Puoi andare.» annunciò con un gesto svogliato della mano.
Kagome fece appena un cenno in risposta, per poi dirigersi verso la porta.
«Comunque, dove stai andando?» la fermò, con tono vagamente disinvolto.
«In caffetteria.»
«Già che ci sei, portami un caffè.» liquidò, senza degnarla.
«Certo.» sospirò Kagome, chiudendosi la porta alle spalle, sbuffando.


«Il suo caffè, Signor Taisho.» 
La ragazza appoggiò la tazza fumante sulla scrivania del suo capo, per poi controllare velocemente l’orologio da polso che indossava.
Le 12:54.
Se voleva incontrare Miroku, doveva sbrigarsi, accidenti.
Quel gesto non sfuggì al ragazzo che, scoccando un’occhiata scettica al liquido scuro davanti a lui, grugnì.
«Non mi piace il caffè con la schiuma.» dichiarò, con sufficienza.
«Ma io credevo ch-»
«Dovresti almeno sapere quali sono le esigenze del tuo datore di lavoro, non pensi, Higurashi?» le fece presente, allentandosi un bottone con fare annoiato, nonostante il rimprovero nella sua voce.
Eppure a Kagome parve infastidito.
«Ho capito.» borbottò a denti stretti, riprendendo in mano la tazza e alzando gli occhi al cielo nella speranza di un aiuto divino.
Come avrebbe fatto a sopportarlo ancora?
«Kagome?» 
La ragazza si fermò, interdetta. Poche erano le volte in cui la chiamava col suo nome. Con quella nota piena di ansia poi, non lo aveva mai pronunciato.
«Torna presto.» sentì dire dal ragazzo, mentre ostentava indifferenza.
Alzò un sopracciglio, non ben sapendo come interpretare quelle parole.
Ammonimento?
Minaccia?
Preoccupazione? Per cosa?
Non si soffermò oltre, scrollando le spalle con fare disinteressato.


Tornò dopo nemmeno cinque minuti, cercando di fare il più in fretta possibile e non perchè glielo avesse raccomandato InuYasha, ma perchè l’ora fissata per l’appuntamento con Miroku era già scoccata e lei non era ancora riuscita a liberarsi di quell’essere asfissiante.
Poggiò nuovamente la tazza sul banco, aspettando con impazienza che l’energumeno chiudesse la chiamata in cui era occupato.
Iniziò a battere un dito sopra la superficie liscia della scrivania, con fare annoiato, mentre lanciava l’ennesima occhiata all’orologio.
Era in ritardo, accidenti a lui.
La sua attenzione venne attirata da un Miroku che sbracciava a qualche passo dalla porta, gesticolando, in maniera piuttosto buffa, per ricordarle il loro colloquio.
«Qualcosa non va?»
La voce di InuYasha la fece rizzare.
«Ehm, no, tutto a posto.»
«Sembri impaziente.»
«Sono le 13:05.»
«E allora?»
«Niente.» 
Per sua immensa fortuna, in quel momento il suo futuro cognato decise di marciare all'interno della cabina, sotto lo sguardo di fuoco di InuYasha.
«Amico!» lo salutò, agitando una mano in un modo che trovò assolutamente snervante.
«Puoi mandare Kagome con me? Dovremmo bere un caffè insieme.» chiese con tono disinvolto, e la ragazza lo invidiò. Magari avesse potuto anche lei avere un rapporto meno stressante col suo capo.
InuYasha si allacciò il bottone allentato poco prima, borbottando qualcosa che non riuscì a raggiungere le orecchie dei due di fronte a lui.
«C’è qualche problema se viene con me?»
«Sì.» ribattè, pentendosene subito dopo. Miroku lo guardò stranito, alzando un sopracciglio.
«Voglio dire,» si schiarì la gola «c’è un sacco di lavoro da portare a termine.» 
«Ma è ora di pranzo ... la lascerai almeno mangiare?»
«Certo, ma questo file deve essere completato il prima possibile.»
«Se hai qualche problema se la porto via, dimmelo no?» ripetè il moro, impaziente.
«Tsk, che problema dovrei avere?» sbottò InuYasha, irritato.
«E allora perchè sembri così dispiaciuto?» ammiccò Miroku, incrociando le braccia al petto.
Il ragazzo non seppe se fosse più fastidioso il tartassante interrogatorio dell’amico  - ex amico? -, oppure il fatto che quella ragazzina stava assistendo a tutta la scena.
«Ma cosa vai a blaterale?!»
Kagome ghignò appena. Non accadeva spesso di vederlo in difficoltà. Oh, il futuro marito di Sango le gustava assai.
«Sei strano oggi.» concluse brillantemente, inclinando la testa da un lato, perplesso.
«Senti, andate e lasciami in pace.» sbuffò infine, facendo una smorfia.
«Ma torna subito dopo la pausa.» ordinò, ma Kagome non vi diede peso, annuendo allegra, per poi seguire un Miroku che le sorrise complice.
Oh sì, le sarebbe piaciuto un sacco.

*

«Ecco a te.» disse il ragazzo, poggiando due tazze di caffè sul grande tavolo in legno, uno dei tanti di quella caffetteria, di cui Kagome conservava ancora il simpatico ricordo durante il blackout. 
«Grazie.» rispose, sorridendo e bevendo un sorso della sostanza scura e amarognola.
«Allora,» incalzò Miroku, già incapace di trattenersi oltre «dimmi tutto ciò che è possibile su Sango, cosa le piace, cosa non le piace, il suo colore preferito, gusti culinari, beh, insomma, tutto quello che sai.» concluse con un ampio sorriso.
La corvina ridacchiò notando come gli occhi del moro si illuminassero ogni volta che parlava di lei.
«Stai tranquillo, avrai tutto il tempo per chiederlo alla diretta interessata.» rise, portandosi nuovamente la tazza alla bocca.
«Oh, allora, c’è qualcosa che non so?»
Kagome si bloccò, esitando sulla risposta.
«Beh, se anche ci fosse, e cambiasse qualcosa, allora certe relazioni non durano molto; l’importante è la fiducia e il rispetto reciproco. Se ci sarà qualcosa del genere, allora spetta a Sango scegliere di renderti partecipe a questo lato della sua vita, non credi?» chiese, sorridendo.
«No, non fraintedermi, non mi farei certo influenzare da certe cose.» la rassicurò, scuotendo la testa. Kagome annuì, soddisfatta.
«Posso dirti una cosa?» riprese poi, di nuovo gli occhi che brillavano elettrizzati che fecero, ancora una volta, intenerire la corvina.
«Di schiaffi in vita mia ne ho ricevuti molti - sai, sono sempre stato un po’ birbante sin da piccolo -, da mia mamma, da mio papà, e perchè no, anche da qualche presunta fidanzatina ai tempi delle elementari, ma quello di Sango indubbiamente è stato il migliore! Cavoli se colpisce forte, però.» ridacchiò massaggiandosi la guancia, sotto lo sguardo divertito di Kagome. Era sempre più convinta che quel ragazzo avrebbe trattato sua sorella coi guanti, e l’avrebbe resa felice, questa volta per davvero.
«Tu hai mai dato uno schiaffo a qualcuno?» la canzonò poi, con un sorrisino sghembo dipinto in viso.
Lei sbattè le palpebre, colta di sprovvista.
Oh, certo che lo aveva fatto.
E se lo ricordava molto, molto bene.
Si coprì la bocca con una mano, cercando di non scoppiare a ridere fragorosamente in un luogo come quello.
«In effetti, una volta ...» si bloccò di colpo, mentre deglutiva e il divertimento era svanito.
«Signor Taisho!» gridò a bassa voce, cercando di non farsi sentire dal diretto interessato, non appena lo vide varcare la soglia della caffetteria.
Perchè la perseguitava ovunque, insomma?
Miroku voltò il capo verso le sue spalle, notando anch’esso la presenza del ragazzo.
«Accidenti, per un attimo ho pensato che avessi dato uno schiaffo a lui!» rise, passandosi una mano tra i capelli sbarazzini.
La ragazza accennò ad una risatina nervosa.
«Ehi, InuYasha!» lo richiamò in seguito, agitando un braccio «come mai sei qui?»
L’albino deglutì, preso in contropiede.
«Nel mio ufficio non c’era connessione, perciò ho pensato che potrei lavorare qui.» rispose, agitando più volte il portatile davanti agli occhi oltremare dell’amico, come per giustificare le sue parole.
«Oh, allora vieni, siediti con noi, no?» propose, battendo debolmente la mano sulla superficie del tavolo.
«N-No, state pure comodi, ho un sacco di lavoro da fare.» disse, prima di schiarirsi la gola e superare la loro postazione, sedendosi ad un banco poco distante che gli permetteva di vederli entrambi. 
Alzò lo schermo del computer, lasciando che i suoi occhi vagassero liberamente oltre il bordo, mentre storceva la bocca in una morsa infastidita.
Continuavano a parlare, quei due.
Continuavano a sorridersi, quei due.
Continuavano a ridere, quei due.
Sembrava che si stessero divertendo un mondo, quei due.
Si abbassò, accasciandosi letteralmente su un lato del portatile, sviando lo sguardo.
Arricciò il naso, nuovamente seccato.
“Che diamine mi sta succedendo? Perchè mi sento così ... irritato?”
Eppure credette che quello fosse l’ultimo dei suoi pensieri.
Stava facendo un sacco di cose assurde, quel giorno, a dire il vero.
Cosa diavolo credeva di fare presentandosi in caffetteria così su due piedi senza motivo?
Sbuffò, indispettito per non avere il controllo della situazione.
Era sempre stato una persona fredda e razionale, allora cos’era quel lato impulsivo e istintivo che ultimamente agiva prima che lui potesse prenderne atto?
Rialzò distrattamente lo sguardo verso il tavolo a cui erano seduti i due, ma fu costretto a tirarsi su di scatto quando non li vide.
Si guardò intorno, finchè non si ritrovò l’enorme faccia sorridente di Miroku a pochi centimetri, il che lo fece sobbalzare e indietreggiare repentinamente sulla sedia, trattenendo a stento un grido di terrore.
Un grido di terrore?
Lui?
«Che cosa stai facendo?» scandì bene, alzando un sopracciglio scettico. Dietro di lui Kagome che lo fissava curiosa.
Si girò velocemente verso il computer, iniziando a battere i tasti della tastiera senza prestare particolare attenzione.
«Niente, lavoro.» rispose, scrollando le spalle.
«Col computer spento...?» ironizzò Miroku, guardandolo sempre più stranito.
InuYasha si morse l’interno della guancia, rinnegando a stento l’istinto omicida che gli stava salendo dalle viscere nei confronti del suo sicuramente ex amico, chiudendo con un tonfo sordo la schermata.
«Deve essere finita la batteria.» biascicò, alzandosi e prendendo sotto braccio l’infernale aggeggio.
«Higurashi, è ora di tornare a lavoro.» disse, secco, prima di voltarsi e uscire a grandi passi dalla biblioteca.
Kagome e Miroku si guardarono, interdetti, per poi ridacchiare.
Nessuno dei due poteva negare che InuYasha era un ragazzo assai ambiguo.
«E’ stato un piacere parlare con te, ma adesso devo andare.» salutò lei, sorridendogli. 
Il moro ricambiò, agitando una mano quando la vide allontanarsi.

*

«Davvero?»
Mikado sospirò, passandosi stancamente una mano sugli occhi, dopo aver sentito il figlio porgergli quella domanda per la quinta volta.
«Sì, Miroku, davvero.»
Il volto del ragazzo s‘illuminò, mentre batteva il cinque a Inu, che sorrideva divertito vedendo il suo entusiasmo.
Sango aveva accettato.
Lui stava per sposarsi.
Con Sango.
Stava per sposarsi con Sango.
Con Sango.
Con Sango!
Probabilmente non poteva nemmeno descrivere la felicità che provava, tanto aveva aspettato per quel momento.
«InuYasha!» ululò, non appena scorse l’albino varcare la soglia del portone di Villa No Taisho, stritolandolo in un abbraccio soffocante, al qualche l’altro si ribellò, spintonandolo via con poca grazia, per poi sistemarsi la giacca sbuffando.
«Che cosa vuoi?» chiese, brusco, per poi fare un cenno agli altri due presenti nel salone.
«Sto per sposarmi! Lei ha accettato!» dichiarò euforico, scuotendolo malamente avanti e indietro.
Oh, e lui che aveva pensato che quella giornata non sarebbe potuta essere più storta.
Povero piccolo ingenuo, InuYasha.









 
Angolo Autrice:

Gioite, gioite!
Finalmente questi due capitoli che, per un motivo non ben specificato e definito, odio sono passati!
E l'ispirazione verrà da sè :D Anche perchè qualcuno mi minaccerebbe affinchè non me la faccia venire a forza, ma sorvoliamo u.u"
Allora, innanzitutto, Kohaku.
Sì, lo so, vi chiederete cosa diamine centri, ma più avanti vedrò di approfondire la sua ... ehm .. esistenza? Sì, ecco xD
Ovviamente, se non è mai stato menzionato prima era soprattutto perchè non ho avuto occasione di dedicare spazio a Sango per miei errori di calcoli ^^"
Poi, oh, beh, io l'ho sempre fatto presente che il signor HIgurashi era cagionevole di salute, quindi che potreste mai volere da me, no? U.U"
Inu e Mikado invece sono simpatici come sempre :3
E InuYasha, quel babbeo, non so voi, ma io mi sono divertita molto a scrivere su di lui xD
Devo dire che no, non mi sento soddisfatta di come è uscito il capitolo, ben lontano dai miei piani iniziali, ma pazienza, o la va o la spacca xD
Grazie a chi ha letto, a chi a inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e a chi, magari, vorrà lasciarmi una recensione e a chi lo ha fatto fino ad adesso <3
Se c'è qualcosa di poco chiaro fatemelo pure notare ^^"
Alla prossima :)

Lullaby 





































 
  
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