26 – La fata dei boschi
(L’incontro)
Il giorno dopo uscii presto,
presa dalla necessità di essere sola, per riflettere con calma e lucidità. Non
avevo voglia di cavalcare come facevo ogni mattina sulla spiaggia di Etretat, a
volte in solitudine, ma più spesso in compagnia di André.
Sentivo piuttosto, il bisogno di
camminare, di respirare a pieni polmoni il profumo dell’aria salubre che veniva
dal mare, stancare le mie gambe, rinvigorire il mio corpo e ritrovare in me
stessa l’energia per proseguire la strada che avevo scelto con sofferenza, ma
determinazione.
Mi piaceva farlo nei dintorni
della villa, immergermi nella natura dei dolci pascoli verdi, all’ombra
rinfrescante dei boschi, seguire i sentieri un po’ impervi lungo le colline che
proseguivano inoltrandosi nella boscaglia all’interno della costa, e
abbracciava il paese. Erano sentieri che conoscevo bene, che a volte mettevano
in comunicazione le abitazioni della zona, altre volte proseguivano e
scendevano lungo la spiaggia, da cui si poteva godere del bianco paesaggio
maestoso delle scogliere.
Era stata una sera strana.
Andrè mi era parso diverso, più
arrendevole e dolce, addirittura più affettuoso di quanto non fosse di solito.
Mi aveva lasciata avvicinare più
di quanto avesse mai fatto negli ultimi tempi, e la cosa mi aveva turbata non
poco. Mi stava facendo sperare.
Eppure temevo ancora di
ingannare me stessa e il mio cuore, anche se avevo deciso di accogliere quello
che veniva come buono. Così avevo deciso di fare; vivere quello che la vita mi
avrebbe dato, fosse anche un sentimento incerto e fragile, l’affetto sincero
dell’uomo che amavo.
Andrè mi offriva senza riserve
la sua tenera amicizia, la delicatezza dei suoi gesti attenti, il calore di
sorrisi rassicuranti e pieni di sfumature più intense che facevano battere più
forte il mio cuore.
Se mi avvicinavo a lui con
maggior affetto e sollecitudine, non tentava più di allontanarmi o resistermi,
ma accoglieva i miei slanci e le mie attenzioni con pari intensità, come se
volesse ricambiare ciò che riceveva.
Quella sera appena trascorsa,
André si era lasciato abbracciare stretto, aveva accarezzato le mie tempie con
le mani, giocato con un ricciolo dei miei capelli sotto la luce pallida della
luna, e i suoi occhi si erano fissati nei miei per un attimo, con decisione, e
vi avevo visto un indugio, un pensiero segreto, forse una tentazione cui
abbandonarsi.
Fui certa che volesse baciarmi,
ma per qualche motivo si trattenne. Mi accompagnò discreto alla mia stanza
quando fu il momento di ritirarmi per la notte.
Rimanemmo a fissarci a lungo
sulla porta semi aperta, irrequieti, tremando per l’aspettativa di quello che
potava succedere; la luce di una candela posta di lato, lasciava in ombra una
parte del suo viso, ma notai la luce calda che brillava nelle sue iridi. Lessi
una muta richiesta nel suo sguardo, un desiderio di non essere lasciato solo, e
anch’io forse, avvertii la stessa esigenza. Fui certa che non fosse un inganno.
E fui audace.
Allungai una mano ad accarezzare
il suo braccio: dal gomito risalii fino alla spalla e anche attraverso il
tessuto della camicia, sentii un tremito attraversarlo.
“André vorresti… vorresti
restare con me questa notte?”
Sussurrai, senza osare
aggiungere altro.
Non staccò mai i suoi occhi dai
miei. Avevano sempre quella strana sfumatura calda, irrequieta, che mi faceva
sciogliere e mi incatenava a lui. Forse le ombre mi ingannarono, perché mi
parve di cogliere una vaga piega delle sue labbra, come un sorriso nascosto, ma
non fui sicura. Ero sopraffatta dall’emozione che sigillava il silenzio che né
io, né lui volevamo interrompere.
Sentii solo la sua mano
raggiungere la mia, ferma sulla sua spalla, prenderla e portarla alle sue
labbra. Poi l’abbassò e la coprì dolcemente col palmo della mano opposta.
“Danielle, confesso che sono
molto… turbato. E confuso. Tu sei davvero desiderabile, e io mi sento
lusingato, ma… è meglio di no, passare la notte insieme complicherebbe le cose:
domani, il risveglio potrebbe essere triste.”
Non avevo sperato, né mi ero
aspettata niente, ma la punta di delusione mi raggiunse lo stesso. Abbassai gli
occhi mesta, mentre André dava il bel profilo alla luce della candela, e gli
augurai la buonanotte, chiudendo la porta tra noi.
Adesso ripensavo al suo delicato
rifiuto, e comprendevo quanto doveva essere stato difficile per lui, dirmi di
no. Non saprei dire se André sperasse ancora in quell’amore lontano che Oscar
rappresentava; forse si era rassegnato a non far più parte della sua vita, ed
era soltanto l’amarezza e lo sconforto che lo trattenevano dal prendersi quello
che gli avrei donato senza remore o ripensamenti.
Intuivo che non era ancora
pronto a vivere la nostra stagione con serenità, e senza che potessi saperlo,
stava ancora tentando di cancellare certi sentimenti dal suo cuore; cadere tra
le mie braccia avendo nell’anima il gusto amaro delle cose perdute, sarebbe
stato penoso, per entrambi.
Non avremmo vissuto il nostro
amore con il giusto slancio; io, per quanto innamorata, mi sarei macerata nel
dubbio costante di essere un rimpiazzo, e lui mi avrebbe usata per mettere a
tacere lo spasimo del suo cuore infranto.
Nessuno di noi, voleva questo.
Potevo accettare e ricambiare
con slancio uguale e maggiore la sua affettuosa amicizia, il bene sincero che provava
per me, e gioire di quello, viverlo con pienezza; non potevo immolarmi a un
amore fantoccio.
Mentre riflettevo sui risvolti
di quella nostra situazione, mi ero arrestata sul ciglio del sentiero che stavo
percorrendo e si snodava più avanti in una curva nascosta dal limitare di una
fila di alberi; ero stanca, un po’ accaldata per la lunga camminata e volevo
riposare.
Una recinzione in legno, tipica
di quei luoghi, delimitava il terreno di una tenuta vicina di cui non ricordavo
chi fosse il proprietario; per terra stava un robusto, scuro e nodoso tronco
d’albero abbattuto da una tempesta.
Decisi di sedermi per riprendere
fiato.
Il cielo era limpido quella
mattina, e un sole insolitamente caldo per la stagione, spandeva i suoi raggi
tra le foglie, giocando tra gli arbusti, generando qualche rada ombra qua e là.
Mi piaceva e mi dava una pace
profonda, ascoltare il silenzio tranquillo del luogo, rotto solo dal suono di
qualche usignolo che cantava in lontananza, o dal sibilo leggero di un refolo
d’aria fresca che mi passava sulla pelle della nuca, e svaniva in fretta.
Chiusi gli occhi, mentre il mio
respiro rallentava e rimasi così per lunghi minuti, immersa nel silenzio, la
mente finalmente sgombra da ogni pensiero.
Scese su di me la calma, mentre
sentivo l’aria giocare coi miei capelli, i suoni leggeri delle fronde che
stormivano, il fruscio di qualche timido animale che si nascondeva tra l’erba
alta del campo.
Quando un altro suono, cupo e
sordo venne a distrarmi aprii gli occhi bruscamente, voltandomi nella direzione
da cui proveniva il rumore che sentivo avvicinarsi.
Riconobbi lo scalpiccio
martellante degli zoccoli di un cavallo al galoppo. Non lo vedevo ancora, ma
immaginavo le zolle di terra, la nuvola di polvere ed erba sollevarsi al suo
passaggio. Quando l’animale emerse da dietro la curva, a pochi metri da dove
sostavo, mi alzai in piedi di scatto alla vista del magnifico purosangue nero;
un nitrito improvviso, quindi scartò impennandosi imbizzarrito, con disappunto
del suo cavaliere che cercava di domare la nobile focosa bestia.
Passò qualche minuto concitato.
Il cavallo scalpitò ancora un poco, prima di iniziare a calmarsi. Immobile
dov’ero, osservai la scena lievemente interdetta; incrociai due occhi chiari,
all’apparenza freddi come metallo, ma non riconobbi, né ricordai chi fosse la
figura che si ergeva sulla sella tirando le briglie con energia.
********
Da buon segretario personale,
Andrè controllava la corrispondenza arrivata quella settimana. Non c’era nulla
di interessante che lo riguardasse: lettere di Leopold, di sua nonna – e come
avrebbe potuto se neppure sapeva dov’era? – o altro, - e con altro, si
potrebbe intendere qualche sorprendente missiva di Oscar - a parte le richieste
di denaro di qualche fornitore e i soliti noiosi inviti di buon vicinato a
prendere il te, delle dame locali che risiedevano nelle ville vicine, o giù in
paese. Inviti che in massima parte Danielle avrebbe disertato, salvo qualche
visita che proprio non avrebbe potuto evitare.
Contro ogni logica sperava
ancora di trovare notizie di lei: le avrebbe considerate un valido motivo per
continuare a resistere, un segno del destino a suggerirgli che c’erano ancora
possibilità per loro due.
Ma segni non ne erano arrivati.
Si sentiva particolarmente
fragile, André.
Se avesse baciato Danielle
avrebbe ceduto senza rimedio, lo aveva capito subito, e di conseguenza sarebbe
capitolato di fronte alla sua richiesta di passare la notte insieme. Avrebbe
fatto l’amore con lei, perché in fondo non era un santo, né un pazzo, né un falso
moralista, ma soltanto un uomo come tanti, pronto a cogliere con riconoscenza e
sincero slancio la generosa offerta d’amore di una donna bellissima.
Si sentiva perennemente in
bilico, e mantenere l’equilibrio in quella inusitata situazione sentimentale
era quanto mai difficile. La caduta era una pura questione di tempo.
Era stanco.
Stanco di resistere.
Di aspettare chi non sarebbe mai
venuto a cercarlo.
Così pensava, e si stava
convincendo più velocemente di quanto avrebbe voluto. Oscar era rimasta lontana,
irraggiungibile, sigillata dietro il suo cuore di soldato, irrigidita dal suo
senso del dovere e dell’onore. Se la conosceva un po’, doveva mettere nel conto
anche la componente predominante di una personalità orgogliosa.
Era deluso André.
Rattristato e sfiduciato.
Da quanti giorni era a Etretat?
Settimane? Aveva perso il conto. Gli sembrava una vita; troppo tempo, troppa
distanza messa tra i loro cuori, troppa cenere gettata sulle ultime braci della
loro passione.
Possibile che Oscar l’avesse
lasciata estinguere, senza rimpianti, senza languire nel ricordo di ciò che era
stato? E se non era per amore, per passione, neanche l’amicizia la faceva
smuovere dalla sua torre d’avorio? Neppure quella valeva più nulla?
Non c’era stato giorno che non
avesse pensato a lei, che non l’avesse cercata in quei luoghi che tante volte,
l’avevano vista presente e vicina. Infine, l’aveva intravista negli occhi dolci
e luminosi di Danielle, nei suoi sorrisi così simili. Si era sforzato di non
sovrapporre le loro immagini, ma lo aveva trovato quasi impossibile. Alla fine
si era arreso, e le immagini avevano coinciso, sfumandosi nei contorni.
E fu per lui quasi un sollievo a
cui aggrapparsi, per non soffocare, alleggerire il cuore del peso del rimorso,
e ritrovare quella luce di speranza che lo aveva guidato per anni.
Danielle lo amava. Lo sentiva
con una consapevolezza tale, da farlo sussultare con moto istintivo.
E lui aveva disperato bisogno di
qualcuno che scaldasse il suo cuore. Se Danielle gli offriva tutto questo
perché rifiutarlo? Ostinarsi a inseguire fantasmi, sì, sarebbe stato folle e
insensato.
Chiodo scaccia chiodo.
Forse era solo una diceria
popolare. Forse era una regola che non valeva per uno come lui, che aveva dato
i suoi anni migliori a un’ unica donna, che di lui si era presa con un po’ di
prepotenza tutto quello che poteva prendere, facendo di lui un complice
silenzioso. Forse non valeva per certi amori, né per certi sentimenti. Ma
doveva tentare di dare una nuova direzione alla sua vita.
Era la sola realtà a cui
aggrapparsi con tutte le sue forze.
Stava impilando tutti i registi
e gli incartamenti, quasi fossero i suoi stessi pensieri cui mettere ordine,
quando Ninette entrò nello studio, interrompendolo. Aveva l’aria trafelata e
forse un poco scossa. Il sorriso e le gote accese. Veniva dal mercato dove era
stata a procurarsi delle provviste.
“André, cercavo madame… credevo
fosse con te…”
“No, Ninette. La contessa è
uscita da sola, questa mattina. Nelle scuderie c’è ancora il suo cavallo,
quindi credo si sia allontanata per una passeggiata a piedi. Io stavo
sistemando un po’ di scartoffie qui, ma non preoccuparti; se ritardasse troppo,
andrò a cercarla.”
“Grazie… - La giovane cameriera
sorrise lisciandosi le pieghe della gonna, prima di proseguire con una vaga
esitazione, che incuriosì l’ ex attendente. - Sai, André, non avevo proprio
indovinato che fossi tu…”
André le restituì uno sguardo
perplesso, ma restò in silenzio, aspettando che la cameriera esternasse il
resto dei suoi pensieri.
“…intendo, l’uomo che ha rubato
il cuore alla signora contessa; è stata una grossa sorpresa per me…”
André non riuscì a reprimere un
sussulto sbigottito, per l’ardimento della giovane, fedelissima della contessa.
Non era un mistero l’interesse più o meno manifesto di Danielle per lui, ma che
qualcuno della servitù osasse affrontare l’argomento in quel modo diretto,
quello sì, era sorprendente, anche per un tipo fuori dagli schemi come André.
Gli altri addetti alla villa, dalla cuoca al mozzo di stalla, mantenevano un muto
e condiscendente riserbo, tra supposizioni e consapevolezze effettive.
La regola vigente nei palazzi
aristocratici era sapere, ma fare finta di nulla anche di fronte all’ ovvio,
navigando tra pettegolezzi e maldicenze vere o presunte tali, e villa Recamier
non differiva da questa legge non scritta. Ninette, però non era una cameriera
come le altre, né per presenza di spirito, né per il legame particolare che
aveva con la sua padrona; infatti, seppur con un poco di naturale timidezza
proseguì imperterrita e con franchezza.
“All’inizio la cosa mi aveva un
po’ infastidito… non capivo questo ennesimo capriccio della signora. Ma ora mi
sembra così felice e serena; non ricordo di averla mai vista così… per questo
non vorrei vederla soffrire, André. L’ho vista troppe volte innamorarsi degli
uomini sbagliati…”
“Ninette io…”
“Scusa se oso chiedertelo, ma mi
stavo domandando che intenzioni hai: cosa speri di ottenere? Favori, privilegi
di qualche tipo?”
“È questo che pensi? Che l’abbia
seguita fin quaggiù per qualche tornaconto personale? Non è così.” Obbiettò
André con calma, concedendole una mezza verità.
Non lo sorprendevano, né lo
scandalizzavano le illazioni della ragazza; sapeva perfettamente che anche tra
quelli del suo ceto, esistevano gli arrivisti. Ne aveva incontrati tanti
perfino a Versailles.
“Se non è così, e sei sincero,
mi fa piacere… però a volte ho l’impressione che tu abbia lasciato la mente e
il cuore altrove…”
André abbassò il capo mesto,
atteggiando le labbra a una smorfia leggera. Non smentì, né confermò.
“Vuoi davvero bene alla tua
padrona, non è così?” si limitò a dire.
“Sì, André. Nutro affetto
sincero per lei e voglio solo il suo bene.”
“Ti capisco più di quanto tu
creda: anch’io ero legato da sincero affetto al mio vecchio padrone e volevo solo il suo bene…”
“Padrona, vorrai dire.” Ribattè
lei, scrutandolo impertinente. Ma André non raccolse la provocazione.
“Ninette, ti assicuro che non ho
cattive intenzioni nei confronti di Da… della Contessa di Recamier. Anch’io nutro
un affetto sincero per lei, e voglio solo ripagare in qualche maniera la stima
e la fiducia che mi ha accordato, nient’altro. Sono sempre stato sincero con la
tua padrona.”
“D’accordo, André. Voglio
fidarmi. – La cameriera soddisfatta, si voltò con l’intenzione di allontanarsi
dallo studio, poi ebbe un ripensamento. – Ah, stavo per dimenticare una cosa
importante; giù in paese c’è un uomo che va in giro a fare un sacco di domande
strane su te e la signora… cercavo madame per questo, è giusto che tu lo
sappia.”
Ninette si era voltata, una mano
appoggiata allo stipite della porta.
“Un uomo che chiede di me? E
perché mai?”
“Credo sia uno degli uomini al
soldo del conte di Recamier. Il marito della signora si chiederà il motivo
della tua presenza qui. Stai in guardia…”
Disse fissandolo negli occhi,
senza dissipare il mare dei suoi dubbi.
******
L’emissario mandato dal conte aveva ottenuto tutte le informazioni che gli servivano; aveva indagato con discrezione, parlato con personalità del paese e ascoltato conversazioni raccolte per strada, e scoperto quello che gli premeva sapere.
Quindi, con sollecitudine, aveva scritto tutto e spedito la lettera al suo committente.
La fuggiasca contessa era a Etretat, arrivata lì da circa un mese o poco più, in compagnia del suo segretario personale.
Ufficialmente era questa l’attuale mansione dell’ex attendente di madamigella Oscar, e nessuno pareva avere nulla da ridire su questo. Era stato visto in paese svolgere le sue incombenze in virtù del suo ruolo, e in compagnia della contessa manteneva un comportamento ineccepibile, ma c’era chi giurava che madame lo trattasse con un riguardo perfino eccessivo, se non troppo amichevole. L’avvenenza del giovanotto faceva discutere e sorgere qualche pettegolezzo, ma se quella veste pubblica dell’uomo servisse a nascondere altro, nessuno su questo osava sbilanciarsi.
Non ho prove che sia l’amate di
vostra moglie, non pare esserlo, aveva scritto, ma di
questo dovrete accertarvene di persona venendo qui.
L’uomo non sapeva che qualcuno
era in anticipo su di lui di una settimana. Una figura androgina esile ed
elegante, camuffata sotto la tesa larga di un cappello e comodi abiti da
viaggio lo aveva atteso al varco, come un cacciatore paziente piazza la
trappola e aspetta che la sua preda ci finisca in mezzo. Lo aveva scrutato con
attenzione e apprensione; lo aveva seguito presso la locanda dove andava a
bere, lo aveva ascoltato parlare col parroco del paese, e chiedere informazioni
su Madame Recamier e sul suo segretario. Benché fosse rimasta nell’ombra, cosa
non facile per una persona col suo particolare aspetto, occhi limpidi, labbra
di corallo e mani affusolate e forti, c’era chi aveva notato la figura
longilinea di quell’ affascinante, misterioso giovanotto biondo dai lineamenti
nobili e delicati, ma nessuno aveva riconosciuto chi fosse.
Solo al momento opportuno
sarebbe uscita allo scoperto.
Appurato che Danielle era a
Etretat, aveva preso un alloggio presso l’unica locanda che ricordava ci fosse
in paese, ed era rimasta lì, trattenendo l’ansia che le mangiava lo stomaco,
sperando e temendo un incontro troppo ravvicinato che non c’era stato.
Una mattina, mentre seguiva di
nascosto l’emissario di Leopold, si era diretta alla modesta chiesa del paese
dove aveva scambiato quattro chiacchiere rivelatrici col curato. Aveva atteso
che il prete fosse solo per avvicinarlo in sacrestia.
“Anche voi qui! Che piacere
incontrarvi madamigella. È passato tanto tempo dall’ultima volta.” Le aveva
detto l’umile servitore di Dio, quando l’ebbe riconosciuta.
“Anche? Chi altri avete
incontrato?”
“Oh, non sapete? La Contessa di
Recamier, vostra sorella è qui già da un po’. Domenica scorsa ha assistito alla
messa accompagnata dal suo segretario personale, un giovane cortese e a modo.”
“Segretario… - commentò pacata,
senza chiedere ulteriori spiegazioni, deducendo che il curato non rammentava
che André era il suo ex attendente. - Per favore, nessuno deve sapere della mia
presenza qui, soprattutto mia sorella. Posso contare sulla vostra discrezione?
È molto importante.”
“Ma certo, come volete.”
Dal suo arrivo, moriva dalla
voglia di raggiungere la villa che distava da lì solo pochi chilometri, ma si
costrinse ad aspettare, domandandosi cosa avrebbe trovato e come avrebbe
reagito nel rivedere volti e persone. Una in particolare.
E benché non volesse
riconoscerlo, quell’attesa forzata e logorante era dettata anche da altro;
l’animo e i pensieri erano invasi dalla paura profonda di scoprire cosa non
voleva che accadesse, e forse era già accaduto. L’idea di ritrovare André ormai
innamorato, legato definitivamente alla sorella le scatenava sensazioni
indefinibili, un misto di gelosia, paura e rabbia. Voleva convincersi che
poteva resistere, sostenere l’impatto con quella che sarebbe stata la realtà, e
in cuor suo sperava di arrivare pronta e fortificata a quel confronto.
Non era venuta fin lì per
quello?
Per lasciarlo libero da quel
giogo, dimostrargli che non era l’amore ad averli legati, se lui poteva
consolarsi facilmente tra le braccia della sua gemella? Eppure non era sicura
che non le avrebbe fatto male, un male terribile, impossibile da sopportare. Un
dolore che avrebbe ritorto volentieri contro di loro per punirli di quel
tradimento. Questo la terrorizzava e la confondeva, in un delirio di sentimenti
in conflitto che la tormentavano da troppo tempo. L’idea che André non le
appartenesse più, poteva farla a pezzi e accendere in lei un odio feroce verso
Danielle. E aveva paura di quell’odio, di quell’acredine che sentiva per
entrambi. Paura che potesse sopraffarla. Sperava che quell’attesa servisse a
placarla, a prepararla a ogni eventualità. Lo temeva e lo desiderava, ma non
avrebbe evitato quel fatale incontro all’infinito.
******
Ninette non si era ancora
allontanata dallo studio, quando Andrè, attratto da un suono inatteso, volse lo
sguardo puntando la sua attenzione oltre il vetro della finestra che si
affacciava su una parte del giardino e sul viale d’ingresso della villa. Fu
allora che li vide: Danielle stava scendendo da uno stallone nero, sorretta tra
le braccia di un uomo, un forestiero di bell’aspetto che non ricordava di aver
mai visto, e incuriosito, lasciò il tavolo con i documenti che stava
controllando, e si avvicinò alla tenda color amaranto per osservare meglio la
scena. Ninette era ancora ferma sul lato opposto, ma all’improvviso incuriosita
dall’atteggiamento del giovane, tornò sui suoi passi, passò accanto al tavolo e
si avvicinò pure lei alla finestra.
“Chi è quel uomo con la tua
padrona?” chiese semplicemente rivolgendosi a lei, senza distogliere
l’attenzione da Danielle e il misterioso individuo, che ora stavano parlando
uno di fronte all’altra. Passò qualche secondo prima di ricevere una risposta
che tradiva evidente sorpresa.
“Non lo so. Non l’ho mai visto
prima. Forse è un signore che abita qui nei dintorni.”
“Qualcuno di Etretat?” chiese di
nuovo André.
“Può darsi, ma non mi pare di
conoscerlo… e uno così, me lo ricorderei!”
Rispose Ninette un po’
sconcertata, ma sinceramente ammirata.
Passò forse un minuto e l’uomo
rimontò a cavallo; salutò la contessa con un sorriso sfrontato e un ampio gesto
della mano, mentre Danielle rimase immobile ad osservarlo allontanarsi
attraverso il viale, in direzione dell’uscita. Pochi secondi e il cavaliere
sconosciuto scomparve alla vista.
*******
L’uomo era sceso da cavallo per
calmare l’inquietudine del suo animale, che scalpitò ancora un poco e sbuffò
dalle froge frementi e dilatate. Osservò la donna in piedi sul ciglio del
sentiero con un’ occhiata fugace e nervosa.
“Madame avete spaventato il mio
Faust!” Protestò veemente. Se si aspettava delle scuse, ricevette tutt’altro.
“Anche voi avete spaventato me,
sbucando in quel modo dalla curva! Che modo di cavalcare! Il vostro cavallo è tutto
sudato e sporco!” Fu la risposta pronta, indisponente e per nulla accomodante
di Danielle.
“Succede quando si spinge un
animale al galoppo, lo sapevate? Ma non temete, provvederò a farlo strigliare e
lavare a dovere, e il suo manto tornerà più nero e lucido di prima…” ironizzò
l’uomo, con velata arroganza.
Danielle gli voltò le spalle,
infastidita dal tono, e tornò a sedersi sul grosso tronco di legno, decisa a
ignorarlo. Il cavaliere la fissò qualche secondo; indugiò sulla sua figura, sul
suo volto delicato, sugli occhi celesti fiammeggianti e sdegnosi, sull’oro
lucente dei capelli sciolti in onde ribelli sulle spalle. Il disappunto lo
stava abbandonando, sostituito dalla curiosità di sapere chi fosse quella donna
stupenda piombata sulla sua strada, chissà per quale scherzo del destino. Era
la creatura più bella che avesse mai incontrato.
“Ora che fate, lì seduta? Avete
intenzione di restare qui, per spaventare qualche altro cavaliere errante,
madame?”
“Soltanto quelli arroganti e
sfrontati come voi, messieur.”
Non avevano iniziato quella
conversazione nel migliore dei modi, ma l’uomo tentò di rimediare, mosso
dall’impulso irresistibile di farle cambiare opinione.
“Non sono così arrogante come
pensate. Se mi dite dove abitate, mia bellissima fata dei boschi, vi riaccompagno
al vostro castello, ma dovrete accontentarvi della mia sporca cavalcatura...
spero non sia un problema.”
E l’uomo sorrise in un modo
disarmante che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi altra donna, ma non fece
molto effetto sulla eterea fata dei boschi.
“Chi lo vuole sapere?”chiese
Danielle, che un poco si era addolcita, ma si guardò bene dal mostrarlo.
L’uomo si profuse in una
riverenza galante, porgendole al fine la mano per invitarla ad alzarsi.
“Il mio nome è Tristan De
Laundes, per servirvi madame: il mio Faust è a vostra disposizione.”
Continua…
Eccomi qui.
Capitolo meno lungo
dei soliti, più introduttivo che altro, ma ci sono diversi elementi che
tracciano la direzione. La parte inerente a Oscar è stata quella più difficile
da scrivere, perché i suoi sentimenti in questo momento sono davvero una
matassa aggrovigliata da dipanare, almeno per come la vedo io. Che donna
complicata!! Ci sono le basi di quello che succederà dopo, che svilupperò in
seguito, e prossimamente conosceremo meglio anche questo nuovo personaggio che
aspettavo da un po’ di poter introdurre e che avrà un ruolo importante. Per il
cognome di Tristan per aiutarmi ho fatto una piccola ricerca su internet
sull’araldica francese. Non mi sentivo in grado di inventarmelo di sana pianta
e temevo di scrivere corbellerie, così mi sono documentata. Spero che il
capitolo via sia piaciuto, e come sempre suggerimenti, critiche e commenti,
saranno sempre bene accetti. Grazie sempre a tutti i lettori silenziosi e non,
che mi seguono. Spero di non deludervi. Alla prossima.