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Autore: Rosebud_secret    25/01/2015    2 recensioni
“Qui dentro ci sono trenta pezzi d’argento. Sono il pagamento per la tua anima e li terrai con te per tutta la vita. Con essi potrai contrattare altri benefici che potranno costarti più o meno pezzi a seconda della richiesta. Potrai diventare il miglior chitarrista del mondo, o persino il Presidente degli Stati Uniti, se questa è la tua aspirazione. Ed ora il punto forte della questione: se tu dovessi morire, senza aver speso l’ultimo pezzo d’argento, la tua anima sarà libera.”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tassista era ancora in fondo alla strada, sonnecchiante, e Jonathan lo spaventò a morte quando, pallido e madido di sudore balzò sui sedili posteriori e gli ordinò di andare al numero 333 di Rue de la Perdition.
Scrisse a Thomas anche quest’altra cosa, tacendo però sul fatto di essere entrato in una villa fatiscente che, sino a due settimane, prima era in perfette condizioni, e anche su quello di averci trovato un cadavere. Lo avrebbe preso per pazzo, come minimo, oppure avrebbe pensato che si era fatto di nuovo, mentre lui era più che sobrio, per sua sfortuna.

Ci volle quasi mezz’ora per ritornare a quella zona periferica del Quartiere Francese e, quando fu sceso, Jonathan non si sentì più molto certo di voler proseguire. Si avvicinò al portone e guardò a lungo il campanello, prima di decidersi a suonare. Per un po’ non ottenne risposta e dovette riprovare altre tre volte, con trilli sempre più lunghi, prima che la voce scocciata di Lucien chiedesse spiegazioni.

“S-sono io, aprimi.”, riuscì a bisbigliare.

Il portone scattò e lui si precipitò dentro. C’era un breve corridoio buio e poi una lunga scala ripida illuminata da una lampadina giallognola. La salì di volata, ma sussultò quando Lucien aprì una seconda porta. Era nudo e appariva piuttosto infastidito.

“A cosa devo tale improvvisata?”

Il giovane lo scostò ed entrò nell’appartamento, costituito da un unico ambiente molto ampio e arredato con gusto minimalista. Tutto era in penombra, visto che grosse e pesanti tende nere chiudevano del tutto le finestre.
Jonathan si avvicinò a una di esse per far entrare la luce del sole.

“Ti prego, no.”, lo fermò la voce di Lucien, “Non sono un grande estimatore del giorno.”, aggiunse, premendo un interruttore e illuminando la grande stanza.
“Prego, accomodati. Sembri scosso.”

“Credo di star impazzendo!”, gemette Jonathan, facendo avanti e indietro davanti al divano bianco, “Chi sei tu? Che cosa vuoi da me?”

Lucien non fece una piega. Si limitò a sedersi con leggerezza sulla poltrona di rimpetto al sofà e ad accavallare le lunghe gambe, del tutto a proprio agio nella sua completa nudità.
“Pensavo di aver già chiarito questo punto.”, commentò.

Jonathan lanciò uno sguardo al letto sfatto, prima di posarlo su di lui.

“Oh, capisco.”, sorrise Lucien, facendo per rialzarsi.

“N-non ti avvicinare! Sta’ lontano da me!”, sbraitò il ragazzo.

L’altro inclinò il capo, interessato e divertito.
“Ebbene, vuoi spiegarti?”
Era a tanto così dal passare il segno, lo sapeva, lo sentiva a pelle e, in fin dei conti, forse non lo riteneva neppure così sbagliato.

“Sono stato alla villa e non è altro che un rudere!”, strillò l’altro.

“Ah…”, commentò Lucien, ma il suo sorriso si allargò ancora un poco.

“Non so cosa stia succedendo, né mi interessa, ma una cosa è certa: non voglio più avere a che fare con te! Ti pagherò, se devo, puoi trascinarmi anche in tribunale, ma...”, si zittì quando lo vide ridere.

“Se non fossi stato curioso saresti andato all’aeroporto, o alla stazione degli autobus, Jonathan. Invece sei qui. Dimmi, bramo di sentire le conclusioni che hai tratto.”

Non gli rispose nulla, ma scattò verso la finestra, spalancando le tende. Lucien balzò indietro, evitando il fascio di luce e ribaltando a terra sia la poltrona che il tavolinetto d’acciaio. Rise di nuovo nello scorgere il terrore nelle iridi chiare dell’altro. Affievolì le luci della stanza, ma si tenne comunque a debita distanza dal fascio di sole che illuminava solo una minima parte del grande appartamento.

“Che cazzo sei tu?!”, strillò il ragazzo.

“Hai già questa risposta. Chiudi quelle tende, non è mia intenzione farti del male.”

“Vaffanculo!”

Lucien sogghignò, incrociando le braccia al petto.
“Oh, andiamo, se avessi voluto ucciderti avrei avuto infinite occasioni.”, gli fece notare, “Puoi stare lì impalato a cuocerti la schiena finché vuoi, ma il giorno non durerà per sempre. Risparmiamo ad entrambi qualche ora.”

Jonathan sbirciò di sotto e impallidì.

“Non pensarci nemmeno. Sono quasi dieci metri, nella migliore ipotesi ti romperesti molte ossa. Sarebbe una decisione dolorosa ed inutile. Chiudi quelle tende e raggiungimi.”
Lucien stava cominciando ad irritarsi, e le cose di rado finivano bene quando era di tale umore.
“Non voglio ucciderti. Non ti ho neppure mai toccato.”

“Bugiardo! Io ho incubi ogni notte!”

“Un effetto collaterale.”

“Di che cosa?”

“Non ti sei reso conto di nulla? Non ti sei sembrato più sveglio, più determinato e più abile in quest’ultimo periodo? Non sono un motivatore, Jonathan, forse è venuto il momento che ti mostri il mio trucco.”
Lucien si allontanò e, dandogli le spalle, prese un bicchiere dalla credenza nera e lo riempì d’acqua.

Sogghignò quando sentì l’altro correre verso la porta d’ingresso, ma non se ne curò più di tanto dal momento che l’aveva sbarrata. Divertito lo guardò strattonare più e più volte la maniglia, poi con un cenno della mano fece sì che le tende si chiudessero di scatto. Non aveva mai davvero avuto bisogno che lo facesse l’altro per lui, ma era stato piacevole dargli quell’effimera parvenza di sicurezza per poi strappargliela via con brutalità.
Jonathan si accucciò a terra con le spalle contro la porta chiusa, e si coprì la testa con le braccia. Tremava come una foglia.

“T-ti prego… ti prego… lasciami andare!”

Lucien sbuffò.
“Oh per l’amor del cielo! Non c’è nulla di più fastidioso delle suppliche, smetti!”
Gli si avvicinò e l’altro si appiattì ancor di più contro il legno.

“Se non vuoi uccidermi, allora v-vuoi rendermi come te?”

“Neanche per idea.”

“Allora cosa?!”, strillò Jonathan, osando guardarlo.

“Finalmente la domanda giusta.”, ribatté l’altro, sedendoglisi di fronte.

“Quanti altri mostri come te ci sono là fuori?!”

“Ora mi metto a fare un censimento…”, sospirò Lucien, sollevando gli occhi al cielo, “Non ne ho idea e non è rilevante.”

“Vuoi darmi in pasto al tuo branco?”

“Branco? Hai visto troppe stupidaggini in tv, anche se ringrazio il cielo di bruciare e basta alla luce del sole. Ricoprirmi di glitter rovinerebbe in un soffio quasi tre secoli di faticosa reputazione.”

Jonathan, ormai vittima di un attacco isterico, si lasciò sfuggire una risata stridula, per poi scoppiare in singhiozzi. Non sperava più così tanto di essere sobrio, quasi bramava che quella terribile situazione non fosse altro che un dannato trip dovuto a chissà quale droga, ma era tutto troppo vero, troppo reale e lui stava per farsela nei pantaloni.

“Posso spiegare le vere ragioni o vuoi continuare a pormi domande a caso?”, lo interrogò Lucien.

Il ragazzo annuì, troppo spaventato per contraddirlo in alcun modo.

“Bene.”, sentenziò l’altro, “Ti ho avvicinato per offrirti un accordo. In realtà contavo di metterci un po’ più di tempo, ma ho sottovalutato la tua curiosità, quindi adesso sono costretto a parlarti mentre sei terrorizzato. Non lo avrei voluto, e, ti sia da monito: sporcami il parquet e diventerò molto, molto meno accomodante. La… persona? Entità? Il demone? -Non l’ho mai capito a dire il vero- per cui lavoro è interessato alla tua anima.”

“Perché la mia? Che ho di speciale?”

“Assolutamente nulla. Un’anima è un’anima. Non posso costringerti in alcun modo a sottoscrivere il contratto. Il mio compito è quello di convincerti. Non sono nulla più che un venditore porta-a-porta dell’Inferno. Non hai ragione di temermi: un investimento morto è un investimento perso.”

“Che succede se rifiuto?”, domandò Jonathan con un filo di voce.

Lucien sorrise, scuotendo il capo.
“Non vuoi che risponda a questa domanda adesso.”, ribatté, “In realtà è un’offerta davvero conveniente e affatto pericolosa.”
Chiuse la mano e, quando la riaprì, un sacchetto di velluto nero gli comparve sul palmo.
“Qui dentro ci sono trenta pezzi d’argento. Sono il pagamento per la tua anima e li terrai con te per tutta la vita. Con essi potrai contrattare altri benefici che potranno costarti più o meno pezzi a seconda della richiesta. Potrai diventare il miglior chitarrista del mondo, o persino il Presidente degli Stati Uniti, se questa è la tua aspirazione. Ed ora il punto forte della questione: se tu dovessi morire, senza aver speso l’ultimo pezzo d’argento, la tua anima sarà libera.”

“Che succede se rifiuto?”, ripeté ancora il giovane.

“Tornerai ad essere la nullità che eri, e il rimpianto di esserti lasciato sfuggire una tale occasione ti perseguiterà per sempre. Come ti stavo spiegando prima che tu decidessi di cercare inutilmente di scardinare la porta, ti ho dato un incentivo in queste settimane.”

“C-che cosa? Mi hai morso?”

“No, non pranzo con il lavoro, generalmente. Tende a complicare orrendamente le cose. Tu, piuttosto, hai bevuto il mio sangue. È stato semplice farne cadere una goccia in uno dei tuoi drink. Gli incubi che ti affliggono non sono altro che ricordi, più o meno nitidi, della mia vita.”

“Mi trasformerò in un…?”

“NO. No, per l’amor del cielo, NO! Dimentica tutto quel che puoi aver letto o visto sull’argomento, per cortesia. Non ho tale capacità, né la vorrei. Il mio sangue è come una sostanza stupefacente: catalizza le tue abilità e le incrementa, ma non succede nient’altro. Certo, un utilizzo prolungato, o eccessivo, può portare alla pazzia e alla morte, ma non è ancora il tuo caso e non lo sarà mai. Che tu decida o meno di accettare l’accordo, questa sarà l’ultima volta in cui ci incontreremo.”

Jonathan impallidì. Ammaliato com’era dall’incanto dell’altro, o forse dal suo sangue, percepì male l’idea di tale separazione, nonostante fosse al di là di ogni logica.

“Non preoccuparti, passerà presto. Ti dimenticherai di me.”, disse Lucien, alzandosi e dandogli le spalle, “Tutti lo fanno.”, aggiunse, posando il bicchiere sull’isola di cucina.

“E gli incubi?”

“Se ne andranno anch’essi.”

Cadde un silenzio pesante, rotto solo dal tintinnio dei pezzi d’argento che erano caduti quando Jonathan se li era maldestramente rovesciati sulla mano. Lucien commentò l’accaduto con uno sbuffo.

“Posso prendermi del tempo prima di decidere?”, domandò il ragazzo, affrettandosi a raccoglierli e a reinfilarli nel sacchettino.
Mosse un passo, incerto, poi però si decise ad avanzare verso il vampiro con una certa sicurezza. L’altro non si voltò neppure, pigramente curioso di scoprire le sue mosse. Un sorriso gli sfuggì quando sentì la sua mano sulla scapola.

“Sei… freddo.”

“Succede, di solito, quando sei anche morto.”, ribatté, scoccandogli un’occhiata da sopra la spalla.
“Ad ogni modo, non c’è bisogno che tu mi dia il sacchetto. Puoi tenerlo, ma se userai anche solo uno di quei pezzi d’argento, il contratto sarà sancito. Va’ pure, la chiave è agganciata accanto al portone. Prima che tu lo chieda: sì, è stata lì tutto il tempo.”

Jonathan si ritrasse solo quando l’altro si voltò con lentezza.

“Allora? Non hai più così tanta fretta di uscire?”, si sentì interrogare.

Deglutì, fissando quegli occhi scuri e si sentì smarrito.
“N-no… credo di no.”




Thomas premette a tavoletta l’acceleratore dell’auto a noleggio e procedette spedito lungo la superstrada che collegava l’aeroporto a New Orleans. Aveva paura, non sapeva di preciso di che cosa, ma sentiva che doveva raggiungere Jonathan il prima possibile. Aveva ricevuto i suoi messaggi e ora seguiva, nel panico, le direzioni che il navigatore gli stava dando. Inchiodò di botto e balzò giù dalla macchina senza neppure spegnere il motore, quando raggiunse il numero 333.
Il portone era socchiuso quindi salì le scale di volata e picchiò con i pugni all’uscio. Lucien aprì poco dopo, con un asciugamano legato in vita e il corpo ancora umido.

“Dov’è?!”, strillò Thomas, spingendolo indietro e facendo irruzione nell’appartamento.

Il vampiro roteò gli occhi.
“Quanto detesto i fidanzatini sul cavallo bianco!”, borbottò, scoccando un’occhiata infastidita al giovane.
Gli fu addosso in un attimo e stava per azzannarlo alla gola quando un profumo che ben conosceva anticipò la brusca riapertura della porta.
Si bloccò, tenendo fermo Thormas con una stretta d’acciaio.

“Tu non dovresti essere qui.”, disse, senza voltarsi, consapevole che se il suo cuore avesse potuto ancora battere, si sarebbe fermato di botto per un lungo istante.

“Lascialo andare!”, lo ammonì Richard, avanzando nell’appartamento con la pistola sguainata.

Lucien ubbidì, scaraventando il ragazzo contro la parete con spropositata violenza. Si voltò quindi verso l’uomo.
“Tu non dovresti essere qui.”, ripeté con gli occhi tinti dal rosso del sangue.

“Dov’è l’altro ragazzino?”, domandò Richard, stringendo l’impugnatura dell’arma con ansiosa frenesia.

Il vampiro scrollò le spalle, fissando Thomas, privo di sensi sul suo pavimento.
“Non ne ho idea.”

“Non mentirmi!”

Lucien si avvicinò, lasciando che la canna della pistola gli si posasse sul petto.
“Sei invecchiato.”, constatò, guardando le sottili rughe che contornavano gli occhi azzurri dell’unica creatura che avesse mai amato in quella sua lunga vita.

“Il ragazzino.”

“Oh, andiamo, sono passati ventisei anni, Richard! Che ti importa di questi due?”

“Mi sei arrivato troppo vicino per la seconda volta.”, sibilò l’uomo, deglutendo, “Ho passato tutti questi anni a cercare di dimenticarti!”

“E io a ricordarti.”
Gli strappò di mano l’arma all’improvviso e la lanciò lontano, poi gli si avventò contro sino a costringerlo con le spalle alla porta. Gli sfiorò il viso con le dita, carezzando quei lineamenti così cambiati, eppure ancora così belli. Chiuse gli occhi e abbandonò il capo contro la sua spalla, inspirando forte il suo profumo.

“Hai quasi ucciso mio fratello…”, gemette Richard.

Lucien si risollevò per guardarlo.
“Dovevo forzarti la mano… indurti ad usare il tuo primo pezzo d’argento. Non avevo altra scelta. Vattene da qui!”

“Non senza quei due ragazzi.”

“Perché loro?!”, tuonò Lucien, “Perché non due delle centinaia di giovani che ho corrotto o ucciso negli ultimi ventisei anni?”, si fece indietro bruscamente, “La tua ipocrisia mi sgomenta.”

“Perché ho finalmente capito cosa è giusto.”
Richard prese il sacchettino di velluto che teneva nella tasca della giacca e rovesciò a terra le piccole pepite d’argento.

“Oh, no, non oserai!”, esclamò Lucien, “E se vuoi farlo, io non starò qui a godermela.”

“E dove vuoi andare? C’è ancora luce, fuori.”, gli fece notare l’uomo.

Il vampiro digrignò i denti, per poi sedersi sul divano e incrociare le braccia al petto. La situazione era già critica senza complicarla ulteriormente.
Richard non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era un’effrazione pericolosa che senz’altro non sarebbe rimasta impunita. E, per quanto fossero passati oltre due decenni, i sentimenti che provava per lui erano tutt’altro che svaniti.
“Mettili via, adesso.”

“No.”

“Richard, per l’amor del cielo! Non lo so davvero dove sia andato a cacciarsi quel ragazzino. Sento solo che è abbastanza vicino. Tre, quattro chilometri! Non gli ho ficcato in culo un GPS!”

L’altro non diede segno di volerlo ascoltare, quindi Lucien si rialzò e, afferrati i pezzi d’argento, li lanciò lontano. Si guardò poi la mano e le scottature che quel gesto gli aveva lasciato; ringhiò di frustrazione.
“Hai subito irreversibili danni cerebrali negli ultimi due decenni?”, lo apostrofò duramente.

Richard deglutì e distolse lo sguardo.
“So che tu sei diverso… o che lo eri. Lo sento.”

“Oh, povero cuore!”, esclamò Lucien con teatralità, “Mi dispiace deludere le tue aspettative a posteriori, ma prima ero persino peggio! Nient’altro che un inutile bibliotecario di uno sperduto paesino francese, così spaventato dalla vita e dalla propria sessualità da fuggire via alle prime voci per finire qui. Qui! In questo Ètat de merde¹ che mi fa sperare da secoli di finire all’Inferno pur di far cessare la nausea rivoltante che sento dentro! Tu critichi quello che sono e lo condanni, ma non c’è niente, NIENTE, di diverso tra me e un qualsiasi povero stronzo costretto a bussare ad ogni porta per indurre povera gente ad acquistare qualcosa che non serve a nulla, o a strozzarli con assicurazioni varie ed eventuali che non porteranno ad altro che ad una dannazione terrena di spese su spese su spese per comprare l’illusione di una vita serena! Sono un venditore, né più né meno, gli uomini devono sbarcare il lunario, io non posso proprio esimermi. Hai visto con i tuoi occhi cosa succede se ci provo. Ho rischiato la mia vita per cercare di convincerti a non accettare l’accordo di Samedi. Tuo fratello sarebbe morto per le ferite che io gli avevo inflitto? En Enfer lui et sa misérable vie! Le persone muoiono ogni giorno, ma tu, tu!, non dovevi accettare quei trenta denari. Invece l’hai fatto e, di tanti che erano, te ne restano cinque. Nessuno è mai riuscito a non usarli tutti, non ha importanza se per buon cuore o per ambizione, e io sapevo, lo sapevo, che avresti fatto la stessa fine!”
Lo guardò con intensità, con le iridi vermiglie colme di sofferenza.
“Era trascorso molto tempo, e, pensa un po’, anche la morte!, dall’ultima volta che mi ero concesso di amare, Richard. E tu, stupida creatura… non hai mai disatteso alcuna delle mie aspettative, né dei miei desideri. Non volevo gettarti in questo. Ho cercato di contrattare con Samedi, prima di proporti l’accordo. Strisciai ai suoi piedi, lo supplicai di poterti lasciar perdere, promettendogli mille, diecimila, centomila anime pur di salvare solo la tua. Sai cosa mi rispose? Mille, diecimila, centomila e uno anime sono comunque meglio, la sua non verrà risparmiata. Non fraintendermi, però, tu scuoti la mia apatia, non il genere umano, non il bene del mondo. Danzerei alle trombe dell’Apocalisse più che gioiosamente, se tu non esistessi. Come vedi, mi sono cercato la maledizione inflittami. È trascorso molto tempo, ma ricordo ancora la notte in cui quella povera donna mi implorò di nascondere lei e la figlia perché non le stuprassero e massacrassero solo perché avevano la pelle del colore allora giudicato sbagliato; non che ora l’integrazione abbia fatto passi da gigante, ben chiaro, ma questo è un altro discorso. Finsi di dar loro un nascondiglio, poi, da miserabile e mansueto cane qual ero, invitai i loro aguzzini. Preferisco avanzarti i dettagli, Richard, dubito che ti piacerebbero, ma suonai il violino per loro per tutta la notte come lo facevo per te: soavemente. Non recrimino su quel che mi è capitato, l’ho meritato. Anzi, trovo che il Vodoo sia très poétique, ma la verità è che sono già morto una volta e sono terrorizzato all’idea di farlo di nuovo. Non per l’Inferno, di quello mi importa davvero molto poco, dubito possa essere peggiore di un qualsiasi momento della mia esistenza. No. No. È quel singolo istante, Richard. Breve eppure eterno. Fui grato al mio schiavista per avermici strappato e, fintanto che potrò evitarlo, rimarrò il mansueto cagnolino di sempre. La ribellione che ho mostrato in tuo favore non è stata altro che un guizzo da non ripetere né ora né mai.”

“Sto morendo. Tumore al cervello. Non ho né i soldi, né la voglia di imbarcarmi nella trafila ospedaliera, lo lascerò solo fare, o vi porrò fine prima. Dannazione per dannazione, che vuoi che mi importi?”, gli rispose semplicemente l’uomo, ma sussultò nello scorgere il dolore sul viso del pallido amante.

“Potresti usare…”

“No.”, lo interruppe Richard, “Non cadere nel tuo stesso giochetto.”

“Hai ragione…”
Lucien strinse i pugni e gli diede le spalle.
“C’è qualcosa che..?”

“Salva questi due ragazzini.”

“Non posso, né voglio.”, ribatté il vampiro, guardando Thomas, ancora svenuto sul suo pavimento.
“O dovrei forse mettermi a rischio solo perché tu lo chiedi?”

Richard a questo non rispose. Gli si avvicinò e, inducendolo a voltarsi, fece quel che entrambi bramavano dal momento in cui era entrato nell’appartamento: unì la bocca alla sua e lo strinse forte tra le braccia. Gli era mancato quel corpo freddo, innaturale e perfetto come una statua. Lucien tremò nella sua stretta e chiuse gli occhi, rispondendo al suo bacio con affrettato bisogno, per poi abbassare il viso sul suo collo e assaporare quell’odore che tanto gli era mancato. Era mutato con gli anni, ma non abbastanza da non scuotere con dolorosa violenza il suo cuore morto.
Lo chiamò per nome, tenendolo contro di sé. Resistette per poco alla tentazione di strappargli di dosso quella sciarpa, per poi affondare i canini nel suo collo e prendere un lungo sorso. Richard non aveva mentito: era davvero malato, lo percepiva chiaramente dal retrogusto amaro del suo, altrimenti, dolcissimo sangue. Lo sentì gemere e fremere tra le sue braccia, ma smise di bere prima di fargli davvero del male e passò le dita sulle vecchie cicatrici che gli aveva lasciato, ora umide di saliva e di sangue.

“Sei ancora bellissimo.”, gli mormorò, “Ma non sei più il ragazzino spaventato che conoscevo.”

Richard piegò le labbra in un sorrisino di scherno.
“Che modo raffinato per dire sei vecchio.”, commentò, sfuggendo al suo abbraccio.

“Direi piuttosto che finalmente hai l’età giusta per non farmi sentire troppo a disagio.”, ribatté Lucien, ammirando, silenzioso, il suo profilo maturo e quei primi capelli bianchi che spuntavano tra i suoi ciuffi corvini.

“Questo non cambia nulla.”

Il vampiro sollevò gli occhi al cielo.
“Ma sei sempre un maledetto testardo.”, commentò.
Stava per rincarare la dose, ma lasciò perdere quando sentì dei passi lungo le scale, e Jonathan, poco dopo, sorpassò la soglia dell’appartamento.

“Il lavoro mi chiama…”, sospirò Lucien, infastidito dallo strillò del povero ragazzino che aveva visto il fidanzato riverso a terra.
Si allontanò da Richard e camminò con passo sicuro verso Jonathan.
“È solo svenuto, ma le cose potrebbero cambiare.”, gli disse con tono monocorde e piuttosto sbrigativo.

“Che gli hai fatto, bastardo?!”

“Quanta preoccupazione da parte di uno che voleva farsi sbattere su quel letto dal sottoscritto…”

“Voglio fare un accordo.”, esclamò Richard all’improvviso.

Lucien irrigidì la schiena e il sangue gli si gelò nelle vene, ma non commentò. Ormai il danno era fatto e non si poteva più tornare indietro.

“Mi stavo giusto chiedendo quando questo teatrino sentimentale avrebbe avuto fine.”, commentò Samedi, entrando dalla porta spalancata.
“Mi ha annoiato talmente tanto che mi è passata persino la voglia di punire entrambi per l’effrazione che avete commesso.”, aggiunse, rivolgendo un’occhiata a Lucien, “Allora, Richard, che cosa vuoi? Cosa voglio io, ormai lo sai.”
Il nero demonio sorrise sotto i baffi. Picchiettò a terra col ricco bastone da passeggio e il tempo si fermò, lasciando Jonathan cristallizzato sul pavimento, mentre cercava di raggiungere la pistola.

“Non vuole nulla.”, si intromise il vampiro.

“Tu farai meglio a rimanere in silenzio. Non sono noto per la mia benevolenza.”

“Quattro pezzi d’argento per la sua libertà.”, rispose Richard, stringendo i pugni.

Il sorriso di Samedi si allargò ancora e il bagliore dei suoi occhi rossi sorpassò persino la barriera delle lenti scure dei suoi occhiali.
“Questa sì che è una richiesta!”, esclamò, divertito.

“Non voglio essere libero!”, esclamò il vampiro, terrorizzato.
Pagò cara la sua insolenza e, ad un singolo cenno del suo padrone, volò dall’altra parte della stanza e si schiantò con violenza contro i pensili della cucina, fracassandoli.

“Quel che vuoi, Lucien, non è di alcuna rilevanza in questa trattativa.”

Anche Richard sorrise.
“Ben detto.”

“Nonostante questo...”, riprese Samedi, “... quattro sono un po’ pochi, non credi?”

L’uomo recuperò da terra i pezzi d’argento uno per uno.
“Sì, sapevo che l’avresti detto. Quattro per la sua liberazione e con la garanzia che non gli torcerai un capello da qui all’eternità, in nessun caso. Uno, l’ultimo, per levarmi questo cancro dal cervello. Sai perfettamente che non li userei per null’altro. Non vorrai mica perdere il primato, vero?”

“No! Samedi, NO!”, ritentò Lucien, balzando in avanti e frapponendosi tra loro, “Hai sempre detto che sono il migliore, quattro pezzi d’argento, o cinque non valgono…”

“Accetto.”, lo interruppe il demone.

Le pepite che Richard stringeva in mano svanirono l’una dopo l’altra in piccoli sbuffi di fumo nero e con esse sparì anche Samedi.
Jonathan raggiunse la pistola e, rapido, la puntò contro Lucien.
“Non ti avvicinare!”, sentenziò.

“Non ho alcuna ragione per farlo.”, ringhiò il vampiro, voltandosi verso Richard, “E tu!”, gridò, raggiungendolo, “Sei la creatura più stupida che mi sia capitato di incontrare!”, tuonò.

“Dobbiamo aiutarli.”, mormorò l’uomo, “Ho ancora una lunga vita, davanti, adesso. Troveremo una soluzione per salvare le nostre anime, ma non ci sarà perdono, né redenzione se non facciamo qualcosa...”

“Tutto questo è molto tenero, ma la pratica non ti appartiene più, Lucien. Adesso è mia.”, disse una terza voce.

“Chantal…”, sospirò il vampiro, scoccando un’occhiata alla donna. Non aveva mai capito che creatura fosse di preciso, forse una strega, forse qualcos’altro ancora. Sapeva solo che era molto diversa da lui, aveva ben altre capacità, e che, come in quel caso, spesso si erano trovati a collaborare, forse addirittura a concorrere.

“Prendi il tuo umano e vattene.”, sibilò lei, ostile.

Richard lo afferrò per un polso.
“Non possiamo lasciarli. Ti prego.”

Chantal non si curò più di loro e si rivolse a Jonathan.
“Il tuo fidanzatino sta morendo.”, gli disse senza particolare contrizione, “E non dovrò neppure intervenire. Il colpo che gli ha tirato Lucien gli ha provocato una commozione cerebrale. Certo, potresti comunque chiamare un’ambulanza, ma, anche se sopravvivesse, resterebbe un vegetale per il resto dei suoi giorni. Che peccato!, era un giovane così promettente… Ma c’è una soluzione. Dimmi, Jonathan, eri venuto qui per accettare il patto o per rifiutarlo?”, chiese, indicando il sacchettino di velluto che sbucava dalla tasca dei suoi jeans, “Basterebbe un solo pezzo d’argento per salvargli la vita.”

“Ti prego…”, mormorò ancora Richard.

Lucien deglutì, incerto, poi, d’improvviso agì. Fu rapido a raggiungere Thomas e ancora di più lo fu nello spezzargli il collo di netto. La morte, in fin dei conti, era qualcosa di fronte a cui neppure Baron Samedi poteva fare alcunché se non vi erano maledizioni di mezzo.
“Questo chiude la questione, e tu faresti bene a rifiutare.”, disse al ragazzino che, sotto shock, fissava il corpo morto del compagno, “Come avresti dovuto fare dal primo momento, piuttosto che prenderti del tempo per pensarci su. È morto per colpa tua, d’ora in avanti, convivici.”
Guardò quindi Richard.
“Era questa la soluzione che volevi? Credimi era davvero l’unica.”

L’uomo si coprì la bocca, orripilato. No, non era quello che voleva. Lui, in una visione sin troppo romantica, aveva pensato, sperato, di poter salvare davvero quei due ragazzi, non di assistere, impotente, all’omicidio dell’uno e all’annientamento dell’altro.
Non era per questo che aveva gettato al vento la sua anima per salvare Lucien...
Lucien… la persona che credeva diversa, che aveva idealizzato al punto di ritenerla capace di agire e pensare con umanità e amore. Ma non era il giogo a renderlo un mostro, lo era davvero e Richard l’aveva capito troppo tardi.
Gridò per quel tradimento, colmo di rabbia e di disperazione, prima di correre da Jonathan per trascinarlo via da quella maledetta casa e non farci mai più ritorno.
Il vampiro lo guardò uscire, troppo sorpreso per dire alcunché. Aveva fatto l’unica cosa possibile, l’unica logica e utile, in fin dei conti: Thomas non avrebbe mai potuto vivere, Jonathan sì…
Che cosa aveva sbagliato?

Chantal sorrise, avvicinandolo.
“I miei complimenti, amico mio. La prima cosa che hai fatto da vampiro libero è stata distruggere quel che ti era più caro. E dire che ti consideravo un diplomatico.”


Epilogo:

La luce aveva appena ceduto il posto alla notte e il vampiro camminava già da tempo lungo le vie di quella detestata città. Cercava Richard, ma non vi erano tracce di lui, né Samedi sembrava voler rispondere ai suoi appelli.

Era solo.

Di nuovo solo. Come lo era stato quando, oltre due secoli prima, si era imbarcato per raggiungere gli Stati Uniti, la Terra Promessa. Aveva dimenticato quanto fosse terrificante tale sensazione e adesso si sentiva smarrito. Aveva perduto l’amore; e persino la mancanza di quelle catene che tanto a lungo lo avevano tenuto rinchiuso entro i confini di quella maledetta prigione era opprimente.
Era libero, adesso.
Libero di fare quel che voleva e di andare ovunque, ma non ne trovava il senso. Sollevò lo sguardo su uno dei lampioni a gas che illuminavano la via, così simile a quello che aveva distrattamente guardato prima di mettersi al lavoro su Jonathan. Ma la consapevolezza che nessun corvo, o alcun altro messaggero, vi si sarebbe posato per impartirgli un compito lo fece sentire vuoto e inutile.

“Richard…”, mormorò in un roco singhiozzo, mentre lacrime di sangue gli scivolavano lungo le guance.

Aveva vissuto ventisei anni con il suo ricordo, nella speranza ingenua che, forse, un giorno, il destino sarebbe stato tanto benevolo da farli incontrare ancora. E sebbene quel giorno fosse arrivato, lui era riuscito lo stesso a rovinare ogni cosa e senza neppure capire il perché.

Senza rendersene conto si ritrovò di fronte alle porte di una piccola chiesetta di periferia. Strinse i pugni, furibondo, ed entrò sfondando l’uscio di legno.
Avanzò lungo il breve sagrato per fermarsi davanti all’altare e guardare la croce.

“Ridammelo!”, urlò, scosso da singhiozzi di cieca furia, “O almeno concedigli la salvezza! È un brav’uomo, lui, che non ha fatto altro che scegliere la via della dannazione per fare quel che era giusto! È forse sbagliato ai tuoi sadici occhi?! E che dire di me? Meritavo davvero una vita e un’eternità di sofferenza? Qual è stato lo sbaglio che ti porta ad avere tanto accanimento contro di me? Nascere? Forse l’amare il sesso sbagliato? Quale?! Rispondi! Perché se io esisto, abominevole nella mio trascendere l’umana natura, allora qualcosa di vero dev’esserci anche in te! Mi devi un po’ di serenità, la merito! Io… io la merito...”
Crollò in ginocchio, piangente, ma nessuna risposta gli giunse dalla croce, né dal fantoccio ligneo che raffigurava un uomo che, di certo, non si era sacrificato per lui.

La voce del prete lo fece sobbalzare. Tanto distratto dal suo appello, non l’aveva udito uscire dalla sacrestia.
“Non è così che funziona, figliolo.”

“E allora come?!”

“Non puoi presentarti qui e sbraitare i tuoi ordini a Dio. Puoi chiedere, con umiltà, e avere fede che ascolti le tue preghiere…”

“Umiltà?!”, ringhiò Lucien, “Dopo tutto questo, prete?!”

“L’Onnipotente ci mette alla prova ogni giorno. Solo di fronte alle avversità, infatti, si può scorgere la purezza dell’animo delle genti.”

“E allora affronta questo!”



La mattina dopo, le prime anziane e devote fedeli trovarono il loro povero parroco sgozzato. Il suo sangue imbrattava le pareti, le panche e il pavimento. Il crocifisso era stato divelto, le conche dell’acqua benedetta rovesciate, e una scritta vermiglia torreggiava al posto del simbolo del sacrificio di Cristo.


JE TE MAUDIS!



Note:
1) Le traduzioni dal francese le metto qui, tutte insieme, per evitare di far mille apici: “Ètat de merde”vuol dire: paese di merda; “En Enfer lui et sa misérable vie!” vuol dire: all'Inferno lui e la sua miserabile vita; “Très poétique” vuol dire: molto poetico; Je te maudis”, invece, vuol dire: io ti maledico.
Secondo e, per fortuna, ultimo capitolo di questa cosa, se vi va di lasciare un commento, è ben accetto. Grazie infinite di esser giunti sin qui.
Un bacione,
Ros.
   
 
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