Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: LilyLunaWhite    17/02/2015    1 recensioni
Due ragazzi apparentemente diversi, ma con un lato in comune: entrambi, indossano una maschera.
Due famiglie diverse.
L'odio di entrambi verso l'amore.
Però, cosa accadrebbe se i loro cuori cominciassero a battere?
Riusciranno, i due protagonisti, a imparare ad amare?
-Dalla storia.-
"Come ogni volta, quando incontravo il suo sguardo, notavo che erano privi di luce, spenti e questo mi metteva addosso un’inspiegabile tristezza.
Agii d’impulso, mi chinai e posai le mie labbra sulle sue. Constatai che erano fredde ma, allo stesso tempo, dolci.
Fu a quel contatto che riuscii a rispondere alla maggior parte delle mie domande.
"
Storia in fase di modifiche e sistemazioni.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 16La vita non è mai giusta.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia. 

Capitolo sedici: La vita non è mai giusta.


 

P.O.V. Raffaele

Ero in cucina a lavare quelle poche stoviglie che avevo usato per preparare il brodo caldo a Jenny, che solo qualche minuto prima aveva terminato. Mentre svolgevo quel compito, pressoché inutile e dettato solo dal desiderio di tenermi occupato visto che comunque possedevo una lavastoviglie, origliavo la conversazione telefonica di Jenny. La mia piccola scontrosa aveva chiamato la madre per rassicurarla e dirle che stava bene. Mentre lei era incosciente, alla madre avevo detto solamente che si era sentita poco bene e l’avevo costretta a riposare un po’, promettendole che appena si fosse svegliata l’avrei fatta chiamare; e così avevo fatto. Jenny aveva scelto di continuare con quella scusa per non far preoccupare la madre, dicendole solo che aveva avuto un piccolo calo di zuccheri che, a quanto mi era parso di capire, non era nemmeno un evento tanto raro nella vita di Jenny. Cosa che però stava preoccupando tutti era la neve che aveva ripreso a scendere, ma con molta più intensità rispetto a prima, il che rendeva la visibilità in strada praticamente nulla. In tal proposito, avevo proposto a Jenny di chiedere alla madre se ella volesse che la riaccompagnassi con calma a casa a piedi oppure se le andava bene che lei si fermasse qui da me fino a quando le strade non fossero tornate accessibili alla circolazione automobilistica o pedonale. Stavo sperando che la madre le dicesse di farsi riaccompagnare a casa, a piedi, facendo cautela e non perché non la volessi in casa, ma perché tra due giorni avrei dovuto svolgere un lavoro e non sapevo come giustificare la mia assenza in casa e, soprattutto, sarei morto di preoccupazione a saperla da sola a casa mia, in quanto temevo qualche altra sua pazzia. Era una ragazza così fragile, che ormai vivevo con il continuo terrore di spezzarla perché, lo sapevo bene, ne ero più che capace; eppure non volevo assolutamente che questo accadesse, desideravo solo vederla serena e, magari, provare a guarirla. Però, mi chiedevo, ne ero capace?

«Raf, stai consumando il piatto.»

La voce di Jenny alle mie spalle mi ridestò dal turbine di pensieri nei quali mi ero perso. Abbassai lo sguardo e capì cosa intendesse la ragazza con quella sua affermazione: stavo ancora insaponando e lavando lo stesso piatto da diversi minuti.

Scossi la testa e sorrisi: «Ero solo sovrappensiero.»

«Comunque, che ha detto tua madre?», domandai poco dopo, prima che ella mi chiedesse a cosa stessi pensando cambiando così argomento.

«Mi ha detto di stare attenta ai miei cali di zucchero e ti ringrazia per avermi costretta a riposare, visto che lei non riesce mai a farmi stare ferma. Inoltre, ha detto che se per me andava bene potevo restare qui da te, almeno fin quando il tempo non migliora.»

«E tu che le hai detto?»

«Credo sia ovvio. Dopo il freddo che ho preso oggi, non vorrei mai rischiare di ammalarmi, oppure il prepotente qui accanto a me non mi darà tregua con le sue apprensioni.», mentre spiegava questo, la vidi sorridere con aria giocosa e sedersi sul ripiano della cucina accanto all’acquaio.

«Ringrazia il fatto che sto lavando le stoviglie, piccola maleducata, e poi vediamo chi è il prepotente pieno di apprensioni.», le risposi scoppiando a ridere.

«Dovevi sentire mio padre. Borbottava e cercava di strappare il telefono dalle mani di mia madre solo per potermi chiedere se ero sicura a voler restare qui, altrimenti sarebbe venuto a prendermi lui. Diceva “Mia figlia a casa di un ragazzo per non si sa quanto tempo?”, ma voi due siete matte.»

La osservai mentre faceva l’imitazione del padre e notai che improvvisamente il suo sorriso era leggermente più tirato rispetto a quello precedente.

«Credo sia normale. Ogni padre si preoccuperebbe nel sapere che la propria bambina si trova sola soletta a casa di un ragazzo.»

La vidi annuire e abbassare il viso, comprendendo così che c’era qualcosa che non andava.

«Jenny, sicura che i tuoi ti abbiano dato il permesso di restare da me?»

«Si, tranquillo. Loro, nonostante quello che ha detto papà e nonostante le loro paure, si fidano molto di te, cosa comunque assurda visto che non ti conoscono proprio. Anzi, a dire il vero, non ti conosco bene nemmeno io, però resta il fatto che ti considerano un ragazzo maturo e… E nulla… Per cui tranquillo.»

Mentre la osservavo, notai che verso la fine della frase era diventata ancora più cupa e che faticava a parlare, cosa che non era da lei. Asciugai le mani in un canovaccio e, dopo averlo appoggiato sul bordo dell’acquaio, mi avvicinai a lei. Cautamente, le divaricai le ginocchia, rassicurandola con lo sguardo, e con i fianchi mi intrufolai tra di esse, in modo da trovarmi il più vicino possibile a lei.

«Cosa succede?», domandai dopo averle preso il viso tra le mani e averglielo sollevato leggermente.

Aveva lo sguardo completamente vuoto e assente, sguardo che però con me aveva smesso di mostrare e quindi nel rivederla in quello stato, mi stavo preoccupando enormemente.

«Non posso dirtelo.»

«Non puoi o non vuoi?»

«Anche tu hai dei segreti.»

Aveva ragione. Chi ero io per obbligarla a rivelarmi cosa aveva quando io in primis le nascondevo il mio passato? Eppure, volevo sapere cosa la stava rattristando e volevo aiutarla come potevo.

«Io però ti ho detto una piccola cosa su di me: ho fatto e di tanto in tanto continuo a fare gare illegali con i motori. Sei tu che ora dovresti dirmi qualcosa.»

«La stai prendendo come un gioco?»

«Se la vuoi mettere così, allora sì. Prendiamola come un gioco: tu mi riveli una cosa e io te ne rivelo un’altra.»

La vidi sospirare e riflettere sulle mie parole, per poi annuire cautamente.

«Va bene. I miei hanno paura a lasciarmi con un ragazzo perché tre anni fa mi sono successi una serie di episodi che hanno portato i miei genitori a controllare con chi esco, cosa che comunque non è servito a nulla in questi ultimi anni visto che sono rimasta perennemente da sola.»

«Non si fidano di me?»

«Teoricamente dovrebbe essere così visto che non ti conoscono, ma il punto non è questo. Anzi, ti stimano molto perché stai riuscendo a farmi tornare quella che ero, ma hanno comunque paura.»

«Perché? Cosa è successo?»

«No, il gioco non consisteva nel “Raffaele fa tante domande e Jenny risponde”.»

La guardai mentre mi ammoniva e non riuscii a trattenere un sorriso.

«E va bene. Su, fammi una domanda.»

«Davvero posso?»

«Se per avere delle risposte da te, devo subire un interrogatorio, allora avanti, spara una domanda.», risposi dopo un sospiro esasperato.

«Perché fai le gare motociclistiche illegali? Onestamente ho un po’ paura perché temo tu ti possa fare male.»

Quella sua affermazione mi lasciò leggermente spiazzato. Anche lei, come me, si preoccupava: solo che lei era molto più brava a nasconderlo.

«Stai tranquilla, non mi faccio male e onestamente non mi sono nemmeno preso una multa fino ad oggi. Comunque, le faccio per soldi. Sai, qualche soldo in più messo da parte per l’Università non è mai male.»

«Quindi lo fai per poter proseguire gli studi?», domandò ancora.

Notai che pian piano il suo sguardo stava tornando luminoso e sereno ma, tuttavia, non ero disposto a non sapere cosa turbava Jenny e la sua famiglia. Volevo saperlo, anche perché volevo capire come dovevo comportarmi con lei.

«E no, una domanda alla volta. Ora tocca a me. Cosa è successo tre anni fa?»

Dopo aver riposto quella domanda, risultando quasi insistente, osservai lo sguardo di lei incupirsi nuovamente e le pupille dilatarsi dal terrore. Quelle sue reazioni mi stavano spaventando a tal punto che avrei potuto perdere la testa.

«Jenny, rilassati. Se non te la senti non rispondere. Io voglio saperlo perché voglio capirti e voglio provare davvero ad aiutarti.», le spiegai mentre cominciai a carezzarle le guance che avevano improvvisamente perso colorito.

«Ti prego Raf, non voglio dirlo. Non voglio rivivere tutto.»

«Va bene, allora sta tranquilla.», le sussurrai con dolcezza stringendola forte al mio petto. Non sapevo cosa le fosse successo, eppure avevo la netta sensazione che se ne fossi venuto a conoscenza avrei dovuto trattenere la mia rabbia. Chiunque avesse ridotto Jenny in quello stato, meritava di pagarne le conseguenze, poco mi importava se era una persona del suo passato. Doveva pagare lo stesso.

Avvertì le braccia esili di lei stringermi con forza e decisi di rimandare la mia rabbia: ora dovevo solo occuparmi di lei e dovevo tranquillizzarla.


 

***


 

Era ormai calata la sera e il tempo non era migliorato. Stavamo seduti su una delle poltrone di fronte al camino, ognuno perso nei propri pensieri. La stanza era illuminata solo dal fuoco che scoppiettava allegramente nel camino, per cui mi accorsi soltanto dal respiro regolare di Jenny che ella si era addormentata tra le mie braccia. Scostai la coperta con la quale avevo coperto entrambi e, tenendola saldamente tra le braccia, la portai nella mia stanza, adagiandola sul letto. La coprii per bene e le posai un dolce bacio sulla fronte, per poi osservarla per quello che a me parvero minuti, ma che solo in seguito scoprii essere ore. Quella notte, non riuscivo proprio a dormire, ancora pensieroso sulla vicenda che aveva cambiato Jenny tre anni prima e che ella si rifiutava di raccontarmi. Sapevo perfettamente che quella vicenda mi avrebbe portato a dover domare uno dei miei moti eccessivi di rabbia e quella mia sensazione mi preoccupava non poco, sia perché non volevo mai mostrare quel lato di me a Jenny e sia perché rischiavo di perdere il controllo e ferirla. Passai una mano tra i capelli e tornai a sedermi sulla poltrona che solo qualche ora prima avevo condiviso con la mia piccola scontrosa. Per calmare la rabbia, decisi di fumarmi una sigaretta conscio che, comunque, non mi avrebbe aiutato per niente. Mentre ero al mio terzo tiro, la suoneria del mio telefono mi distrasse momentaneamente ma, quando lessi il numero sul display, rifiutai la chiamata e tolsi la suoneria. Non volevo essere disturbato da nessuno, men che meno da gente inutile.

Pensai a Jenny. Era bello vederla dormire: aveva il viso più rilassato, più sereno e, cosa ancora più affascinante, ella borbottava nel sonno. Mi ritrovai a sorridere per la mia stupidità. Ero completamente diventato dipendente dalla sua presenza e non facevo che pensare a lei, a come farla sorridere, a come proteggerla da me e dalla mia vita che, ad essere onesti, faceva realmente schifo. Tutti si limitavano a vedere l’apparenza, si limitavano a vedere che ero colui che tutti temono, che ha sempre avuto voti alti nonostante passassi poco tempo a studiare, colui che attira e seduce le donne. Però nessuno, a parte Walter, si era mai chiesto come io fossi realmente, se io ero davvero felice. Nessuno. Poi, era arrivata Jenny. Un incontro casuale che però mi aveva cambiato. Lei, lei era stata l’unica a non cedere al mio sguardo, l’unica ragazza ad avermi tenuto testa. Certo, alla fine anche lei si era innamorata di me perché, anche se lei non lo ammetteva o non lo aveva espresso in modo diretto, io lo avevo intuito, ma lei era diversa dagli altri. Lei si era innamorata di me per quello che ero, per quello che ha visto ogni giorno ad ogni nostro incontro, per quello che, in parte, ha conosciuto di me. Jenny era unica e dovevo ammetterlo a me stesso: la amavo. Però non riuscivo a capire se quel mio amore era passeggero come al solito, oppure quello che provavo era serio a tal punto di essere persino in grado di darle quello che lei realmente voleva da me: sicurezza e un pilastro forte che l’aiutasse a riprendere in mano la sua vita. Dovevo capire questo altrimenti avrei rischiato di ferirla e io non volevo assolutamente che accadesse ciò.

«Potrei avere un po’ di quel liquore, sperando che sia abbastanza forte?»

La sua voce mi riportò al presente, lasciandomi non poco sorpreso. Teoricamente ella doveva stare nel mio letto a riposare e non sveglia alle tre di notte.

Spensi la sigaretta che stavo fumando nel posacenere ormai pieno di cicche di sigarette fumate durante le ore che avevo passato in solitudine a pensare e girai il viso verso di lei, per guardarla dritto negli occhi.

«Non dovresti essere a letto?», la rimproverai.

«Ho avuto un incubo e non riesco più a dormire. Posso stare con te?»

Posai il posacenere sul bordo di marmo del caminetto e non feci in tempo a spostare anche il bicchierino di Poitìn che Jenny lo afferrò e lo bevve tutto d’un fiato.

«Hai appena bevuto un Poitìn con tasso alcolico pari al 90% come se fosse acqua fresca.», ribadii irritato, strappandole il bicchiere di mano e tirandola a me, facendola sedere sulle mie ginocchia.

«Davvero ha un tasso alcolico così elevato?», domandò ingenuamente lei.

Aveva lo sguardo perso, infantile oserei dire. Era lei, ma nello stesso tempo avevo l’impressione di trovarmi di fronte ad un’altra Jenny, molto più piccola e sconsiderata.

«Sì, non sto scherzando.»

«Allora, era proprio quello che mi serviva!», esclamò con un sorriso che però mi fece irritare ancora di più.

«Signorina, vedi di smetterla. Questa è l’ultima volta che bevi qualcosa con un tasso alcolico così elevato. La prossima volta, sappi che sarai in guai seri.»

«Sì papà. Però tu puoi bere cose forti e io no. E poi, ho appena scoperto che fumi e questa cosa non si fa, perché ti fa solo male.», affermò con sarcasmo.

Sì, Jenny improvvisamente era diventata completamente infantile e molto più schietta del solito. La guardai negli occhi scoprendo che le erano diventati lucidi e le guance erano molto arrossate, segno che l’alcol le aveva fatto effetto.

«Stai bene?», le domandai più dolcemente carezzandole una guancia.

«Perché resta sempre nei miei sogni? Cerco di dimenticare, eppure anche se sono passati tre anni e non lo vedo più, lui è sempre nei miei sogni. Perché?»

La guardai senza parole. Jenny era cambiata nuovamente. Ora pareva essere più vecchia dell’età che aveva, più stanca, più triste, più provata da quel qualcosa che io non sapevo, ma che le aveva sicuramente distrutto la vita. Nuovamente avvertii la furia invadere il mio corpo e la mia mente perché odiavo vedere Jenny in quello stato, era una ragazza e come tale doveva comportarsi: uscire con gli amici, divertirsi, pensare ai ragazzi o ad altre cose che di solito fanno le ragazze. Invece Jenny era sola, aveva perennemente paura, fobie che affrontava chiudendosi in se stessa e non permettendo a nessuno di entrare nel suo mondo. Quando passavo il venerdì con lei in biblioteca, avevo notato che ella era più rilassata soltanto quando leggeva o scriveva, come se l’entrare in altri mondi o il creare altri universi, l’aiutava ad andare avanti a scappare per un po’ dalla realtà e ritrovare le forze per proseguire la sua frenetica corsa ad ostacoli nella realtà.

«Chi è che sta sempre nei tuoi sogni?», domandai in un sussurro, sperando che lei si confidasse.

«Lui. Non voglio dire come si chiama, non ci riuscirei, mi fa troppo male.»

«Allora chiamalo come preferisci, però ora calmati. Non potrà più farti del male.», le risposi a mia volta, stringendola forte a me e cercando di calmare i violenti tremori del suo corpo.

Nel vederla in quello stato, avevo la brutta sensazione che quella storia che Jenny teneva nascosta fosse più grave di quel che io avevo immaginato.

«Io lo amavo, ma lui mi tradiva. Ogni sera andava a letto con altre ragazze e io, nonostante altre persone mi riferissero ciò, continuavo a fidarmi della sua parola, continuavo a credere a quello che lui mi diceva. Quando però, anche la mia migliore amica arrivò a dirmi che lui mi tradiva, non le credetti. Però lei mi mostrò delle foto in cui lei era a letto con lui. Lei, la mia migliore amica, era andata a letto con lui. Ricordo che quando vidi quelle foto scappai via da scuola, nonostante le lezioni non fossero terminate. Avevo bisogno di riprendermi, avevo bisogno di stare da sola e di capire cosa dovevo fare. Lui però aveva assistito a tutto l’episodio, standosene in disparte e ridendosela con i suoi amici, per cui quando ero fuggita da scuola lui mi seguì. Mi ero rifugiata in una delle stradine del centro storico. Era una strada senza via d’uscita e per questo non ci passava mai nessuno. Tra l’altro era anche buia e non vi erano portoni. Quindi lì sarei stata da sola e sarei riuscita a calmarmi. Purtroppo non andò così: quella stradina divenne la mia condanna. Quando vidi che lui mi aveva seguita, gli urlai il perché mi tradiva e sai come mi rispose? “Credi davvero che io stia con te per amore? Io voglio solo vincere una scommessa nel fare qualcosa che nessuno è mai riuscito a fare: portarti a letto”. Lui stava con me solo per una scommessa. Solo per quello.»

Nel sentire quelle ultime parole rimasi spiazzato. Ora capivo perché Jenny aveva sofferto nel sapere che io, mi ero avvicinata a lei, solo per vincere una scommessa. Ora capivo tutto e mai, come in quel momento, mi ero odiato così tanto. Nel vederla prendere un profondo respiro, credetti che ella avesse terminato, che ella si fosse sfogata del tutto ma in realtà stava solo prendendo fiato per dirmi la cosa che davvero l’aveva segnata, la cosa che mi fece andare su tutte le furie.

«Fu quel giorno, in quella stradina, che lui vinse la scommessa. Si prese con la forza il mio corpo, e poi mi lasciò lì, sanguinante e priva di coscienza.», chiuse gli occhi e con un sussurro aggiunse una citazione, «”Ho imparato che la vita non è mai giusta. Se c'è una cosa che dovrebbero insegnare a scuola è proprio questa”1

Quelle parole furono la mia condanna. In quel momento desiderai sapere il nome di quel ragazzo solo per poterlo trovare e uccidere. L’unica cosa che mi calmò, fu il vedere le lacrime di Jenny. Lei non avrebbe mai visto quel lato oscuro del mio carattere, lei non doveva mai vedere il mio sguardo carico di odio e desiderio omicida. Lei non doveva vedere nulla di tutto ciò. Lei meritava solo la dolcezza e l’affetto che, terze persone, le avevano negato. E io avrei lottato per darle quello che lei chiedeva.

Con quei pensieri, calmai la mia rabbia e cominciai a stringerla forte al petto, sussurrandole parole di conforto che mai avrei creduto di essere capace di poter pronunciare. Pian piano, nonostante quella sua improvvisa confessione dolorosa, dopo una mezz’oretta ella si riaddormentò. Aveva ancora le lacrime agli occhi che continuavano a rigarle quelle guance tinte di rosso sia dall’alcol e sia dalla stanchezza, così le asciugai delicatamente le guance e le posai un piccolo bacio sulla fronte.

Lo avevo capito da tempo ormai: ero innamorato di lei e poco importava se avevo paura di non essere abbastanza per lei o di essere sbagliato come ragazzo. Io avrei fatto di tutto per proteggerla e renderla felice. Di tutto. E ora ne ero sicuro.

«Ti amo piccola.», le sussurrai dolcemente, continuando a stringerla forte al mio petto, nella speranza di poterle regalare un sonno migliore.


 

1. Citazione tratta dal libro di Nicholas Sparks intitolato “I passi dell’amore”.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LilyLunaWhite