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Autore: Goran Zukic    12/03/2015    5 recensioni
Fanfiction interattiva (ISCRIZIONI CHIUSE)
Gli Hunger Games, la più brutale espressione di violenza che Capitol city abbia mai offerto al suo pubblico, un gioco mortale che va oltre qualsiasi morale e etica, 24 ragazzi che si scannano fino alla morte in un arena, lontano da tutto e da tutti. Un solo vincitore, morte certa per gli altri, una condanna a morte che inizia con la mietitura e finisce con un colpo di cannone. Un gioco da cui nessuno può sottrarsi, un gioco che ti costringe ad essere ciò che non sei, un gioco che ti farà diventare un assassino.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Il giorno della mietiturs (parte 2)

Distretto 1
Non fece in tempo neanche a dire il nome che tre voci si accavallarono tra la folla, ergendosi sopra le parole di Nancy.
“Mi offro volontaria!”
“Mi offro volontario!”
“Mio offro volontario!”
Nancy per poco non cadde a terra, come assalita dalle voci dei ragazzi.
I ragazzi continuavano a parlare, la gente intanto iniziava a rumoreggiare, alcuni applaudivano, altri commentavano, alla fine si fece un gran caos.
I pacificatori entrarono in azione, ma non riuscirono a sedare il caos.
“SILENZIO!” urlò Nancy nel microfono, con una voce così acuta che molte persone in piazza dovettero tapparsi le orecchie.
Il silenzio e la calma ritornarono nella piazza e Nancy con un sorrisino soddisfatto disse: “Adesso chiunque si voglia offrire volontario alzi la mano, senza parlare”
Tre ragazzi, due maschi e una femmina, alzarono la mano e intorno a loro la folla si allargò per far loro spazio.
I tre ragazzi si guardarono negli occhi.
Lei era bella, bellissima, capelli marrone chiaro, occhi scuri, in un vestito bianco che le arrivava alle ginocchia.
I suoi occhi incontrarono quelli di uno dei due ragazzi e i due si sorrisero annuendo.
Lui era alto, aveva i capelli biondi e lunghi, cotonati e pettinati, gli occhi azzurri, un sorrisino furbo sulle labbra.
Indossava un completo lilla e osservava tutti con sguardo altezzoso e superiore.
I loro occhi puntarono allora sull’altro ragazzo, era alto, forte, aveva i capelli neri e sotto il vestito fatto su misura, si potevano vedere dei grandi muscoli ed una grande massa fisica.
Entrambi lo gelarono con lo sguardo, quasi volessero mangiarlo con gli occhi, ucciderlo all’istante.
Il ragazzo li guardò per un attimo e poi si rivolse a Nancy.
“Scusatemi, ci ho ripensato. Non intendevo…” disse lui nervoso e abbassò il braccio.
“E bravo Clay” pensò tra sé e sé la ragazza.
Si voltò ancora verso l’altro ragazzo, quello con i capelli biondi che le strizzò l’occhio.
“Sembra che abbiamo i nostri campioni” esclamò Nancy con voce viscida, acuta e sdolcinata. “Su, venite qui e presentatevi al mondo”
I due ragazzi uscirono dalle file e camminarono verso il palco e arrivati al microfono il ragazzo iniziò a parlare.
“Siamo Willoughby Crawley e Anastasia Izmailov e saremo i vostri campioni. Non vi deluderemo distretto 1” disse lui causando l’applauso e l’isteria generale.
Willoughby e Anastasia si guardarono negli occhi, entrambi con sorriso beffardo e maligno, poi si presero per mano e si baciarono.


Distretto 5
Gli occhi di lui non l’avevano mai sfiorata, si chiedeva se sapesse quello che aveva intorno, il suo sguardo era vacuo, vuoto, privo di empatia.
Riether era lì, fermo immobile, in parte a lei, gli occhi fissi davanti a lui, le mani ferme lungo i fianchi, le gambe rigide, quasi sull’attenti.
Jennifer invece tremava, non riusciva a nascondere la paura e l’inquietudine per quello che le era appena successo, non ci credeva, non voleva crederci, ma era successo, ora era un tributo, che le piacesse o no.
Cercò di distrarsi, si sistemò i capelli lunghi e castani, girò due e tre volte i pollici con le mani dietro la schiena, a volte batté qualche colpetto sul legno del palco, ma non riusciva a stare calma.
Lui invece era calmo, freddo, rigido, non aveva mai lasciato trapelare alcuna emozione.
Jennifer era un po’ innervosita da questo fatto.
“Come faceva? Qual era il suo segreto? Ha 14 anni, per la miseria, come fa a non aver paura?” pensava lei, di tanto in tanto guardandolo.
La presentatrice finì di parlare e invitò i ragazzi a seguirla dentro il palazzo di giustizia.
I ragazzi la seguirono e videro la folla spegnersi via via dietro una porta che si chiudeva.
“Avete 10 minuti per parlare con le vostre famiglie, poi si va in stazione, mi sono spiegato?” “Sì mi sono spiegato” disse il capitano dei pacificatori rispondendosi da solo.
Jennifer venne condotta verso la sua stanza.
Si girò ancora una volta verso Riether e questa volta non aveva lo stesso sguardo freddo e distante, la fissava con le sopracciglia aggrottate e con un sorrisino maligno.
Jennifer ebbe un tremito e girò lo sguardo a terra, poi si chiuse la porta alle spalle e vomitò.


Distretto 10
“Perché proprio tu?! Non poteva uscire qualcun altro!?” esclamò a gran voce Robert sbattendo a terra un vaso.
“Aspetta” disse lei sottovoce, tremante e nervosa, aveva i capelli biondi chiarissimi, gli occhi chiari, il naso all’insù ed era piccola e snella.
“No! Loro vogliono lo spettacolo! Non importa a nessuno se hai dodici anni! Fottuti stronzi!” continuò Robert come se non l’avesse sentita.
“Aspetta” ripeté lei, ma non la ascoltava continuava a borbottare e bestemmiare.
Carrie spalancò i suoi occhi azzurri e si sedette allora sulla sedia, rassegnata, triste e terrorizzata.
Si spalancò la porta e un pacificatore disse: “E’ finito il tempo signor Fluttershy”
“No. Mi dia qualche minuto per salutarla”
“E’ finito il tempo”
Robert si girò verso Carrie e mentre varcava la porta le disse: “Ti voglio bene”
A Carrie queste parole entrarono in un orecchio e uscirono dall’altro come se fosse caduta in uno stato di trance da dove non riusciva più ad uscire.
“Aspetta” esclamò lei con un fil di voce verso la porta che si chiudeva, ma la porta si chiuse con un tonfo.
Carrie sospirò di amarezza e si appallottolò con le ginocchia al petto piangendo sulle sue braccia.

“Sta piangendo. E’ troppo fragile, troppo fragile per queste cose, non si dovrebbero permettere certe cose” esclamò Ivan contrariato.
“E che ne sai tu. Non la conosci nemmeno, non ha amici, ha paura persino quando deve parlare” replicò un uomo seduto su una sedia.
“Appunto. Non è fatta per gli Hunger Games; la faranno fuori se non si ucciderà prima. Cosa pensa che dovrei fare?” chiese allora il ragazzo.
“Sei tu che ti sei offerto volontario, non è un problema mio” esclamò il signor Burchet innervosito.
“Non devo essere io a dirti ciò che devi fare, se non ti sentivi pronto dovevi pensarci prima”
Ivan rimase scioccato da quelle parole, si mise le mani nei capelli biondi, e iniziò a camminare in cerchio, sbuffando e tremando, era la prima volta che si sentiva così insicuro.
Era alto, molto alto, spallato e robusto, muscoli che si era costruito sollevando e trasportando la carne del bestiame e i sacchi di prosciutti.
Aveva i capelli biondi, corti, gli occhi azzurri e la mascella larga e scolpita.
“Il tempo è scaduto” disse un pacificatore da dietro la porta.
“Ci vediamo Ivan” disse Burchet uscendo.
“Ci vediamo sul treno” disse Ivan la cui voce si era fatta più grave e nervosa.
“No, non sarò io il tuo mentore, d’ora in poi dovrai cavartela da solo” replicò lui e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Ivan guardò ancora per qualche secondo la porta chiusa, poi preso dalla rabbia e dal nervosismo, tirò un pugno sul tavolino accanto a sé, che si frantumò a terra, spaccandosi in quattro.


Distretto 6
Milan era seduto sul divano, ora molto più tranquillo dato che Adrian gli era venuto a fare visita.
Adrian era, possiamo dire il suo datore di lavoro, era l’uomo che lo aveva preso in custodia e di fatto gli aveva offerto l’opportunità di far vivere la sua famiglia da benestanti.
Milan aveva 18 anni e non credeva potesse essere estratto per gli Hunger Games. All’inizio era rimasto scioccato e furioso, ma alla fine si era calmato, poteva vincere, lo sapeva e la sua famiglia sarebbe stata ancora meglio.
“Se andasse male ti prenderai cura tu della mia famiglia?” chiese Milan ad Adrian che camminava in cerchio.
“Hai ripagato la mia fiducia in questi anni e penso sia il minimo che io possa fare” rispose l’uomo sorridendo al ragazzo.
Milan annuì e ringraziò Adrian.
“Sei il padre che non ho mai avuto” disse Milan.
Adrian allora prese per le spalle il ragazzo e gli disse: “Ti ho solo dato una possibilità per diventare un uomo e non mi hai mai deluso. Se questo significa essere per te un padre, ne sono orgoglioso”
Milan si sistemò i capelli neri, sul braccio aveva ancora l’ustione che gli aveva causato l’ultimo colpo, quello alla fabbrica delle rotaie, a volte gli doleva, ma si era potuto permettere la miglior cura disponibile.
Adrian era pelato e aveva gli occhi verdi, indossava il suo completo viola e fumava la pipa.
“E’ finito il tempo” esclamò il pacificatore aprendo la porta.
“Grazie Adrian” disse Milan.
“Sembrerò banale, ma possa la fortuna essere a tuo favore, amico mio” replicò Adrian e uscì dalla stanza.
Nella stanza accanto l’atmosfera era molto meno tranquilla.
“Il tempo è scaduto” disse il pacificatore e la madre e il padre della ragazza si staccarono dall’abbraccio con qualche fatica, piangendo.
I genitori non ebbero la forza di dire addio alla loro bambina che piangeva e tremava.
La porta si chiuse davanti a lei e rimase sola insieme alla sua paura nella stanza.
“Tutto bene?” esclamò una voce dall’altra parte del muro.
Petra, quello era il suo nome, bloccò il pianto strozzato e rispose: “Chi sei?”
“Sono Milan, il tuo compagno di distretto, qualcosa non va?” chiese Milan da dietro il muro.
“Tutto non va” rispose lei leggermente innervosita dalla domanda così naturale.
“Capisco” disse lui e ci fu un attimo di silenzio “Io ci sono se vuoi parlare”
“Ok” replicò lei, ma proprio in quel momento si aprì la porta e un pacificatore di colore irruppe nella stanza.
“Il treno è arrivato, dobbiamo andare”
   
 
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