Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    10/02/2015    6 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Tecnicamente è già martedì ma facciamo finta di niente, non è domani finché non vado a dormire (U_U). Parti con due annunci importanti: 1 - il capitolo 8 è stra-mega-lungo e io la settimana prossima ho un esame... già ho iniziato a tradurlo ma potrebbe arrivare con un paio di giorni di ritardo, anche se farò il possibile per essere puntuale. 2 - sono in ritardo con i commenti ma dovrei trovare un po' di tempo per rispondere domani, comunque lo farò al più presto. Quindi vi ringrazio tantissimissimo per il supporto, per i preferiti/seguiti/da ricordare e per i commenti stessi e vi lascio al capitolo (che pure è bello lungo xD). Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: niente di particolare... a parte una cosa che mi preme un po'... credo abbiate notato tutti che, a volte, i discorsi dei personaggi sono un po' sconclusionati, ripetitivi o/e grammaticalmente scorretti... volevo precisare che non è un errore mio ma è una cosa voluta (dall'autrice e riportata in traduzione), per rendere meglio il fatto che, in certi momenti, la persona che sta parlando lo sta facendo di getto, ovviamente senza preoccuparsi di essere corretta... si nota molto qui nella (pseudo) preghiera di Eren.


The 6th ward
CAPITOLO 7: Vivere per sempre

4 mesi, 25 giorni

Levi quasi andò a sbattere contro Petra, mentre girava per il reparto sei, assorto nel raccoglimento di alcuni dati che aveva precedentemente bistrattato. Lei era in piedi, esattamente davanti a lui, ad attendere che lui la notasse e si fermasse, ma, sfortunatamente, lui non la vide fino a quando non gli finì praticamente quasi addosso. Lei lo salutò, comunque, con un gioviale: “Ciao Levi!”

Tutto quello che riuscì a dire lui, invece, fu un: “Da dove sei spuntata?”, perché non gli piaceva essere colto di sorpresa. Dando la colpa della sua mancanza di attenzione al raffreddore persistente, che si era preso dopo essere stato spinto nelle acque di un lago in pieno novembre, si corresse velocemente: “Ah, uh, buongiorno Petra.” A quelle parole, lei sembrò leggermente meno offesa.

“Mi chiedevo se il mio amico poteva fare la consegna oggi? So che è un po’ all’improvviso, ma la ditta non ha molto tempo per occuparsi delle consegne, e avevo immaginato che tu fossi troppo impegnato per andare a prendertelo da solo. So che la tua vecchia auto non è un granché con le grandi distanze.” spiegò piano Petra. Levi la fissò con uno sguardo vuoto, cercando di non sembrare confuso quanto si sentiva, e si limitò ad annuire lentamente, sperando che il soggetto della loro conversazione sarebbe, prima o poi stato, rivelato. Ma Petra non se la bevette e gli lanciò uno sguardo preoccupato. “Stai dormendo abbastanza, Levi?”

“No.” tagliò corto lui.

“L’albero,” disse lei infine, chiarendosi. “L’albero di Giuda che volevi piantare nel boschetto dei pazienti, nel giardino nord. Ti dice qualcosa?”

Levi, finalmente, capì qual era l’argomento della loro conversazione. “Ah, sì, certo. Ehm, grazie Petra. Hai detto oggi?”

“Se ti va bene.”

“Si, credo vada bene.” disse lui, scrollando le spalle. Aveva già pensato che in qualunque momento avessero ricevuto l’albero sarebbero semplicemente andati tutti insieme a piantarlo in qualche orario strano, in cui nessuno l’avrebbe sentito parlare da solo e, soprattutto, visto piantare un albero per un gruppetto di cadaveri a stento in grado di respirare. Non che non sarebbe stato divertente, almeno per loro. “Chiamami con il cercapersone quando il tuo amico arriva, okay?”

Petra lo salutò gentilmente. “Lo farò. Buona fortuna.” aggiunse poi, non senza una nota di evidente preoccupazione nella voce.

“Tsk, ne avrò bisogno.” borbottò lui. La donna si girò per andarsene, ma Levi le afferrò delicatamente il braccio, fermandola. “Ehm, grazie mille. Lo apprezzo molto.” aggiunse, poco convincentemente. Levi sapeva di fare schifo quando si trattava di normali interazioni sociali, ma i suoi amici ormai erano in grado di capire e apprezzare un suo sforzo più di ogni altra cosa. Petra gli sorrise raggiante, prima che Levi lasciasse il suo braccio per lasciarla allontanare in fretta in direzione del suo reparto.

L’infermiere fece un sospiro interiore al pensiero di dover rimanere sveglio per un’altra notte. Uno di questi giorni avrebbe finito per addormentarsi a lavoro, anche se, realisticamente parlando, era molto probabile che nessuno sarebbe stato in giro per il reparto sei per accorgersene. Nessuno di vivo, almeno.





“Ehi, idioti,” li richiamò Levi, aprendo la porta della stanza di Eren, dove sembrava che i pazienti del reparto sei si fossero riuniti quella mattina. “Aspettatevi una consegna speciale questo pomeriggio.”

“Così, all’improvviso…” obiettò Connie, con finta serietà.

“Non sappiamo nemmeno chi è il padre, Levi.” si lamentò Ymir.

Sasha afferrò Eren per un braccio, trascinandolo al suo fianco con fare misterioso, e mormorando, intenzionalmente a voce alta, per farsi sentire da tutti: “Io credo che sappiamo tutti chi è il padre, no?”

Levi li fissò impassibile per quasi un intero minuto, prima di chiudere la porta silenziosamente e attraversare il corridoio, con tutte le intenzioni di abbandonare l’ospedale per la giornata. Ma non passò un attimo, che tutti i cretini del reparto sei gli stavano correndo dietro, pregandolo di tornare indietro. Connie si scusò, anche se solo dopo aver aggiunto un: “Non si nota nemmeno, davvero.”

Quella era la prima volta in cui l'uomo aveva raggiunto il suo limite di sopportazione a causa del gruppetto di idioti che lo stava seguendo nella piccola sala delle infermiere vicino l’entrata del reparto.





Si stava tenendo occupato, archiviando vari grafici e mettendo a posto alcuni utensili che erano stati spostati dal loro cassetto originale e lasciati in giro, mentre il resto di loro si era messo comodo nella stretta stanzetta, chi seduto sui banconi e chi poggiato sugli armadietti. Nonostante fosse un dato di fatto che nessuno di loro avesse una reale forma fisica e pertanto fosse portatore di germi, Levi sentì una terribile sensazione di disagio a tutti quei sederi posati sul suo bacone pulito, ma scelse, non senza grande difficoltò, di ignorare la sensazione, riprendendo il suo lavoro di riorganizzazione mentre tutti chiacchieravano della consegna dell’albero.

“Dannazione se era ora,” osservò Jean. “Nessuno di noi ha l’eternità da passare qui. Sicuramente Eren ha ancora un paio di mesi a disposizione, e lo stesso vale per Connie e Sasha. Ma dico io, Ymir è qui già un po’, ed anche Annie. E in pratica non abbiamo idea di cosa si deciderà di fare di Reiner e Bertholdt, o quando. E’ il governo a decidere delle loro sorti ormai.”

“Ah, chi se ne frega,” replicò Eren. “E’ stasera, quindi è tutto a posto adesso.”

“Ma dove lo pianteremo?” si chiese Sasha. “Cioè, nessuno immagina che i pazienti del reparto sei si alzino dai loro letti per andare a piantare un albero. Scommetto che non c’è un posto per noi nel boschetto…” mormorò rammaricata.

“Faremo spazio,” disse Levi, risoluto. “Non credo che il reparto di malattie infettive abbia bisogno di un’altra dannatissima quercia, a meno che non abbiano abbastanza ironia da piantare una quercia rossa o dell’edera velenosa. Ma non credo che i loro sederi malaticci abbiano bisogno di un altro maledetto albero,” borbottò. “Ci prenderemo il loro posto.”

“Sono sicuro che gli faranno spazio da un’altra parte se ci prendiamo quel posto,” Bertholdt cercò di giungere a un compromesso. “Non sarà un problema per loro.”

“E se sradicassero il nostro albero?” esclamò Connie. “Intendo dire che dobbiamo stare attenti. E se quei bastardi lo strappassero via in una rivolta ospedaliera?”

“Sarebbe come zombie versus fantasmi. La notte dei malati viventi!” disse Sasha, mimando quella che solo secondo lei era una perfetta faccia da zombie.

“Ah, smettetela,” rise Reiner. “Bertholdt ha ragione. A nessuno interesserà di un albero in più o in meno nel boschetto. C’è un sacco di spazio.”

“Sì, e se fanno qualcosa al nostro albero,” disse Connie minacciosamente, “Brucerò le loro querce. Tutte quante.”

Eren fece una faccia leggermente allarmata. “Facile a dirsi. Non credo che siamo già abbastanza qualificati da poter fare gli spiriti vendicativi.”

Così continuarono a chiacchierare su cose varie riguardo a scherzi e marachelle da fantasmi che avrebbero potuto commettere, se avessero voluto, e Connie insisté affinché rimanessero a infestare l’ospedale per il resto dell’eternità. Nonostante ciò, fu una conversazione allegra, anche perché, se così non fosse stato, Levi avrebbe finito con il sospettare che i pazienti del reparto sei volessero rovinargli l’intero resto della vita, quando, invece, sei mesi erano più che abbastanza. Poi, un familiare ‘bip’ lo allertò di una notifica sul suo cercapersone, e lui si scusò per andare a incontrare l’arborista all’entrata dell’edificio. Eren, come al solito, si scusò a sua volta per seguirlo, sempre fastidiosamente alle sue calcagna.

Così, iniziarono a farsi strada insieme attraverso i corridoi dell’ospedale, con Eren mai più di un passo dietro di lui. Uscendo dall’accesso principale, Levi trovò un camioncino beige lercio, che rilasciava larghe nuvolette nere dal tubo di scappamento, nella piazzetta circolare di accoglienza per i pazienti e i visitatori. Ad un secondo sguardo, si accorse che probabilmente la vettura era in realtà bianca, ma che essendo stata lo sfortunato mezzo di trasporto di qualsiasi tipo di pianta o albero per anni interi, aveva finito per cambiare colore.

Il proprietario del camion scese dal veicolo, e i suoi stivali fangosi colpirono con forza l’asfalto, a causa dello sventurato ruolo che copriva la gravità nel sollevare la sua mole corpulenta. L’uomo era di per sé massiccio sia in altezza che in peso, calvo e con una fitta barba a coprire la maggior parte del suo viso; aveva degli occhi scuri ed un’espressione che gli si accordava bene, e indossava una tuta da lavoro sporca di terriccio e erba, sopra ad una camicia verde su sui era cucito il logo della sua piccola compagnia.

“Il caro amico di Petra?” chiese Levi, cercando di trattenere il sarcasmo nel suo tono di voce.

Il gigantesco uomo di fronte a lui parve rallegrarsi al suono del nome della ragazza e stese una decisamente sporca mano verso Levi, in segno di saluto. “Patrick,” disse. “Piacere.”

Levi era intensamente tentato di declinare la stretta di mano, ma non gli sembrava il caso di offendere un uomo che era il doppio di lui in altezza e probabilmente il triplo in peso, e dunque, afferrò con cautela la mano che gli era stata offerta. “Levi.” disse, mentre allentava la stretta il più velocemente possibile, cercando di non essere maleducato. “Sembra che tu abbia un albero per me?”

“Centocinquanta,” disse Patrick brevemente, gesticolando verso l’alberello, già un po’ cresciuto, che sostava nel suo camion usurato. “Non troverai un prezzo migliore di questo.”

Levi sospirò, prendendo il suo portafoglio dalla tasca sul retro dei suoi pantaloni, grato del fatto che aveva con sé un inusuale ammontare di contanti, quella giornata. Immaginò che non avrebbe neanche potuto chiedere un rimborso all’ospedale, visto che avrebbe probabilmente finito per rubare lo spazio di verde riservato al reparto due, in una folle missione immaginaria. No! In questa situazione era solo, e il piantare alberi illegalmente non sarebbe stato qualcosa per cui avrebbe avuto un rimborso ma, neanche, perlomeno, qualcosa per cui poteva essere arrestato. Onestamente non era poi così certo del secondo punto, ma sperava seriamente che fosse la verità. L’arresto non era una di quelle cose tollerate per chi lavorava in un ospedale, e lui era già abbastanza tenuto d’occhio, tra le altre cose.

Avendo selezionato le giuste banconote, più un’altra ventina di dollari per ringraziare la generosità di Patrick nell’avergli fatto la consegna, Levi gli porse i soldi, rimpiangendo silenziosamente quelle otto ore di stipendio a cui aveva dovuto rinunciare.

Patrick sorrise ai soldi, sorrise a Levi, e poi sorrise all’alberello. “Hai fatto una buona scelta, Levi,” disse burberamente. “Gli alberi di Giuda sono stupendi. Davvero incantevoli.” Levi lo fissò, pensando che era come se un uomo delle caverne gli stesse dicendo che aveva una bella manicure. “Lo adorerai,” concluse Patrick, salendo nel rumoroso camion e facendolo abbassare di un paio di centimetri sotto il suo peso massiccio. Poi, piantando le spalle contro il gruppo di radici e sporco alla base dell’albero, lo spinse giù dal camion con un grugnito.

Levi osservò l’albero fermo di fronte all’entrata principale dell’ospedale, probabilmente pesante quasi quarantacinque chilogrammi, ma Patrick non sembrò notare il problema, concedendo a Levi un ultimo arrivederci e un’altra lercia stretta di mano, prima di risalire nel suo ecologicamente disastroso camioncino e andarsene via, lasciando l’infermiere impalato come un idiota, insieme ad un grosso albero, all’entrata di un ospedale.

Eren aveva seguito tutta la successione di eventi curiosamente, apparentemente aspettando il momento in cui Levi avrebbe saputo cosa fare, o in cui gli avrebbe proposto qualche sorta di piano per il da farsi, ma Levi, rimase lì impalato a fissare l’albero con cautela, come se avesse potuto mettersi in piedi da un momento all’altro, e scappare via correndo, se lui non l’avesse guardato abbastanza attentamente. Eren si stava grattando la nuca distrattamente e Levi gli lanciò uno sguardo, come a sfidarlo a chiedergli se aveva idea di cosa stava facendo.

Mai sfidare Eren a fare qualcosa. “Uhm, dunque cosa hai intenzione di fare con l’albero? Sembra un po’ – ”, fece una pausa, indicando con le braccia le grosse dimensioni dell’alberello. “E’ un po’ – ”, gesticolò vagamente in direzione dell’albero.

“E’ fottutamente troppo pesante.” finì Levi per lui.

Eren sussultò alla conferma dei suoi timori. “Quindi, ehm, ora, cosa?”

“Ho bisogno di voi imbecilli ad aiutarmi a spostarlo.”

Eren gli risparmiò uno sguardo incredulo. “Non possiamo aiutarti a spostarlo in pieno giorno.”

Levi annuì, tirando fuori un piccolo blocchetto di fogli dalla tasca anteriore della sua camicia per scrivere una nota veloce, che attaccò allo sporco alla base dell’albero. “Torneremo a prenderlo dopo.” decise, girandosi verso l’ospedale. Però, avverti una decisamente troppo ovvia mancanza di Eren alle sue calcagna, e si girò per trovare il ragazzo in piedi vicino all’albero, impotente.

“Non possiamo semplicemente lasciarlo qui.” si lamentò Eren, guardando tristemente da Levi all’albero.

“Ho lasciato una nota.” disse Levi, indicando il pezzettino di carta alla base del tronco.

Eren si abbassò, esaminando la nota.

‘Non toccare il mio dannatissimo albero. O ti troverò. – Levi’

“Ispirante.”

“Fai da babysitter a quel dannato coso se sei così preoccupato.”

Eren sospirò e si sedette a terra, posandosi contro l’albero. Poi agitò la mano in aria verso Levi, in segno di saluto. “Ci vediamo dopo allora.”

Levi era mediamente sorpreso del fatto che Eren avesse effettivamente deciso di controllare l’albero come gli aveva proposto lui, ma non la trovava una cattiva idea. “Non far toccare a nessuno quel dannato albero,” lo avvertì, “Dico sul serio.” E con ciò, se ne tornò in ospedale, lasciando un alquanto esasperato Eren a fare la guardia al piccolo albero di Giuda che era palesemente posizionato di fronte l’entrata dell’ospedale.

“Muoviti a tornare indietro!” gli urlò il giovane, mentre lui se ne andava via.





Una silenziosa agitazione si abbatté sul reparto sei per il resto della giornata. Ben presto finirono le cose da dirsi, e dunque tutti optarono per aspettare impazientemente il loro momento, in camera di Connie. A Levi stava bene la calma che c’era nel reparto, e si trovò a passare davanti all’entrata dell’ospedale un po’ più frequentemente di quanto avrebbe fatto normalmente.

La prima volta, trovò Eren ancora seduto a terra, poggiato sul tronco. La seconda volta, stava camminando avanti e indietro davanti all’albero. Mentre la terza, era steso a pancia in sotto sul pavimento, le braccia stese di fianco al corpo e il volto girato da un lato, con un’espressione di pura tortura disegnataci sopra. Quella posizione fece ridere Levi, al che Eren rispose con uno sguardo sorprendentemente astioso.

L’ospedale iniziò a svuotarsi intorno alle nove, ad eccezione della sola reale attività del vicino pronto soccorso, al lato opposto dell’edificio. Levi guardò gli ultimi visitatori che uscivano, e gli impiegati abbastanza fortunati da non essere condannati al turno di notte, unirsi a loro.

Finalmente, intorno a mezzanotte, andò a raccogliere i membri del reparto per aiutarlo a trasportare l’albero via dall’entrata. Il silenzio teso della giornata fu velocemente sostituito da un eccitato chiacchiericcio, mentre Levi li guidava dove aveva lasciato la pianta. Questa volta, Eren era avvolto contro la base del tronco, lamentandosi rumorosamente. Ma, al suono del gruppo che si avvicinava, alzò il volto, e si districò da quello strano abbraccio.

“Stavo iniziando a pensare che il vostro fosse solo un elaborato piano per sbarazzarvi di me,” protestò. “E’ stato tremendamente noioso. E, tra l’altro, ricordatemi di non farmi mai inserire nella lista dei cattivi di Levi. Per qualche ragione, la sua stupidissima nota ha mandato via qualsiasi persona fin troppo efficacemente.”

“Tu sei già nella mia lista nera.” borbottò Levi.

Reiner diede una serie di pacche sulla schiena ad Eren, così entusiasticamente da farlo incespicare un po’ in avanti. Poi, tutti afferrarono una parte del tronco, trascinandolo lentamente dal suo posto nella deserta entrata dell’ospedale, tutt’intorno l’edificio, fino all’area nord. Levi avrebbe voluto lasciar fare tutto a loro, ma, essendo l’unico con un corpo fisico veramente visibile, la sua partecipazione era necessaria per prevenire che qualche sfortunato passante vedesse un albero muoversi di propria volontà.

Levi aveva usato la sua pausa pranzo per tornare a casa sua e prendere le due pale che possedeva. Una era nuova, mentre l’altra era arrugginita, e probabilmente non sarebbe servita a molto, ma, nonostante ciò, aveva provato a portarla lo stesso. Le pale li stavano aspettando sull’area di terreno che era stato riservato per il reparto due, ma, ovviamente, il reparto sei aveva altri piani per quell’appezzamento.

Dopo parecchie imprecazioni e piedi pestati, il gruppo ebbe il sorprendentemente pesante alberello in posizione sul terriccio. Levi passò le vanghe, decidendo di rischiare che qualcuno vedesse una serie di pale scavare nel terreno, senza l’aiuto di una persona in grado di muoverle, perché era troppo stanco per mettersi a scavare un buco nel terriccio per un branco di mocciosi. Quindi, optò nella speranza che sarebbero stati abbastanza fortunati da non essere interrotti. Reiner e Eren furono i primi a fare il proprio turno, attaccando il terreno alla bell’e meglio il terreno duro, ancora rigido a causa del gelo.

Eren, infine, passò la vanga a Sasha, che la passò a Connie dopo aver fatto la sua parte. Reiner invece la diede ad Annie – che, incredibilmente, fece i migliori progressi fino a quel momento, mettendosi in risalto rispetto agli altri –, che poi la passò a Jean, che la passò a Bertholdt. Connie, alla fine, si diede per vinto, ridando la pala a Reiner, in modo che lui e Bertholdt potessero completare il già abbastanza profondo buco, che era stato creato da tutti insieme nel terreno. In un atto finale, Reiner uscì dalla buca, conficcando la pala nel terreno vicino al piccolo cratere. Bertholdt, notò l’azione e lo seguì a ruota, tirandosi fuori e posando la vanga.

Tutti rimasero in piedi intorno alla buca, fissandosi e aspettando che qualcuno parlasse. Era come se stessero attendendo una dannata preghiera o un discorso, e Eren sembrò decidere che era veramente così: “Ah,” iniziò, “Dio o Budda o chicchessia, benedici questo albero, e, uhm, benedici un pochino anche noi. Solo dio sa quanto ne abbiamo bisogno.” Tutti annuirono alla preghiera sconclusionata, stranamente sensibili alla cosa. “E, ehm, be’, forse quest’albero renderà possibile che nessuno si dimentichi di noi, o qualcosa del genere. Ah, e grazie se c’è qualcuno lì su, e non fa niente se non c’è. E, per favore, fai che morire non faccia schifo quanto io pensi che lo faccia.” Ci fu una serie di risatine sparpagliate a quell’ultima frase. “Ah, vaffanculo.” concluse infine il ragazzo. “Mettiamo questo dannato albero nel terreno.”

“Amen.” mormorò Levi, guadagnandosi un’altra serie di risolini.

Tutti lasciarono cadere l’albero nella fossa con un tonfo sordo e Eren e Connie si presero la briga di riempire lo spazio intorno alle radici. Quando l’alberello fu finalmente al suo posto, tutti vi gironzolarono attorno, come se stessero aspettando che partissero i fuochi d’artificio o qualcosa del genere. Levi guardò tra di loro, controllando qualche segno di soddisfazione, che c’era, anche se, per la maggiore, l’intero gruppo sembrava perlopiù apprensivo.

Alla fine, fu lui a rompere il silenzio. “E’ un bell’albero.” disse.

Fu come se la sua voce avesse rotto l’incantesimo che era caduto su di loro, e una serie di sorrisi iniziò a stendersi sui loro volti, mentre si congratulavano l’uno con l’altro e davano qualche pacca affezionata al tronco. Tutti sembravano essere d’accordo sul fatto che fosse una bella pianta.

“Possiamo fare la placca più avanti.” decise Connie.

Tutti apparvero concordare con lui, e lentamente iniziarono a tornare nelle loro camere per la notte. Levi non era certo del motivo per cui sentivano il bisogno di trascorrere la notte a far finta di dormire, ma aveva immaginato che la cosa gli desse una sorta di pace.

Lui, rimase in piedi al freddo, aspettando che tutti se ne andassero, e stranamente compiacendosi dell’atmosfera soddisfatta che si erano lasciati alle spalle. Ben presto rimase solo con Annie ed Eren, un confortevole silenzio instaurato tra di loro.

Annie si girò improvvisamente e fece un piccolo inchino verso Levi. “Grazie.” disse, prima di tornare diligentemente in ospedale.

Levi lanciò un’occhiata ad Eren. “Mi dimentico sempre che parla.”

Eren rise un pochino prima di tornare al silenzio accogliente che c’era stato fino a quando Annie era rimasta con loro. Tuttavia, dopo un bel po’, parlò di nuovo: “Credi che quest’albero vivrà tanto quanto quello stupido salice che adori tanto?”

“Diamine no,” rispose Levi. Eren sembrò avvilito dalle sua parole, ma Levi si limitò a roteare gli occhi affettuosamente. “Vivrà molto di più, qui il suolo è migliore.”

“Che diavolo nei sai tu del suolo?” lo sfotté Eren.

“Ah, ho un presentimento.”

“Un presentimento?” chiese Eren dubbioso.

“Sì, sai, una sensazione nel tuo subconscio. Un presentimento.” rispose Levi, il più seriamente possibile, nonostante il tentativo di avere un tono accondiscendente.

“E che tipo di presentimento?”

“Be’, immagino che una cosa non possa essere così amata e non vivere a lungo. Tutti ci tenete così tanto a questo stupido albero che è sicuro che vivrà più di tutti noi, secondo me.” Levi stava per voltare lo sguardo verso Eren, ma notò che vi erano delle lacrime sul suo volto e si girò di nuovo verso l’albero, prima che l’altro notasse di essere stato visto. “Vivrà per sempre. Questa rottura di palle di albero.”

“Niente dura per sempre.” disse Eren, con voce tremante.

“Correzione: niente di buono dura per sempre. Mentre questo stupido albero? Considerando la dannata rottura di palle che è, sicuramente durerà per sempre.”

“Non dovrebbe essere, che ne so, l’opposto? E non dovrebbe valere solo per le persone? Dov’è la giustizia in tutto ciò?” rise Eren, asciugandosi gli occhi.

“In quel caso sarei fottuto da ogni punto di vista.” sogghignò Levi.

Un nuovo silenzio minacciò di cadere su di loro per la seconda volta, ma Eren non riuscì a tenere la bocca chiusa. “Vorrei tipo abbracciarti ora,” singhiozzò. “Ma nella maniera in cui vorrei abbracciare qualcuno che è una grande rottura, e che odio così tanto, ma che voglio comunque abbracciare, nonostante tutto.”

Levi fece una serie di passi per allontanarsi da lui. “Sì, e non accadrà in questa vita.” disse amaramente. Eren, dunque, decise di afferrare entrambe le pale e pungolare Levi con l’estremità sporca di una delle due.

“Sei sicuro che non vuoi vivere per sempre?” chiese Eren scetticamente. “Sei un tale stronzo, che credo che tu possa riuscirci.”

“Io e questo fottuto albero dobbiamo fare una bella gara, allora. Vedere chi arriva primo.”

“Tu sei davanti.” cantilenò Eren dolcemente.

Levi ci pensò un secondo, prima di annuire. “Sono in testa.”

   
 
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