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Autore: Halley Silver Comet    25/01/2015    8 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 9



- Capitolo Nono -
Vento di Turbamenti




A
pprofittando del silenzio e della solitudine che regnavano a Villa dei Salici, quella mattina di metà gennaio Beatrice tirò fuori dall’armadio il regalo che la signora Sofia le aveva fatto per Natale: un elegante abito blu notte, rimasto invenduto perché la capricciosa signora che l’aveva commissionato non l’aveva più voluto. Lo mise sulla sedia e si mise a studiarlo con occhio critico, pensando a come potesse personalizzarlo: certo, non aveva uno stile propriamente giovanile, ma con l’aiuto di un po’ di fantasia e qualche suggerimento preso dalle riviste di moda, che le aveva prestato la stessa sarta, sarebbe riuscita a renderlo sobrio e, allo stesso tempo, adatto ad una ragazza.
Non c’era nessuno in casa e, una volta tanto, la fanciulla aveva l’occasione di dedicarsi un po’ a se stessa; per lei, il 1987 era davvero iniziato sotto una buona stella. Magari Saturno aveva deciso di abbandonare l’ostile contrapposizione a Marte, oppure i suoi parenti erano talmente presi dalle proprie faccende che non avevano il tempo di divertirsi a tormentarla. Il lavoro alla merceria, infatti, le assicurava parecchie ore alla settimana da trascorrere fuori casa, una fonte di guadagno, anche se doveva cederne la maggior parte alla zia, e la possibilità di scambiare qualche parola con Marcello, quando lui riusciva a passare di lì per salutarla.
Il giovane si era fatto ancor più premuroso nei suoi confronti e andava a trovarla molto più spesso, anche se non potevano intrattenersi a parlare per più di una manciata di minuti alla volta.
Beatrice lisciò una piega dell’abito, sorridendo. Più di una volta, mentre faceva i compiti o riassettava la casa, era rimasta a fissare il vuoto con un’espressione trasognata, pensando al bacio che le aveva dato il ragazzo davanti alla Fontana di Trevi.
Quello sì che era stato un bacio, altro che le schifosissime avances di Navarra!
Non poteva certo dire di avere una relazione stabile con lui, ma il solo fatto che la cercasse spontaneamente le faceva ben sperare che, da parte sua, ci fosse del sincero interesse verso di lei.
Marcello, di certo, non era tipo da grandi dichiarazioni, ma Beatrice aveva avuto modo di vedere quanto fosse serio e ciò sembrava suggerire che non la stava prendendo in giro.
Un rumore di portone sbattuto con violenza, proveniente dal piano di sotto, la fece sussultare; piegò alla bell’e meglio il vestito e lo seppellì nei meandri dell’armadio, dopo di che si affacciò alla porta della sua stanza per vedere chi fosse.
«Ho solo vecchie pezze di stoffa e nei negozi non c’è niente di decente!»
La fanciulla roteò gli occhi, riconoscendo immediatamente la voce stridula di Anna Laura.
«Sei un pelandrone, abbiamo ancora i negozi di mezza città da andare a spulciare!»
«
Sono stanco!» piagnucolò Guido. «T’ho promesso che s’anderà nuovamente nel pomeriggio!»
Sì udì rumore di tacchi e poi di nuovo il tono sgraziato della donna:

«
Se Marcello non mi degnerà di uno sguardo, sarà tutta colpa tua!»
«Quel pallone gonfiato del Tornatore non ti guarderà lo stesso.
L’ha troppe passere1 che gl’ stanno attorno
Beatrice socchiuse gli occhi nel sentire il fratello che parlava così del giovane, tuttavia, prima che potesse formulare qualsiasi altro pensiero, le giunse distintamente all’orecchio l’eco di uno schiaffo. Rabbrividì, immaginando che la cugina avesse appena colpito la guancia di Guido con una mano piena di anelli, anche se non riuscì fino in fondo a provare pietà per lui.
«Ahia!
» gemette il malcapitato.
«Non ti permettere mai più di dirmi una cosa del genere! Provaci ancora e tu e tua sorella finirete sotto un ponte!
» sbraitò Anna Laura. Si udì nuovamente il rumore dei tacchi che battevano sul pavimento, ma questa volta esso si affievolì dopo poco, segno che la donna doveva aver cambiato stanza.
La casa ripiombò nel silenzio.
Beatrice tornò di soppiatto in camera sua, chiudendo la porta senza produrre il più piccolo rumore; la fretta che aveva sua cugina era talmente ovvia che avrebbe potuto scommettere che i suoi parenti sarebbero usciti nuovamente molto presto.
Al ricordo della conversazione udita, un sorriso sottile si affacciò sul suo volto: sua cugina non aveva ancora un abito, suo fratello si era preso finalmente un bel ceffone e, con molta probabilità, sarebbe rimasta nuovamente sola nel giro di pochi minuti.
Forse quella era davvero la sua giornata fortunata.
***

«
Spostatelo qui!» gridò Vittoria, indicando una rientranza della parete ai due operai che si stavano occupando di sistemare il tavolo destinato al buffet.
In quel frangente, Marcello entrò nel salone e lo riconobbe a stento: c’erano piedistalli ovunque, piattaforme e panneggi di tutti i colori che avevano trasformato l’ambiente in un’autentica sala delle esposizioni. Nessuno dei mobili che l’arredavano di solito era rimasto al suo posto e sicuramente erano stati spostati in qualche altra stanza.
«
In quale bolgia mi trovo?» esordì il giovane, lanciando all’amica uno sguardo bieco.
«Alla buon’ora, Marcellino!» lo salutò, facendo finta di essere arrabbiata. «È un mese che fai il latitante, capisco che sei impegnato con la tua rossa fiorentina, però...»
«Sono venuto sempre, quando ho potuto» la interruppe lui, schivando un operaio che trasportava un enorme specchio rotondo. «Credo che tu ce l’abbia con me più per il fatto che non ti ho raccontato nel dettaglio gli affari miei, piuttosto».
Indispettita da quell’affermazione, la ragazza incrociò le braccia sul petto e mise
il broncio.
«Colpita e affondata!
» rise Gerardo, avvicinandosi a loro con in mano un bicchiere di succo, che protese verso di lei.
«Grazie» fece Vittoria, prendendolo. «Tu sì che sei gentile, mica come lui!»
Il giovane fece spallucce, ma sorrise, quindi salutò il nuovo arrivato.
«Buondì, Marcello».
Il biondo ricambiò il saluto con un cenno del capo, pensando
che, nell’animo del suo amico, la voglia di stare vicino alla donna che amava doveva essere più forte dell’astio che provava per Bartolomeo.
«Almeno mi puoi dire se state insieme?» continuò lei il suo interrogatorio, imperterrita, forse sperando di carpirgli qualche altra informazione.
A quel punto, consapevole che più avrebbe tergiversato, meno Vittoria non l
avrebbe fatto respirare, il giovane decise di dirle qualcosa per zittirla.
«Non ufficialmente» affermò, evasivo, aggiustandosi la sciarpa grigia di cachemire. In fondo, ancora non aveva trovato il coraggio di chiedere a Beatrice di diventare la sua fidanzata, essendo così tormentato dal problema della differenza di età; daltra parte, non gli piaceva nemmeno l’idea di continuare a frequentarla facendo finta che non fosse successo niente tra di loro, soprattutto, non dopo il bacio appassionato che si erano scambiati.
«E me lo dici così?» fece lei, offesa. «Finalmente hai una ragazza e me lo dici così?»
«Scusa se non ho chiamato la banda cittadina, ma ho pensato che in questa baraonda anche una sola persona in più sarebbe risultata di troppo» commentò Marcello, riprendendosi e ritrovando il suo sarcasmo, mentre spalancava le braccia per indicare la confusione che regnava sovrana nella stanza.
«Quanto sei spiritoso, Marcellino» gli disse la ragazza, mostrandogli la lingua.
«Vitto’, sono cose personali» notò timidamente Gerardo, raccogliendo un drappo di stoffa bianca e ripiegandolo accuratamente.
«Be’, che c’è di male ad ammettere che ti piace una persona?
»
«
Niente, ma...»
«Io penso che sia sbagliato quando non lo si ammette nemmeno a se stessi» considerò Marcello, squadrandoli entrambi con il sopracciglio alzato. I due ragazzi lo fissarono interdetti e poi si cercarono inconsapevolmente con lo sguardo, per poi diventare entrambi scarlatti.
«Porto via il bicchiere» annunciò Vittoria con voce quasi stridula, allontanandosi come se fosse stata inseguita da unorda di barbari.
«Quanti teli da sistemare!» esclamò Gerardo, facendo il vago ed evitando di guadare laltro negli occhi.
«Vero?» domandò l’altro, inarcando un sopracciglio, non facendosi scappare l’occasione di manifestare il suo disappunto.
Il ragazzo smise di trafficare con i panneggi e si abbandonò ad un sospiro affranto, forse consapevole che non aveva più alcun senso mentire e sviare il discorso. Alzò il viso verso il suo amico e ammise: «Sento che sto per impazzire. Non ce la faccio più a saperla di un altro uomo».
«Babbo Natale ti ha portato un po’ di giudizio, per caso?
» osservò il biondo, ironico.
«Marcello, non prendermi in giro! Sai bene quanto mi corroda il fegato sapere che Vittoria sia fidanzata con un altro» fece Gerardo, querulo, gettando i drappeggi a terra, con un moto di stizza.
«Gera’, dacci un taglio con queste lamentele» decretò Marcello, secco, «e passa ai fatti, piuttosto».
«Parli bene, tu. Beatrice non è certo impegnata... Tu come ti sentiresti a corteggiare una ragazza fidanzata?»
A quell’affermazione, il giovane lo guardò con un cipiglio talmente severo che l’amico indietreggiò di qualche passo.
«Non sarà impegnata, ma a
bbiamo sei anni e mezzo di differenza» ribatté il biondo, con tono inquietantemente calmo. «Come ti sentiresti tu a corteggiare una ragazzina, invece? Senza contare tutta la situazione con la sua famiglia e con quel depravato di Navarra».
«Scusami, ti prego, io...» iniziò Gerardo, incerto su come proseguire. Tentennò qualche secondo, come se volesse riprendere il discorso, ma alla fine abbassò lo sguardo, arrossendo.
«Lascia stare, non importa» fece Marcello, sospirando. «In fondo, non posso costringerti a fare quello che, secondo me, dovresti».
«Già
».
Un improvviso tramestio proveniente dal corridoio attirò la loro attenzione, accantonando, per il momento, il discorso che avevano intrapreso. Alcune voci, infatti, si stavano aggiungendo ai rumori di passi che, via via, si stavano facendo sempre più chiari e distinti.
«Chi è?» domandò Gerardo, sporgendosi in direzione della porta.
«Non saprei» gli rispose l’amico, voltandosi a sua volta verso l’ingresso della sala, il quale venne valicato un secondo dopo da tre uomini vestiti di nero: uno di mezza età e due ragazzi rasati, con quel poco di pelle visibile coperta da strani tatuaggi scuri. I nuovi arrivati si guardarono intorno finché non individuarono, in quel gran caos, i due giovani.
«Buongiorno, stiamo cercando la signorina Vittoria Farnese» disse il più anziano.
«Voi chi siete?» domandò Gerardo, accigliato.
«Gli addetti al catering» ciancicò uno dei giovani, lasciando intravedere la gomma da masticare che aveva in bocca.
«Catering?» ripeté, come se gli stessero rifilando una scusa assurda per giustificare il fatto che si fossero introdotti in casa. Quindi, senza aggiungere altro, si avvicinò a quegli individui e cominciò a parlare con loro, gesticolando. Infine, indicò loro la cucina e tornò dal suo amico.
Dal canto suo, Marcello osservò i tre mentre si muovevano con difficoltà nella stanza messa a soqquadro, notando che sembravano davvero individui di dubbia morale. Non aveva i pregiudizi verso i tatuati, ma quelli avevano proprio una faccia poco raccomandabile e sembravano appena usciti da una bisca.
Quello che pensò fosse il capo, inoltre, aveva una sottile cicatrice sulla guancia, particolare che, inconsciamente, lo mise in allarme, giacché aveva l’angosciante sensazione di averlo già visto in circostanze spiacevoli.
«Non ti sembra di averlo già visto da qualche parte?» domandò, non appena l’altro fu a portata d’orecchio.
«Sì, sembra anche a me che abbia un’aria familiare» rispose lui, lanciando un’occhiata guardinga ai tre, poco prima che sparissero oltre la porta secondaria del salotto.
Questo confermò al biondo che neanche Gerardo doveva apprezzare particolarmente quei brutti ceffi e pertanto si sentì inquieto a saperli con Vittoria. D’accordo, c’erano anche i genitori della ragazza con lei (si erano spostati in cucina per imballare alcuni oggetti preziosi da togliere di mezzo), ma non riusciva davvero ad essere del tutto tranquillo. E stando a come batteva nervosamente il piede in terra il suo amico, doveva pensarla allo stesso modo.
Nessuno dei due fiatò finché, dopo quelli che a Marcello parvero anni, i tre uomini più Vittoria riemersero attraverso la porta più piccola. La ragazza annuì energicamente e li salutò, accompagnandoli nell’ingresso.
Finalmente, rassicurati dal fatto che avessero avuto la prova che quella stesse bene, entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
«Vittoria, a quale locale hai chiesto di fare il servizio catering?» domandò Gerardo, quando la giovane fu tornata da loro.
«A nessuno. Tre giorni fa è venuto Ascanio Colonna e si è offerto di provvedere al rinfresco» rispose lei, candidamente, alzando le spalle. Poi, spostò un sacchetto, contenente viti e chiodi, dalla poltrona e ci si accomodò, stremata.
«Colonna? E perché?» insistette Marcello, avvertendo che c’era qualcosa che non quadrava. Da quando quel lestofante si adoperava per gli altri?
«Ha parlato con Bartolomeo... L’unica cosa che so è che deve fare un annuncio pubblico e voleva sfruttare l’occasione di questa mostra» spiegò l’amica. «Si sono trovati d’accordo, credo che lo considerino entrambi un ottimo modo per farsi pubblicità».
«Un annuncio? Di che genere?»
«Non ne ho la più pallida idea. Vi ho detto tutto quello che so».
Allora, i due amici si scambiarono una profonda occhiata e socchiusero entrambi gli occhi, chiedendosi cosa stesse macchinando Colonna, ma, soprattutto, perché avesse scelto proprio l’evento a casa di Vittoria per fare una delle sue dichiarazioni alla stampa. I giornalisti delle rubriche “arte e cultura” non sarebbero mancati e, forse, aveva sparso la voce anche fra quelli di gossip e simili. Purtroppo, l’unico modo per sapere esattamente cosa stava bollendo in pentola era attendere il dieci febbraio.
***

Quando Marcello arrivò alla villa, il pomeriggio della fantomatica mostra, già una torma di camerieri stava facendo su e giù dalla cucina, portando sul tavolo del buffet un’enorme varietà di delizie e leccornie.
Trovò la ragazza che si muoveva nervosa per la sala, dando disposizioni a tutti, affinché ogni cosa fosse al suo posto e la sala pronta per ricevere gli ospiti.
«
Se continui ad essere così agitata, non arriverai nemmeno a metà serata» notò il biondo, avvicinandosi a lei.
«E come faccio a non esserlo?» gli domandò, torcendosi nervosamente le mani. Indossava un abito color vinaccia con le scarpe abbinate ed aveva raccolto i capelli sulla nuca, lasciando, però, che qualche ciocca le ricadesse sul collo.
«
Potresti almeno provarci, sai?» le fece notare lui, con i suoi soliti modi spartani.
La giovane s’irritò e fece, ironica: «Come sempre mi sei di grande aiuto!»
Marcello fece spallucce, non comprendendo davvero il perché di tanta ansia. In fondo, le attrazioni principali della mostra erano le sculture del Davoli, ma il problema di Vittoria era che prendeva tutto come un fatto personale.
«
Dov’è Gerardo?» domandò lei, guardandosi intorno con aria smarrita.
«
Ha detto che sarebbe venuto intorno alle sei e mezza, dovrebbe essere qui a momenti».
«Spero che non mi dia buca...» sussurrò, affranta.
«Non temere, quando dà la sua parola la mantiene sempre» la rassicurò il biondo, certo di poter mettere la mano sul fuoco riguardo larrivo del suo amico. Nonostante i suoi dissapori con il carciofone, non avrebbe mai lasciato la ragazza sola in un simile momento.
Infatti, nel giro di due minuti, il giovane fece il suo ingresso nel salone addobbato per la mostra, dando ragione alle supposizioni di Marcello.
«
Buonasera, Vittoria. Come stai?»
La giovane si girò di scatto, sciogliendosi in un sorriso radioso.

«
Gerardo, sei venuto!» esclamò, correndogli incontro e buttandogli le braccia al collo.
Sorpreso da tale slancio, il ragazzo ricambiò goffamente l’abbraccio.
«Non... non sarei mancato per niente al mondo» esalò, visibilmente stordito, non aspettandosi un’accoglienza così calorosa.
Marcello rimase a guardarli, scuotendo la testa: se solo avessero trovato il coraggio di essere più onesti l’uno con l’altro e, prima di tutto, con se stessi, avrebbero trovato anche la felicità.
In quel momento, però, due ragazze si avvicinarono a Vittoria, costringendola a staccarsi da Gerardo, per chiederle dove fossero le liste con gli invitati. Il giovane si fece da parte, ancora abbastanza stordito, lasciando che la padrona di casa, adesso visibilmente più tranquilla, continuasse a dare direttive a tutti i collaboratori.
«
Se non fossi arrivato tu, avrebbe dato di matto» confidò il biondo all’amico.
«Cosa?» domandò lui, trasecolato, con lo sguardo fisso sulla donna.
«Lascia stare
» bofonchiò Marcello, pensando che quei due erano davvero un caso senza alcuna speranza.
In quel mentre, quattro uomini forzuti entrarono, portando a spalla una specie di grande pacco avvolto da numerosi teli e il biondo pensò che dovesse trattarsi del pezzo forte della serata, ovvero la statua raffigurante la musa ispiratrice del Davoli. La conferma gli fu data dall’arrivo dello scultore che si avventò sugli operai come una furia, urlando loro contro ogni genere di raccomandazioni e di improperi, temendo che potessero farla cadere.
Fu infine depositata su un grande piedistallo, posto al centro della sala, collegato ad una specie di frigorifero portatile per mantenere bassa la temperatura e far conservare il ghiaccio.

Dopo tutto il caos che aveva procurato quel carciofone, il biondo si augurò che quell’opera valesse davvero tutta la fatica che aveva investito Vittoria nell’organizzazione dell’evento, anche se gli era bastata una rapida occhiata alle altre sculture per rendersi conto che due pezzi di legno e qualche chiodo non potevano essere propriamente definiti arte.
Il Ready-made2, a suo tempo, aveva avuto un gran successo, ma il dubbio estro del Davoli non avrebbe interessato nemmeno un rigattiere.

Finalmente, intorno alle diciannove e trenta gli
invitati cominciarono ad arrivare, popolando il salone e riempiendo l’aria con il loro gran vociare. Marcello riconobbe numerose personalità illustri, tra cui molte autorità del comune e perfino qualche deputato.
Ogni tanto l’amica si avvicinava sia a lui che a Gerardo per presentare loro qualche ospite di riguardo, prevalentemente critici d’arte abbastanza spocchiosi, come ebbero modo di appurare dopo aver fatto la conoscenza del signor Di Renzo, il quale si profuse in un complesso e quanto mai insensato elogio dell’operato di Davoli. E, ancor di più dopo questa conversazione, Marcello dubitò della sua effettiva competenza in materia. Non si sarebbe affatto meravigliato se avesse stentato riconoscere la differenza tra un Canova e un gessetto per lavagne.

Il biondo si era appena voltato verso il suo amico per dire qualcosa a proposito di quel pomposo omuncolo, quando lo pizzicò completamente perso nell’osservare Vittoria. A quanto sembrava, quella sera non riusciva a staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
«
Stasera è proprio incantevole» commentò lui, rispondendo alla tacita domanda che Marcello gli aveva fatto alzando un sopracciglio.
«
Non mi hai mai detto da quanto tempo sei innamorato di lei» gli fece, scrutandolo attentamente.
«Fin da quando eravamo bambini e lei veniva a giocare al parco con i fiori nelle trecce
» sospirò Gerardo, ammirandola in un modo così dolce che l’altro si sentì come se stesse invadendo la sua sfera privata.
Piuttosto, fu qualcun altro a rompere quella perfetta bolla di sapone.

«
Marini, non credevo potessi essere davvero così patetico, la tua stupidità non si smentisce mai!» esclamò Ascanio Colonna, sogghignando malignamente.
«Hai deciso di lasciare il tuo porcile per venire ad infestare questa casa, per caso?» fece Marcello, piantandosi davanti all’intruso e scrutandolo con un’occhiata velenosa.
Tuttavia, Ascanio continuò a ridere e passò oltre, ignorandolo e avvicinandosi a Gerardo.
«Quella è troppo gnocca per te, cercati una racchia del tuo livello
» gli sussurrò con cattiveria, facendolo deglutire. Un paio di secondi più tardi si distaccò, molto lentamente, sorridendogli sardonico, e lanciando al biondo un’occhiata di sufficienza.
Dopo di che abbandonò i due amici, lasciandone uno schiumante dalla rabbia e l’altro depresso fino al midollo.

«Che gran figlio de mignotta» sbottò Marcello, sicuro che nel suo organismo, in quel momento, stesse circolando più bile che sangue.
Tuttavia, Gerardo negò con il capo, malinconico.
«Non c’è bisogno che ti alteri: ha detto la verità. Le ragazze da dieci e lode come Vittoria non si mettono con quelli da sei scarso come me
».
«Non mi dirai che hai dato ascolto alle parole di quel cerebroleso!» si infervorò l’altro, ottenendo in cambio solo una sterile risposta.
«Io ho bisogno di una boccata d’aria. Ci vediamo tra poco».
Il giovane osservò l’amico dirigersi verso il balcone, aprire l’anta e sparire al di là della soglia. La collera che aveva provato fino in quel momento contro Colonna, di fronte all’ostinazione di Gerardo a non credere che Vittoria potesse mai provare qualcosa per lui, sfumò, sostituita da un forte senso di tristezza.
Lanciò, allora, un’occhiata in direzione della statua coperta, scorgendo Bartolomeo che parlottava fitto fitto con la sua assistente. Era certo che non avesse mai rivolto la parola alla padrona di casa da quando era iniziato l’evento, nonostante fosse stato solo merito della ragazza, se aveva trovato qualcuno disposto ad ospitare lui e le sue opinabili opere.
Si guardò intorno, disgustato: non era mai stato un estimatore dell’arte moderna, ma quelle rozze sculture di legno, senza forma né senso, non potevano essere considerate espressione di un bel niente. Altro che disagio della società!
Il primo disagiato era proprio lo stesso Davoli. Eppure, Vittoria era la sua fidanzata, non di Gerardo.
Marcello afferrò un bicchiere di prosecco dal vassoio di un cameriere in movimento e stava per mandarlo giù tutto d’un fiato quando, anche se si trovava in mezzo ad un chiacchiericcio insistente, sentì qualcuno pronunciare a gran voce il suo nome.
Si girò appena in tempo per scorgere Anna Laura che parlava con una ragazza che lui conosceva solo di vista, alla quale stava chiedendo informazioni proprio sul suo conto, volendo forse sapere se era già arrivato.
Posò il bicchiere sul vassoio di un altro cameriere e si nascose dietro uno dei pannelli che facevano da sfondo a due manici di scopa sfregiati che avrebbero dovuto rappresentare, a detta del titolo, il malessere della gioventù moderna.
Il giovane sapeva che da quella postazione poteva vedere perfettamente la donna, anche se lei non poteva fare altrimenti; rimase, perciò, appiattito contro quella finta parete di compensato, in attesa che ci fosse abbastanza folla tra lui e quell’arpia per poter sgattaiolare indisturbato, anche se sembrava che le chiacchiere di quelle due non avrebbero mai avuto fine.
Per fortuna arrivò Guido a distrarla, facendola voltare dall’altra parte.
Sebbene quello fosse il momento migliore per darsela a gambe, il biondo sapeva che se c’erano Tolomei e sua cugina in giro, Beatrice non doveva essere molto lontana. Infatti non tardò a scorgerla tra la moltitudine di persone, distinguendola grazie alla cascata di capelli rossi che le scendevano lungo le spalle,
avvolta in un abito blu con la base della gonna cosparsa di piccolissime pietruzze luccicanti.
Era davvero bella, ma subito la voce della sua coscienze si animò, perentoria, intimandogli di smetterla di contemplarla; così, si ritirò, appoggiandosi con le spalle contro il pannello: sapeva di averle promesso di vederla alla mostra, ma in quel momento non era più tanto convinto di volerla incontrare.
Con quel bacio, poi, aveva superato già una volta il confine di innocente amicizia e sapeva che quella parte istintiva di lui, la stessa che metteva così spesso a tacere, l’avrebbe rifatto senza esitare, se gli si fosse presentata l’occasione.
Fu allora che decise che si sarebbe allontanato in direzione opposta a quella della fanciulla, evitando di incrociare i loro sguardi. Forse si stava comportando da codardo, oppure, semplicemente, non voleva soffrire, vedendo Beatrice andare via con un altro, perché sapeva che sarebbe successo, presto o tardi. Il suo destino era stare solo.
Aveva appena mosso qualche passo in direzione del corridoio che portava alle stanze superiori, però, quando vide Ascanio che tirava per un braccio Maria Luisa: i due stavano discutendo molto animatamente e questo insospettì Marcello.
Il ragazzo la trascinò all’interno del corridoio ed il biondo, senza indugiare oltre, li seguì per scoprire il motivo di tanta agitazione.

Ascanio e Maria Luisa si diressero oltre la quarta porta sulla sinistra, entrando nella stanza che corrispondeva a quella che Marcello riconobbe come la lavanderia. Si appostò accanto al battente, che per fortuna avevano lasciato aperto, e tese l’orecchio, aspettando di far luce sul comportamento sospetto dei due.
«Ciao Marcello!
» esclamò qualcuno, squarciando quel silenzio carico di tensione.
Il giovane sobbalzò, sentendo di essere vicino all
avere un infarto.
«Shhh!» fece, voltandosi di scatto per zittire il suo molestatore: chi era quel rompiscatole che gli stava facendo correre il rischio di essere scoperto da Colonna? Eppure, quando lo scoprì, le parole gli morirono in gola e il cuore fece una capriola.
Forse era destino che quella sera dovesse venirgli un colpo apoplettico.

«Beatrice!»
«Ho visto che stavi venendo da questa parte. Non ci siamo ancora visti e...»
Il biondo stava per risponderle quando sentì le voci farsi più forti, segno che i due stavano per uscire dalla stanza. Elaborando il tutto in una frazione di secondo, prese la fanciulla per mano e le bisbigliò: «Vieni con me, ti spiego tutto dopo».
La trascinò con sé dietro una delle pesanti tende che coprivano le finestre del corridoio e si preoccupò di fermare quanto possibile il movimento della stoffa, così da non far venire a nessuno la curiosità di scoprire se lì dietro c
era qualcuno o no.
«Stai attenta a non fare rumore
» raccomandò severamente alla fanciulla, tirandola vicino a lui. Era pericoloso mettersi ad origliare quello che stava combinando Colonna, ma non poteva perdere quell’occasione per fare un po’ di chiarezza e, d’altro canto, non voleva essere scoperto, né far finire Beatrice nei guai per colpa sua.
«
Sì» fece lei, piano, stringendoglisi contro per occupare meno spazio possibile e non creare correnti d’aria. Uno strano brivido lo percorse da capo a piedi, ma lo scacciò immediatamente, riportando la sua concentrazione sui due litiganti, ancora impegnati nella loro discussione. Aprì un piccolissimo spiraglio tra due lembi del tendaggio e Colonna e Maria Luisa entrarono subito nel suo campo visivo.
«Devi smetterla di bere come una vecchia baldracca ubriacona!» berciò lui, rimproverando e scuotendo fisicamente la giovane.
«Da quando ti interessi di quello che faccio?» gli domandò lei, acida, allontanandolo con un gesto maldestro; doveva aver alzato il gomito, perché che stava cominciando a perdere la coordinazione motoria. Si mise a frugare nella borsetta e, con grande impaccio, ne estrasse un pacchetto di sigarette, portandosene una alla bocca, ma, prima che potesse farlo, Ascanio gliela tolse e la gettò lontano.
«E devi smetterla anche di fumare!» 
«Non puoi dirmi... quello che devo fare...» biascicò lei, mentre pian piano il suo vigore si affievoliva.
«Piantala, non fare la bambina ottusa! Adesso tu tornerai di là con me e starai buona e ferma, mentre io annuncerò il nostro matrimonio
. È chiaro?»
Maria Luisa lo guardò con occhi vitrei.
«
A te non interessa niente di me».
«Tu porti in grembo mio figlio ed io mi sono offerto di prendermi le mie responsabilità. Anche tu devi prenderti le tue, o con i tuoi comportamenti sconsiderati farai male al bambino!»
«D-Dici co-così solo p-perché ti s-serve un erede
» singhiozzò la ragazza.
Un muscolo della mascella di Colonna si contrasse.
«E anche a te serve qualcuno che finanzi tutti i tuoi capricci. Credimi, Maria Luisa, sposarmi sarà la cosa migliore che potresti fare nella tua vita».
«Io v-volevo s-sposare Ma-Marcello» piagnucolò la giovane donna, ormai completamente sopraffatta dall’alcool.
Ascanio si spazientì e l’artigliò per un braccio.

«Tornatore è un perdente! Lui e quel tordo di Marini non si sono nemmeno resi conto che sono stato io a soffiargli l’affare con Carter!
»
Lei non disse nulla, continuando a piangere sommessamente.
«Adesso finiscila di frignare e seguimi. Lascia parlare me e, soprattutto, ricordati che presto sarai la signora Colonna. Mi aspetto da te un comportamento degno del nostro nome».
Maria Luisa annuì, tirando su col naso.
«Signore, siamo pronti, abbiamo già portato la torta» annunciò in quellistante una voce profonda. Marcello si spostò appena e riconobbe l’uomo con la cicatrice che era venuto a discutere con Vittoria del catering.
In un secondo, tutto gli fu chiaro come il sole: era lo stesso che aveva accolto lui e Gerardo al Caffè del Borgo!
«Molto bene» annuì nervosamente Ascanio. Gettò un’occhiata compassionevole alla sua compagna e aggiunse: «Portate anche un bicchiere d’acqua alla signorina, ha bisogno di riprendersi».
Il cameriere fece un rispettoso inchino e tornò sui suoi passi.
«Vieni» sussurrò il ragazzo, con un tono molto più delicato di quello che aveva usato fino ad allora. Poggiò una mano sul fianco di lei e la guidò nuovamente in sala.
Quando Marcello fu certo che il corridoio fosse di nuovo deserto, uscì allo scoperto e aiutò Beatrice a fare lo stesso.
«Adesso sì che tutto ha un senso...
» valutò, meditabondo, fissando la porta che conduceva in sala, dalla quale filtravano luce e voci indistinte. «E devo subito riferirlo a Gerardo» decise, animato da una febbrile irrequietezza: aveva appena appreso molte informazioni interessanti e non vedeva l’ora di ragguagliare il suo amico in merito ai nuovi sviluppi.
«Hai scoperto qualcosa di importante?» gli domandò la fanciulla, incuriosita.
«Direi proprio di sì» le rivelò lui, annuendo. «Ho trovato una spiegazione agli imbrogli di Carter».
Lei lo guardò, pensierosa, come se stesse cercando di riportare alla mente qualcosa.
«
Ricordo questo nome, me ne hai parlato quando son venuta a casa tua per restituirti il cappotto» disse infine. «Comunque, se è vero che quella ragazza aspetta un bambino, lui non dovrebbe trattarla così».
«Colonna non sa cosa sia la delicatezza» sintetizzò il biondo, con una smorfia disgustata.
«Magari, l’è per questo che quella avrebbe voluto sposare te. Se davvero così gettonato?» domandò Beatrice, guardandolo accigliata ed incrociando le braccia al petto.
«Non ne parliamo. Solo a sentire la voce di tua cugina, prima, mi è venuta l’orticaria».
A quella risposta, la fanciulla sorrise, divertita, ma il giovane, consapevole che non era ancora arrivato il momento di rilassarsi, le disse, guardandola serio:
«Dobbiamo tornare immediatamente di là. Devo sistemare alcune cose».
«Ho capito. Questa sera non c’è verso di stare un po’ insieme» gli fece, però, notare lei, amareggiata.
Marcello aggrottò la fronte, scrutandola attentamente: l’espressione di lei tradiva una certa delusione e lui si sentì molto in colpa, pensando che, in un modo o nell’altro, riusciva sempre a trovare il modo di trascurare Beatrice.
Non era facile per lui gestire quell’aspetto, trovava estremamente difficile coordinare la sua vita sentimentale, considerando che non ne aveva mai avuta una. Ed era quella consapevolezza che, puntualmente, veniva ad intaccare il suo equilibrio, come un tarlo che scava le sue gallerie nel legno: Beatrice avrebbe potuto stancarsi di lui prima del previsto.
«Scusami,
hai ragione, ma non sapevo che ci sarebbero stati questi risvolti» le disse, sinceramente dispiaciuto. Seppur, inizialmente, fosse stato lui il primo ad evitarla, adesso non poteva negare di apprezzare molto la compagnia di quella ragazza e il solo vederla lo rendeva felice. 
In risposta, lei si abbandonò ad un sospiro rassegnato.
«Non ti preoccupare, ho capito che si tratta di qualcosa d’importante
».
Il giovane sorrise e si protese verso di lei per darle un bacio sulla fronte, accarezzandole la guancia.
«
Grazie».
Allora, Beatrice incurvò appena la labbra e lui la prese nuovamente per mano, per poi condurla nuovamente verso la sala.

I due ragazzi si separarono non appena furono di nuovo in mezzo alla confusione: Beatrice, dirigendosi verso cugina e fratello, per giustificare la sua improvvisa scomparsa, e Marcello in cerca dell’amico.
Lo aveva appena trovato, quando Bartolomeo richiamò l’attenzione generale con una serie di fastidiosi fischi.
«
Siamo allo stadio?» commentò Gerardo, contrariato dalla poca finezza del soggetto.
«Vi ringrazio per essere venuti a rendere omaggio alla mia arte» esordì, piazzandosi sotto la statua ancora coperta da un telo scarlatto. «Ma anche io devo fare dei ringraziamenti, perché, senza alcune persone, questa serata non avrebbe avuto senso».
Ci fu uno scroscio di applausi, che lo scultore mise a tacere con un gesto della mano.
«Devo dire grazie ai miei collaboratori, Ottone e Ferruccio, per avermi aiutato nella scelta delle opere da esporre e grazie anche alla mia Paula, per essermi stata vicino durante i momenti difficili» proseguì, indicando due ragazzi che erano rimasti nelle retrovie e che risposero all’elogio alzando pigramente il braccio. «E, ovviamente, grazie al mio amico Ascanio per aver offerto il rinfresco!»
L’espressione sul viso di Vittoria si era mutata in una maschera di triste stupore: dopo tutto quello che aveva fatto per la completa realizzazione del tutto non meritava nemmeno un misero ringraziamento pubblico?
Marcello e Gerardo si scambiarono un’occhiata incredula, mentre
Bartolomeo, incurante di tutto questo, fece qualche passo avanti e si avvicinò a Colonna, dandogli una poderosa pacca sulla schiena: «Avanti, siamo tutti orecchie per il tuo annuncio!»
Ascanio ghignò sottilmente e si schiarì la voce, voltandosi verso il pubblico che, letteralmente, pendeva dalla sue labbra.
«Be’, in effetti ho colto l’occasione di questo evento per dire che io e la mia fidanzata abbiamo deciso che ci sposeremo a maggio!
»
Gli astanti presero a battere le mani in maniera beota, come se fossero stati tanti bambolotti elettronici attivati all’unisono.
«Fidanzati? E da quando?
» chiese Gerardo, allibito, fissando la coppia che, intanto, stava ricevendo congratulazioni da quasi tutti i presenti.
Il biondo scosse la testa, preparandosi ad usare un tono elevato per superare le altre voci: «La cosa è molto più complicata di quello che sembra. Prima ho sentito...
» 
«Anche io devo fare un grande annuncio, ispiratomi dalla mia opera» riprese lo scultore, facendo zittire tutti all’istante: era arrivato il momento tanto atteso, ossia lo svelamento della famosa e misteriosa opera.
Ottone e Ferruccio, allora, presero il telo uno da una parte ed uno dall’altra, aspettando che l’artista desse la sua approvazione per toglierlo. Quando finalmente la ricevettero, lo tirarono via e la folla trattenne il fiato. Marcello e Gerardo, invece, furono paralizzati dall’orrore: quella ninfa seminuda scolpita nel ghiaccio non era affatto la loro amica. Si voltarono rapidamente verso di lei, giusto in tempo per vederla impallidire e accasciarsi al suolo, come se fosse rimasta improvvisamente priva di forze.
«Vittoria!» fecero entrambi all’unisono, raggiungendola e sorreggendola.
«Ecco a voi la mia musa ispiratrice, la mia Paula! La vera essenza della femminilità e della sensualità» esclamò Davoli, prendendo e baciando devotamente la mano della sua assistente. «Mi vuoi sposare?»
Quello fu davvero troppo. Marcello sentì le viscere contrarsi per la rabbia
e reclamare una sanguigna vendetta per l’umiliazione che era stata costretta a subire Vittoria. Tutti sapevano che quello era il suo fidanzato ed in molti, a quella fedifraga dichiarazione, si erano voltati verso di lei, lanciandole sguardi pieni di pena e compassione.
Scrutò quell’essere immondo con tutto l’odio di cui era capace, sentendo di fremere dall’impazienza di conciarlo per le feste: era parecchio che non tirava più di boxe, ma non era mai troppo tardi per ricominciare.
Aveva appena deciso di andare a dire a Bartolomeo finalmente cosa pensasse davvero della sua arte, ma Gerardo fu più rapido.
Mentre tutti, compreso Ascanio e la sua futura consorte, erano rimasti senza parole per la proposta di matrimonio inattesa e per il pianto commosso della giovane assistente polinesiana, Marini si avvicinò alla statua, apparentemente per studiarla; subito dopo, però, scoppiò a ridere e nella sala calò di nuovo il silenzio. Adesso tutta l’attenzione era sul giovane, che, consapevole di questo, si girò verso i suoi spettatori.
«Devi correggere la descrizione, perché non coincide con la statua: c’è scritto Promessa di Paradiso, invece a me sembra solo Tradimento di un bastardo».
Il pubblico rimase a bocca aperta, rapito, come se quella reazione fosse il gradito colpo di scena che mai si sarebbe aspettato.
«Vittoria ha dato anima e corpo per questa mostra, perché credeva in te!» gridò Gerardo, indicando la ragazza, rannicchiata tra le braccia di Marcello. «Che bisogno c’era di tutta questa sceneggiata? Non potevi lasciarla e basta? Ovviamente no, perché altrimenti non avresti più avuto una schiava da comandare a bacchetta!»
Si voltò verso il monolite di ghiaccio e
diede un calcio così ben assestato ad uno dei piedi della base d’appoggio, che questo si spezzò. Trovandosi sbilanciata, la statua oscillò pericolosamente per qualche secondo, poi cadde in terra come un birillo, rompendosi in mille frammenti trasparenti, mentre gli astanti indietreggiavano, spaventati.
«Nooooo, la mia arte!» ululò Bartolomeo, tendendo vanamente le mani verso ciò che restava del suo lavoro.
«Non è una gran perdita, tanto faceva schifo» commentò Gerardo, ammirando soddisfatto quell’ammasso ormai informe di acqua congelata. Qualcuno perfino applaudì.
Immediatamente, lo scultore si avventò su Gerardo, con la faccia deformata dalla rabbia, lanciando un urlo disumano, ma il giovane
 non si mosse, sfidando il suo antagonista con lo sguardo.
Marcello stava per dirgli di togliersi, ma intervenne prima Paula, parandosi davanti a Bartolomeo e dicendogli velocemente qualcosa nel suo idioma. Lui le rispose nella stessa lingua, usando un tono molto più aggressivo, tuttavia, alla fine, sembrò spuntarla lei, perché l’uomo si calmò, limitndosi a fissare il ragazzo con astio.
«Posso farne altre cento, una migliore dell’altra» affermò, superbo. «Ottone, Ferruccio, andiamocene!»
Fu così che, senza sapere bene cosa fosse successo, il biondo vide Davoli e la sua squadra abbandonare la sala, lasciando tutti attoniti.

«Fate bene ad andarvene, tornate nella fogna da dove siete venuti!» gridò dietro loro Gerardo. Poi si rese conto che tutti lo fissavano e sbottò: «Be’, che avete da guardare? La festa è finita, tutti a casa. Sciò, aria!»
Un gran chiacchiericcio eccitato prese il posto del silenzio di tomba che aveva regnato fino a quel momento.
Marcello notò vagamente con la coda dell’occhio i genitori di Vittoria, anche loro visibilmente scossi, occupati a congedare gli ospiti. Quando l’amico gli fu vicino gli lanciò uno sguardo sorpreso al quale quello rispose con una debole alzata di spalle.
«Non ti avevo mai visto tanto furioso».
«Quando si tratta di lei, non rispondo delle mie azioni» replicò Gerardo, osservando tristemente Vittoria. Si chinò sulla ragazza e la sollevò dal pavimento, prendendola in braccio.
«Dobbiamo portarla in camera sua» aggiunse, prendendo in mano la situazione. «Fammi strada, aprimi le porte».
Marcello, ancora frastornato da quel nuovo lato del suo amico, finora sempre nascosto, annuì, scendendo dal palchetto e calpestando i frammenti di ghiaccio.
Mentre camminava, però, si guardò anche intorno con la speranza di vedere Beatrice e riuscire così almeno a salutarla, considerando che la serata aveva riservato sorprese poco piacevoli che li avevano fortemente condizionati. Fortunatamente, riuscì ad individuarla mentre scambiava qualche parola con Anna Laura e la salutò con un cenno furtivo, al quale lei rispose con un dolce sorriso, facendo spallucce. 
Avvertì una profonda fitta di insoddisfazione per non essere riuscito a passare più tempo con lei e la parte di lui che non voleva saperne di lasciarla andare protestò: incontrarla fuori dalla merceria non gli bastava più e non si poteva andare avanti sperando che il caso, tutt’altro che generoso, desse loro l’opportunità di vedersi di nascosto.
Sospirò, mentre le voltava le spalle e lei faceva lo stesso.
Avrebbe dovuto affrontare anche quel dilemma, ma, quella sera, la povera Vittoria aveva la precedenza.


Gerardo entrò in camera della giovane con passo lento ed espressione solenne, come se stesse riportando la salma di qualche valoroso guerriero morto sul campo di battaglia.
Attese che Marcello preparasse il letto e ve l’adagiò sopra, coprendola con cura. Infine, si sedette accanto a lei, accarezzandole appena la testa, mentre il suo amico si occupava di tirare le tende e di accendere la piccola abat-jour.
«Avrei dovuto spaccargli la faccia
» sussurrò il giovane, senza spostare lo sguardo dallamica.
«Non avresti risolto niente
» commentò il biondo, accomodandosi sulla poltrona lì di fronte.
«Mi sarei sfogato» lo corresse Gerardo, tremando dall’ira. L’altro non disse niente, consapevole che ciò che era capitato a Vittoria era qualcosa di abominevole: un pubblico tradimento era qualcosa che avrebbe dato da mangiare ai giornalisti di gossip per mesi e mesi, mentre la notizia del matrimonio di Colonna sarebbe stata eclissata con sorprendente rapidità. Sicuramente neanche lui si aspettava un tale risvolto.
Come se avesse percepito che quel nome era nell’aria, Gerardo si voltò verso di lui e gli chiese: «Tu cosa dovevi dirmi, prima? Sembravi piuttosto agitato».
Marcello si sistemò meglio sulla poltrona e si preparò a raccontare.
«
Beatrice ed io abbiamo scoperto chi è il misterioso socio di Carter».
«Tu e Beatrice?
»
«Sì, si è trovata per caso anche lei a sentire» spiegò il biondo, rimanendo sul vago; non era il caso di caricare il suo amico anche delle sue paranoie in merito a quella fanciulla, quella sera erano successe fin troppe cose spiacevoli.
Gli riferì nel dettaglio tutta la conversazione che aveva ascoltato da dietro la tenda, compresa la parte sulla tresca tra Ascanio e Maria Luisa.
Gerardo lo ascoltò con attenzione, non interrompendolo nemmeno una volta; alla fine del resoconto, non sembrò nemmeno più di tanto sorpreso per le novità appena apprese. Spostò lo sguardo sul pavimento, come se stesse riflettendo ed infine disse: «Non so perché, ma è come se l’avessi sempre sospettato. Piuttosto, cosa centra, in tutto questo, luomo con la cicatrice?»
«Pensaci un attimo: Colonna offre di occuparsi del catering ed il capo dei camerieri è l
uomo con la cicatrice, lo stesso che lavora al Caffè del Borgo, guarda caso il luogo che Carter usa come base, qui a Roma».
L’amico si batté una mano sulla coscia, esultando per aver concluso il ragionamento: «
Ma certo! Scommetto che quel locale è di proprietà del caro Ascanio. Ora che ci rifletto, mi pare che lo Stigliano sia un ramo della famiglia Colonna».
Marcello annuì, aggiungendo: «Quel maledetto ha sempre cercato di ostacolarci. Comunque, se mi dai un attimo, possiamo controllare. E se non ricordo male nella biblioteca cè un libro sugli alberi genealogici di tutte le famiglie più illustri dei dintorni».
Si alzò e l’altro stava appunto per imitarlo, quando la voce della ragazza si manifestò come un debole lamento.

«Non andate via... Gerardo, ti prego, resta con me» li supplicò lei, stringendo tra le dita la stoffa della camicia del ragazzo.
Lui rimase per un momento come tramortito, sorpreso che la giovane, nello specifico, avesse fatto proprio il suo nome.
«
Sono qui, resto con te» riuscì a risponderle, rimettendosi seduto e cingendola con un braccio.
Vittoria, rinfrancata, si accoccolò sul suo petto e chiuse gli occhi.
Non sarebbe stato un problema giustificare ai genitori della ragazza il perché della loro permanenza, li conoscevano fin da bambini e sapevano che erano i due migliori amici della figlia; piuttosto, sarebbe stato più problematico spiegare al signor Andrea il perché avessero bisogno di quel libro, giacché l’uomo era un collezionista incallito e meticoloso di volumi d’epoca.
«Ho capito, vado solo io» disse Marcello, già con una mano sul pomello della porta, sperando che il padre di Vittoria fosse anche lui abbastanza sconvolto da lasciargli prendere ciò che voleva dalla biblioteca. Gerardo gli sorrise, riconoscente.
«Sono proprio un idiota. Ho perso tempo facendo finta di stare appresso a Maria Luisa, che ora aspetta un figlio da Colonna, e non ho prestato attenzione a Vittoria, che ne avrebbe avuto bisogno».
Il biondo non aggiunse nulla, ma lo sguardo obliquo che lanciò all’amico parlava da solo.

Marcello rientrò poco dopo, brandendo tra le mani un pesantissimo tomo. Il caso era stato particolarmente misericordioso con lui, giacché il signor Farnese era già andato a letto, colto da una terribile emicrania, e la moglie, anche lei abbastanza provata, gli aveva dato il permesso di prendere tutti i libri che voleva, perciò sarebbe bastato consultarlo rapidamente e andarlo a rimettere al suo posto prima dell’alba.
Quando entrò nella stanza, trovò Gerardo sdraiato accanto a Vittoria, intento a spostarle alcune ciocche di capelli dal viso, contemplandola con una dolcezza tale che, per la seconda volta nel giro della stessa serata, si sentì come se avesse invaso lo spazio intimo del suo amico. Si schiarì la voce, così da segnalare la sua presenza.
«
Allora?» fece quello, per niente turbato, come se fosse appena sceso dalla sua personale nuvoletta. Il biondo si affrettò ad avviare il discorso, così da poter lasciare quanto prima quella stanza e smettere di sentirsi fuori posto.
Con Gerardo e Vittoria si era sempre sentito come tra fratelli, ma ora che il reciproco interesse tra i due stava uscendo allo scoperto, non era più la stessa cosa.
«Ricordavi bene: Stigliano è un ramo della famiglia di quel deficiente, al quale apparteneva il cardinale Ascanio3, suo avo in linea diretta» esordì, aprendo il libro alla pagina che l’indice dava come l’inizio del paragrafo sui Colonna e mettendolo davanti all’altro ragazzo.
«Quindi c’è sempre stato dietro lui, sin dall’inizio!» notò lui, facendo un’efficace sintesi di tutta quell’oscura faccenda.
«È così. Il giorno che abbiamo incontrato Carter per la prima volta, ho incontrato quel truffatore nella libreria di Via della Conciliazione che faceva il civettone con la commessa. Credevo fosse solo un caso, invece no, era lì perché doveva vedersi anche lui con il britannico» bisbigliò il biondo, temendo di svegliare Vittoria. Finalmente aveva il quadro completo della situazione e ogni tessera del mosaico era andata al suo posto.
«Tutto torna. Per lo meno, adesso sappiamo come stanno veramente le cose».
«Già» affermò Marcello, reprimendo con difficoltà uno sbadiglio. Per quella serata aveva dato anche troppo, ora il resto delle domande e delle congetture avrebbe anche potuto aspettare l’indomani, lasciando al suo cervello qualche ora di meritato riposo. Riprese in mano il tomo e lo chiuse con un colpo secco, sistemandoselo poi sotto il braccio e si avviandosi per uscire fuori dalla camera.
«Ed ora dove vai?» fece il suo amico, allarmato.
«A portare indietro il libro. Non vorrei dare il colpo di grazia al signor Farnese, poi credo che mi sistemerò nella stanza degli ospiti» gli rispose, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
«E mi lasci così? Nel letto... con Vittoria?» balbettò l’altro, palesemente a disagio.
«Come se a te dispiacesse» fece Marcello, già con un piede fuori dalla stanza. Dal gemito di imbarazzo che udì, comprese che Gerardo avrebbe passato una lunga notte insonne.
***

Guido uscì dalla porta sul retro, stando attento a non fare rumore, così da evitare di svegliare zia e cugina, perché l’ultima cosa che voleva era una discussione a notte fonda. Già aveva dovuto sorbirsi i piagnistei di Anna Laura sul fatto che, come aveva giustamente preventivato, Marcello Tornatore non l’aveva degnata di uno sguardo. D’altronde, nessun ragazzo l’avrebbe fatto, non almeno con Vittoria Farnese in circolazione, bella anche nella totale disfatta che era stata la serata.
Aprì piano il cancelletto ed una sagoma di notevole stazza varcò la soglia.
«Perché volevi vedermi?
» domandò il ragazzo al visitatore.
«I piani sono cambiati, qualcuno mi ha tradito ed ho la polizia alle costole» grugnì l’uomo, emettendo una fitta nuvoletta di vapore.
Guido registrò lentamente ciò che gli era stato detto e avvertì che un sudore freddo già cominciava a depositarsi sulla schiena. Rabbrividì sotto il gelo di quella notte di febbraio.

«La polizia?
» sussurrò, lasciando che le sue parole si perdessero nell’oscurità.
L’energumeno avanzò, allontanandosi dalla siepe e permettendo che la luce aranciata dei lampioni della strada illuminasse il suo viso contratto dalla rabbia.
«Tolomei, sei davvero stupido come sembri: ho gli sbirri alle costole, devo scappare il prima possibile!»
«E cosa vuoi che faccia per te, Navarra?»
«Devi dire a Beatrice di tenersi pronta. Scapperemo all’estero non appena i miei collaboratori mi daranno il via libera» spiegò lentamente l’uomo, come se pensasse che il ragazzo avesse difficoltà di comprendonio.
Lui non riuscì a dire nemmeno una parola, tanto quella rivelazione l’aveva paralizzato: sentì la terra tremargli sotto i piedi e fu colto da un quanto mai spiacevole senso di nausea.

«A proposito,
» continuò lo spagnolo, cominciando a girargli intorno come una belva che ha appena accerchiato una facile preda, «ho fatto delle ricerche sulla tua villa in Toscana: non vale niente e, per giunta, quest’anno il raccolto è a rischio! Credevi che non me ne sarei mai accorto?»
«Io... non...» gracidò il giovane, non sapendo cosa dire. La sua mente era vuota, una perfetta tabula rasa, dove trovava posto solo la consapevolezza che aveva sbagliato a fidarsi di un delinquente come quello.
Aveva avuto l’abilità di scegliersi il peggiore degli aguzzini, uno che stava affondando e si stava trascinando dietro tutti coloro che avevano avuto la sfortuna di stringere un patto con lui.
«Basta così, le tue chiacchiere mi annoiano. Considerati fortunato, per il pagamento mi cederai solo tua sorella» fece Navarra, secco. «Il tuo debito è estinto. D’ora in poi, dovrai dimenticati di avermi conosciuto».
«Tu vuo forse dire che non la vedrò più?»
«No, perché non ti appartiene più. Sei diventato sentimentale, per caso? Non credevo ti importasse così tanto di lei, visto che non hai esitato a venderla quando ti sei accorto di essere nella melma fino al collo!» esclamò, grufolando come un maiale. Fu solo in seconda battuta che Guido si accorse che Navarra stava ridendo.
Eppure non c’era niente da ridere:
stava per perdere Beatrice per sempre. 





***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per aver letto tutto questo in anteprima.
***

[N.d.A]
1. passere: in dialetto toscano, termine colorito per indicare le belle ragazze.
2. Ready-made: definizione che, in ambito artistico, indica oggetti di uso comune, modificati o meno, che vengono utilizzati per fare arte, molto in voga negli anni 
20.
3. cardinale Ascanio: il ramo Stigliano appartiene davvero alla famiglia Colonna. Il cardinale Ascanio (1560-1608) ne faceva parte. 
***

Salve a tutti!
Come avete avuto modo di vedere la trama s
infittisce. Ribadisco che questa non è solamente una storia romantica, ha tante altre sfaccettature che spaziano in molti ambiti, giacché mi piace creare racconti quanto più variegati e dettagliati. Ma credo che questo si sia abbondantemente capito.
Dal prossimo capitolo sarà presente una nota più di suspence (non credo sia questo il termine giusto, magari me ne suggerirete voi uno più appropriato).
Ringrazio chi ha avuto la gentilezza di recensirmi lo scorso capitolo, dedicandomi tempo ed energie, chi ha messo questo racconto nelle preferite/ricordate/seguite, chi legge solamente, chi viene a dare un’occhiata, di tanto in tanto, cercando di capire dove voglio andare a parare, chi sta avendo pazienza e fiducia in me e nel fatto che, prima o poi, questa storia avrà una conclusione, chi, in un futuro anche lontano, mi farà pervenire un suo parere.
Ho deciso di lasciarvi solo il link alla mia pagina facebook, in quanto credo che sia più pratico e veloce, vi troverete diverse cose e, nei prossimi giorni, uno spoiler del capitolo decimo, previsto per la metà di Febbraio (studio permettendo).
Volevo precisare che non è una pagina dedicata solamente a questo racconto o alle mie storie in generale. In realtà, l’ho ripresa in mano da poco, quindi ancora non è particolarmente attiva, anche se conto di farla diventare più funzionale nel corso del tempo. 
Bene, credo di aver chiacchierato abbastanza per oggi. 
Alla prossima, per chiunque vorrà continuare a seguirmi.
Halley S. C.

  
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