La prova. Il dettaglio.
Sherlock e la
sua gemella erano seduti a terra, spalle contro il muro, al primo piano
del 221B di Baker Street.
Fianco a fianco, immersi nel buio. Il respiro ancora un po' affannato.
Mrs. Hudson non si era accorta di nulla. Dormiva, al piano inferiore.
Senza preavviso, Sherlock Holmes iniziò a ridere di gusto.
Fu strano. Non tutti i giorni si sentiva una risata tanto profonda. Non
tutti i giorni si poteva sentir ridere Sherlock Holmes.
Suonare il violino sì. Fare strani esperimenti
sì. Rimuginare su qualcosa sì. Ma ridere...
Sua sorella, in prima battuta spiazzata, si lasciò infine
contagiare.
L'episodio riportò Sherlock indietro ai primi tempi
con John Watson: qualcosa di simile era accaduto anche all'epoca.
La risata si spense gradualmente, ma la stanza non era più
la
stessa quasi avesse conservato l'eco di quel suono di cui troppo
raramente si riempiva.
Sherlock Holmes ha
appena violato la privacy di un uomo introducendosi nel suo
appartamento dalla finestra.
La sua gemella gli copre le spalle e lo segue come un'ombra.
«John,
hai portato la pistola?»,
domanda in un sussurro.
«Non
sono John. Concentrati. E non ci serve
nessuna pistola», risponde sua sorella sfiorando
l'impugnatura del coltello che porta sempre con sé.
Il consulente investigativo resta interdetto per un istante. «Dettagli», commenta volendo sempre l'ultima
parola.
Una leggera ma decisa spallata lo spinge all'interno della sala
principale di quel modesto appartamento. E' stata sua sorella,
naturalmente. Anche lei vuole sempre l'ultima parola.
Sherlock sta indagando sul caso da due giorni ed è ad un
passo dalla soluzione, così le ha detto.
Lei gli crede, decide di accompagnarlo ed ora è
lì con
lui alla ricerca della prova che, a detta di Sherlock,
incastrerà l'uomo. Il dettaglio fondamentale della vicenda
è che lei non sa in cosa consista esattamente questa prova.
Conosce il caso, però, e ovviamente ha tratto le proprie
conclusioni.
Si muovono con cautela, senza produrre alcun rumore, senza spostare
nulla.
Secondo Sherlock il proprietario di casa non rientrerà prima
delle ventitré. Sono le ventidue e quindici minuti e
qualcuno è appena entrato nel palazzo.
- Sale
le scale. Si ferma davanti alla porta, intende aprirla.
Impiega un po' a trovare le chiavi. L'appuntamento gli è
andato
male e ha deciso di fare un salto al bar per una birra. Una
è
diventata quasi certamente quattro. Accende la luce, interruttore alla
sua sinistra. Si accorge degli intrusi e più o meno
prontamente
telefona alla polizia. Una bella rogna -
Fare previsioni
è la
specialità di Sherlock Holmes, nonché la sua
salvezza.
C'è sempre, però, un margine di errore.
L'uomo si è fermato a parlare con il portiere, e questo
allunga
di un poco il tempo a disposizione dei gemelli. Sanno entrambi di
averne in ogni caso meno di quanto avessero calcolato.
Soltanto ora che la
cerca Sherlock si rende conto che sua sorella non è
più nei
paraggi.
«Dobbiamo
andare! Muoviti!», sussurra con
urgenza nella voce e il corpo già in direzione della
finestra. I muscoli pronti a scattare. Detesta le persone
più lente di lui.
Lei è nella stanza accanto, sa dell'uomo e sa che
entrerà in casa di lì a poco. Ma ha trovato una
cosa.
«Non
vorrai andare via senza questo»,
dice trionfante, sapendo di avere in mano la prova per cui Sherlock
l'ha trascinata lì. Se la sventola soddisfatta davanti al
naso.
L'uomo è dietro la porta. La apre.
Lei
sorride a Sherlock.
L'uomo accende la luce.
La finestra è
aperta anche se lui ricordava di averla chiusa. Nell'appartamento regna
il silenzio.
Un uomo e una donna si
sono appena
calati dalla finestra, nella notte, e scappano per il solo gusto di
sentire l'adrenalina scorrere libera nelle vene, per godersi l'aria
fredda di una Londra dormiente e tanto, tanto accattivante.
Sherlock si voltò a guardare sua sorella. Il volto di lei
vagamente illuminato dalle luci provenienti dall'esterno.
Anche lei lo stava osservando. Gli aveva appena messo in grembo la
prova che avrebbe fatto piombare Scotland Yard a casa di quell'uomo
l'indomani.
La lieve spigolosità degli zigomi, gli occhi grandi e le
labbra piene, i capelli ricci e neri, le capacità
intellettive
di quella donna non gli lasciavano alcun dubbio riguardo la sua
identità. Ogni volta che la guardava gli veniva istintivo
cercare nel proprio palazzo
mentale la presenza di lei nella sua vita. Una frase di troppo, un
commento scappato di bocca, un oggetto, un particolare, un'abitudine,
una qualunque traccia che
testimoniasse quel legame biologico così evidente. Ogni
volta
non trovava nulla.
«Io
non esisto, Sherlock», gli
aveva detto durante il soggiorno nel Sussex e sembrava essere proprio
così.
La taciturna gemella di Sherlock Holmes, le gambe allungate
sul
pavimento, incrociò le caviglie lasciando diffondere nella
stanza il rumore di stoffa che struscia. Suo fratello era immobile
accanto a lei, perfettamente a suo agio al buio ed in silenzio.
Tutto ciò che sapeva su di lui, tutte le informazioni che
con
fatica e astuzia aveva raccolto negli anni, non valevano quel momento
insieme a lui.
La notte è un mantello perfetto per ogni cosa. Per i
tormenti,
per i sentimenti, per gli amanti, per i segreti, per una fuga, per il
divertimento, per entrare in confidenza.
Entrambi in quel frangente, avvolti dal mantello della notte, si
sentivano al sicuro.
Accadde in un attimo.
La testa di lei si inclinò leggermente per raggiungerlo. La
tempia gli finì sul braccio.
«Io non credo che sia...», commentò al contatto.
Neanche il tempo di poterne sentire il calore.
«Sta' zitto», gli rispose. Neanche il tempo di
lasciargli finire la frase.
Lui chiuse gli occhi e
abbandonò il capo contro la parete. Un sorriso nascosto nel
buio.
Trascorsero non più di dieci minuti prima che Sherlock
parlasse di nuovo.
«E' stato divertente»,
mormorò nella sua immobilità.
«Il termine
più corretto è eccitante»,
puntualizzò lei.
Qualche istante di silenzio.
«Usi uno shampoo all'aceto di more.
L'assenza di
make-up sul viso, cosa che la mia camicia confermerà
domattina,
potrebbe portarmi a credere che non ami prenderti cura di te, ma le
sopracciglia perfettamente definite dimostrano il contrario. E il
mascara... Il mascara è importante. Rende il tuo sguardo
ancora
più penetrante. E' la tua arma di seduzione, la via che usi
per
ottenere ciò che vuoi. Quando le cose si complicano,
però, e questo deve essere accaduto spesso, tiri fuori
un'altra
arma. Non ti allontani mai dal tuo coltello, non è vero?
Sì, controlla pure
se è ancora lì. E poi l'abbigliamento. Sempre
sobrio, sempre comodo. Chissà come ti sei sentita la prima
volta
che sei stata costretta a fuggire con un abito da sera addosso e dei
micidiali tacchi a spillo ai piedi».
Espresse con un'inusuale delicatezza le sue deduzioni. La voce
composta, gli occhi ancora chiusi, fermo nella stessa posa. Non un
muscolo del suo corpo si era mosso ad esclusione di quelli facciali.
Inaspettatamente, il contatto con il corpo di sua sorella non lo
infastidiva.
Lei lo ascoltò senza battere ciglio. Il suo era uno strano
modo
di essere sorpresa, difficile da spiegare. Conosceva indirettamente le
doti deduttive di Sherlock Holmes, sapeva quanto fosse intelligente e
quante cose sapesse tirare fuori da un solo, minuscolo dettaglio,
eppure
vivere quell'esperienza in prima persona era tutt'altra cosa. Non si
sentì offesa o messa a nudo. Ciò che provava era
un misto
di soddisfazione e ammirazione.
Quel tipo di
sentimento che spinge i fan ad applaudire e sostenere il proprio idolo
a qualunque costo, qualsiasi cosa dica o faccia. Una specie di
adorazione.
«Però! Complimenti»,
commentò, «Ma,
ahimé, hai corso troppo con la fantasia».
Se gli occhi di Sherlock avessero
potuto risplendere
di luce propria, in quel momento la stanza si sarebbe illuminata. Li
spalancò e per la prima volta si mosse, con il disappunto di
sua
sorella che tornò ad appoggiarsi alla parete.
Un altro dejà-vu.
«Dove ho sbagliato?»,
chiese guardando la sua gemella nel buio dell'appartamento.
«Stavo più
comoda», rispose lei prima di
accontentarlo. «Non
è mai capitato che io sia dovuta fuggire in abito da sera e
tacchi a spillo»,
mormorò dopo mezzo secondo, lasciando libera interpretazione
alle proprie parole.
«Interessante», fu il suo unico e sintetico commento.
Poi di nuovo silenzio al 221B di Baker Street.
Londra dormiva.
John Watson dormiva.
Mycroft Holmes dormiva.
L'Ispettore Lestrade dormiva.
Mrs. Hudson dormiva.
Molly Hooper dormiva.
Molto più tardi anche i
gemelli Holmes si addormentarono, spalla contro spalla, testa contro
testa.
N.d.A.
Se evito di parlare di Mary è per il semplice fatto che non
so
ancora quale destino hanno scelto per lei Gatiss e Moffat,
perciò faccio il possibile per non inserirla.
Come sempre grazie per la lettura e per le eventuali recensioni.
Alla prossima.