«Sa
cos'è successo all'altro»
Il batacchio al 221B di
Baker Street era stato raddrizzato e
Sherlock Holmes capì che suo fratello Mycroft era in casa.
Ciò che né lui né il
suo amico John Watson sapevano è che Mycroft non era solo.
Compostamente seduta ad un’estremità del divano
nero c’era una donna.
Il taglio sbarazzino dei suoi capelli neri era indice, insieme
all’abbigliamento
comodo ma non privo di una certa eleganza, della praticità
che la
caratterizzava. Fasciata dal candido cotone dei suoi pantaloni, i
polpacci
stretti negli stivali di un marrone tendente al rossiccio, ancora
avvolta nella
giacca di pelle dello stesso colore degli stivali, era perfettamente
immobile e
teneva gli occhi rigorosamente chiusi all’appartamento e a
Mycroft.
Lui, dal canto suo, ne ignorava la presenza standosene in piedi, mani
giunte
dietro la schiena, davanti alla finestra, lo sguardo fisso sullo
scorcio di
Londra che riusciva a vedere da lì.
In attesa.
A nessuno dei due sfuggì il rumore dei due che rientravano.
Sherlock e John incontrarono Mrs. Hudson alla base della rampa di scale
che
conduceva al piano superiore.
«Ci sono visite»,
informò con il consueto tono di voce di
chi la sapeva lunga riguardo le visite di Mycroft a suo fratello. Non
disse
altro e John si sentì in dovere di ringraziarla, senza
capire lui stesso bene
per cosa precisamente.
Sherlock era già mentalmente proiettato altrove, guardava
davanti a sé senza
notare niente di preciso, apparentemente attento a non mettere in fallo
i piedi
sugli scalini e in realtà ancora concentrato su qualcosa che
John non era
riuscito a indovinare durante il viaggio in taxi.
Mycroft si voltò nel momento esatto in cui suo fratello fece
ingresso nella
stanza e fissò lo sguardo su Sherlock. Lui, invece, aveva
immediatamente
voltato il capo verso quella sconosciuta entità che occupava
una parte del suo
divano.
Lei non mosse un muscolo, continuando a nutrirsi solo di un respiro
lento, come
di chi è profondamente addormentato. Ma naturalmente non
dormiva.
«Sherlock, Dottor Watson»,
salutò Mycroft senza tradire
alcuna emozione e senza ricevere alcuna risposta.
John si spostò leggermente a sinistra, inserendosi di fatto
tra Sherlock e
Mycroft ma restando qualche passo dietro l’amico. Continuava
a spostare lo
sguardo dall’una all’altra delle tre figure
presenti nella stanza, confuso
dalla giovane donna e in imbarazzo per il silenzio dei due fratelli.
Sherlock la guardava con insistenza, quasi volesse trapassarla per
carpirne
informazioni. Per essere una cliente era davvero insolita. Non era
facile
studiarla: sembrava non portarsi dietro nulla a parte i vestiti freschi
di
bucato e quindi privi di qualunque indizio. Si concentrò sul
volto e capì che,
benché non l’avesse mai vista prima, i tratti di
lei gli ricordavano
irrimediabilmente qualcosa. Quindi entrò nel palazzo mentale
e cominciò a
cercare.
Intorno a lui non si muoveva una mosca.
Gli occorsero una ventina di secondi per capire che la donna non gli
ricordava
qualcosa, ma qualcuno.
«Sono curioso di sentire cos’hai da dirmi», disse infine
guardando finalmente Mycroft, che rilassò le spalle e
riprese a respirare, ma
lasciando intendere che la curiosità era rivolta tanto a lui
quanto a lei.
Mycroft aveva per un attimo temuto che suo fratello minore potesse
scoprire
tutto prima ancora che lui provasse a spiegare.
Appena la giovane donna sentì la voce di Sherlock
aprì gli occhi, ma lui non
poté vederli perché le aveva già dato
le spalle con l’intenzione di sprofondare
nella sua poltrona preferita.
John, invece, li vide e ne rimase sconvolto.
Lei non gli badò e seguì i movimenti di Sherlock.
Poi, di nuovo chiuse gli
occhi e rimase in silenzio.
Il dottore non riusciva a mettere le parole una in fila
all’altra per chiedere
qualcosa, così decise di imitare l’amico e sedersi
anche lui in poltrona, di
fronte a Sherlock.
Mycroft tornò a guardare fuori dalla finestra e il silenzio
piombò nell’appartamento.
Al piano di sotto, Mrs. Hudson si aspettava da un momento
all’altro che
Sherlock sbattesse fuori casa il fratello.
«Come ben sai»,
esordì infine Mycroft, «Ogni famiglia
nasconde dei segreti».
Silenzio.
Lei ancora gli occhi chiusi.
Sherlock i gomiti sui braccioli, le mani intrecciate sopra le labbra,
gli occhi
fissi su John.
John sempre più confuso, il cuore in gola, in attesa di una
qualche
rivelazione.
Mycroft le mani di nuovo giunte dietro la schiena.
Lei cambiò posizione e riaccavallò le gambe.
Sherlock se ne accorse, ma non si voltò.
John iniziò a fissarla, poi si disse che non era educato.
Mycroft ancora non parlò.
Non era trascorso più di un minuto, ma a tutti parve
un’eternità.
«La nostra non fa eccezione»,
concluse Mycroft.
John Watson ebbe un brivido e socchiuse le labbra manifestando lo
stupore che
lo invase.
Sherlock non si mosse.
La giovane donna sollevò le lunghe ciglia scure, unico segno
visibile di
make-up sul viso acqua e sapone. Guardò Mycroft senza
voltare il capo. Poi si
alzò, rivelando gambe lunghe e sottili, un corpo ancora
più snello di quanto
non fosse sembrato a John Watson. Un piccolo ciuffo di capelli
sfuggì alla
massa dei corti ricci, spostandosi sulla fronte e coprendole in parte
l’occhio
sinistro. Si alzò, ma non si mosse né
parlò.
Mycroft le restituì lo sguardo. Poi guardò
Sherlock.
Lei lo imitò.
Per la prima volta da quando era rientrato a casa, trovando suo
fratello
Mycroft in compagnia di una sconosciuta, Sherlock incontrò
gli occhi della
donna. Anziché sconvolgerlo, la cosa gli confermò
l’ipotesi che aveva maturato
nel palazzo mentale: quella giovane donna gli ricordava qualcuno.
Qualcuno che
lui conosceva molto bene.
I due si guardarono per quindici interminabili secondi.
Poi John scattò in piedi.
«Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo?».
Finalmente era riuscito a mettere insieme le parole nel modo
più corretto. Il
tono tradiva tutta la sua confusione.
Tutti si voltarono verso di lui, tranne Sherlock che manteneva lo
sguardo fisso
su di lei.
«Siediti, John», disse. E lui lo
fece.
Lei provò un brivido alla voce di Sherlock e
sollevò impercettibilmente il
sopracciglio sinistro quando vide il Dottor Watson riprendere
docilmente posto
sulla poltrona. Non che i lineamenti di John avessero perso lo
sconvolgimento,
comunque.
Vi fu un altro momento di silenzio che servì a Mycroft per
riordinare i
pensieri.
L’ultima volta che aveva ricordato ad alta voce il segreto
della famiglia
Holmes – segreto che era tale soltanto per Sherlock in
effetti – prima di aver
parlato con la giovane donna una settimana prima, era stato quando suo
fratello
minore aveva ucciso Charles Augustus Magnussen. Era stato necessario
vestire i
panni del fratello senza cuore, mettere Sherlock su un aereo e farlo
partire
per l’Europa dell’est. Solo per quattro minuti,
certo, ma era stato necessario.
In quell’occasione gli era stato fatto notare quanto mancasse
di solidarietà
fraterna e lui aveva risposto «Sa
cosa è successo all’altro».
Mycroft tornò al presente, chiuse per un attimo gli occhi,
poi fece un salto
più lungo indietro nel tempo.
Poche settimane erano passate da quando la signora Holmes era rientrata
dall’ospedale
insieme al signor Holmes e a due piccoli fagotti. Mycroft era rimasto
ad
attendere sulla porta mentre i suoi genitori si avvicinavano a lui,
brillando
di una felicità ultraterrena: sua madre non gli era mai
parsa tanto bella.
Il piccolo Mycroft sentiva di avere una nuova responsabilità
da quando i due
fagottini avevano fatto ufficialmente ingresso nella sua vita. Mycroft
era
diventato il fratello maggiore di due gemelli, un maschietto ed una
femminuccia.
Erano passate una manciata di settimane, ma ci vollero sedici anni da
quel
momento prima che a Mycroft venisse detta la verità su
quella storia.
Una mattina si era svegliato e aveva trovato una sola culla nella
stanza dei
gemelli. E un solo gemello, Sherlock. I genitori non gli raccontarono
che era
morta, non ebbero il cuore di mentire fino a quel punto, ma gli dissero
che la
piccolina non poteva più vivere con loro a causa di una
gravissima malattia che
la costringeva a restare sempre in ospedale, al sicuro.
Al sicuro.
Nessun rumore al 221B di Baker Street.
Mrs. Hudson, al piano inferiore, aveva iniziato a pensare che Sherlock
avesse
addormentato gli ospiti.
Mycroft fece un altro salto nel tempo.
Sedici anni più tardi sia lui che Sherlock non abitavano
più con i genitori e
Mycroft aveva deciso che era arrivato il momento di scoprire la
verità.
Una verità che stava per condividere con suo fratello
Sherlock.
N.d.A.
Nella
traduzione italiana della battuta di Mycroft nella 3x03 è
chiaro che Holmes senior parla di un terzo fratello e non di una
sorella. Nonostante questa evidenza, da quando ho cominciato a
fantasticare sulla battuta in questione, quella che dà il
titolo alla mia storia, ho sempre immaginato una gemella di Sherlock.
Considerata la stravaganza che contraddistingue gli Holmes, non mi
stupirei se questa fantomatica sorella si fosse finta uomo per anni,
perciò spero con tutto il cuore che mi abbiate assecondata
arrivando alla fine del racconto.