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Autore: Bertu    04/02/2015    8 recensioni
Matteo è chiamato da tutti il Gigante Buono. 208 centimetri di tenerezza e amore da donare, anche se preferisce riversarlo sui piccoli pazienti dell'ospedale dove lavora che su una ragazza. Sorriso perfetto e braccia da favola, potrà mai diventare il Grande Gigante Innamorato?
Lucia abiti di fronte a Matteo, ma, complici gli orari diversi e una vita sociale inesistente, non l'ha mai incontrato. Dolce e romantica, ha un debole per i sorrisi, le belle braccia e i bambini. Sogna ormai da anni il suo "Mister X", anche se sa che non lo incontrerà mai: quando parla a un ragazzo balbetta sempre, purtroppo.
Tutto questo, però, è destinato a cambiare.
Gli amici di Matteo e la piccola Cisky uniranno le loro forse non solo per farli finalmente incontrare, ma per svolgere il ruolo di Cupido.
Saranno balbettii?
Sarà indifferenza?
Oppure sarà... amore?
Solo una cosa è certa. Come dice Ivano: "L'amore non è questione di testa, ma di pancia. Anche se io ho solo addominali scolpiti".
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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UN GRAZIE ALLA MIA SAM PER IL BELLISSIMO BANNER *^*

Capitolo 17
 
Avrebbe potuto tranquillamente chiamarla “La giornata del ricordo”: quel mercoledì ogni cosa sembrava volergli ricordare la sua famiglia.
E, per una volta, non intendeva i suoi amici, Lucia e la piccola Ciksy.
 
No.
Per una volta, per una sola, misera volta, aveva passato tutta la giornata a pensare ai suoi genitori e ai suoi nonni. Quei genitori con i quali non andava assolutamente d’accordo e i nonni che l’avevano adorato finchè avevano potuto.
 
Tutto era iniziato in modo estremamente dolce: la pausa di metà mattina stava giungendo al termine così come il pacchetto di patatine acquistato alla macchinetta. Si era fermato davanti ala finestra intento a osservare il panorama quando aveva sentito un nome fin troppo famigliare rimbombare per il corridoio.
 
- Tilde! Tilde! Smettila di correre!! Maria Tilde, fermati ti prego. Ascoltami, andrà tutto bene…!! -
Matteo si girò, credendo di vedere una ragazza prossima alla maggiore età, invece si imbatté in una bambinetta che, su per giù, era più vicina agli otto anni.
Indossava un pigiama viola con delle nuvole bianche e, ferma nel bel mezzo del corridoio, stava facendo dei respiri profondi, cercando di normalizzare il battito cardiaco e il fiatone.
 
Matteo le si avvicinò, lasciando sul bordo della finestra ciò che rimaneva delle patatine.
- Stai bene? – le chiese con tono professionale, cercando con lo sguardo di capire ciò che le parole non avrebbero mai detto. Lei non rispose, continuando a tener lo sguardo fisso sul pavimento. Per incentivarla, Matteo le posò una mano sulla schiena e cominciò ad accarezzarla, cercando di calmarla e di trasmetterle delle sensazioni positive.
- Sto bene, grazie – la voce era ancora tremante, ma l’infermiere vi percepì una forza insolita per una bambina di quell’età.
- Sicura? –
- Sì –
 
Maria Tilde alzò lo sguardo e Matteo sentì il proprio cuore in gola.
Occhiali viola.
Occhi verdi.
Un piccolo neo sopra al labro.
Il viso di quella piccola era identico a quello di un’altra Tilde che Matteo aveva amato con tutto il cuore.
Sua nonna.
 
Inginocchiandosi lo osservò meglio per vedere se ci fossero ulteriori somiglianze o se si trattasse solo di un’allucinazione.
Ma gli occhi non cambiarono colore e il neo non si spostò.
Cercando in tutti i modi di respingere i ricordi che sembravano volerlo assalire come un’onda, il Gigante si alzò, sovrastando la piccola con tutta la sua altezza.
- Sei sicuro di star bene… sai, anche i dottori si ammalano! Lo hanno fatto vedere anche a una puntata di “Esplorando il corpo umano” -
Matteo si ritrovò a sorridere, pensando che quelle due avevano in comune anche la passione per i cartoni istruttivi.
Fece un respiro profondo cercando di ricordare che in quel momento non doveva dedicarsi a se stesso, ma agli altri e si concentrò interamente sulla bambina.
 
Fu in quel momento che notò il piccolo braccialetto di plastica blu intorno al suo polso e che prestò attenzione alla donna che l’aveva inseguita fino a lì.
Era Sandra, l’assistente sociale dell’ospedale.
Il braccialetto blu serviva a identificare i figli minorenni delle vittime coinvolte in un incidente stradale. Raramente gli veniva chiesto di prestar servizio in quel reparto e anche durante il periodo di tirocinio aveva evitato traumatologia come la peste.
Fece un segno con la testa a Sandra, comunicandole mentalmente che avrebbe portato la piccola Tilde in pediatria e che le avrebbe medicato meglio quella ferita che aveva sul braccio. I punti, applicati malamente, sembravano essere saltati.
 
La prese per mano, allungandosi e acchiappando il pacchetto di patatine lasciato vicino alla finestra per poi porlo alla bambina.
- Come ti chiami? -
- Matteo –
- Matteo, il Grande Gigante Gentile – disse con un sorriso, per poi fare spallucce. – Ѐ un romanzo di Roal Dahl… mi piace leggere –
 
Il Gigante sorrise, come per dirle che non le importava.
- Anche alla mia bambina piace leggere… o meglio, ama quando le leggiamo le storie. È piccolina, inizierà a breve l’asilo -
Tilde sobbalzò per poi stringere i denti e far finta che non fosse successo nulla.
- Tu sei un dottore? -
- Un infermiere –
- Se ti chiedo una cosa, risponderai sinceramente? –
- Se posso… certo –
 
La bambina abbassò gli occhi, prendendo gli occhiali in mano prima che cadessero.
- Puoi dirmi se la mia mamma morirà? –
 
***
 
Matteo era arrivato a casa più tardi del solito. Aveva mandato un messaggio a Lucia inventandosi una conferenza, ma in realtà aveva passato buona parte del pomeriggio con Tilde. Si era preoccupato di medicarla e assicurarla che nonostante la madre avesse avuto un incidente stradale molto grave, il dottor Borri era un medico geniale e sapeva il fatto suo. L’intervento di chirurgia generale era andato bene e Tilde si era risollevata quando il suo papà era comparso in sala d’aspetto.
 
A dir la verità, Matteo aveva finito il turno puntualmente. Però, mentre si cambiava e si dirigeva alla macchina, aveva deciso di fare una deviazione. Era andato dal fioraio dove lavorava Alice e aveva preso una dozzina di girasoli e altrettante rose gialle. Era poi andato al cimitero, dove era restato per tanto tempo a fissare quel marmo bianco e quella fotografia che lui stesso aveva scattato.
L’aveva toccata con la mano fredda, tentando di stabilire un contatto, sperando, in un modo o nell’altro che quella cosa lo calmasse. Purtroppo, nulla era andato secondo i suoi piani ed era arrivato a casa più triste e depresso che mai.
 
Non voleva che né Lucia né Cisky lo vedessero così, ma d’altronde cosa doveva fare?
Le sue donne lo aspettavano a casa e non poteva rimanere in giro per sempre.
E ormai era al parcheggio da più di dieci minuti.
 
Si sentiva… strano.
Di solito quando gli succedeva provava nostalgia, ma nulla che qualche bel ricordo non riuscisse a far scomparire. Invece, adesso, ogni pensiero era inutile.
Mentre cercava di non sbattere la testa contro il volante, pensò a una soluzione. Per la prima volta in tanti anni gli venne voglia di chiamare i genitori per poter ricevere un po’ d’affetto, ma poi si ricordò che qualsiasi tentativo avrebbe fatto… sarebbe stato inutile.
 
Sospirò, aprì la portiera e scese dall’auto, incamminandosi lentamente lungo la strada per arrivare a casa. Contrariamente a quanto faceva di solito, non salì gli scalini in fretta, ma cercò di ritardare l’arrivo alla porta il più possibile.
Prima di entrare fece un respiro profondo.
Tuttavia, appena aperta la porta, non riuscì a trattenere la rabbia.
 
Cisky era seduta sul divano e toccava uno degli oggetti che stava più a cuore a Matteo.
- Dove l’hai trovata? – chiese dandole le spalle, cercando di sbollire la rabbia.
- Non è bella? Mi piace tanto –
Cisky sorrideva e scuoteva i codini a ritmo.
- Francesca, rispondi alla mia domanda. Dove l’hai trovata? -
La piccola lo guardò meglio e il sorriso si spense. Non rispose e, sotto lo sguardo inquisitore di Matteo, cerco di sprofondare nel divano.
Matteo si avvicinò di un passo, facendo pesare tutta la sua altezza sulla piccola.
- Francesca, quando ti viene fatta una domanda è cortesia rispondere. Dove l’hai presa? Dimmelo. Subito. Prima che mi arrabbi sul serio -
 
- Ehi…. Ma si può sapere che ti prende? -
Solo in quel momento Matteo sembrò accorgersi della presenza di Lucia, comparsa all’improvviso davanti ai suoi occhi, il corpo che faceva da scudo alla bambina.
I suoi occhi erano battaglieri e le mani sui fianchi le davano un tono più aggressivo. Nonostante ciò, nulla reggeva al confronto con l’altezza di Matteo.
- Dove l’ha presa? –
La ragazza sbuffò e si avvicinò ancora di un passo verso il Gigante.
- L’ho trovata io e pensavo che sarebbe stato bello suonare e cantare insieme -
 
Matteo scosse la testa, portandosi le mani tra i capelli.
- Tu non sai un cazzo, Lucia. Non devi immischiarti in cose che non sai -
Lucia guardò Matteo, poi Cisky e quello che teneva in mano.
Poi ancora Matteo.
- Spiegami… stiamo litigando per una chitarra? Una chitarra che risale alla Preistoria e che era nel tuo ripostiglio a fare la polvere, finché io e Cisky non l’abbiamo tirata fuori, accordata e suonata? -
 
Effettivamente, usando quelle parole la rabbia di Matteo sembrava del tutto fuori luogo, eppure era arrabbiato esattamente per quel motivo.
- Quella è la mia chitarra e voi non avevate diritto a utilizzarla. Assolutamente nessun diritto -
 
Matteo diede un calcio al tavolino e il vaso tremò; dell’acqua trasbordò e sporcò il ripiano superiore. Per una volta pensò solo a se stesso, al suo dolore, alla sua chitarra, quella chitarra che non aveva visto la luce per anni e anni e che non era destinata a vederne ancora per molti. Per una volta da molto tempo non pensò agli altri, non mise al primo posto il loro benessere e il loro stato d’animo.
No.
Pensò solo a se stesso, a ciò che avrebbe dovuto fare per rimediare al disastro e portare di nuovo pace nella sua mente.
 
Solo quando la porta si richiuse, il Gigante capì di essere rimasto da solo.
Perfetto.
Ottimo.
Era esattamente ciò che chiedeva.
Prese il vaso e lo schiantò contro il muro. Si avvicinò al disastro e fu attratto dalle grandi schegge di vetro che, adesso, popolavano quella parte di parquet.
Ne prese una in mano e urlò tutto il suo dolore.
 
***
 
 
Diario di Cisky
Nonostante il chiasso che c’è nella casa di Luci e Cami, sento Matteo urlare dalla nostra casa. Dalla sua casa. Non avrei dovuto prendere quella chitarra. Matteo non la usa mai, quindi non avrei dovuto usarla nemmeno io.
Ma mi piace cantare e la mamma suonava sempre la chitarra. Io avevo un po’ imparato prima che andasse via… e adesso dovrò andare via anche dalla casa di Matteo. Dovrò lasciare Palla, lo zio Ivano e lo zio Luca, Luci, Cami e tutto il resto.
Sono molto triste.
Luci se ne accorge e mi abbraccia, stringendomi forte.
Forse si aspetta che io pianga. Ma non lo faccio. Solo le persone deboli lo fanno e io sono forte.
Però ho tanti dubbi e tanta paura.
- Mi vuole ancora bene? -
- Ti vorrà sempre bene. Gli passerà in fretta, vedrai. E se non succederà… lo convinceremo noi –
 
Luci mi tiene stretta ancora un altro po’, poi si alza e va verso la porta.
- Topina, non ti preoccupare. Ci penso io -
 
E mentre Luci esce e Camilla si affaccenda intorno a me, penso che se proprio Matteo mi farà andare via voglio che il mio Palla venga con me.
 

***
 
Lucia aprì la porta leggermente, senza bussare.
Tremava ma non voleva darlo a vedere.
Aveva paura. Sapeva che Matteo non avrebbe mai potuto farle del male, ma non lo aveva mai visto in quelle condizioni. Così arrabbiato e… ferito. Desiderò non aver mai visto quella chitarra o di aver resistito alla tentazione di prenderla, guardarla e sognare di spiagge, falò e baci dati sotto la luna.
 
L’appartamento era silenzioso. Con un passo superò la porta, ma continuò a tenere la mano sulla maniglia per prepararsi alla fuga.
Lo vide subito, seduto sul divano con un pezzo di vetro stretto in mano, il sangue scendeva lungo la superficie trasparente. Il suo sguardo era perso nel vuoto, non si voltò nemmeno verso di lei quando, superate tutte le sue paure, entrò dirigendosi direttamente alla cassetta del pronto soccorso.
Poi si sedette vicino a lui, facendo attenzione gli tolse il vetro tra le mani e cominciò a medicarlo. Sapeva che le sue doti infermieristiche lasciavano molto a desiderare, ma voleva fargli capire che sarebbe stato vicino a lui.
Sempre.
In qualsiasi situazione.
Avrebbero superato ogni litigio per poi uscirne più forti che mai.
 
- Era di mio nonno – disse Matteo evitando il suo sguardo.
- Doveva essere una persona speciale – disse Lucia finendo la medicazione. Poi portò la sua mano alle labbra e ne baciò il palmo.
Matteo la guardò, come se la vedesse per la prima volta. Si rilassò contro di lei, per poi scendere e appoggiare la testa sulle ginocchia della ragazza.
Se qualcuno fosse entrato all’improvviso, avrebbe certamente riso. Un Gigante d’uomo disteso su un divano che conteneva a malapena le sue gambe si faceva accarezzare i capelli da una ragazza minuta come uno scricciolo.
Ma le apparenze non contano, soprattutto in situazioni come queste.
 
- Amavo i miei nonni. Li amo ancora adesso, nonostante non ci siano più da anni. Se ne sono andati via troppo presto. Avrebbero amato Cisky. – Matteo la guardò, per poi chiudere gli occhi, come se il ricordo fosse troppo doloroso. – Avrebbero amato te -
 
Non sapendo bene che dire, Lucia preferì restare in silenzio, continuando ad accarezzare i capelli di Matteo, cercando di trasmettere in quel gesto tutto l’amore possibile.
- Provenivano da due classi sociali diverse, eppure si sono trovati e si sono amati. I genitori di mia nonna erano sarti e anche durante la Seconda Guerra Mondiale se la passavano abbastanza bene. Cucivano abiti su misura anche a personaggi importanti del Fascio, vivevano in città, avevano tutto. I genitori di mio nonno, invece, avevano una fattoria. Anche loro non se la cavavano malaccio, soprattutto perché avevano diverse mucche e conigli, e l’allevamento dei porcellini d’india di mio nonno -
 
Matteo rise mentre Lucia si limitò a sorridere, impaziente di ascoltare il resto della storia.
 
- Come avrebbero mai potuto incontrarsi? Sembra strano, forse un po’ troppo moderno, ma si conobbero a un bar. O meglio, a un’osteria. Non so cosa sia successo di preciso, perché ogni volta che provavano a dirmi qualcosa a riguardo ridevano entrambi, per poi guardarsi negli occhi e perdersi in un mondo tutto loro. Tuttavia, sono assolutamente certo che la nonna portò il nonno in negozio, perché si era rotta la manica della camicia. Cominciarono ad uscire insieme, ma di nascosto perché i genitori non approvarono. Quando il nonno chiese per la prima volta il permesso ufficiale di uscire con mia nonna, ricevette uno schiaffo in pieno viso. Ma lui non si diede per vinto e ritornò tutti i giorni e quando iniziarono a non aprirgli nemmeno il portone trovò un altro modo per farsi sentire. Un modo che nessuno avrebbe dimenticato -
 
Improvvisamente a Lucia parve tutto chiaro.
- La chitarra -
Matteo le baciò un ginocchio e poi continuò a raccontare quella bellissima storia.
- Mio nonno cominciò a farle serenate a ogni ora del giorno e della notte. Le cantava di tutto, oppure stava sotto la sua finestra semplicemente per farle compagnia. Tra di loro è stato amore a prima vista e non voleva che, non potendo più stare fisicamente insieme alla luce dei suoi occhi, lei credesse che aveva preferito andare a spassarsela con conquiste più facili -
 
Matteo si alzò, cominciando a riordinare il casino che aveva fatto. Lucia lo seguiva con gli occhi.
- Mio nonno suonò ogni giorno e ogni sera per sei mesi. La pioggia si trasformò in neve, poi di nuovo in pioggia. Vide le rose gialle fiorire e poi prepararsi all’inverno. Imparò a tenere la chitarra come se fosse un’estensione di se stesso. Ma quando ebbe il permesso ufficiale di uscire con mia nonna l’abbandonò per molto tempo. E poi, alcuni giorni prima di morire, la diede a me -
 
Matteo si risedette sul divano, pendendosi la testa tra le mani e cercando di non piangere. Non aveva mai parlato della morte del nonno con nessuno, quando era successo si era fatto forza per consolare la madre e soprattutto la nonna. Tutti credevano che avesse voluto la sua chitarra per capriccio, non sapeva nemmeno suonarla, perché tenerla?
C’erano ricordi migliori, eppure Matteo aveva puntato i piedi.
La chitarra.
Voleva la chitarra.
E alla fine l’aveva ottenuta.
 
Nessuno, forse adesso solo Lucia, sapeva che quella chitarra era destinata a lui. Era stato lo stesso Sergio a volerlo. Voleva che il nipote conoscesse il vero sapore dell’amore, i sacrifici che venivano fatti in suo nome. Quella chitarra doveva essere un augurio a trovare la sua Tilde, la luce dei suoi occhi e avrebbe dovuto, in qualche modo, essere uno strumento per conquistarla.
 
Matteo non aveva mai suonato la chitarra.
Nessuna delle ragazze con le quali era uscito o che avevano fatto sesso con lui non avevano mai superato la fase di conoscenza. Lo strumento era rimasto nel ripostiglio, non dimenticato, ma semplicemente a riposo, pronto ad aiutare il suo padrone a conquistare la ragazza dei suoi sogni.
 
- So di essermi comportato da coglione. Cisky non meritava un trattamento del genere. Eppure… - non trovando le parole Matteo preferì continuare a guardarsi i piedi.
Lucia gli prese la mano e poi si sedette a cavalcioni su di lui, le ginocchia che gli stringevano i fianchi. Lo obbligò a guardarla negli occhi e poi gli sorrise, uno di quei sorrisi non scontati che lo lasciavano senza respiro.
- Ti capisco. E non ti devi scusare… almeno non con me. Solo con Cisky. Non avremmo dovuto invadere il tuo spazio privato, mi dispiace -
 
Lucia lo baciò, gettandogli le braccia al collo e avvicinandolo il più possibile a sé.
Sentì le sue mani sulla schiena, che stringevano il tessuto della maglia per poi intrufolarsi al di sotto.
- Mi capisci così bene – le sussurrò all’orecchio. – Sei mia anche se non ti ho mai suonato nulla. Mia. Solo mia -
 
E così come aveva detto Camilla, Lucia capì che era quello il momento giusto.
Il momento che aveva aspettato da una vita.
Lì.
Non su un canonico letto, ma su un divano.
Non tra le candele profumate, ma tra i vetri rotti.
Non dopo aversi dichiarato amore eterno, ma dopo essersi confidati un segreto.
 
Si premette di più contro di lui, approfondendo il bacio, accarezzandogli il collo e i capelli. Sospirando quando le labbra di Matteo si spostarono sul suo collo e le sue mani le diedero brividi alla schiena.
Lo voleva. E per la prima volta capiva perfettamente cosa significassero queste parole.
 
Dopo minuti scanditi da sospiri, lui l’allontanò leggermente, in modo da poterla guardare negli occhi.
- Grazie -
Lucia lo baciò.
Spesso i gesti, le azioni, rendono più di mille parole.
Poi gli circondò il viso con le mani e lo guardò negli occhi.
Senza bisogno di parole, Matteo capì tutto.
 
E le sorrise.
Le baciò i capelli, guardando oltre di lei.
Ancora una volta, la chitarra aveva visto la vera nascita di una storia d’amore.
 
 
Ciao ragazze.
Eh sì… finalmente è arrivato il capitolo tanto atteso. Spero vi sia piaciuto e che ne sia valsa la pena aspettare così tanto.
Cosa vi è successo in questi luuuuuunghi mesi?
Io… mi sono laureata, ho iniziato la magistrale, aperto un blog e fatto l’iscrizione in palestra xD Quante cose, Bertu! Brava! E voi? Raccontatemi :)
Vi ringrazio per i messaggi su fb e su efp, siete le migliori. E grazie per non aver tolto questa storia dalle preferite/ricordate/seguite. Anzi! In questi mesi siamo cresciute ed è bellissimo vedere come vogliate bene a Matteo, Lucia e alla piccola Cisky *^* Sapete che in questi mesi ho sentito il vero Matteo? Adesso ho una sua registrazione dove mi chiama Bertu. Ragazze, a momenti morivo. Se non mi è venuto un infarto quando l’ho ascoltata per la prima volta non mi verrà più nella vita. Grazie Sara, non smetterò mai di ringraziarti.
Davvero, vi voglio bene. A tutte voi :)
Se potessi vi abbraccerei, invece vi mando solo una ciambella virtualmente.
Adesso passiamo alle note dolenti. Quando pubblicherò il prossimo capitolo? Non lo so, ragazze. Prometto che farò il prima possibile, ma sono davvero molto impegnata… ma Matteo avrà la sua fine e dopo parleremo di Luca. È una promessa :)
Intanto vi ricordo il mio profilo FB: Bertu Wheeler. Eh sì, ho cambiato cognome dopo aver visto #babydaddy. RAGAZZE, VOGLIAMO PARLARE DI DANNY??? Poi, vi aggiungo anche il mio blog dove troverete recensioni di libri e fan fiction di efp
http://annidinuvole.blogspot.it/ e relativa pagina fb del blog.https://www.facebook.com/pages/Annidinuvole/851076638246607
Grazie per le recensioni! Lo so che devo ancora rispondervi, prometto che lo farò, ma sono una persona egoista e mi piace molto leggerle :P quindi… scrivete, scrivete, scrivete!
Io vi ringrazio dal profondo del mio cuoricino e vi rinnovo l’invito a parlare con me su fb per farmi sapere che ne pensate della storia e come va la vostra vita!
Un abbracioneeeee
Robi
 
 
   
 
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