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Autore: ornylumi    06/02/2015    3 recensioni
Undici anni dopo la fine della guerra magica, una Hogwarts ricostruita e leggermente cambiata si prepara ad accogliere i nuovi studenti, senza sapere che un evento senza precedenti sta per segnare la sua storia. E' il primo anno per Teddy Lupin, cresciuto da sua nonna Andromeda e desideroso di scoprire il mondo magico, e per Catherine Scott, una ragazzina proveniente da un orfanotrofio Babbano. Ma lo è anche per Neville Paciock, che per la prima volta si avvicina all'insegnamento dell'Erbologia. La storia di un'amicizia che non avrebbe speranza e che diventa invece possibile, nella generazione di mezzo tra quella di Harry Potter e quella dei suoi figli.
Dal capitolo 8:
Quando il Cappello non aveva più considerazioni da fare, quando Cathy si era arresa alla sua incapacità di scegliere e la curiosità della sala si era trasformata in una noia mortale, lo Smistatore sembrò finalmente decidersi; alzando il tono di voce, in modo che tutti potessero sentirlo, dichiarò: “Non mi lasci altra scelta… Grifondoro e Serpeverde!”
*Attenzione: sono presenti spoiler nelle recensioni*
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock, Nuovo personaggio, Sorpresa, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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“Cathy!”

La voce dell’uomo la raggiunse quando ormai non sperava più di udirla, quando i suoi passi si perpetuavano per inerzia e in mancanza di un’alternativa migliore. Alzò lo sguardo per notare la figura di Rodolphus in cima alle scale, rassicurante come non le era mai sembrata, e un istante dopo gli corse incontro, mentre lui veniva verso di lei. S’incrociarono all’incirca a metà strada; Cathy provò il forte impulso di abbracciarlo una seconda volta, ma lo represse, temendo che questa sua reazione potesse sembrargli eccessiva.

“Allora c’eri!” esclamò, constatando senza ombra di dubbio che il suo tutore era vivo e vegeto di fronte a lei.

“Certo, ero nella mia stanza. Non ti ho sentita arrivare, da quanto sei qui?”

“Da qualche minuto… Credo. La porta era socchiusa, mi sono spaventata, Wolly non rispondeva e nemmeno tu, e…”

“Ehi, calmati”. Rodolphus le afferrò le spalle per infonderle sicurezza, in un gesto insolitamente paterno che sembrò raggiungere il proprio obiettivo. Cathy stava effettivamente tremando e parlando a raffica, abitudine molto da Maggie quanto poco da lei, ma dopo quel contatto fisico realizzò che non c’era motivo di stare in ansia. “Va tutto bene. La porta deve averla lasciata aperta qualcuno che è andato via poco fa, e che forse sperava lo seguissi… Wolly si sta occupando del giardino ed io ero di sopra. Dove potrei mai andare?”

Era così sollevata che non si preoccupò di chiedere chi fosse il visitatore, le bastava sapere che non avesse cattive intenzioni. “Non lo so”, ammise, “avevo paura che ti fosse successo qualcosa o che fossi scappato”.

Rodolphus la fissò con un’espressione che lei non seppe interpretare, poi sorrise, in maniera del tutto spontanea e priva di malizia. “Ti ho fatto una promessa, ricordi? Mi hai chiesto di non lasciarti sola, e un Lestrange non rinnega la parola data”.

“Meglio per te, allora”. Voleva apparire minacciosa, ma l’emozione glielo impedì. Quella appena ascoltata era la prima cosa davvero bella che l’uomo buono le avesse mai detto.

“Beh, che cosa ci fai qui?” le chiese poi, mentre raggiungeva il portone e lo chiudeva con un colpo secco. “Non sarai mica scappata di nuovo da scuola?”

“No, no! Io… Sto solo passando il weekend da uno dei miei professori, così ho pensato di farti visita. Ma Paciock non è qui, sono venuta da sola!” Dovette aggiungere quell’ultima parte in fretta, prima che l’uomo buono diventasse molto cattivo e sospettoso. La serenità con cui l’aveva accolta fu salvata appena in tempo.

“Mh, d’accordo, voglio fidarmi. In ogni caso, è un bene che tu sia qui, perché ci sono delle cose che devo dirti…”

Rodolphus si avviò verso il divano, come se tutti i dettagli del suo arrivo fossero meno importanti di ciò che doveva comunicarle, e Cathy ne restò colpita. Tuttavia, non si mosse di un millimetro: se l’avesse lasciato parlare, avrebbe perso l’occasione di essere lei la prima a porgli le sue domande, e non era mai stata un tipo particolarmente paziente.

“È meglio se ti siedi, Cathy. Dico davvero”.

Questo era ancora più preoccupante, pensò con un groppo alla gola. L’ultima volta che le aveva chiesto di sedersi era stato per rivelarle che i suoi genitori erano due assassini, cos’altro poteva reggere un tale confronto? La sua sicurezza vacillò, messa a dura prova da un insieme di paura e curiosità, ma finì per avere la meglio dopo quella breve lotta interiore.

“In realtà, anch’io ho qualcosa da dirti. Non sono venuta solo per un saluto, ho dei dubbi che vorrei chiarire… E credo che solo tu possa aiutarmi”.

Rodolphus la fissò accigliato, prima di rimarcare il proprio punto: “Il mio è un argomento importante, ci sarà tempo per le altre cose e...”

“Anche quello che devo dirti io lo è” lo interruppe, sentendo che per una volta poteva permettersi quell’alzata di testa. “Andiamo, hai sempre deciso tutto tu finora! Cosa dovevo sapere e quando dovevo saperlo, ed io non mi sono mai lamentata... Non ho diritto almeno a questa scelta?”

Rodolphus continuò a guardarla nello stesso modo, ma stranamente non si alterò. Con grande sorpresa di Cathy, anzi, finì per abbassare il capo e tacere; che fosse malato? La ragazza andò a sedersi comunque accanto a lui, alla fine, stringendo le mani a pugno sui lembi della gonna.

“D’accordo, parla. Ma fa’ in fretta, non ho molto tempo”.

“Sì, certo”. Ecco, era un classico: ora che aveva facoltà di parlare e doveva anche sbrigarsi, non sapeva da dove cominciare. Si schiarì la voce per guadagnare tempo, sotto lo sguardo impaziente di Rodolphus, e partì ancora una volta dal suo professore, raccontandogli come mai era finita a casa sua. Era appena all’inizio della storia quando l’uomo la bloccò, in cerca di chiarimenti.

“Aspetta, mi stai dicendo che Paciock conserva gli ultimi ricordi di mia moglie in una boccetta? Mi stai davvero dicendo questo?”

“Ehm… Sì. Non lo sapevi?”

“No che non lo sapevo!”

Per la prima volta da quando si erano incontrati, Rodolphus era arrabbiato sul serio. Cathy non si aspettava una tale reazione, aveva sempre avuto l’impressione che lui sapesse tutto di tutti, che fosse un passo avanti agli altri… Invece, in quel caso era totalmente all’oscuro. Cercò rapidamente di portare la conversazione al punto che le interessava, prima che partisse una crociata indesiderata nei confronti di Paciock.

“Comunque, non è questo il problema, ma il fatto che…”

“Non dovrebbe essere lui ad averli. Dovrei essere io, oppure Narcissa… Con quale diritto se n’è appropriato?”

Cathy alzò gli occhi al cielo, comprendendo che la sua impresa non sarebbe stata facile da portare a termine. “Senti, non lo so, ok? Li ha trovati e li ha raccolti, cercava delle ragioni per tutto quello che Bellatrix gli ha fatto. Ora che vuoi fare, andare da lui e vendicarti?”

“No, lasciamo stare. Ci sono questioni più urgenti al momento”.

Il suo diniego non la tranquillizzò come avrebbe dovuto: sebbene Rodolphus avesse lasciato cadere la questione, aveva anche preso maledettamente sul serio quella che doveva essere una domanda retorica. Non c’era mai da stare troppo sereni, con un ex Mangiamorte come tutore.

“Dimmi solo una cosa” riprese lui, in tono più pacato. “In questi ricordi, se li hai visti… C’ero anch’io?”

“Sì”. Quella risposta gli illuminò lo sguardo per un momento. “Ho visto il vostro primo incontro al tavolo di Serpeverde e il professore mi ha detto che ce ne sono altri. Sono io quella che non è mai presente”.

Rodolphus annuì, come se non si aspettasse niente di diverso. Era così scontato, allora, che sua madre l’avesse dimenticata? Scelse di non tenersi dentro niente, almeno per quel giorno, e ribatté: “Beh, non ti stupisce? Mi odiava così tanto da non pensarmi nemmeno un attimo prima di morire?”

“No, Cathy. Non è così semplice”.

“E allora dimmi com’è. Sono stanca dei segreti”.

Rodolphus appoggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le dita, segno che era favorevole a parlare. Cathy non sapeva spiegarsi una tale disponibilità, per questo si limitò a esserne grata.

“Richiederà più tempo di quanto avevo previsto, ma immagino che non posso tirarmi indietro o ne perderò ancora di più con le tue proteste. Bene, allora… Ricordi quando ti dissi che il Signore Oscuro non ha mai saputo di te? Bellatrix doveva mantenere il segreto, altrimenti lui ti avrebbe uccisa all’istante. Non è facile nascondere un pensiero così altamente emotivo ad un abile Legilimens, richiede qualche precauzione maggiore che l’essere un bravo Occlumante; per questo, Bella è stata costretta a mettere da parte tutto ciò che ti riguardava, tramite lo stesso incantesimo che ha usato prima di morire. Questo è il motivo per cui il tuo ricordo non è contenuto in quella boccetta: lei non l’aveva con sé”.

Cathy avvertì un calore improvviso nel petto e i suoi nervi si rilassarono: sua madre non la odiava, dunque. Restava la strega peggiore del mondo, ma almeno non disprezzava la propria figlia.

“Quindi l’ha fatto per proteggermi” sussurrò. “Solo per questo”.

“Sì. Per lo stesso motivo per cui ti ha nascosta in un orfanotrofio”.

La ragazza annuì, riflettendo sul fatto che la ragione per cui era cresciuta senza genitori era la stessa per cui era viva. Chissà se sua madre sarebbe mai tornata da lei, se fosse sopravvissuta… Purtroppo non c’era modo di scoprirlo.

“Ma dove avrà nascosto i ricordi mancanti, allora?” chiese poi, colpita da un dubbio. “È possibile che… Che siano ancora qui?”

“Non solo è possibile”, replicò Rodolphus, “ma è proprio quello che mi ha permesso di scoprire che tu esistevi, e che vivevi al Saint George”.

Cathy cadde quasi dal divano. Era sempre stata convinta che lui l’avesse saputo tramite dei documenti, quelle scartoffie che i genitori firmano quando danno via un bambino, e invece no… Perché diamine non gliel’aveva detto prima? Ma non doveva neppure chiederselo, in fondo era di Rodolphus che si stava parlando.

“Ho trovato una piccola ampolla in un cassetto, sopra c’era scritto il tuo nome. Bellatrix l’aveva nascosta accuratamente con la magia, ma conoscevo mia moglie abbastanza per intuire che trucchetti avesse usato. E ora scommetto che non mi darai pace finché non avrai visto quei ricordi, giusto?”

“Quindi posso vederli?” Quella volta balzò direttamente in piedi, seguita un istante dopo da Rodolphus che sospirò. “C’è un Pensatoio anche qui?”

“Per favore, ragazzina! Credi che i Paciock ne posseggano uno e i Lestrange invece no? Questo mi offende…”

“Non intendevo… Voglio solo dire che non l’ho mai visto in casa”.

“Perché non lo tengo certo in bella vista. Accidenti, ne hai di cose da imparare ancora. Seguimi”.

Cathy obbedì, tenendosi a distanza da Rodolphus quanto bastava per non finire sulle sue scarpe. Ogni volta che si convinceva di conoscere quella casa a menadito, ecco che spuntava un nuovo particolare nascosto e imprevedibile. Non ebbe tempo per sentirsi in ansia o titubare: dopo qualche istante era nella stanza delle pozioni, la stessa in cui Rodolphus le aveva mostrato il progetto di Libreville e dove adesso le stava indicando il pavimento, con un sorriso divertito. Cathy fissò il punto senza capire, finché l’uomo afferrò la bacchetta e iniziò a disegnare un rettangolo nell’aria; contemporaneamente, un altro rettangolo di luce si formò sulle mattonelle e le sollevò, rivelando un varco profondo sotto di esse. Il pavimento tremò e, da quella che sembrava una voragine vuota, s’innalzò un bacile di marmo finemente decorato, posto in cima a una colonna. Al termine di quell’esibizione, le mattonelle tornarono al proprio posto come se nulla fosse accaduto.

“Wow” esclamò Cathy, colpita dall’effetto di quella magia.

“Questo non c’era a casa dei Paciock, vero?” Rodolphus sorrideva ancora soddisfatto.

“Beh, no. Era conservato in maniera più… Normale”.

“Grave errore. La possibilità di visitare i ricordi è rara, preziosa e persino pericolosa quando finisce in mani sbagliate. Deve essere protetta”.

Cathy annuì, ma tutta la sua concentrazione fu assorbita dalla fiala che Rodolphus teneva tra le mani, evocata da chissà dove mentre il Pensatoio faceva la sua apparizione. Quando lui spostò le dita, fu ben visibile la scritta Catherine che vi era stata incisa anni prima, con una grafia sottile ed elegante. La ragazza si emozionò al pensiero di sua madre che imprimeva per sempre il suo nome su quel vetro, segno che in qualche modo volesse conservarne la memoria.

“Non sarà sempre piacevole” le diceva intanto Rodolphus, versando il contenuto della fiala a piccoli fiotti. “Alcune scene potrebbero turbarti, farti paura. Ma ti assicuro che alla fine di questa visita avrai tutte le risposte che cerchi”.

Se la prima parte di quella frase avrebbe potuto farla desistere, la seconda cancellò ogni esitazione sul nascere. Rodolphus si spostò per lasciarla avvicinare e Cathy ragionò su quanto fosse diverso dal professor Paciock: entrambi volevano proteggerla, ma mentre quest’ultimo le impediva di vedere alcune cose, il primo si limitava ad avvisarla sugli effetti che avrebbero avuto. La trattava come un’adulta e lei gli era sempre stata grata per questo; si augurava soltanto di essere all’altezza della situazione, di non mettersi a piangere o urlare o dare in escandescenze.

Non diede tempo a se stessa per avere paura: era stata in un Pensatoio solo il giorno prima e sapeva cosa andava fatto, per questo s’immerse con decisione nel liquido e lasciò che il suo corpo abbandonasse la stanza. Non aveva idea di cosa avrebbe trovato in quella dimensione surreale, ma il desiderio di scoprire la verità era più forte di qualsiasi dubbio. Chiuse gli occhi mentre una sensazione già provata s’impadroniva di lei e li riaprì solo quando una nuova scena le si fu formata completamente attorno.

Si trovava in una stanza sconosciuta, grande, illuminata solo da poche torce e dalla brace presente nel camino. Al centro vi era un lungo tavolo, attorniato da decine di sedie su cui però non era seduto nessuno. Doveva essere notte, a giudicare dalle finestre chiuse e dal silenzio che regnava in quella casa; proprio mentre rifletteva su questo, avvertì un’altra sensazione, nota e profondamente spiacevole, che le premeva sui polmoni rendendo pesante la respirazione. Il buio le aveva sempre dato quel genere di problemi, ma non seppe spiegarsi perché lo stesse facendo anche allora: nei ricordi che aveva visitato con Paciock non era accaduto, pur se ce n’era stata l’occasione, e aveva creduto che trovarsi in un mondo irreale non influisse sulla sua salute come succedeva con la vera oscurità. In più, la sensazione era sì presente, ma ovattata, come se volesse farsi percepire senza causarle un effettivo dolore. Realizzando che non era in pericolo, Cathy si tranquillizzò, e solo allora si accorse dell’unica figura che occupava la stanza dandole le spalle.

Non fece in tempo a domandarsi chi fosse, perché un’altra persona apparve nella cornice della porta proprio in quel momento. Alta, magra, vestita completamente di nero, era impossibile non riconoscere Bellatrix, seppure Cathy non avesse mai visto i suoi ricordi di adulta. Tuttavia, assomigliava poco alla donna altera ed elegante ritratta nel quadro che le aveva regalato Rodolphus: doveva avere almeno vent’anni di più, e anche nella penombra il suo viso appariva profondamente stanco e segnato da occhiaie. Era pallida e si appoggiava allo stipite come se faticasse a restare in piedi; Cathy si chiese a quale momento della sua vita facesse riferimento quella scena.

“Mio Signore…”

Sentendosi chiamare, la seconda figura si voltò piano in direzione della porta. Il suo sguardo vagò su Cathy per un istante e tanto bastò perché lei soffocasse un urlo: mai si era aspettata che un volto così inumano potesse appartenere a qualcuno, a suo padre, e che i crimini di cui si era macchiato avessero reso i suoi occhi rossi come il fuoco. Aveva già avuto un assaggio della sua trasformazione nel ricordo di qualche anno prima, ma quello a cui stava assistendo ora lo superava di gran lunga. Tremava ancora per quell’occhiata fulminea, quando sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla: Rodolphus era lì, a visitare quelle memorie con lei, pur se non si era accorta che l’avesse raggiunta.

“Lui non può vederti né sentirti, né tantomeno farti del male. Noi non siamo veramente qui”.

Lo sapeva, ma sentirlo ripetere dalla sua voce ebbe un effetto rassicurante. Per la seconda volta in poco tempo, la presenza del suo tutore era riuscita a calmarla.

“Bella” disse poi l’uomo, il mostro, apostrofandola con un tono freddo quanto il suo aspetto. Lei non sembrava averne paura, era piuttosto tesa per ciò che stava per fare e provata dalle sue condizioni di salute. “Volevi parlarmi?”

Bellatrix confermò in un sussurro, poi si fece più vicina a lui tenendo il capo chino. Cathy notò che, per tutta la durata della loro conversazione, non alzò mai lo sguardo verso il suo padrone.

“Volevo chiedervi un favore. Ora che le cose vanno meglio, che il Ministero è dalla nostra parte e non ci sono missioni incombenti, io… Avrei bisogno di prendermi una pausa”.

“Una pausa? Tu?” C’era un che di divertito nel modo in cui Voldemort lo domandò, come se una proposta tanto semplice diventasse assurda se fatta da Bellatrix. “Non mi hai mai chiesto una pausa in trent’anni e vuoi farlo proprio adesso? Questo esige una spiegazione”.

Bellatrix prese fiato, dando poi voce a una risposta che doveva aver preparato da tempo: “Mio Signore, sapete che non lo farei se non fosse strettamente necessario. Tutto ciò che ho sempre desiderato, che desidero, è stare al vostro fianco e servirvi come meritate… Ma questa volta ho davvero bisogno di allontanarmi per un po’”.

“Perché?” Domanda secca, concisa, che non ammetteva preamboli.

“Perché sono malata”. Cathy non credeva ci fosse bisogno di specificarlo, ma forse gli occhi rossi di Voldemort non funzionavano altrettanto bene. “Avrete notato che sono spesso stanca, che non riesco a essere lucida come dovrei in alcune circostanze. Ho bisogno di consultare un Medimago esperto per capire che cos’ho e come fare per guarire”.

“Ne abbiamo molti anche qui, che per scelta o meno si trovano a collaborare con noi. Nessuno di loro ha saputo aiutarti?”

Bellatrix scosse immediatamente la testa. “Purtroppo no. E mi hanno detto che solo all’estero, forse, ho qualche possibilità di trovare una cura”.

Voldemort tacque per qualche istante, seppur continuando a fissarla con sospetto. Le sue motivazioni dovevano sembrargli realistiche, così come apparivano a Cathy. “Per quanto tempo credi di stare via?”

“Un paio di mesi”.

Che cosa?” Quella calma apparente si trasformò presto in rabbia, emanata come lampi dalle sue pupille sottili. Era difficile non restarne intimoriti anche attraverso un ricordo. “Siamo finalmente a un punto di svolta e tu vuoi sparire per due mesi? Potter è ancora a piede libero, mi servi qui quando lo troveremo!”

Bellatrix non si scompose per quel cambio di toni, anzi, sfoderò un sorriso che si sarebbe potuto definire seducente. “So bene di essere la vostra migliore Mangiamorte, mio Signore. Ma avete collaboratori degni di fiducia che potranno sopperire alla mia assenza. Inoltre, non chiederò a nessuno di accompagnarmi, nemmeno a Rodolphus. Due mesi sono solo un tempo indicativo, potrei stare via anche meno…”

“O di più”. Voldemort aveva concluso la frase a modo proprio, senza lasciarsi corrompere dalle moine della donna. “Se davvero ti ritieni la migliore, dovresti dimostrarlo”.

“Ed è quello che voglio fare! Ho giurato di esservi fedele e di combattere per voi, nulla potrà impedirmi di mantenere questa promessa! Ma non potrei sopportare di morire prima di avervi visto trionfare contro il ragazzo… Per favore, lasciate che mi curi. Tornerò nel pieno delle mie forze e vi dimostrerò quanto valgo”.

Senza dubbio, Bellatrix ci sapeva fare con i discorsi. Cathy doveva aver ereditato un po’ di quella capacità da lei, poiché era piuttosto brava a convincere le persone nei momenti di bisogno – basti pensare a tutte le volte in cui aveva persuaso Paciock. Doveva però ammettere che con un tipo del genere era tutt’altra storia.

Intanto, Voldemort rifletteva. Stava valutando se gli convenisse o meno accettare la proposta, dopo le considerazioni ragionevoli che lei aveva presentato. In ultimo, dichiarò: “E sia. Una strega morta non mi serve a niente, se questo viaggio è l’unica possibilità di guarirti allora affrontalo. Ma se avrò bisogno di te qui, sappi che non esiterò a chiamarti ovunque ti trovi”.

“Vi ringrazio”. Bellatrix espresse la sua riconoscenza con un piccolo inchino.

“Aspetta”. Non si era ancora mossa dal posto in cui era, ma forse Voldemort supponeva che stesse per farlo. “Guardami”.

Sotto richiesta esplicita, Bellatrix non poté fare a meno di alzare il proprio sguardo verso il suo, timidamente e con lentezza. Lui non era della stessa idea, poiché le afferrò il mento e la costrinse a fare più in fretta, avvicinandola al proprio viso. Erano distanti solo pochi centimetri, ormai, ma lei sostenne quella sfida con fierezza.

“So che stai usando l’Occlumanzia contro di me, sono stato io a insegnartela. Se mi stai nascondendo qualcosa, Bella, stai pur certa che lo scoprirò. E se la tua fedeltà è cambiata, se stai proteggendo qualcuno, le conseguenze saranno molto spiacevoli. Non costringermi a punirti, sarebbe un vero peccato”.

Bellatrix non si mostrò smarrita neanche per un attimo. Restò seria mentre lui parlava, poi sorrise di nuovo con la stessa aria accattivante: “E chi mai dovrei proteggere? Voi siete l’unico di cui m’importa, questa separazione pesa a me più che a chiunque altro… La mia fedeltà non ha mai vacillato, e mai lo farà”.

Finalmente Voldemort lasciò la presa su di lei, con un gesto altrettanto brusco che la fece barcollare. La congedò, voltandosi e rivolgendo altrove la sua attenzione. Avviatasi dapprima verso la porta, Bellatrix indugiò sull’uscio e Cathy non poté fare a meno di notare la nuova luce che le illuminò gli occhi, mentre guardava il suo padrone per l’ultima volta. Ora che lui le dava le spalle, infatti, si concedeva di riservargli uno sguardo totalmente diverso da tutti i precedenti: dolce, intimo e senza difese.

Rodolphus fece cenno a Cathy di seguire Bella e lei non se lo lasciò ripetere due volte: non sarebbe rimasta sola con Voldemort per niente al mondo, neppure in un semplice ricordo. Così, entrambi raggiunsero sua madre nel posto in cui era diretta, che si rivelò essere una camera da letto.

“Dove ci troviamo?” chiese Cathy, notando che la casa non era quella di Rodolphus ma ne ricalcava lo stile raffinato.

“A villa Malfoy. Siamo stati ospiti di Narcissa e Lucius per molto tempo, dopo l’evasione da Azkaban”.

Questo aiutava la ragazza a definire temporalmente quegli eventi, pur se non a spiegarne l’importanza. Non riusciva infatti a cogliere il nesso tra quelle immagini e se stessa, ma il nome su quella boccetta parlava chiaro e voleva dargli fiducia. Nel frattempo, Bellatrix si era avvicinata con non poca difficoltà a uno specchio a figura intera, nel quale osservò la sua immagine. Sembrava volesse semplicemente guardarsi, ma poi affondò una mano sotto i lembi della veste e ne estrasse la propria bacchetta. Fu allora che accadde ciò che Cathy non si sarebbe mai aspettata, e che sarebbe rimasto nei suoi ricordi per sempre.

Nel momento stesso in cui la donna puntò la bacchetta verso il proprio ventre, mormorando una formula sconosciuta, questo iniziò ad allargarsi, rivelando uno stadio avanzato di gravidanza. Bellatrix piegò la testa all’indietro e prese aria, il suo colorito divenne a poco a poco più vivo e quel senso di oppressione che Cathy ancora percepiva cessò di colpo, come se la stanza si fosse illuminata a giorno.

Si voltò verso Rodolphus smarrita, con gli occhi gli domandò una spiegazione che lui era già pronto a darle. Non si perse in preamboli, infatti, e le confermò quel che una parte di lei aveva già capito.

“Era incinta di sette mesi. Per questo aveva finto di essere malata e di dover partire, sapeva di poterti dare alla luce da un momento all’altro e che doveva essere lontana, quando fosse successo. Quando i vestiti larghi e le scuse non bastavano più, si servì di un incantesimo potente per comprimere la pancia e apparire perfettamente magra, ma corse un grosso rischio: se ridurre gli oggetti è facile e innocuo, non lo è altrettanto con un essere umano, che potrebbe riportare serie conseguenze. Il pericolo è ancora maggiore per un feto in via di sviluppo, e difatti… Quest’esperienza non ti ha lasciato del tutto indenne”.

Cathy annuì, avendo afferrato completamente il concetto. “Parli dell’asma, vero? Di quello che mi succede al buio?”

“Sì. Ho capito che non era una semplice paura nel momento stesso in cui me ne hai parlato. La mancanza di luce ti fa rivivere quella sensazione di soffocamento che hai provato per via dell’incantesimo, a cui Bellatrix ti ha sottoposto più e più volte. Ma se sapessi che cosa hai rischiato, ti considereresti fortunata”.

Era una flebile consolazione, si disse. Rodolphus non poteva sapere tutto ciò che aveva passato a causa di quell’asma, ma lei lo ricordava bene e non poteva etichettarla come cosa di poco conto. Mentre lui parlava, le erano tornati in mente molti episodi della sua infanzia: le angherie degli altri bambini che non prendevano sul serio quel problema, giocandole scherzi crudeli; i medici che, uno dopo l’altro, la visitavano per capire cosa avesse e scuotevano la testa afflitti dopo ogni tentativo; la schiera di psicologi, psichiatri e altri specialisti che cercavano nel passato la ragione del suo male, senza capire che lei un passato non l’aveva e non l’avrebbe mai conosciuto. Era un altro tassello doloroso che si aggiungeva al quadro della sua crescita.

“Non c’è rimedio a questo, vero?” Lo domandò pur immaginando già la risposta.

“Purtroppo no. Ma adesso che ne conosci la ragione, riuscirai più facilmente a gestirlo”.

Cathy si era rassegnata a questo molto tempo prima, perciò non soffrì realmente per quella conferma. Era piuttosto l’intera situazione a lasciarla stranita, come se le mancasse una base sostanziale per capirla a fondo.

“È tutto così… Insensato” commentò, mentre Bellatrix continuava a specchiarsi e si accarezzava il ventre. “Voldemort era agghiacciante, come ha fatto a innamorarsi di un tipo del genere? E poi non mi sembravano per niente una coppia”.

“Non lo erano”.

Quella risposta le confuse le idee ancora di più, ma evitò di indagare oltre: Rodolphus si era già irrigidito e ogni accenno a quella questione sembrava causargli dolore.

*

Il cambio di scena fu quasi traumatico, diverso da qualsiasi novità Cathy avrebbe potuto aspettarsi. Dalla quiete della casa si passò a un rombo di tuono e pioggia che picchiava violenta su qualsiasi cosa stesse coprendo loro la testa, impossibile da determinare a causa del buio. Ma ancora più forte e sinistro di quella tempesta fu l’urlo di donna che squarciò l’aria, proveniente da qualche parte vicino a loro e seguito poco dopo da un secondo, un terzo, un quarto; iniziava a capire perché Rodolphus l’avesse avvertita.

“Siamo in una cascina di campagna, probabilmente a diversi chilometri da Londra. Non farti spaventare da questo ricordo, passerà presto” le chiarì l’uomo, anticipando ancora una volta le sue domande.

Cathy annuì, poi, resa forte dall’oppressione al petto ormai scomparsa, sondò con lo sguardo l’ambiente cercando di abituarsi alla penombra. Riconobbe la figura della donna che gridava sdraiata a terra, in un angolo, con la testa appoggiata al muro e le ginocchia sollevate. Allora, capì cosa stava succedendo.

“Sta… Partorendo?”

Rodolphus confermò.

“E perché è da sola? Nessuno poteva aiutarla?”

“Non voleva lasciare segni del suo passaggio. Nessun mago o strega poteva pensare di assisterla restando vivo, e lei non si fidava certo dei Babbani”.

Aveva un senso, considerando la logica assurda dei Mangiamorte, ma non rendeva meno terribile il fatto di dover partorire senza un’ostetrica. Una qualsiasi complicazione poteva compromettere la vita della madre o del bambino, Cathy lo sapeva bene, poiché storie del genere venivano raccontate in orfanotrofio ogni giorno. Ciononostante, l’agonia di Bellatrix ebbe fine in pochi minuti: alle sue urla si sostituirono quelle della neonata, minuscola e sporca, che aveva appena fatto il suo ingresso nel mondo e che presto si sarebbe chiamata Catherine.

Era difficile, se non impossibile, restare indifferenti alla scena della propria nascita che le avveniva davanti agli occhi: Cathy non poté fare a meno di avvicinarsi per guardare meglio quella piccola versione di se stessa, accolta da Bellatrix nelle sue braccia magre non appena ebbe la forza di sollevarsi. Senza esitazione, la donna recuperò da terra un lungo tessuto e lo usò per avvolgervi la bambina, che ancora piangeva disperata; Cathy sapeva, pur non riuscendo a distinguere i colori, che si trattava dello stesso mantello regalatole da Rodolphus per il suo compleanno. Nonostante quel gesto istintivo, Bellatrix sembrava non sapere come comportarsi: teneva la figlia con fin troppa delicatezza, come se temesse di romperla, e il suo atteggiamento era molto diverso da quello emozionato delle neomamme, appariva per lo più curioso e preoccupato. Non si trattava di una donna che aveva scelto di essere madre, ma di una che non l’aveva mai pianificato e si trovava ora ad affrontare quel ‘problema’.

“Avanti, su” sussurrò alla Cathy in miniatura, “smettila di piangere”.

La bambina non accolse quella gentile richiesta, anzi i suoi strepiti si alzarono di un’ottava. Per fortuna, Bellatrix non perse la pazienza, e avvicinando la piccola al petto capì quello che andava fatto.

Fu semplice e miracoloso al tempo stesso, come solo un evento tanto naturale sa essere. Non appena la neonata percepì la presenza del seno materno, si attaccò al capezzolo come fosse la sua ancora di salvezza e iniziò a succhiare con voracità. Le grida che fino a un attimo prima riempivano la cascina furono sostituite dal suono flebile della poppata, il temporale si allontanò, come per non disturbare quel momento così intimo, e anche lo sguardo di Bellatrix parve rasserenarsi e addolcirsi.

Ma il particolare che più di ogni altro attirò l’interesse di Cathy, testimone attenta e silenziosa di quel prodigio, furono i lunghi capelli della donna che ricadevano sulle guance della bambina, solleticandola senza distrarla dalla sua occupazione. Ricordava di aver già provato quella sensazione, più volte durante i suoi sogni: c’era stato un tempo in cui aveva associato quelle ciocche nere a Harry Potter, adesso sapeva di sbagliarsi sulla loro provenienza ma non sul fatto che fosse realmente accaduto. Prima che se ne accorgesse, i suoi occhi divennero lucidi e una nuova consapevolezza si fece strada nel suo cuore, dopo averle attraversato mille volte la mente: quella sono io. Quella è mia madre.

Non era come se non lo sapesse o non lo avesse mai accettato. Per quanto fosse stato difficile, ormai la donna che l’aveva generata aveva un volto e un nome e non poteva fingere che fosse diversa, migliore e più simile alla madre che avrebbe voluto. Ma c’era una differenza tra il sapere qualcosa e sentirlo davvero, nel profondo, con ogni fibra del proprio corpo che gridava l’autenticità di quel legame; solo dopo aver assistito al loro primo e forse ultimo contatto, Cathy riconosceva se stessa come la figlia che Bellatrix aveva messo al mondo e poi lasciato andare, senza per questo cancellare un rapporto che sarebbe andato oltre il tempo e la morte. I sentimenti che aveva nutrito nei suoi confronti erano stati tanti e diversi, fino ad allora: rabbia per averla abbandonata, odio per essere un’assassina, tentativi di comprenderla e amore per i piccoli gesti con cui l’aveva protetta. Se avesse dovuto descrivere come si sentiva adesso, avrebbe detto semplicemente sua. E insieme alla consapevolezza di appartenerle, che loro si appartenevano, arrivò puntuale e dolorosa anche quella di ciò che aveva perso.

*

Aveva ancora gli occhi annebbiati quando la scena si dissolse, si affrettò quindi ad asciugarli prima che Rodolphus potesse notarlo. A distrarla dalla commozione si presentò un ambiente ancora diverso, questa volta esterno, ben illuminato e soprattutto noto.

Cathy capì cosa stava per succedere nel momento stesso in cui si guardò attorno, riconoscendo il ponte di Londra e Bellatrix accanto al parapetto. Si trattava senza dubbio dell’episodio che Catherine le aveva raccontato tante volte, nella sua versione falsa che era stata poi corretta da Rodolphus. Finalmente, Cathy aveva l’opportunità di vederla con i propri occhi e farsene un’idea tutta sua, senza l’influenza di chi l’aveva vissuta prima di lei. Si avviò a passo svelto verso sua madre con l’intenzione di non lasciarsi sfuggire alcun particolare, approfittando di quel vantaggio che solo la magia del Pensatoio poteva garantirle.

“Mi dispiace”. Bellatrix mormorava quelle parole afflitte alla neonata, che aveva ricominciato a piangere senza sosta. “Avrei voluto un destino diverso per te, ma questo è tutto ciò che posso darti. Un unico giorno passato con una madre che non sa essere tale”.

Crudelmente, allontanò la bambina dal petto e la sporse oltre la barriera, verso il Tamigi che scorreva impetuoso. Dato che guardare se stessa in quella situazione la inquietava, Cathy si concentrò sul viso della madre e fu sorpresa di non leggervi alcuna emozione, come se ciò che stava per fare non la toccasse per nulla. Forse era soltanto brava a nasconderlo, abituata a celare i suoi sentimenti più profondi per via di Voldemort; in ogni caso, non accennò a lasciare la presa sulla piccola e restò a fissarla con lo stesso sguardo vuoto per alcuni secondi.

Ciò che accadde dopo rese impossibile dire cosa avrebbe fatto Bellatrix altrimenti, se proseguito nel suo gesto omicida o se ritratto le braccia. Passi che si avvicinavano e grida spaventate – Che sta facendo? Si fermi! – rivelarono la presenza di una ragazza quindicenne, appesantita dalla grossa borsa che portava a tracolla: Catherine. Sia Cathy che Bellatrix riuscirono a malapena a vederla prima che lei si scagliasse contro la donna, nel tentativo di bloccarla. La strega dimostrò però una certa abilità a difendersi, poiché riuscì in qualche modo a spingere via la ragazzina nonostante le mani occupate. Mentre Catherine finiva seduta a terra, la Cathy neonata tornava al sicuro entro il limite del parapetto.

“Cosa diamine credevi di fare?” gridò Bellatrix, e per la prima volta la sua voce incuteva timore.

Lei cosa credeva di fare!” A dimostrazione che il suo spirito combattivo fosse tale da molto tempo, Catherine si rialzò immediatamente, rivolgendo uno sguardo inferocito alla donna. “Stava per uccidere quel bambino!”

“E se anche fosse? Questa è mia figlia, e tu sei solo una ragazzina insolente che non sa stare al suo posto”.

Qualcun altro sarebbe forse tornato sui suoi passi, avrebbe chiamato la polizia o una qualsiasi persona più adulta nelle vicinanze, ma non Catherine. Lei, come aveva spesso raccontato a Cathy, da adolescente era uno spirito libero che non accettava l’aiuto di nessuno, convinta che il mondo andasse a rotoli e che la responsabilità di cambiarlo fosse tutta sulle sue spalle. Quella doveva sembrarle l’occasione perfetta per un gesto eroico, il salvataggio di una bambina dalle acque del fiume dopo che un altro neonato era stato strappato alle sue cure. Fu per questo che non si sottrasse agli attacchi della donna, rispondendo alla sua indifferenza con le armi che aveva a disposizione.

“Qualunque cosa pensi di me, non creda che me ne starò a guardare senza fermarla! Sono cresciuta in un orfanotrofio e vivo lì ancora adesso, occuparmi dei bambini è la mia missione… Non permetterò che uno di loro finisca nel fiume! Neppure se è la madre a gettarcelo”.

Quella volta Bellatrix non contrattaccò, anzi rispose con un ghigno divertito. “Resterei qui a guardare come provi a fermarmi solo per il gusto di vederti fallire, ma purtroppo non posso permettermelo. Sei fortunata a incontrarmi in un momento come questo, in cui sono più debole e non voglio lasciare tracce del mio passaggio, altrimenti saresti già morta. Vattene, prima che cambi idea, e ringrazia la tua buona stella”.

Detto ciò, si voltò di nuovo verso il fiume e ignorò completamente Catherine, senza però allontanare la figlia da sé. La Cathy appena nata aveva intanto smesso di piangere, sembrava essersi addormentata.

Catherine esitava, forse spaventata dalle minacce della donna. Restò a fissare la sua schiena con occhi, questa volta, più confusi che infuriati, non si mosse di un millimetro e attese che qualcosa accadesse; quando capì che Bellatrix non aveva intenzione di agire, fu lei a parlare ancora.

“Non è l’unica soluzione, sa. Ne ho visti tanti di casi come il suo, donne costrette a rinunciare ai propri figli perché povere, sole, senza nessuno che le aiuti. Ma oggi è lei quella fortunata, perché ha incontrato me, che posso dare un futuro alla sua bambina…”

Bellatrix tornò lentamente a girarsi verso di lei, fredda e diffidente nei confronti di quella sconosciuta. Il nuovo approccio riuscì comunque a farle abbassare i toni: “Tu non sai niente di me, non hai idea di chi hai davanti. Sono diversa da ogni altra madre che hai conosciuto”.

“Forse,” proseguì Catherine, imperterrita, “ma so che se è arrivata a un gesto tanto disperato è perché non può tenere con sé la piccola. Non m’importa quale sia il motivo, voglio solo offrirle un’alternativa! La dia a me, la porterò in orfanotrofio e…”

“Non lascerei mai mia figlia nelle mani di una Babbana! Meglio la morte, piuttosto”.

Anche se Catherine non poteva conoscere il significato di quella parola, il disprezzo con cui Bellatrix l’aveva pronunciata era chiaro per chiunque. “Come mi ha chiamata?” domandò la ragazza, accigliandosi.

“Non ha importanza. Ti ho detto di andartene”.

Catherine finse di non aver sentito: “So che gli orfanotrofi possono sembrare dei brutti posti, e alcuni lo sono davvero, ma da noi le cose vanno diversamente. È un istituto moderno, pulito, dove i bambini crescono sani e con un’ottima educazione. Il Saint George è famoso per aver formato ragazzi che sono poi diventati persone importanti, medici, avvocati, artisti…”

“Aspetta”. Bellatrix l’interruppe di colpo, mostrando finalmente attenzione per ciò che ascoltava. “Come hai detto che si chiama?”

“Saint George. Ne ha sentito parlare?”

La donna parve riflettere, rievocando antichi ricordi. Guardò intensamente la neonata che ancora stringeva, infine disse: “Sì”.

Nello stesso momento, Rodolphus si avvicinò all’orecchio di Cathy per darle una nuova spiegazione, dopo essere rimasto a lungo in silenzio: “Non era lo stesso edificio dov’è cresciuto il Signore Oscuro, in realtà. Quello fu demolito tempo prima e poi ricostruito da un’altra parte, ma Bellatrix non lo sapeva. È strano come il nostro destino, a volte, dipenda da una serie di piccole coincidenze”.

Era strano davvero, pensò Cathy, mentre ora vedeva Bellatrix avvicinarsi alla ragazza con uno spirito del tutto diverso. Protese la neonata verso di lei e, senza aggiungere altro, la invitò ad afferrarla.

Catherine sembrava sotto shock, non si aspettava che le cose cambiassero tanto facilmente. Per un momento fissò Bellatrix confusa, poi abbassò gli occhi verso la bambina e le sorrise con dolcezza. Mentre allungava le braccia per accoglierla, dovette notare qualcosa che non le piacque, probabilmente il mantello intriso di sangue che ancora l’avvolgeva; infatti, ritirò le mani e aprì la sua borsa, recuperando un telo bianco e immacolato che poi usò per scaldare la neonata, lasciando il mantello a Bellatrix. Sbottonò anche il proprio cappotto per offrire ulteriore protezione alla piccola, necessaria in quella gelida notte di Natale.

“Grazie” disse, esprimendo una gioia autentica. “Ha fatto la scelta giusta. Potrà venire a trovarla quando vorrà”.

Bellatrix non rispose all’invito, ma si limitò ad aggiungere: “Occupatevi di lei. Fate in modo che viva”.

“Ha la mia parola”. Catherine tornò a sorridere alla sua futura omonima, una distrazione breve ma che bastò a Bellatrix per voltarle di nuovo le spalle. “Aspetti!” gridò, quando si accorse che lei stava andando via. “Non mi ha ancora detto come si chiama”.

“Non ha alcun nome”.

“E non vuole darglielo?”

La strega teneva gli occhi bassi, adesso, come se non volesse più guardare sua figlia né colei che la teneva in braccio. “Come ti chiami tu?”

“Catherine”.

“D’accordo, Catherine andrà benissimo. Non potrei comunque darle un nome adatto alla mia famiglia”.

La ragazza annuì, visibilmente felice per quella scelta, poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla bambina. “Ciao, piccola Catherine” le disse, afferrando tra le dita una delle sue mani minuscole. Come se l’avesse sentita, Cathy aprì gli occhi e rispose con una smorfia quasi simile a un sorriso.

“È proprio bella, com…” ma quella frase sarebbe rimasta incompleta. Bellatrix era scomparsa nel nulla e, insieme a lei, anche Rodolphus e la Cathy di dodici anni stavano tornando a casa.

*

Nessuno di loro parlò, una volta che i loro piedi tornarono a toccare il pavimento della villa. Che cosa c’era da dire, in fondo? Quei ricordi rappresentavano un carico di emozioni per entrambi, seppure di tipo diverso, ed ora avevano solo bisogno di essere assimilati. In silenzio e con i pensieri che si rincorrevano, Cathy osservò Rodolphus rimettere a posto il liquido incantato e il Pensatoio, invidiando la sua capacità di dedicarsi ad azioni così meccaniche. La verità era che si sentiva stordita, fuori dalla realtà, come accade quando si guarda un film in grado di sconvolgerci e si continua a riviverne le scene anche dopo i titoli di coda. Rodolphus magari ci aveva fatto l’abitudine o era tanto forte da ignorare quelle sensazioni, ma così non era per lei; cercò i suoi occhi senza sapere quel che voleva, forse una distrazione, forse solo un gesto gentile. Lui dovette comprendere il suo smarrimento, perché le raccontò un altro dettaglio che non la coinvolgeva direttamente.

“Tornò a casa quella sera stessa, proprio mentre eravamo riuniti per la vigilia di Natale. Non ho saputo che il ricordo si riferisse proprio al 24 dicembre finché Catherine non mi ha detto che era il giorno del tuo compleanno. Lei era sconvolta, intrattabile più del solito, si rifiutò di dirmi dov’era stata e pretese che tutti dimenticassimo quei due mesi. Sapevo che doveva essere successo qualcosa, ma non avrei mai immaginato…”

La voce gli si smorzò e Rodolphus smise di parlare, schiacciato dal peso di quei ricordi. Non c’era altro da chiarire, ormai, il significato dei comportamenti di Bellatrix era stato rivelato e così anche quello delle sue motivazioni. L’uomo passò un braccio attorno alle spalle di Cathy per sospingerla verso l’uscita, insieme lasciarono la stanza e tornarono nel soggiorno. Per un momento, prima che un destino implacabile si abbattesse su di loro, la ragazza ricordò che c’era qualcos’altro di cui dovevano parlare, rimandato a causa delle sue richieste; ma poi, il mondo crollò e non restò più tempo per nulla.

Ci fu un boato, un’esplosione di schegge che li colse del tutto impreparati e inconsapevoli di ciò che stava accadendo. Costretti a proteggersi il volto, non videro quello del loro assalitore finché la pace non tornò, almeno in apparenza. Fu allora che, riaprendo gli occhi, Cathy apprese la verità e sbiancò.

Nella cornice del portone ormai distrutto, con lo sguardo e il ghigno di un pazzo, c’era Albert Young.


Note

Non so proprio come ho potuto pensare di unire questo capitolo al successivo, è l'ennesima dimostrazione che finché non scrivo non so affatto prevedere la lunghezza! Comunque, sono contenta così, ancora -1 + epilogo prima di terminare! Mi dispiace per il cliffhanger, ma consolatevi pensando che è l'ultimo...

Il capitolo, come avrete notato, è piuttosto importante e dovrebbe aver chiuso tutti i punti ancora aperti, a parte quelli di Young che si chiariranno nel prossimo. E' stato bello tornare a scrivere di Bellatrix e Voldemort, spero sia piaciuto anche a voi o almeno a chi è loro fan come me! Ho cercato anche di porre rimedio alla questione "orfanotrofio" che qualche anima pia mi aveva fatto notare nelle recensioni, approfittando del fatto che era il nome Saint George ad aver fatto cambiare idea a Bella, più che il posto in sé. E... Non credo di dover aggiungere altro, o se c'era l'avrò dimenticato! Appuntamento alla resa dei conti, dunque, e grazie ai sempre più numerosi lettori!

   
 
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