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Autore: Halley Silver Comet    15/02/2015    10 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 10



- Capitolo Decimo -
Vento di Verità




D
opo lo sfacelo della mostra, come era prevedibile, Vittoria era entrata in uno stato di depressione dal quale sembrava non volesse uscire tanto presto; i suoi due amici andavano a trovarla ogni giorno, ma erano più le volte in cui li rimandava indietro, che quelle in cui li faceva entrare in camera e, quando ciò accadeva, non diceva una parola, limitandosi a fissare fuori dalla finestra, sospirando di tanto in tanto. Per loro, che erano abituati a vederla sempre allegra, vitale e con la battuta pronta, quella situazione era davvero surreale.
Purtroppo, non furono risparmiate maldicenze sulla ragazza, sul suo ex fidanzato e sulla relazione clandestina di lui con la propria assistente.
L’unica nota positiva fu che alle orecchie di Vittoria, vivendo così reclusa, arrivarono solo gli ultimi echi, che lei ignorò, non volendo più nemmeno sentir nominare Davoli; inoltre, essendo imminenti le nozze di Ascanio Colonna con Maria Luisa, nel giro di due settimane, l’attenzione degli interessati ai pettegolezzi si spostò su di loro e l’intera faccenda della mostra fu presto archiviata.
Tuttavia, il problema di Marcello restava la situazione dei suoi migliori amici, i quali si trovavano in condizioni uno peggio dell’altra: se, da una parte, la giovane era diventata apatica e indolente, dall’altra Gerardo stava appassendo con lei, risentendo del suo umore e della sua poca voglia di reagire.
Il biondo riteneva che, ora che Bartolomeo era solo un lontano e spiacevole ricordo, il suo amico avesse tutte le carte in regola per farsi avanti con Vittoria, così che entrambi potessero riprendere a vivere. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa di concreto per aiutarli, ma non sapeva proprio cosa.
Inoltre, ancora non aveva avuto modo di scusarsi con Beatrice per il suo comportamento durante la mostra, giacché, anche se era andato a trovarla diverse volte alla merceria, nessuno dei due aveva mai menzionato quella sciagurata serata.

Un pomeriggio particolarmente caldo per la stagione, Marcello decise di uscire prima dall’ufficio, così da avere modo di riordinare le idee e scaricare la tensione, avvalendosi dell’infallibile metodo che gli aveva consigliato il comandante dei Vigili del Fuoco, ai tempi del servizio di leva1: prendere a pugni un sacco da boxe.
Ormai febbraio si era tramutato in marzo, dando spazio a giornate più luminose e a temperature meno rigide, e sugli ippocastani del Lungotevere erano già comparse le prime gemme. Il giovane, con in spalla un borsone nero, lasciò presto la strada principale per addentrarsi nelle stradine più interne, fino ad arrivare al numero settantanove di Via del Pellegrino, laddove c’era la piccola palestra gestita dall’anziano signor Nardone, ex campione di pugilato nella classe dei pesi medi.
Era un unico ambiente con due entrate, non particolarmente ricco di attrezzi e nemmeno troppo frequentato a quell’ora: solitamente, c’erano solo tre o quattro ragazzi, frequentatori abituali che Marcello conosceva benissimo e con i quali, talvolta, disputava qualche incontro per mettersi alla prova.

Essendo entrambe le porte aperte, già da fuori si sentiva la canzone che la radio stava passando in quel momento, If You Love Somebody Set Them Free di Sting. Il giovane la riconobbe subito, perché Vittoria gli aveva propinato The Dream of the Blue Turtles2 fino alla nausea, con la scusa di dover ripassare i testi delle canzoni prima di andare al concerto del cantante inglese. Era sempre stata, come la stragrande maggioranza delle sue coetanee, una fan entusiasta delle band musicali straniere e, quando riusciva, non si lasciava sfuggire l’occasione per andarli a vedere dal vivo.
Eppure, in quel frangente, di quella vivace ragazza sembrava che fosse rimasta solo l’ombra.
Marcello scosse la testa ed entrò, salutando il proprietario che, come al solito, era seduto sullo sgabello nell’ingresso. Era un uomo molto alto, con due baffoni bianchi, un cappello blu con la visiera e
un fischietto appeso al collo di cui faceva largo uso per richiamare l’attenzione di chi stava sbagliando qualcosa nell’eseguire gli esercizi.
«Buongiorno, Marcello!» ricambiò Nardone con energia. Il ragazzo gli si avvicinò e notò che aveva il giornale aperto sulla pagina della cronaca estera, la quale ricordava la strage, avvenuta tre giorni prima, dei centonovantatré morti dell’Herald of Free Enterprise3 al largo delle coste del Belgio.
«È un po’ che non ti si vede in giro, dov’eri finito?»
«Abbiamo avuto un po’ di gatte da pelare».
«Lavoro?» s’informò l’uomo, incrociando le braccia sul tavolo e, di conseguenza, sul quotidiano che stava leggendo.
«Già» fece il giovane con una scrollata di spalle.
Nardone lo studiò severamente, mentre si accarezzava il mento coperto da un’ispida barba: «Ragazzo mio, te l’ho detto tante volte: non puoi pensare solo al lavoro!»
«Mi occupa molto tempo, è abbastanza impegnativo» rispose il biondo, sapendo con anticipo dove volesse andare a parare il suo interlocutore: non era la prima volta che lo esortava a trovarsi una fidanzata. Infatti, l’uomo continuò: «Ho capito, ma dovresti distrarti, ogni tanto. Perché non cominci ad uscire con quella ragazza tanto carina e gentile? Quella che viene ad aspettarti spesso alla fine di ogni allenamento».
Ovviamente, la ragazza in questione era Vittoria, la quale si era spesso ritrovata a parlare con l’anziano pugile, considerata la sua spiccata capacità di intavolare una conversazione con chiunque, sassi compresi. Al signor Nardone era sempre stata molto simpatica e aveva espresso da subito la sua propensione a vedere lei e Marcello come una bellissima coppia.
Se il giovane non fosse stato più che certo delle buone intenzioni del suo allenatore, lo avrebbe paragonato senza esitazione alla sua perfida madre.
«Gliel’ho già detto che Vittoria è solo un’amica. Anzi, è come se fosse mia sorella» rispose il ragazzo, pazientemente. «E poi c’è già qualcun altro per lei».
Marcello non se la sentì di aggiungere che, in quel periodo, Vittoria era giù di morale proprio a causa del suo ex fidanzato. D’altra parte non era importante e poi quella ragazza era già stata abbastanza sulla bocca di tutte le pettegole, non c’era bisogno di farle altra cattiva pubblicità, anche perché il ragazzo era certo che lei non volesse la compassione degli estranei.
«
Un bravo ragazzo come te?» chiese l’uomo, dubbioso.
«Anche meglio di me!» esclamò il giovane, seriamente convinto che Gerardo fosse il meglio che la sua amica potesse avere. Dove l’avrebbe trovato un altro così innamorato di lei?
Il problema era solo convincere quei due testoni a parlarsi, ad ammettere di essere reciprocamente persi l’uno per l’altra, a confessarsi i loro sentimenti, sperando che nessuno dei due si facesse prendere da qualche stupida paranoia e mandasse quindi tutto all’aria. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.
Il signor Nardone brontolò qualcosa e riprese a leggere il giornale, mentre Marcello, sorridendo, si avviava verso gli spogliatoi, ricambiando i saluti dei ragazzi che si stavano già allenando.
Mentre indossava fascette e guantoni, rifletté sul fatto che, forse, non era la persona giusta per convincerli a dichiararsi, anzi, il fatto che ancora non fosse riuscito a dire alla sua rossa fiorentina quanto gli piacesse, la diceva lunga sulle sue capacità di esperto in relazioni amorose.
Tuttavia, una soluzione andava trovata ed anche alla svelta, perché non era assolutamente disposto a vedere i suoi due migliori amici sguazzare nella depressione fino alla fine dei loro giorni e, a dirla tutta, voleva almeno giustificare a Beatrice perché, quella sera, l’avesse baciata con tanto trasporto. Non era ancora sicuro che le cose tra loro potessero funzionare, ma voleva dare a quella ragazza le attenzioni che meritava e, magari, farsi perdonare per averla trascurata in occasione della mostra.
Dopo essersi piazzato di fronte all’unico sacco da boxe ancora libero, gli diede una piccola spinta per farlo oscillare avanti ed indietro, concentrandosi sul suo movimento.
E se... la soluzione fosse stata proprio sotto il suo naso? In fondo, Beatrice era una ragazza, quindi doveva essere più predisposta di lui verso le questioni come i sentimenti, gli affetti e così via, pertanto avrebbe potuto dargli un buon consiglio. Senza contare che avrebbe anche potuto cogliere l’occasione per scusarsi con lei.
Marcello fermò il sacco, deciso, prima di colpire. Forse aveva capito cosa fare, sempre che la giovane, dopo tutto, fosse ancora disposta ad ascoltarlo.
***

Nonostante l’illuminazione stradale lasciasse molto a desiderare, il giovane notò che le facciate dei palazzi che davano su Via Merulana erano pesantemente annerite dallo smog: da quando era aumentata la vendita di automobili, il problema dell’inquinamento si stava facendo sempre più evidente.
Superò l’imponente facciata della basilica di Sant’Antonio al Laterano4 e, poco dopo, svoltò per raggiungere la casa dove risiedeva Beatrice. Quel pomeriggio, in palestra, aveva avuto una così chiara visione di quello che avrebbe dovuto fare, che non aveva ritenuto sensato aspettare oltre: era tornato di corsa a casa per farsi una doccia e cambiarsi, per poi uscire di nuovo, stando ben attento ad evitare sua madre e l’interrogatorio che sarebbe scaturito da un loro accidentale incontro.
In effetti, la fanciulla non sapeva ancora che sarebbe passato a trovarla e Marcello sperò che accettasse comunque di parlargli.
Una volta non gli sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello di andare a trovare una ragazza a casa sua, soprattutto dopo le dieci di sera, a causa sia della sua apatia cronica nei loro confronti, sia del suo rigore morale, ma, da quando aveva conosciuto Beatrice, aveva imparato ad ascoltarsi di più e a seguire maggiormente il suo intuito. 
Presto, si trovò davanti quella catapecchia di Villa dei Salici e il giovane decise di appostarsi al cancello mantenendosi però lontano dall’entrata principale, poiché, anche se sapeva perfettamente che quel balordo di Guido non rincasava mai prima delle due, si ritrovò a pensare che la prudenza non era mai troppa.
Ora, l’ultima cosa rimasta da fare era cercare di far uscire Beatrice, ma come? Suonare il campanello era fuori discussione, per una serie di ovvi motivi; le stanze da letto, invece, erano tutte al piano di sopra, ma non sapeva quale fosse quella di Beatrice, altrimenti avrebbe potuto adottare il vecchio e caro metodo dei sassolini lanciati contro la grondaia, così da richiamare l’attenzione della fanciulla.
Nella smania di andare a parlare con lei aveva dimenticato questo piccolo, seppur fondamentale, dettaglio. 
Evidentemente, però, qualcuno doveva aver a cuore la sua situazione, perché non aveva nemmeno cominciato a rimproverarsi per non essere stato più attento, che la ragazza, come chiamata, uscì fuori in giardino, con un sacchetto dell’immondizia stretto in una mano.
Scese gli scalini e si diresse verso un secchio di plastica, dove buttò la spazzatura per poi richiuderlo accuratamente, probabilmente per evitare che qualche gatto randagio facesse manbassa degli avanzi e sparpagliasse il resto in giro sul prato e sul mattonato esterno.
Non credendo alla propria fortuna, il biondo la chiamò, senza pensarci due volte: 
«Beatrice!»
Lei si arrestò e si irrigidì di colpo, come spaventata. Voltò lentamente la testa verso la direzione da cui le era parso di sentire la voce e, dopo averlo riconosciuto, rimase ancor più stupita: «Marcello, ma se’ proprio tu?»
«Buonasera» la salutò lui, sorridendole con un velo di malinconia: indossava il pigiama, con sopra una felpa più grande della sua taglia, i capelli raccolti in una coda alta, e sembrava ancora più piccola di quello che effettivamente era.
«Cosa ci fai qui?» gli domandò, talmente vicina che li divideva solo la cancellata: molto tempo prima doveva essere stata verde, mentre ora, invece, era tutta arrugginita.
Marcello non rispose subito, prendendosi un istante per riordinare le idee.
«Avevo bisogno di parlarti, se possibile. Avrei... un consiglio da chiederti e una cosa da dirti».
Beatrice rimase a fissarlo qualche secondo di troppo. Forse pensava che fosse impazzito? Be’, effettivamente, era stato un po’ sconsiderato a non avvisarla prima.
«È successo qualcosa di grave?» chiese lei, visibilmente preoccupata.
«No, niente, ma non sapevo quando sarei potuto passare in merceria, quindi ho preferito venire qui» la anticipò lui, avendo intuito cosa stava pensando. «Non volevo disturbarti».
La fanciulla agitò freneticamente una mano aperta, affrettandosi a rispondere: «No, no, nessun disturbo! Solo... Ammetto d’esser sorpresa, non pensavo ti fidassi così tanto di me da chiedermi un consiglio e...»
«Beatrice» la interruppe lui, severo, «io mi fido del tuo giudizio. Hai dimostrato tante volte di essere una ragazza intelligente».
Lei si bloccò e spostò immediatamente lo sguardo verso il basso, come se quell’affermazione l’avesse imbarazzata. Seguì una piccola pausa di silenzio e poi lei riprese, cambiando argomento:
«Purtroppo non posso aprirti, Guido ha sequestrato tutte le chiavi di questo cancello, lo crede una possibile via di fuga per me».
Marcello osservò le sbarre fatiscenti: se qualcuno avesse voluto davvero scappare, avrebbe potuto benissimo far cadere quel ferro vecchio con un colpo secco, senza bisogno di alcuna chiave. 
«Lo ha fatto perché hai provato a scappare?
» si informò il biondo, osservandola con curiosità.
Beatrice sbuffò, rispondendo:
«No, Guido non brilla per ingegno. Ha un sacco di idee strampalate».
«Pensi che, non vedendoti rientrare, verranno a cercarti?» chiese, allora, il ragazzo, guardando in cagnesco la porta sul retro.
«Ho finito tutte le faccende che m’hanno assegnato. La zia dorme come un ghiro. L’Anna Laura è fuori con le su’ amiche e i’ mi’ fratello a giro, al solito».
«Ah».
La ragazza fece una smorfia, come se ritenesse i comportamenti dei suoi parenti talmente menefreghisti da non poter essere nemmeno commentati.
«
Comunque, cosa volevi chiedermi?»
Marcello, seppur a malincuore, decise di lasciar perdere gli insulti che avrebbe volentieri rivolto a Guido e compagnia, rispondendo alla domanda: «Riguarda Gerardo e Vittoria».
Beatrice annuì, facendogli capire che aveva inteso di chi parlasse e che, quindi, poteva proseguire.

Il ragazzo pensò di esprimere la situazione a grandi linee, sia per essere breve, dato che non sapeva quanto tempo avesse a disposizione prima che rincasasse qualcuno, sia per rispetto nei confronti dei suoi amici.
«Dopo quello schifo della mostra,
stanno passando un brutto momento e sono certo che, se si parlassero tra di loro, starebbero meglio. Solo che ogni volta che Gerardo ed io andiamo a trovare Vittoria, è sempre peggio, adesso a malapena ci fa entrare. Come posso aiutarli?»
Beatrice si fece pensierosa per un attimo, incurvando le labbra in una buffa espressione riflessiva. Lui, nel vederla così assorta, si ritrovò a sorridere, malinconico, prendendo consapevolezza della verità: distaccarsi da quella ragazza, per lui, era oramai diventato davvero difficile.
«E credo che la risposta sia ovvia: devi lasciarli un po’ soli
».
«
Soli?» ripeté il biondo, riflettendo su quella risposta semplice, seppur molto giudiziosa.
«Sì, devono parlarsi e se tu se’ con loro, non credo che si sentan liberi. Se dovessi confidarmi con qualcuno, non vorrei che ci fossero altri con noi, anche se si trattasse d’un amico di vecchia data» spiegò lei, facendo spallucce.
Marcello dovette ammettere che non ci sarebbe stato nulla di più sensato da fare: in effetti, quando Gerardo era andato a trovare Vittoria, lui era sempre stato presente, costituendo involontariamente un ostacolo per i due amici.
«Hai ragione. Noi tre abbiamo vissuto talmente tanto in simbiosi che mi era sfuggita questa cosa così palese
» mormorò, soprappensiero. Poi spostò il suo sguardo su di lei e le sorrise, riconoscente.
«
Grazie».
«Figurati, non ho fatto niente
» si schermì la ragazza. «Invece, qual è l’altra cosa che volevi dirmi?»
Questa volta, Marcello si prese un po’ di tempo in più per organizzare il discorso: non era un semplice consiglio, erano delle vere e proprie scuse e voleva che Beatrice capisse che erano sincere. Sapeva di non essere molto bravo in queste cose, ma cercò di impegnarsi.
Adesso sapeva di tenere molto a quella ragazza e voleva che tra di loro le cose fossero quanto più limpide possibili.
«
Mi dispiace di essere stato così scortese con te, la sera della mostra» le disse, con grande fermezza nella voce.
La fanciulla si sciolse in un dolce sorriso, come se non si aspettasse una simile affermazione.
«Avevi appena scoperto una cosa importante per il tuo lavoro, se’ giustificato
».
«No, non è così. Sarebbe stato più giusto passare del tempo con te» ribadì lui, convinto, non avendo la minima intenzione di liquidare sbrigativamente la faccenda. Era ora di tirare fuori nuovamente l’argomento che aveva evitato fino ad allora, perché era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro e cominciare a definire il loro rapporto.
«Beatrice, quello che è successo tra di noi, davanti alla Fontana di Trevi, non è stato solo un capriccio, io non voglio e non ho mai voluto una ragazza solo per divertimento
».
Avrebbe tanto voluto spiegarle che non era mai stato bravo con le parole e che il suo carattere poco espansivo non lo aiutava ad esprimere al meglio tutto quello che provava per lei, perciò decise di compensare con la sincerità l’assenza di una qualche vena poetica o sentimentale.
«
Se ti ho baciata, è perché desideravo farlo».
Non era certo un’appassionata dichiarazione d’amore, ma era pur sempre un punto di partenza sul quale avrebbe potuto lavorare per migliorarsi.
Anche se era piuttosto buio, Marcello fu quasi certo che Beatrice fosse arrossita. Di sicuro, doveva essere rimasta abbastanza stupita, come congelata, stringendosi nella felpa e qui lui si chiese se avesse esagerato.
Tuttavia, non ebbe tempo di rispondersi, perché la risposta della fanciulla non arrivò a tardare: un sussurro lieve, ma deciso nel tono.
«
E se ho risposto al bacio, è perché l’ho voluto anch’io».
Si fissarono per quelli che poterono essere pochi secondi o molte ore, sotto quella fioca illuminazione, separati da un cancello pericolante, in strada lui, in mezzo alle erbacce lei.
Non era giusto continuare a vedersi così, strappando occasioni ad un destino poco condiscendente.
Fu proprio allora che, però, la quiete della notte venne bruscamente interrotta da versi stonati: qualcuno stava intonando uno stornello molto volgare e nessuno dei due ragazzi faticò a capire di chi si trattasse.

«
Sarà meglio rientrare. Anche se ubriaco, Guido potrebbe venire a ficcanasare qui» disse la ragazza, infastidita, lanciando un’occhiata seccata alla finestra della cucina, adesso illuminata da un alone lattiginoso.
Il biondo annuì, non troppo convinto di volerla lasciare andare. Neanche a lei doveva piacere molto l’idea, giacché non si mosse di un millimetro. Però, poi, dopo pochi secondi, sospirò e gli disse:
«Buonanotte, Marcello».
Lui, prima che potesse allontanarsi le prese delicatamente la mano e se la portò alle labbra, posandovi sul dorso un lieve bacio.
«Buonanotte, Beatrice. Grazie di tutto».
La ragazza esitò e solo dopo un lungo, interminabile istante ritirò lentamente a sé il braccio, avvicinandoselo al petto. Gli sorrise timidamente e si voltò per rientrare.
Marcello rimase a guardarla finché non sparì, inghiottita da quella casa che per lei era solo luogo di sofferenze. Quando la porta sul retro fu richiusa con un tonfo, si cacciò le mani in tasca e si incamminò verso casa.
Che senso aveva auto-infliggersi la punizione di starle lontano, adesso che aveva capito cosa provava davvero per lei? E, soprattutto, quanto poteva essere sbagliata una relazione basata sulla propria volontà di veder felice l’altra persona?
***

Gerardo stava fissando il campanello del portone della casa di Vittoria da almeno dieci minuti, indeciso se suonare o meno.
Sarebbe dovuto esserci anche Marcello con lui, ma l’amico l’aveva chiamato verso l’ora di pranzo, dicendo che era insorto un impegno imprevisto che l’avrebbe tenuto occupato fino a sera ed era stato seriamente tentato di evitare di andare a casa della ragazza, data la particolare situazione, poiché ritrovarsi da solo con lei in quello stato lo metteva a disagio, ancor di più che se Vittoria fosse stata quella di sempre.
Ma ora, finalmente si era tolto quel carciofone dai piedi e non solo, alla luce dei nuovi fatti di cronaca che l’avevano visto protagonista qualche giorno prima, le vicende stavano andando di bene in meglio: Bartolomeo e Paula, infatti, erano stati arrestati per traffico di stupefacenti.
Appresa la notizia, Gerardo ipotizzò che dovessero sapere di essere nel mirino della polizia già da tempo, poiché questo spiegava perché, la sera della mostra, lo scultore aveva deciso di dare ascolto a ciò che aveva detto la sua assistente e di non rispondere con le mani all
affronto che gli aveva fatto.
Come se non fosse stato maggiore quello
che quel delinquente aveva inflitto alla sua Vittoria.
Avrebbe dovuto essere contento di tutto quello, eppure non ci riusciva, non con lei in quello stato: lo faceva stare male vederla costantemente sofferente per l’umiliazione subita, un’offesa che non meritava. Ed era stata proprio il desiderio di accertarsi circa il suo stato di salute, che l’aveva spinto ad andarla a trovare quel pomeriggio.
Alla fine, prima di ripensarci per l’ennesima volta, decise di suonare.
I dieci secondi che passarono tra il suo gesto e l’apertura del cancello furono tremendi, giacché il ragazzo valutò accuratamente la possibilità di darsela a gambe. In fondo, poiché nessuno lo aveva visto, avrebbe potuto defilarsi senza timori, se non fosse che il caso non doveva essere dalla sua parte, quel giorno, dato che fu proprio la signora Irene ad aprirgli.
«Oh, ciao Gerardo! Che piacere vederti, sei venuto a trovare Vittoria?» lo salutò allegramente la donna, venendogli incontro sul vialetto di ciottoli grigi.
«
Ehm, sì...» le rispose il giovane, esitante. «Come sta oggi?»
La madre della ragazza scosse la testa, con aria affranta. Era quasi un mese che la figlia non metteva il naso fuori di casa.
«
Come al solito, ma vederti le farà bene» affermò, guardandolo tra il benevolo e lo speranzoso. «A noi non risponde, spero che con te lo faccia».

Il pettirosso che si era poggiato sul ramo del nespolo di fronte la guardava con la testolina leggermente inclinata di lato, come se volesse chiederle il perché della sua tristezza.
Intenerita, Vittoria poggiò una mano sul vetro freddo, quasi a voler avvertire quel piccolo animaletto di starle lontana il più possibile, onde evitare di venir contagiato dalla sua malinconia.
Non le importava nulla dei pettegolezzi feroci che dovevano aver allietato numerosi ritrovi dell’alta società nelle ultime settimane, perché sapeva perfettamente che le altre ragazze la consideravano una poco di buono; non le importava neanche del fatto che Bartolomeo era stato messo in gattabuia e ci sarebbe rimasto a lungo e nemmeno di essere venuta a sapere della tresca tra Ascanio Colonna e Maria Luisa Foscari e delle sue conseguenze.
La partecipazione di nozze che le avevano mandato, infatti, era rimasta dove l’aveva posata sua madre: sulla scrivania, sola e abbandonata a se stessa, esattamente come si sentiva lei in quel momento.
Era stata una stupida a non aver troncato l’insana relazione con Bartolomeo al primo schiaffo che le aveva rifilato, a pensare che il tempo potesse trasformare in amore quello che non sarebbe potuto essere nemmeno stima, mentre negava al suo cuore di star rinunciando all’unico uomo di cui valeva davvero la pena innamorarsi.
Con i ragazzi aveva avuto successo fin dall’adolescenza, peccato che a lei fosse sempre interessato il più schivo e timido dei suoi due migliori amici, gli unici uomini con cui si trovava davvero a suo agio, forse perché non la consideravano una preda, ma una persona con cui avere un rapporto d’affetto alla pari.
In Marcello, infatti, aveva sempre visto il fratello che le sarebbe piaciuto avere e che nell’ambizioso Leandro, che non si era scomodato nemmeno a venire in occasione della mostra, non aveva mai trovato; mentre in Gerardo aveva trovato quello che sarebbe volentieri corrisposto al prototipo dell’uomo della sua vita.
Tuttavia, sebbene la faccia tosta non le mancasse, non aveva mai avuto il coraggio di dirgli che lo amava dal giorno in cui al parco, da bambini, le aveva goffamente regalato una margherita di campo; allora si era innamorata di quel bambino così timido che arrossiva sempre, il quale era diventato l’uomo riservato e rispettoso che era il suo Gerardo. Purtroppo, aveva l’impressione che lui la considerasse troppo frivola e chiassosa per i suoi gusti.
Eppure, con Maria Luisa aveva preso un enorme abbaglio, considerandola una ragazza dolce e posata.
In quel momento, a Vittoria scappò un sottile sorriso di trionfo, mentre lanciava un’occhiata ironica alla partecipazione buttata lì sulla scrivania: la ragazza si era dovuta piegare ad un matrimonio riparatore con Colonna per non farsi svergognare in pubblico, ammettendo di aspettare un figlio illegittimo.
Sinceramente, poco le importava della sorte di quei due, visto che l’unica vera soddisfazione, per lei, era sapere che Gerardo non avrebbe sposato una sciocca viziata come quella, che avrebbe dilapidato le sue finanze nel giro di qualche mese.
Il senso d’oppressione, però, tornò a farsi sentire quando realizzò che il giovane, ormai svincolato da ogni progetto, avrebbe potuto trovare un’altra donna, magari quella perfetta per lui e quel pensiero le causò immediatamente una dolorosa fitta alla pancia che la costrinse a piegarsi in due.
L’avrebbe visto corteggiare un’altra, diventare di un’altra, sposare un’altra...
Fu allora che qualcuno bussò energicamente alla porta, facendola quasi cadere dalla poltrona e spaventando il pettirosso, che volò via con un frullo dali.
La giovane si mise in piedi con qualche difficoltà: aveva passato talmente tanto tempo seduta o rannicchiata, che quasi sembrava aver dimenticato come si facesse a camminare, pertanto impiegò qualche secondo di troppo per arrivare alla porta.
«Mamma, ti ho già detto che non...
»
Ma non era sua madre e nemmeno suo padre: era l’ultima persona che avrebbe immaginato di trovare lì.
«
Gerardo!» esclamò, pensando per un istante che fosse solo un miraggio.
«
Ho provato a chiamarti, ma il telefono...» le cominciò a dire il ragazzo, prima di interrompersi bruscamente. Divenne di colpo scarlatto e poi, fulmineo, le diede le spalle.
«Adesso che c’è?» gli chiese, confusa, domandandosi che cosa avesse potuto fargli per meritare un simile atteggiamento. Sapeva di non essere al massimo della forma, ma nemmeno così ripugnante da non meritare nemmeno di essere guardata negli occhi. 
«Non sei... Insomma, la vestaglia... si vede...» balbettò, allora, in risposta l’altro.
Sempre più perplessa, Vittoria mise su un cipiglio severo e fissò la schiena del suo amico, aprendo appena la bocca per dirgli che non era nella disposizione d’animo per agghindarsi, quando si decise
a guardarsi e comprese il perché di tale comportamento: gli aveva aperto in vestaglia discinta e biancheria intima.
A sua discolpa, la ragazza poteva dire che non sapeva che lui sarebbe passato a trovarla, però, era anche consapevole che, se l’amico avesse voluto avvisarla chiamandola al telefono, l’avrebbe trovato staccato. Infatti, Vittoria aveva deciso di isolarsi per non dover essere costretta a rispondere a tutti i pettegoli che volevano farsi i fatti suoi.
«Oh, hai ragione, io...»
«T-Tu fai co-con calma, c-ci vediamo dopo in salotto!» le fece lui, nervoso, allontanandosi rapidamente.
Stranita per quell’inconveniente, la ragazza lo guardò percorrre a ritroso il corridoio per poi svoltare l’angolo. Certamente, se fosse stato Marcello a vederla in quello stato, non ne avrebbe fatto un dramma e al massimo l’avrebbe guardata con disapprovazione, scuotendo la testa ed esortandola a riprendersi.
Ma, d’altra parte, fu proprio quella considerazione che la portò ad elaborare un’altra teoria e un sorriso birichino si affacciò prepotentemente sulle sue labbra: se l
altro aveva reagito in maniera così esagerata, forse, non gli era tanto indifferente.
***

Nella penombra del salotto, Gerardo passeggiava nervosamente davanti al caminetto acceso, lasciando che le fiamme proiettassero su di lui drammatici riflessi di luce aranciata, in netto contrasto con le zone del volto rimaste nell’oscurità. Non riusciva a sedersi e nemmeno a scacciare dalla sua testa la paradisiaca visione che aveva avuto poco prima, avvertendo le guance che ribollivano ancora per il grande imbarazzo: se già in condizioni normali trovava difficile stare accanto alla ragazza e controllare le sue reazioni, ora sentiva che anche quell’ultimo briciolo di autocontrollo rimasto era andato prontamente a farsi benedire. 

Non voleva sentirsi il pervertito di turno che la guardava famelico, anche se sapeva che il suo modo di guardarla, per quanto desideroso, non sarebbe mai sceso nella volgarità, dato che lei era la donna che amava da ancor prima di capire cosa fosse sul serio l’Amore. Aveva passato anni interi a scrutare disgustato i ragazzi che si mangiavano Vittoria con gli occhi, giacché loro si fermavano solo all’apparenza, alla bellezza e all’allegria con la quale conquistava tutti; solo lui, infatti, conosceva l’altro lato della giovane, quello triste, malinconico e perfino timoroso. Aveva avuto tempo e modo di studiarla a fondo, di imparare a riconoscere i primi segni dei suoi malumori e i suoi silenzi, durante gli interminabili pomeriggi passati con lei e con Marcello.
All’inizio, l’angoscia che il suo amico, più brillante di lui sotto molti aspetti, potesse portargli via la donna dei suoi sogni, era stata talmente forte da impedirgli di mangiare e dormire per settimane; poi, però, aveva capito che il biondo vedeva Vittoria al pari di una sorella e il suo animo, finalmente, si era quietato.
Già era tremendo essere consapevole che lei stesse con degli estranei, andasse al cinema con loro, li baciasse e si lasciasse tenere tra le loro braccia; se poi, al posto di chicchessia, ci fosse stato il suo migliore amico, sarebbe stato veramente troppo da digerire.
L’interesse che Marcello nutriva nei confronti di Beatrice era stata un’ulteriore conferma del fatto che, per lui, Vittoria era solo un’amica, anche se restava da capire se la cosa era reciproca, poiché non sarebbe stato in grado di sopportare l’idea che il suo perfetto amico fosse il vero oggetto del desiderio della donna che amava.
Questi dolorosi pensieri, però, furono interrotti all’improvviso da un fastidioso cigolio, che annunciò che qualcuno era appena entrato nella stanza. Gerardo non si voltò subito; prima, infatti, dovette radunare dentro di sé tutto il coraggio che possedeva per poterla guardare ancora in faccia.
«
Ho detto tante volte a papà di oliare i cardini» esordì la ragazza, sbuffando mentre richiudeva la porta dietro di sé.
«Oh. Ah, sì» le rispose il giovane, trovandosi a fissarla come un baccalà. Si era cambiata ed ora indossava dei leggings blu, una camicia lunga bianca ed un cardigan grigio e ai suoi occhi parve la perfetta incarnazione della sensualità. Gerardo si passò una mano sul viso, inquieto: ecco, d’ora in poi, davanti a lei, avrebbe fatto la figura del broccolo lesso fino alla fine dei suoi giorni.
«Marcello non è venuto?» si informò Vittoria, guardandosi intorno con circospezione.
Il ragazzo decise che sarebbe stato meglio fare finta di nulla, pertanto si ridiede un contegno e si schiarì la voce.
«No, ha detto che aveva diversi impegni
».
Lei lo fissò per qualche secondo, poi sospirò: «Quindi siamo soli
».
«
Ehm, sì» disse lui, piano. Era forse delusa? Magari, avrebbe voluto che ci fosse anche l’altro perché si era segretamente innamorata di lui. Tuttavia, Gerardo scacciò subito quel pensiero dalla sua mente, poiché non avrebbe potuto sopportare una rivelazione simile. Infatti, sarebbe stato il colmo se, adesso che il carciofone era fuori gioco, lei avesse ammesso di essersi innamorata di Marcello. Decisamente, il giovane non avrebbe avuto la forza di accettare l’ennesimo fidanzamento di Vittoria, per giunta con il loro migliore amico.
«Stai bene, Gerardo?» gli domandò la ragazza, accigliata. Probabilmente, a quei pensieri doveva essere sbiancato a tal punto che anche lei se ne era accorta.
«Oh, sì» mentì il giovane, perso nelle sue congetture.
In risposta, Vittoria alzò un sopracciglio con fare dubbioso, poi si avviò lentamente verso il divano coperto da numerosi cuscini di seta color ottanio.
«Allora, che ne dici di accomodarci?
» propose, allora, prendendo posto.
Incerto, lui la imitò, assicurandosi prima che tra di loro ci fosse una distanza adeguata, poiché, in quello stato d’agitazione totale in cui si trovava, si sentiva come uno straccio sbattuto ed imbevuto di cherosene, pronto ad infiammarsi alla minima scintilla. E Vittoria poteva rivelarsi un innesco davvero pericoloso.
Tuttavia, le misure che aveva calcolato non servirono a nulla quando il delicato profumo di lei, dalle soavi note di mughetto e gelsomino, stuzzicò il suo animo già tormentato, suscitandogli bramosie che mai aveva pensato di poter provare. Immediatamente, scattò in piedi, vergognandosi come un ladro per ciò che aveva appena pensato.
«Ed ora perché ti sei alzato?
» gli domandò la giovane, indispettita, seguendolo con lo sguardo.
«
Sto meglio in piedi» le rispose Gerardo, lapidario, voltandosi verso il camino.
Solo lui sapeva quante volte era stato tentato di baciarla ed invece aveva dovuto sbrigarsi ad erigere un muro tra loro due, per evitare che si spingesse oltre ciò che gli era concesso e fare sue quelle labbra che non riusciva a possedere nemmeno con l’immaginazione, tanto si sentiva inferiore al modello di uomo perfetto per lei.
«Tu... stai un po’ meglio?» le chiese, per avviare una conversazione, con la speranza di accantonare per un po’ i propri turbamenti.
«
Abbastanza» disse Vittoria. Seguì una breve pausa di silenzio, poi riattaccò: «Sai, in realtà, dovrei essere contenta di essermi liberata di Bartolomeo».
«Dopo quello che ti ha fatto, è il minimo che potessi dire» notò Gerardo, avvicinandosi alla piccola catasta di legna e prendendo tra le mani un ciocco particolarmente nodoso.
«Quello che ha fatto alla mostra è stato solo il gran finale» sussurrò la ragazza, stringendosi contro le braccia, come a volersi riscaldare, nonostante l’ambiente fosse piuttosto caldo. A quell’affermazione, il giovane alzò di scatto la testa e, fissandola allarmato, le domandò: «Che cosa vorresti dire?» 
A quel punto, lei inspirò a fondo, come se si stesse preparando a rivelargli un terribile segreto: «
C’è una cosa che non sai. L’ho detta solo a Marcello, ma gli ho fatto promettere che non te l’avrebbe rivelata per nessuna ragione».
Il giovane spalancò gli occhi, stupito ed in parte ferito, poiché, nonostante sapesse che Vittoria, quando si trattava delle sue delusioni amorose, cercava solo Marcello, non riusciva a non rimanerci male. Si sentiva escluso e tradito.
«Perché a Marcello sì e a me no?
» chiese, non riuscendo a reprimere il dispiacere e la frustrazione.
«Non sapevo come avresti reagito
» mormorò lei, guardandolo con sguardo colpevole. «Il fatto è che... Bartolomeo, mi ha picchiata. In più di un’occasione».
«Ti ha picchiata?» ripeté Gerardo, sgomento. Incamerò l’informazione con somma lentezza, per poi reagire d’impeto, avvicinandosi al fuoco e scaraventandovi il pezzo di legno che aveva in mano. Si voltò verso di lei, ormai in preda alla collera.
«Come ha osato picchiarti?!»
«
L’ultima volta è successo perché era nervoso per la mostra... ma ci sono stati diversi motivi, per esempio, perché non ci sono voluta andare a letto insieme. Sai, mi sembrava troppo... presto fare un passo del genere, ma non ha accettato il mio rifiuto» gli spiegò, stringendo con forza il bordo del cardigan. «Forse credeva che fossi solo desiderosa di compiacerlo, come la sua assistente».
«Avrei dovuto fracassargli la testa e non soltanto la sua stupida statua!
» berciò lui, fuori di sé dalla rabbia. Se in quel momento avesse avuto davanti quel maledetto l’avrebbe smontato osso per osso con le sue stesse mani e quella sì che sarebbe stata una vera opera d’arte moderna! Collage di un gran bastardo.
Vittoria parve sorpresa.
«
Non dire queste cose, tu sei così tenero...»
«Io non sono l’amico sempliciotto che pensi!» insorse lui, stanco di essere sempre additato come lo stupido o il bonaccione di turno.
Quell
esclamazione, però, sembrò mortificarla, tanto che aggiunse: «Io non volevo dire che sei sempliciotto, non l’ho mai pensato...»
«
Vittoria, tu non puoi capire quanto mi sia distrutto a vederti soffrire per altri uomini e quanto li abbia invidiati».
Ormai le parole gli stavano uscendo da sole, come un fiume in piena che stava straripando oltre la diga e che presto l’avrebbe spaccata, portando l’alluvione a valle. Aveva tenuto tutto dentro di sé troppo a lungo ed ora era stanco di fingere e di vedere la donna che amava tra le braccia di uomini non meritevoli di ricevere tale grazia.
«E sai perché li ho invidiati? Perché con la loro intelligenza, la loro bellezza, il loro ingegno erano meritevoli di starti accanto, mentre io ero solo il tuo mediocre amico di serie B, anche al di sotto di Marcello!»
«Gerardo...» cercò di iniziare la ragazza, ma lui non le diede modo di aggiungere altro, perché proseguì nel suo appassionato discorso. Ora che aveva trovato il coraggio di tirare fuori tutto, non doveva fermarsi, visto che aveva aspettato anni interi di arrivare al quel punto di non ritorno.
«Non sarò particolarmente bello, intelligente, sveglio, carismatico o chissà cosa, però tu, Vittoria, sei sempre stata il mio unico amore e non potrei mai tradirti o umiliarti come hanno fatto quei deficienti. Tu sei importante per me, lo capisci? Dio solo lo sa quanto ti voglio, ti desidero e...» si interruppe, come se fosse appena uscito da uno stato di trance, rendendosi conto di ciò che aveva effettivamente detto e di essere arrivato proprio davanti a dove era seduta la fanciulla, la quale lo guardava stupita, a bocca leggermente aperta.
Tutto questo, però, durò poco, giacché, nel giro di qualche secondo, le labbra di Vittoria si incurvarono in un sorriso malandrino.
Poi, la ragazza si alzò molto lentamente dal divano, avvicinandosi senza mai smettere di sogghignare.
«
Allora è così che stanno le cose» gli sussurrò, maliziosa, vicinissima al suo viso.
Il giovane deglutì, paralizzato, sentendo il suo cuore battere talmente forte da avvertire chiaramente ogni pulsazione. Le orecchie gli ronzavano ed il petto sembrava volesse scoppiargli.
Lei, però, non sembrava affatto turbata, anzi, a giudicare da come lo stava guardando, sembrava addirittura compiaciuta.
«Mi hai detto delle parole bellissime, ma ci vorrebbe una piccola dimostrazione che renda loro giustizia, non trovi?» gli fece, fingendosi imbronciata, e i suoi pochi neuroni superstiti entrarono immediatamente in sciopero. «Mi baci tu o ci devo pensare io?»
«Ba.. b-baciarti?» balbettò lui, convinto che avrebbe perso i sensi da un momento all’altro. Certo, era proprio un’idea intelligente aspettare tutto quel tempo per dichiararsi e poi restare fermo come uno stoccafisso proprio nel momento più importante!
«Non vuoi? Peccato, perché a me piacerebbe molto
».
«N-No... cioè... sì...» trovò la forza di replicare, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli appena socchiusi di lei, che subito dopo scoppiò a ridere, riempiendo la stanza con la sua meravigliosa risata argentina.
«D’accordo
, eterno indeciso, ti faccio vedere io come si fa e poi tu lo ripeterai, va bene?»
Quindi, gli si avvicinò con somma delicatezza e, in un attimo, colmò la distanza che c’era tra loro due. Gerardo non aveva mai osato immaginare cosa si potesse provare nel baciare Vittoria e fu contento di non averlo mai fatto, perché non avrebbe mai potuto figurarsi quella celestiale sensazione. Fu come se fuoco liquido avesse preso a scorrergli nelle vene, sanando tutte le sue ferite interiori e bruciando tutte le paure che aveva covato dentro in tutti quegli anni.
Pian piano, abbandonò la rigidità dovuta all’incredulità e si fece più sicuro, alzando una mano ed accarezzandole i capelli, fino ad azzardarsi a sfiorarle il collo.

All’improvviso, la giovane si discostò appena e, senza dire nulla, lo prese per mano e lo guidò verso il divano, dove si sedettero entrambi.
«
Uffa, sei più alto di me. Non ho aspettato tutto questo tempo per baciarti in maniera scomoda!» sbuffò. «E poi ora tocca a te farmi vedere cosa sai fare».
Gerardo, ancora abbastanza stordito, si fece rosso fino alla punta delle orecchie. Ormai tutti i suoi freni inibitori erano saltati, pertanto disse:
«Ma io non sono bravo... Non so baciare...»
Ma lei scosse la testa, zittendolo: «
Lascia che siano i fatti a parlare».
Erano di nuovo molto vicini. Il profumo di lei, così suadente, lo faceva sentire ubriaco; ora come ora, non aveva più nulla da perdere, avendole quasi urlato in faccia tutto quello che provava per lei. Aveva già affrontato i suoi timori e sapeva che era lui il primo a non voler fare altro che baciarla di nuovo, sentirla sua.
Il desiderio che aveva represso così a lungo era finalmente esploso, costringendolo ad assecondarlo, così si avvicinò esitante e posò le proprie labbra su quelle di lei, dapprima con un certo impaccio, poi facendosi via via più sicuro, più bramoso.
Dal canto suo, Vittoria cominciò ad accarezzargli la nuca e lo spinse delicatamente contro lo schienale del sofà, adagiandosi sopra di lui, mentre Gerardo le posò timidamente una mano sul fianco, passandole l’altra dietro la schiena.
Quando, infine, furono sazi dei baci che si erano scambiati, stettero un po’ in silenzio, strettamente avvinghiati, con il sottofondo del crepitio delle fiamme, uniche spettatrici di tutto ciò che era successo tra di loro quel pomeriggio.
«
Tutta la storia con Maria Luisa, allora, era una finzione?» gli chiese lei, interrompendo la quiete e volgendo il viso per guardarlo negli occhi, ma senza alzare il mento dal petto del giovane.
«Era uno specchietto per allodole, per cercare di convincermi che non dovessi pensarti, perché credevo che per te ci volesse un uomo più dinamico» ammise lui, attorcigliandosi un riccio di lei intorno alle dita. «Tu, piuttosto, perché stavi ancora con il carciofone, anche se ti trattava male?»
«Carciofone? In effetti, gli sta proprio bene come soprannome» considerò l’altra. «Comunque, non l’ho lasciato perché ero entrata in una sorta di apatia. Pensavo di essere troppo vivace per te e che tu non mi volessi, quindi qualsiasi uomo mi andava bene».
A quella malinconica confessione, il ragazzo sospirò, stringendola di più e concentrandosi sulla felicità che gli procurava l’avrela finalmente tra le sue braccia.
«Siamo stati proprio degli sciocchi».
«Mi trovi d’accordo» sussurrò Vittoria, giocherellando con i capelli di lui.
La sera stava calando, ma per loro che, finalmente, si erano ritrovati, questo non aveva importanza. Rimasero ancora a lungo a coccolarsi, a sussurrarsi e a confessarsi cose che avevano tenuto nascoste per un tempo infinito, mentre il ciocco nel camino ardeva lentamente.
***

Quel sabato mattina, quando Beatrice aprì le tende della sua finestrella e buttò l’occhio verso il basso, rimase a fissare il giardino, o meglio, il punto dove avrebbe dovuto esserci il piccolo cortile sul retro, a bocca aperta: un banco di nebbia le ostruiva la visuale, dandole l’impressione che, durante la notte, qualcuno avesse costruito un solido muro bianco proprio davanti Villa dei Salici. Credeva che la nebbia fosse solo una prerogativa di città come Milano o Torino, ma, a quanto pareva, doveva ricredersi.
Preoccupata per l’umidità che l’avrebbe investita, una volta in strada, si vestì più pesantemente del solito e corse giù in cucina per preparare la colazione a Guido ma, con sua somma sorpresa, lo trovò già seduto al tavolo, anche se, solitamente, nel fine settimana, non si alzava mai prima di mezzogiorno.
«Buongiorno».
«
Giorno» rispose lui, addentando una fetta biscottata cosparsa di marmellata rosso scuro. Conoscendo i suoi gusti, probabilmente di amarene.
«Com’è che tu se’ già sveglio?»
«Non avevo più sonno» fu la sua sintetica risposta; sembrava stanco e preoccupato, come se fosse stato tormentato da una questione molto importante.
Beatrice corrugò la fronte, dubbiosa che quello fosse il vero motivo della sua levataccia, ma alla fine non disse nulla, adoperandosi per preparargli il caffè. Consumarono la colazione in silenzio, assaporando la pace concessa loro dalla zia Assunta e da Anna Laura, che stavano ancora dormendo della grossa.
La ragazza si affrettò a mandar giù il suo caffellatte, guardando con apprensione il grande orologio a pendolo del corridoio che si intravedeva attraverso la porta aperta: segnava le otto meno un quarto e alle otto sarebbe dovuta essere in merceria.
Rapida, salì di sopra per finire di prepararsi e recuperare la sua mantella, quindi riscese e si catapultò fuori dal portone, quando la voce di Guido la fermò sul cancello.
«Cicci?»
«Sì?» domandò lei, voltandosi e scorgendolo appena oltre la nebbia.
«
Per favore, stai attenta».
Quella raccomandazione le suonò strana tanto quanto lo era stato trovarlo in piedi a quell’ora del mattino, come se avesse qualcosa da nascondere.
«A cosa?» domandò Beatrice, arrotolandosi i capelli sulla nuca e facendoli sparire sotto un cappello di lana.
Guido scese le scale e le si avvicinò, incurante di essere in pigiama.
«
Ecco... in generale».
La ragazza annuì, non troppo convinta, poi uscì e si richiuse il cancello alle spalle, senza degnare Villa dei Salici di un’altra occhiata, sicura che Guido fosse rimasto nel giardino, avvolto dalla fitta coltre biancastra.
L’inquietudine che le aveva messo addosso, però, non si placò nemmeno quando riconobbe i sampietrini di Via della Mercede, gli stessi che calpestava ogni mattina che si recava alla merceria: quell’atmosfera spettrale, causata da quella fitta nebbia, così poco adatta alle viuzze romane, infatti, la opprimeva. Per giunta, sembrava che in strada non ci fosse nessuno.
Di solito, suo fratello non si preoccupava molto di come stesse, se facesse attenzione agli sconosciuti o cose di questo tipo, perché era troppo impegnato ad organizzar i divertimenti nei quali trascorreva le sue giornate per stare attento a sua sorella.
Da quando, invece, era diventato così apprensivo nei suoi confronti?
Un rumore improvviso la fece sobbalzare. Si voltò di scatto in direzione del vicolo dal quale era provenuto, ma vide solo un gatto nero e spelacchiato che si azzuffava con uno molto più grande per un misero pezzo di pesce, rubato nel mercato di chissà quale rione vicino.
Sollevata, riprese a camminare, quando udì un nuovo rumore: questa volta era un fruscio, che aveva qualcosa di umano. Non fece nemmeno in tempo a gridare, che qualcuno le mise un tampone sulla bocca. Provò a divincolarsi, ma sentì le forze che cominciavano a venire meno ed un secondo paio di braccia che la immobilizzava.
«Entonces tenemos... chica»
«
Vamos... él espera»
Mentre la fanciulla si domandava chi fossero e perché non capisse una singola parola di quello che stavano dicendo, la testa cominciò a farsi leggera e le sembrò che il suo spirito stesse abbandonando il corpo, tanto si era fatto pesante.
«
Beatrice!»
In quel turbinio di suoni, sentì qualcuno pronunciare il suo nome. Forse era solo l’ultimo scherzo della sua mente che vagava ormai verso l’incoscienza, o forse davvero qualcuno l’aveva chiamata.
Qualcuno al quale non avrebbe mai risposto.

Valentina e Alessio avevano assistito, atterriti, al rapimento della ragazza: due energumeni vestiti di scuro, infatti, si erano avventati su di lei e, dopo una breve resistenza da parte della fanciulla, uno dei due se l’era caricata in spalla, raggiungendo un’auto pronta poco lontano e gettando il corpo inanimato sul sedile posteriore. Dopo di che, erano saliti in tutta fretta, per poi partire sgommando.
Avevano deciso di aspettarla all’angolo, per salutarla prima di andare a scuola, come facevano ogni mattina, per chiederle magari se anche lei avesse paura di quella brutta nebbia.
Invece, ora lei non c’era più, portata via da due criminali che, nella foga e nella foschia, non avevano notato i due bambini.

«
Hai visto, Valentina? Gli uomini in nero hanno rapito Beatrice!» esclamò il ragazzino, terrorizzato.
«
Dobbiamo avvisare Marcello!» rispose la sorella, pronta, poggiando la cartella con i libri vicino al negozio e cominciando a correre lungo la via.
«
Ma dove vai? Dobbiamo dirlo alla mamma!» le gridò dietro il fratello, buttando anche lui lo suo zaino a terra e lanciandosi all’inseguimento di Valentina.
«Non c’è tempo!» strillò lei, arrivata già alla curva.
Alessio trattenne a stento le lacrime, ripetendo dentro di sé che ormai aveva otto anni e piangere era solo per le femminucce. Se non stava piangendo sua sorella, perché avrebbe dovuto farlo lui?
Non era certo piangendo che avrebbe salvato Beatrice.
Chiuse gli occhi e cominciò a correre più forte, sperando che i due brutti orchi non avessero fretta di mangiarsi la principessa.




***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per aver letto in anteprima.
***

[N.d.A]
1.
servizio di leva: negli Anni ’80, come sapete, era ancora obbligatorio il servizio di leva. Volendo si poteva anche scegliere di svolgerlo in un altro corpo di guardia che non fosse l’Esercito. Per motivi diversi, sia Marcello che Gerardo hanno optato per i Vigili del Fuoco.
2. The Dream of the Blue Turtles: album di Sting risalente al 1985. Effettivamente, il cantante ha tenuto un paio concerti al Palalottomatica di Roma, nel dicembre ’85, durante del suo primo tour da solista.
3. Herald of Free Enterprise: traghetto protagonista di un incidente nautico avvenuto il 6 marzo 1987.
4. basilica di Sant’Antonio al Laterano: nome comune della basilica di Sant’Antonio da Padova all’Esquilino.

***


Salve a tutti!
Sorpresi dal finale cliffhanger? Credevate che il capitolo fosse dedicato solo agli intrighi amorosi, vero? Invece non è così -
risata malvagia.
Sarò noiosa, pedante, pesante e tutto quello che volete, ma non mi stancherò mai di ripeterlo: questa non è una storia solo romantica. Nella mia insana follia non sono capace di scrivere tutto in rosa.
Sarei capace anche di farci scappare il morto (e non è da escludere che non lo faccia).
Finiti i miei deliri, passo a ringraziare chi è che ha avuto la gentilezza di recensirmi lo scorso capitolo, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, chi legge in silenzio.
Se siete arrivati fin qui vuol dire solo che avete una grandissima tenacia e pazienza a sorbirvi questi capitoli chilometrici.
Vi lascio, come sempre, il link alla mia pagina facebook, dove troverete varie cose e anche lo spoiler sul prossimo capitolo (che verrà pubblicato i primi di Marzo).
Alla prossima, per chiunque vorrà esserci.
Halley S. C.
  
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