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Autore: Dira_    26/04/2015    6 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LIII


 
 
 

Telling myself I could be strong
Or some such brave bullshit

(Kathleen, David Gray)
 
 

7 Agosto 2028
Londra, Mayfair
Casa Weasley-Granger. Mattina.

 
Rose aveva un segreto.
E non erano ripensamenti sul suo matrimonio.
Perché non era solo una strega in procinto di sposarsi, non dalla sera prima almeno …
Inspirò, aprendo gli occhi alla luce ingloriosa – perché fuori pioveva – del mattino. Inspirò e si passò una mano sull’addome dove … beh.
Dove.
Complice una serie di segnali, come la nausea che le era presa senza motivo la sera dell’addio al nubilato – non aveva bevuto così tanto! – aveva deciso di fare un test di gravidanza: Babbano, perché a Diagon Alley chiunque riconosceva la sua faccia e non voleva avere gente a ficcanasare e sputare sentenze prima che la cosa fosse del tutto certa.
Beh, lo era.
Sorpresa!
Una volta trascorsi i primi minuti di puro panico, passati seduta sulla tazza del gabinetto dello studio di MagiAvvocatura presso cui faceva praticantato, aveva deciso di aspettare. Aveva scelto di godersi quella consapevolezza da sola, senza parenti intorno, senza chiasso.
Per una volta …
Soltanto lei e la nocciolina – che più o meno doveva avere quelle dimensioni.
Aveva tenuto la bocca chiusa davvero con tutti: le sue cugine, sua madre, Al e soprattutto il suo fidanzato.
Il motivo era semplice: non c’era alcuna fretta di far scoppiare una bomba annunciando at urbi et orbi che non avrebbe aspettato un anello per incubare un piccolo Weasley-Malfoy.
Suo padre tra l’altro avrebbe avuto un infarto.
E Scorpius?
Sorrise, voltando la testa sul cuscino per osservare la schiena nuda del proprio fidanzato e  il raggio di luce che gli illuminava i capelli, rendendolo una sorta di grosso angioletto tatuato con tanto di aureola.
Non aveva taciuto per paura della sua reazione.
Figuriamoci!
Tra le tante cose su cui avevano fantasticato, prendendosi in giro come loro solito, era proprio l’eventualità di avere bambini.
Sarà un ottimo padre. Non di una nidiata di undici figli come vuole lui, ma comunque … un ottimo papà.
Fremeva dalla voglia di dirglielo, ma non poteva farlo, non finché lo stupido Demiurgo avrebbe occupato tutti i suoi pensieri.
Perché era quel maledetto caso che la sera prima non l’aveva fatto dormire. Si era rigirato nel letto fino a quasi causarle un esaurimento nervoso.  
Notando l’ora decise di svegliarlo. “Scorpius … ehi, è ora.”
L’altro per tutta risposta afferrò il cuscino premendoselo sulla testa con un lamento indignato.  
“Vuoi rischiare di incontrare mio padre a colazione?” Gli domandò.
“Mangiare è sopravvalutato. La salterò.”
“Dice colui che non riesce ad ingozzarsi meno di tre volte al giorno!”    
Un altro mugugno segnalò che la sua tecnica non stava funzionando.
“Non hai dormito stanotte.” Tentò di nuovo: parlargli era un buon modo per farlo sorgere dal coma.  
Scorpius si voltò verso di lei e, con la pelle pallida che si ritrovava, le occhiaie si notavano come se l’avessero preso a pugni. “Mi sono addormentato …” Guardò verso l’orologio sul comodino. “… direi un’ora fa.”
Ecco perché pareva un Infero. “Dì a papà che hai bisogno di un giorno libero!”
“No, sto alla grande.”   
Ovviamente. Scorpius Malfoy non si limitava ad andare al lavoro. Marciava verso un’idea di sé stesso. Un po’ come quando si era spaccato la chiena per diventare il Capitano della loro squadra di Quidditch, o quando aveva fatto il diavolo a quattro per essere scelto per il Tremaghi.
Guai a fermarsi per riposare.
“Rischi di crollare addormentato sulla scrivania…” Cercò di dissuarderlo. “Hai una faccia orribile.”
L’altro si portò una mano al petto con aria offesa. “Se mi pensi orribile, Rosellina, come puoi sposarmi?”
“Ho pessimi gusti.” Scrollò le spalle. “Dico sul serio, non sei un timbracarte, se oggi esci di pattuglia…”
“Non uscirò di pattuglia.” Tagliò corto alzandosi in piedi per stiracchiarsi. “Stiamo preparando una cosa. Pianificazione. Probabilmente non lascerò l’ufficio.”
Rose sospirò: la cosa più difficile era parlargli normalmente. Persino in quel momento, mentre stavano parlando di lavoro, aveva un incredibile voglia di spiattellare tutto.
No. Non farlo.
Conosceva Scorpius, sapeva che il suo senso di responsabilità verso la famiglia – per ora rivolto solo ai genitori e alla nonna – rasentava quello di uno zelota.
Se gli dico che sarà padre finirebbe per pensare solo a quello.
Con la possibilità che fosse in prima linea e distratto, non era proprio il momento giusto.
… gh, è così difficile!
Il compagno, ignaro del corso dei suoi pensieri, si inginocchiò sul letto per arrivare alla sua altezza. “È quasi finita rosellina.” Le sorrise baciandole la punta del naso. “Tra poco passerò notti insonni perché aspetterò il nostro matrimonio … e il non dover fare più colazione con tuo padre!”
Argh!
Forse avrebbe davvero dovuto dirlo a qualcuno prima di sbottarglielo in faccia.
Al? Devo parlare con Al.
“Bene.” Per distrarsi, per pensare ad altro non trovò di meglio che stuzzicarlo. “Dimmi solo se devo aspettarmi altre notti così. Vado a comprarti un sacco a pelo.”
La reazione di Scorpius, con sua sorpresa, fu un improvviso rabbuiarsi.
Eh? Oddio, che ho detto?
“Pensi che sia un buon auror?”
Eh? Cosa?
“Il migliore.” Rispose pronta nonostante la confusione. La verità ti faceva avere la voce ferma. “Perché me lo chiedi? Crisi di coscienza?”
Scorpius fece una risatina fiacca. “No, è … ho fatto un errore.” Scrollò le spalle dimostrando così uno stato d’animo contrario. I suoi gesti a volte andavano interpretati alla rovescia. “Ho supposto che una persona fosse colpevole.” Fece una pausa. “Quella persona adesso è morta.”
“Ethan Scott.” Intuì. Aveva sentito suo padre parlarne a sua madre la sera prima, quando era scesa per augurar loro la buonanotte.
L’altro annuì, fissando le coperte come se fossero la cosa più interessante del mondo. “Non l’ho ucciso io, me ne rendo conto, e non ero l’unico a pensare che fosse l’informatore … ma sono stato io a sostenere per primo l’idea.”
Tipico di Scorpius darsi colpe per cose che non aveva commesso. “Le prove portavano a lui?” Obbiettò ragionevole.
“Sì, ma …”
“La vostra squadra ha investigato e siete giusti ad una conclusione. Il fatto che fosse sbagliata non ti rende responsabile della sua morte. Né tu, né gli altri.”
“È stato ucciso perché lo stavamo sospettando, Rose!” Sbottò. “Abbiamo messo il sale sulla coda alla vera Talpa e questa si è sbarazzata di Scott perché aveva paura che potesse portare a lei!” Scosse la testa. “Che razza di agente sono, se…”
“Sbagli?” Lo fermò. “Un essere umano. Pensi che mio padre non si sia mai sbagliato? O zio Harry?” Gli fece notare. “Non è la prima volta che John Doe mette in scacco l’Ufficio Auror. Non sei il solo che si sente frustrato lì dentro.”
“Ma…”
“Non sei più ad Hogwarts.” Cercò il suo sguardo fino a trovarlo, perso da qualche parte fuori dalla finestra. “Non è più Scorpius contro tutti. Sei tu il giocatore di Quidditch, non devo dirti io che gli errori si fanno come squadra, no?” Gli voltò il viso verso di sè. “Vuoi che chiami mio padre e te lo faccia dire da lui?”
Scosse la testa rapido. “Ti prego, no. Non voglio che mi abbracci o mi conforti … o roba del genere.”
“Non credo accadrà mai.” Lo rassicurò. “Va bene sentirti responsabile, ma non in colpa. Okay?”
Scorpius la guardò intensamente. “Ti amo.” Scandì, e per sottolineare la sua gratitudine pensò bene di franarle addosso in un abbraccio da grizzly che la fece crollare sul letto. “Scorpius!
“Come sei saggia.” Bofonchiò contro la sua guancia. “Sposiamoci subito. Nella saggezza.”
“Cretino.” Sospirò abbracciandolo stretto. Nondovevadirglielo. “Ti senti un po’ meglio?”
“Ho sonno.” La rassicurò. “Credo che sia arrivato il momento di riprendere a bere caffè.”
“Nel modo più assoluto, no.” Tentò di spingerlo a sedere senza successo. “Se mi lasci andare vado a prenderti una tazza di the.”
“Non voglio.” Ma si spostò, lasciandola libera di alzarsi in piedi e infilarsi la vestaglia. “Comunque c’è una squadra a cui sento assolutamente di appartenere.” Le disse mentre apriva la porta.
“Quella di Grifondoro?”
Alzò gli occhi al cielo, come sempre faceva quando la riteneva una tonta. “Quella composta da me e te.” Le offrì un sorrisone adorabile. “Il nostro binomio!”  
… Trinomio.
Fuggì dalla stanza prima che fosse troppo tardi.
Devo parlare con Al.
 
****
 
San Mungo, Reparto Lesioni da Incantesimo
Mattina
 
“Posso andarmene adesso?”
Albus guardò con malcelato divertimento Milo, seduto sul letto e di nuovo vestito come se dovesse andare per club. Accanto a sé aveva la borsa preparata e pareva pronto a buttarsi dalla finestra: tutto pur di lasciare l’ospedale.
“Devi mettere una firma qui.” Gli porse la pergamena d’uscita, certificante che Milo Meinster era pronto per calcare di nuovo il suolo di Londra da uomo sano.
Beh, più o meno.
La medicina Babbana coadiuvata da quella magica l’avevano rimesso in piedi in un quarto del tempo, ma questo non significava che fosse pronto a saltare su una pista da ballo.
Milo firmò con un gesto secco la cartella, praticamente lanciandogliela addosso. “Ci si vede!” Dichiarò alzandosi in piedi con una fluidità che in realtà era tutta scena visto che poi si aggrappò con disinvoltura alla testata del letto.
Sarà un’impresa convincerlo a farsi spingere in carrozzina fino fuori il perimetro del San Mungo.
“Emil…”
Fortuna voleva che ci fosse Michel pronto ad evitare una crisi diplomatica, cosa di cui era molto lieto considerando che il Magonò si era dimostrato un paziente persino più insopportabile di Tom con la febbre.
E nessuno è più insopportabile di Tom con la febbre.
Fin’ora.
“Non devi convincere nessuno, fa’ con calma.” Lo apostrofò Zabini spostandoglisi accanto e prendendogli la borsa.
“Sto bene!”
“Da come ti lamenti ne sono certo. Tuttavia nessuno vuole vederti crollare per le scale, tantomeno l’ospedale visto quanto Al e gli altri si sono impegnati per rimetterti in sesto.” Indicò la sedia a rotelle con un cenno imperioso, che ad Al ricordò i gloriosi tempi della Squadra di Quidditch Serpeverde. “Se ci tieni tanto puoi spingerti da solo.”
Milo brontolò qualcosa in tedesco ma obbedì, sedendosi con una smorfia. Ad un’occhiataccia da parte dell’altro fece un grosso sospiro e gli porse la mano. “Grazie Bambi, te ne devo una.”
Al ignorò il nomignolo e gli strinse la mano. “Ho solo fatto il mio lavoro.”
“Non fare il modesto, hai fatto molto di più.” Milo suo malgrado riuscì a produrre un sorriso. Era quel genere di sorriso che faceva perdere la testa ai bravi ragazzi.
Oh, se non ne so qualcosa …
Gli diede una pacca sulla spalla. “Mike si prenderà cura di te d’ora in poi. Ricordati le pozioni.” Aggiunse rivolto all’amico che annuì in completa serietà.
Milo avvampò. “Non sono un cazzo di moribondo, sono in grado di badare…”
“Sì, certo.” Lo fermò prima che ricominciasse la tiritera. “Ci si vede, giusto?”
Scrollò le spalle. “Seh.” Brontolò prima spingersi via vigorosamente.
Michel, rimasto solo, abbozzò un sorriso. “Grazie Al. Davvero, per tutto.”
Fece un cenno vago, perché Tom aveva torto, non si pavoneggiava quando qualcuno gli mostrava gratitudine. “Sono contento che le cose si siano risolte per il meglio. Sono contento per voi.”
L’amico annuì, aggiustandosi la sacca del Magonò sulla spalla. Era la prima volta dopo tanto tempo che lo vedeva così felice. Così se stesso, e non un nugolo di ansia da prestazione e cattivi pensieri.
“Verrò a trovarvi nei prossimi giorni per controllare che la ferita stia bene.” Che dopotutto Milo era il suo primo paziente di Medicina Comparata. Stava pensando di farci un case study e pubblicarlo!
Michel, ignaro di quel suo colpo di coda Serpeverde – ma se l’avesse saputo avrebbe approvato – si sporse e lo abbracciò. Anche quello: un gesto spontaneo che non faceva da tanto. “Auguraci buona fortuna.”
Ricambiò con forza. “Tutta quella che c’è nel mondo Capitaine.”
Guardandoli andare via, con Milo che tentava di non mostrarsi contento che Michel si impuntasse nello spingerlo, per poi chinarsi a baciarlo, non potè fare a meno di provare la dolceamara sensazione di averlo un po’ perso.
Non davvero, perché erano ancora amici, però…
“Mi hai chiamato per dirmi che Zabini si è portato in casa il Magonò?” Tom dalla voce pareva appena essersi alzato, il che significava che era immerso nel lavoro fino ai gomiti.
“Non lo so, pensavo volessi saperlo!”
“Guarda che non smetterà di sbavarti dietro solo perché si è trovato il fidanzatino.”
Al si appoggiò al muro del corridoio con uno sbuffo: a volte chiamare Tom era come farsi un’analisi di coscienza.
“Mike non mi ha mai sbavato dietro!”
“Smettila di fare il bravo ragazzo.”
Si morse un labbro. “Non lo sono?”
La risata del compagno gli ricordò perché, nonostante fosse una persona orribile, l’avesse scelto e continuasse a farlo ogni giorno. “Non lo sei mai stato, Al. È un fraintendimento generale considerarti così.”
“Per fortuna a te piaccio ancora.”
“C’è altro?” Il momento di grazia era appena finito. Comprensibile visto che l’aveva chiamato unicamente per lamentarsi di aver perso uno spasimante.  
“Sì, ti amo.”
Tom per tutta risposta riagganciò. Prevedeva una serata di bronci, ma a tutto c’era rimedio.
Dovrò ordinare quel suo orrido giapponese. Mei ne sarà contenta.
Lo scaldarsi subitaneo dello Specchio Comunicante gli fece sperare di poter risparmiare quel supplizio culinario: sfortunatamente non era Tom, ma Rose con un messaggio.
 
Codice Potter-Weasley. Emergenza.
 
Sospirò e rispose con un luogo e un’ora.
Tempo di riprendere i panni del bravo ragazzo …
 
 
“Sicuro che non ti serva altro?”
“Sì, che tu smetta di fare la chioccia!”
E Milo sentiva di esser stato gentile. Tuttavia Michel lo fissò con l’aria indispettita di chi voleva affogarlo come un gatto in un torrente.  
Stiamo assieme da ventiquattro ore e già siamo ai ferri corti. Alla grande!
Un po’ era colpa sua, okay. Michel l’aveva portato a casa con un taxi, non fidandosi di come avrebbe preso la Materializzazione – male, di sicuro. Lo aveva anche sistemato nella stanza della musica, Trasfigurando il divano Chesterfield in un letto a due piazze. Aveva organizzato tutto perché fosse a portata di mano: in sostanza si preparava a fargli da infermiere.
La cosa gli metteva ansia.
Non aveva la minima idea di come comportarsi quando qualcuno si metteva a sua disposizione: era passato troppo tempo.
E non aiutava il fatto che Michel fosse così paziente. Lo faceva sentire una merda.
“Vado di là a sentire cosa vuole Loki per pranzo.” Gli comunicò pacato, tutto vestiti di lino leggero e aria da adone esotico.
Non dovresti farmi da infermiere, dovresti scoparmi. Questo cambio di ruoli è criminale!
Tuttavia inevitabile, visto che aveva ancora la capacità di muoversi di un settantenne.
“Michel…” Si odiò per la voce patetica che gli uscì. Si schiarì la gola. “… grazie. Per ospitarmi e … uhm, per il resto. Faccio lo stronzo, ma …”
L’altro tornò indietro per sedersi accanto al letto. “Ma apprezzi.” Concluse con aria divertita. “Avevo intuito.”
Si passò una mano tra i capelli. Per Faust, avrebbe ucciso per tirarsi fuori da quella situazione in maniera brillante, da Milo. Ma con Michel non lo sarebbe stato mai: con lui era quella checca sentimentale di Emil.
“Non mi torna essere dall’altra parte della faccenda.” Gli spiegò. “E poi so quant’è una rottura di palle star dietro…”
“Non lo è.” Lo fermò prendendogli una mano tra le sue. “Averti a casa con me intendo … certo, speravo di averti un po’ più sano …” Lo canzonò con un luccichio malizioso nello sguardo. Oh, okay, stava girando il coltello nella piaga.
‘Fanculo. È come avere una torta davanti e essere a dieta!
“Prenderò tutte quelle cazzo di pozioni come uno scolaretto!”   
“Non pensare che la tua presenza qui sia solo a tuo beneficio.” Gli rispose di rimando serio. “La realtà è che ho bisogno di te quanto tu ne hai di me. Devo ancora abituarmi al cambio di vita.”
Milo sbuffò, stringendogli la mano e levando l’altra per tirarselo contro. Michel lo seguì docilmente, stendendoglisi accanto, tra un tripudio di cuscini e coperte soffici.
Jackpot prenderti un ragazzo con il pallino per la biancheria da letto costosa!
“Imparerai dal migliore.” Lo confortò. “Con tutte le volte che mi sono reinventato …”
“Non ti manca mai la tua vecchia vita?”
Scrollò le spalle. “Me l’hai già chiesto  … a quale ti riferisci poi? Ne ho vissute un bel po’.”
Michel annuì, come se avesse detto una cosa profonda, quando in realtà constatava solo la realtà dei fatti. Non si era fermato un attimo da quando la sua famiglia l’aveva buttato fuori. Il periodo con il principino era stato il suo stop più lungo.
Uno stop che mi ha portato da te.
Riprendere fiato a volte non è una cattiva idea.
“Riformulo la domanda allora.” Michel si voltò su un fianco, una mano ad accarezzargli il petto. “Quella di adesso ti piace?”
“Dici la vita dove sono bucato come un vecchio copertone?” Finse di fraintendere. Sogghinò alla sua espressione corrucciata. “O come tuo ragazzo?”
“Sei in grado di darmi già un parere? Stiamo assieme da ieri, almeno ufficialmente.” Gli rispose: adorava avere l’ultima parola. Un po’ come Sören.
Mi circondo di gente che mi fa venir voglia di sbattere la testa al muro.
Ma quanto sarò stronzo?
Michel lo scrollò per una spalla. “Ti sei accigliato di nuovo.” Gli fece notare. “Devo preoccuparmi di aver premuto un tasto sbagliato?”
“Li premi da quando ti conosco, maghetto. Tipo tutti quelli che ci sono.” Grugnì rimediandosi un bacio sull’orecchio, poi sul collo. Socchiuse gli occhi. “Fortuna che hai altre qualità.”
“Ovvero?”
“Hai un culo fantastico e sei pieno di Galeoni.”
Il fatto che fosse tecnicamente convalescente non impedì a Michel di mordergli il lobo di un orecchio. Forte. Ingoiò un lamento che ebbe una connotazione sessuale che non sfuggì a nessuno di loro. Non da come Michel ne approfittò per far scivolare una gamba tra le sue. E sfregare.
Milo inspirò, perché l’astinenza era una brutta bestia contro cui lottare. “Vuoi rimandarmi in ospedale? No, perché sarebbe un buon modo per disfars…” Michel non lo lasciò finire, coprendo la bocca con la sua.
Si era messo con un maniaco sessuale.
Grazie Babbo Natale. Sapevo che prima o poi avresti esaudito il mio desiderio!
Gli passò un braccio dietro la schiena premendoselo contro. Uno dei problemi del San Mungo era la mancanza totale di privacy: in quella stanza invece, guardata dalla magia e da una porta blindata …
Michel si staccò, a due centimetri dalle sue labbra. “Hai ragione, forse è meglio fermarci.” Dichiarò con uno slancio virtuoso del tutto fuoriluogo.
“Facciamo piano.” Lo implorò. “Mi fanno male le palle.” Finì per piagnucolare rimediandosi una risatina impietosa. “Non sto scherzando, ogni volta che tentavo di darci di mano entrava un infermiera o quello stronzo del tuo amico!”
“Povero piccolo…” Lo prese per il culo. Però fece scivolare anche la mano in basso, oltre gli stupidi pantaloni della tuta da lungodegente, oltre il boxer e …
Grazie. A. Faust.
Un coro angelico salutò la fine della sua astinenza forzata. Quello e il suo blaterare, fortunatamente in tedesco.
Michel poi gli baciò l’angolo delle labbra, con un’espressione così tenera che se non fosse seguita ad una gloriosa sega avrebbe potuto figurare in qualche giornale patinato.
“Ti amo anch’io…”
… oddio mi ha capito.
“Ma tu non sai il tedesco!” 
Michel sorrise beato. “Mon ange, la lingua dell’amore è universale.” Inarcò un sopracciglio. “E a capir due frasi ci arrivo anch’io.”
Non trovò di meglio che mettersi un braccio sopra gli occhi, il sempiterno principio dello struzzo con la testa sotto la sabbia. “Non vale.” Bofonchiò.
“Quindi non mi ami?”
Qualcuno mi soffochi con un cuscino. Ora.
“Non dovevi chiedere a Loki chissà cosa?”
“Del pranzo, sì.” Convenne. “Vado, ma torno.” Non poteva vederlo in faccia, ma sapeva che aveva assunto quell’aria assurdamente intensa, ridicola.
Bellissima.
“Bella forza, è casa tua!”  
Quando Michel si chiuse la porta alle spalle, Milo sorrise.
Ti amo.
 
****
 
Scozia, Hogsmeade
Casa Lupin-Potter, Pomeriggio.
 
Una volta tanto Benedetta era tranquilla. Il che aveva del miracoloso.
Stava infatti acquattata nei pressi dello steccato, tentando di sorprendere uno dei numerosi gnomi che infestavano il giardino; da quando James le aveva insegnato a lanciarli, la caccia allo gnomo era diventato il suo gioco preferito.
Finirà per diventare una Potter in tutto e per tutto …
Seduto ad una sedia pieghevole che aveva portato fuori per godersi la bella giornata, Ted poteva permettersi di prendere una pausa dalla pianificazione delle lezioni del futuro anno scolastico e da Benedetta. E lasciar un po’ correre la mente.
Solo un po’.
Il problema è che James si era proposto. In stile tipicamente Potter gli aveva messo davanti l’ipotesi matrimonio come se fosse una cosa senza impegno, sicura, come centrare la porta con una Pluffa.
Avrebbe voluto arrabbiarsi, se non fosse stato un gesto così suo da rientrare nella grande equazione che spiegava perché lo amasse tanto.
James si era proposto e non aveva idea se fosse giusto accettare.
Certo, l’adozione di Benedetta sarebbe andata molto più spedita con un matrimonio di mezzo, tantopiù considerando che la sua dolce metà era parte di una dinastia di golden-boy amatissimi dal Mondo Magico.
Il punto era proprio quello.
Non voglio che si senta obbligato a proporsi per via di Benedetta. Non me l’avrebbe chiesto dall’oggi al domani se non ci fosse stata la questione di Vulneraria.
Sospirò guardando affranto il giardino davanti a sè. Era giusto accettare una proposta condizionata?
Sei proprio un idiota.
Così gli avrebbe detto sua nonna se le avesse mai confessato quei dubbi – e non era intenzionato a farlo, tante grazie.
Non mi chiamano Sega Ambulante Ted?
Pensano che non lo sappia, invece …
E poi c’era un altro aspetto di quella faccenda che non riusciva a digerire ed era dovuto al suo essere un romantico vecchio stile, fino alla punta dei suoi capelli da Metamorfomago. Quando aveva sognato La Proposta – perché sì, per tutti gli Inferi, aveva pianificato il suo matrimonio da quando aveva sei anni – lo aveva immaginata … diversa.
Sopratutto in un contesto meno prosaico di una cucina, di fronte ad una torta fredda, mezzo morto di sonno.
Non che volesse violini, serenate o sciocchezze del genere, ma James glielo aveva chiesto con la stessa verve con cui gli avrebbe proposto una gita sulle Highlands.
Si passò una mano tra i capelli, sospirando.
Avrei voluto propormi io. A modo mio.
Ma James, perché era James, l’aveva battuto sul tempo.
“Teddy!” La voce di Benedetta lo strappò da quel momento di auto-commiserazione.
I bambini sono esseri meravigliosi.
La vide in piedi, dimentica degli gnomi. “Che c’è Ben?”
“C’è lupo!”
Ted aggrottò le sopracciglia: un lupo? In una via residenziale, in mezzo ai maghi? Non erano troppo distanti dalla Foresta Proibita, certo, ma le creature che la abitavano di solito non si spingevano fino al centro abitato. Si alzò, esaminando il vialetto con lo sguardo.
Non c’era animale in vista, neppure il cane dei Paciock. Però qualcuno c’era: un uomo stava camminando con passo energico, vestito di un vecchio mantello marrone bosco.
Sembrava cercare un abitazione, da come scrutava i numeri civici. Ted si avvicinò allo steccato. “Buongiorno, posso aiutarla?” Gli si rivolse quando fu sicuro fosse a portata d’orecchio.
Questo, abbastanza anziano da poter essere suo nonno, si fermò per scrutarlo. Poi abbassò lo sguardo e notò Benedetta.
“Ciao Benedetta.” Disse in tono amichevole. Aveva occhi giallo zafferano – come aveva fatto a non accorgersene? – e una cicatrice che gli solcava una buona parte della testa.
Vulnus. Cicatrice.
Quell’uomo era Vulneraria.
Ted si mise davanti alla bambina, parandola alla vista. “Cosa ci fa qui?” Prese la parola con calma, anche se sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.
Chi gli ha dato il nostro indirizzo? È stata Flynn?
Il Mannaro parve infastidito dalla sua intrusione. “Vedo che hai capito chi sono.” Esordì con forte accento gallese. “Sono qui per vedere mia nipote.” Aggiunse con il tono di chi era abituato a farsi obbedire.
Il lupo alpha, giusto.
Trasudava così tanta aria di comando che un uomo forse diverso ne sarebbe stato intimidito.
Peccato che il mio padrino mi abbia insegnato a non temere quelli come te.
Di solito dove c’è fumo, manca l’arrosto.
“Benedetta, entra dentro.” Ordinò alla bambina. La sentiva scalpitare dietro di sé, curiosa com’era.
Assolutamente no.
“Ted…” Iniziò infatti con il tono indignato di chi non si sarebbe arresa senza combattere.
“Dentro. Adesso.” Ripetè, e stavolta con il tono con cui convinceva le matricole Grifondoro alla resa.
Benedetta ubbidì come un fulmine.
Grifondoro. Diventerà decisamente una Grifondoro.
Vulneraria la guardò andar via con aperta rabbia. Non gli diede il tempo di protestare. “Non dovrebbe essere qui. Non so come abbia ottenuto il mio indirizzo di casa, ma il Ministero è stato chiaro sulla custodia…”
Un ringhio di gola da parte dell’altro gli fece rimpiangere di aver lasciato la bacchetta sul tavolo. “La cucciola è mia nipote!” Esclamò. “Il Ministero può andare a farsi fottere per quanto mi riguarda … Ho il diritto di conoscerla!”
“L’ha conosciuta. Lunastorta l’ha portata da voi. Li avete cacciati.” Ritorse. Con un Accio avrebbe potuto prendere il proprio legno, ma gli Incantesimi Senza Bacchetta non erano affidabili quando si era sotto forti dosi di stress.
O rabbia, come nel suo caso.
Vulneraria fece il gesto di scacciare una mosca. “Le premesse erano diverse.”
“Certo, Lunastorta vi aveva presentato un bambino … Di quelli ne avete già in abbondanza, vero?”
Non era da lui comportasi così. Ted Lupin era un uomo educato, ragionevole, che non si sarebbe mai scagliato contro quello che a conti fatti era un estraneo. Ma Vulneraria con la sua presenza stava invadendo l’intera strada, strabordando nel suo giardino.
Nella mia casa.
“Non mi aspetto che un lupacchiotto addomesticato capisca come funzionino le cose in un branco.”
“Non sono un Mannaro.”
L’altro sogghignò. “No, certo che non lo sei ragazzo. Non sei come la cucciola, di nostro hai soltanto la puzza.”
Era troppo. Aprì il cancello e se lo sbattè dietro. “Si chiama Benedetta.” Scandì. “Ha un nome.”
Il Mannaro per un attimo parve preso in contropiede: non doveva essere abituato ad esser fronteggiato. Non di recente almeno, a giudicare dalla cicatrice.
“Un nome da umana.” Si riprese subito. “Come Mannara deve essere ancora battezzata, solo allora farà parte del branco.”
“Non farà mai parte del vostro branco.”
Vulneraria emise un basso ringhio dismissivo, tentando di superarlo per entrare in giardino. Gli bloccò il passaggio: non doveva farlo entrare.
Peccato che il Mannaro fosse di tutt’altra opinione, perché gli diede uno spintone, talmente forte che lo fece indietreggiare di un paio di passi.
Ted non ci vide più.
Lo afferrò per il retro del mantello, costringendolo a fermarsi onde evitare di rimanere strozzato. “Levami le mani di dosso!” Ruggì voltandosi furioso.
Studi sostengono che i Mannari, lasciati vivere allo stato brado percepiscono un attenuazione dei sintomi della loro condizione, in favore di un aumento della forza bruta …
Il resto dello studio non lo ricordava, ma lo sposò a pieno mentre Vulneraria lo sbatteva contro la roccia nuda dall’altra parte della strada.
“Non metterti contro di me, lupacchiotto.” Gli fiatò addosso come un cattivo di serie b. “Ho sbattuto a terra tuo padre, e tu hai il sangue più annacquato del suo!”


“Che sta succedendo?!”
 
Neville. Il suo buon vicino Neville. Doveva aver sentito le urla, e in pieno stile Grifondoro era uscito di casa brandendo la bacchetta.
Come avresti dovuto fare tu.
Bravo Tassoscemo …
Vulneraria lo mollò di colpo. Da come guardava la bacchetta doveva aver ben chiaro come la situazione si fosse appena capovolta.
“Ci sono problemi Teddy?” Domandò l’amico con l’aria di chi si sarebbe buttato nella mischia senza battere ciglio. Incredibile a dirsi, ma quell’uomo dall’aria mansueta era il primo a sedare le risse ai Tre Manici e l’ultimo a tirarsi indietro se c’era da separare i contendenti con le maniere forti.
Ted guardò il Mannaro che pareva trattenersi dal saltare alla gola ad entrambi: e quell’uomo avrebbe dovuto crescere con lui Benedetta?
Sul mio cadavere.
“No … nessuno.” Scandì lentamente. “Vulneraria se ne stava andando.”
“Non finisce qui, lupacchiotto.” Ringhiò prima di sistemarsi il mantello e andarsene con lunghe falcate rabbiose.
Neville gli fu subito accanto. “Vulneraria?” Domandò rinfoderando la bacchetta. “Il nonno di Ben?”
“Proprio lui.” Si massaggiò il petto, dove la manata del Mannaro l’aveva colpito. Soffocò una smorfia di dolore.
Livido sicuro.
L’amico guardò nella direzione in cui il Mannaro era scomparso. “Era qui per vederla?”
“Non autorizzato, sì.” Strinse la mascella. Si percepì stringerla. “Ma non accadrà una seconda volta. Farò il modo che al Ministero siano informati di quanto successo. Con un po’ di fortuna otterrò un ordine restrittivo.”
Neville si fece scuro in volto. “Ha cercato di far del male alla piccola?”
“Voleva avvicinarla senza il mio permesso.”
L’amico, con sua sorpresa, lo guardò incerto. “Ma…” Iniziò. Non gli diede il tempo di continuare; Benedetta era in casa da sola, e Merlino solo sapeva in che guaio avrebbe potuto cacciarsi in sua assenza.
“Grazie per l’intervento Nev.” Gli diede una pacca sulla spalla e si diresse verso casa.
Una parte di sé era consapevole che rischiare una rissa con il nonno di sua nipote era l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare se voleva ottenere l’affido definitivo.
Peccato non fosse riuscito a controllarsi.
“Ben, dove sei?”  Quando aprì la porta, per poco non la diede in faccia alla bambina, che per fortuna aveva riflessi migliori del classico cinquenne umano. Si tirò indietro, con aria colpevole.
A cosa ha dato fuoco?
“Ehi.” Iniziò gentile, perché doveva ricordare come si faceva ad essere una brava persona, e non un fascio di nervi e furia. “… che ti ho detto sullo stare dietro le porte? Se qualcuno la apre soprappensiero può farti male.”
Scusa!” Esclamò in italiano, mordendosi poi un labbro. “Signore grosso chi era?”
“Nessuno.” Rispose prima di potersi fermare. Sospirò. “No … era … tuo nonno. Ti ricordi? Ne abbiamo parlato, del nonno del tuo papà.”
“Allora è bisnonno!” Puntualizzò con sua enorme sorpresa. “Jamie mi ha insegnato la genialogosa!” Spiegò orgogliosa.
“Genialogia.” Sbuffò divertito: se lo immaginava, il suo ragazzino, ad intricarsi con le numerose ramificazioni della sua famiglia tentando di farle digerire ad una confusissima Benedetta.
“Ecco!” Annuì come una maestrina in formato mignon. Poi di colpo abbassò il visetto, cominciando a dondolare da un piede all’altro. Lo faceva sempre quando l’umore precipitava. “… che voleva?”
“Niente di importante.” La tranquillizzò chinandosi alla sua altezza. “Non è stato gentile, quindi l’ho mandato via. Non vogliamo persone maleducate…” Aggressive, rabbiose, violente. “… in questa casa, vero?”
“Jamie dice le parolacce.” Gli fece notare.
“Beh, è dive…”
“Mi vuole portare via?”
Ted si sentì gelare il sangue nelle vene. Allora li aveva ascoltati. Non solo, aveva dedotto. Le mise le mani sulle spalle. “Ben…”
“Non voglio!” Esclamò con gli occhi lucidi. “Non voglio andare via da casa, e da te e da Jamie! Non voglio che mi porta via!” Disse tutto di un fiato nella sua lingua madre perché era ovvio, era sconvolta.
La strinse a sé, seppellendo il naso in quella massa di capelli arruffati, solo parzialmente domati dai suoi imbranati tentativi mattutini. “Non permetterò che nessuno ti porti via.” Le mormorò. “Questa è casa tua.”
Benedetta piegò la testa da un lato per guardarlo bene, seria. “E io sono la tua bambina!”
Ingoiò il groppo alla gola. Mettersi a piangere non avrebbe migliorato la sua posizione di protettore. “Certo che lo sei…” Disse con un tono da campione dei frignoni. O così avrebbe detto James.
Benedetta parve trovare la risposta soddisfacente. “Okay.” Dichiarò, svicolando per farsi mettere giù. “Posso andare a giocare in camera?”
Il mondo dei bambini era mutevole come una nuvola nel cielo. Per fortuna. Le sorrise. “Sì, ma prima togliti le scarpe.”
“Va beeene.” Strascicò prima di calciarle via e salire su come un razzo.
Le prese, e finse di non volersele stringere al petto come una madre ansiosa.
Meglio fare qualche chiamata invece. Aveva una promessa da mantenere.
 
****
 
 
Diagon Alley, Casa di Albus Potter e Thomas Dursley.
Pomeriggio.
 
“Mi hai perdonato?”
“Non ne sono sicuro.”
“Dopo tutto quello che ho fatto per te!”
“E per te stesso. La cosa è stata reciproca.”
Albus rotolò su un fianco, steso accanto a Tom, coprendo solo parte della sua lunghezza scheletrica. Gli passò le dita sulle costole, seguendone il contorno una ad una. “Quella cosa è solo a tuo beneficio, Tom.”
Tom sprimacciò il cuscino che gli sosteneva la testa, con un’espressione da gatto impigrito.
Sul serio, Zorba ne faceva una uguale sputata. “Me la sono meritata per essermi sorbito la tua lagna fedifraga.”
“Lagna…” Gli diede uno schiaffo sul petto a cui l’altro rispose con uno sbuffo indignato. “Non mi lagno!”
Tom per tutta risposta lo rovesciò sulla schiena come una tartaruga molto nuda e irritata. Poi avvicinò il viso al suo, mortalmente serio. “È la cosa che ti riesce meglio, Potter.”
“Idiota.”
Albus rispose al consequenziale bacio, passandogli le dita tra i capelli e serrando la presa nei dintorni della nuca.
Idiota … Il mio idiota.
Quella sessione di sesso pomeridiano costellato da frecciatine e morsi era pur sempre un progresso, visto che fino a pochi mesi prima la sola menzione del rapporto tra lui e Mike sarebbe bastata per gettare il compagno in una crisi di gelosia nera e autoalimentante.
Dopotutto, per quello doveva anche ringraziare quella faccia da schiaffi di Meinster.
Aveva pagato esser tanto paziente con lui.
 
“Ehi, ragazzi!”
 
Non pagava però esserlo quella sciagura rossa di sua sorella.
Lily, che era entrata in camera senza premurarsi che fossero decenti, li squadrò senza il minimo imbarazzo. “Ma siete sempre in calore voi due?” Chiese con sincero interesse.
Lils!” Urlò, indeciso se afferrare coprirsi con un cuscino o saltare fuori dal letto per ucciderla.
Tom fu più sveglio di lui. Con un movimento afferrò la bachetta sul comodino e tirò il lenzuolo, caduto a terra, sopra di loro.
Sua sorella ebbe l’indecenza di sorridergli. “Me lo dedichi un minuto?”
“Portala via prima che l’ammazzi.” Fu tutto quello che disse Tom, ed era abbastanza.
Al, perché non voleva che la stanza si sporcasse di sangue e budella umane, trovò alla cieca i propri pantaloni e la spinse fuori senza troppe cerimonie.
“Eh, come se non avessi mai visto un paio di sederi e relativi…”
“Per l’amor di Merlino, zitta.” Ringhiò. “Non potevi bussare?”
“L’ho fatto, ma siete stati così geniali da Insonorizzare la stanza.” Gli fece notare. “E comunque perché non avete usato un Colloportus?”
“Se Mei ha bisogno di noi e non riesce ad entrare? Non può ancora usare la magia fuori da Hogwarts!” Ribattè anche se era ben consapevole che l’adolescente avrebbe preferito bruciarsi gli occhi con una Pozione Corrosiva che rischiare di coglierli sul fatto.
Lily scrollò le spalle, spostandosi in salotto. Avrebbe voluto spedirla fuori di casa a pedate, ma sfortunatamente se veniva a trovarlo senza annunciarsi c’erano ragioni gravi.
E ora che è successo? Stasera mi tocca pure Rosie …
Va bene il cliché del confidente gay, ma qui si esagera!
“Ma fate sempre sesso il pomeriggio? Non avete, chessò, da lavorare?”
“Io ho le notti e il lavoro di Tom è flessi … ma perché ti sto rispondendo?!”
“Perché sono bravissima a far parlare la gente.” Rispose. “Non mi offri niente?” Aggiunse sedendosi sul divano. “Stai cominciando a diventare inospitale come Tommy!”
“Tendo ad esserlo sì, quando mi si disturba.” Le si sedette accanto cercandosi di dimenticare che aveva un robusto bisogno di una doccia. “Avanti, che succede?”
“Non posso venire a trovare il mio fratellino senza ragioni apparenti?”
“È il momento in cui devo insistere per farmi raccontare tutto? Perché non lo faccio.” La minacciò serio. “Se mi entri in casa abbi almeno la decenza di non fare la preziosa!”
Lily si morse un labbro. “Come fai?” Domandò senza spiegare niente: tipico suo, iniziare con una frase teatrale.
Non le avrebbe dato la soddisfazione di preoccuparsi. “A sopportarti? È la stessa cosa che mi chiedo ogni volta che vedo la faccia di Jamie. Sono giunto alla conclusione che nella vita precedente dovevo essere una persona orribile.”
Lily gli mollò una gomitata, ma accettò la punzecchiatura. “A stare con Tom.” Chiarì. “Cioè, perché lo ami, questo lo so … ma come fai a…”
“Sopportarlo?” Ripeté.
Suonate gli allarmi. La luna di miele di Lily e Sören si è appena conclusa!  
“Tu e Ren avete litigato?”
Sua sorella fece spallucce, ma era un chiaro assenso. “Ci vuole pazienza.” Disse seguendo il filo del ragionamento di prima. “Tom, lo sai, non è una persona facile … ma neanch’io lo sono.” Ammise. “Si tratta di trovare un terreno comune.”
“Grazie al cavolo, voi avete avuto tempo fin dalla culla per trovarlo!” Borbottò. “Io e Sören…” E qui si zittò, perché non era da sua sorella lamentarsi delle sue mancanze come donna.
Da quel punto di vista, era più orgogliosa di James.
“Perché avete discusso?” Insistette: tanto era quello che ci si aspettava facesse, no?
Sii onesto. Ti diverti da morire.
“Per cosa vuoi che discutiamo adesso…” Borbottò Lily sprofondando nell’abbraccio del divano. E le dighe furono aperte: gli sciorinò tutta la lite.
“Perché vuole sempre fare l’eroe? Cosa deve dimostrare?” Concluse esasperata.
“Beh…”
“Sì, lo so cosa vuole dimostrare, che è cambiato e che sta dalla parte giusta, ma non deve farlo continuamente!”
“Immagino…”
“Soprattutto non deve dimostrarlo a me! Sono la sua ragazza, lo conosco meglio di sua madre … Letteralmente, perché sua madre è una stronza egoista che lo metterà nei guai!”
“Credo…”
“Vorrei solo poter avere una vita normale con lui. Invece dobbiamo sempre contare il tempo prima che lo mettano su una Passaporta, o prima che papà decida che deve essere usato come esca per John Doe! E non lo capisce, pensa che…”
Lils.” La prese per le spalle. Con i suoi fratelli andava spesso usato il contatto fisico per avere una reazione. Sia James che Lily tendevano a avanzare come treni finché non percepivano un ostacolo. “Sei qui per sfogarti o per un consiglio?”
Sua sorella fece una smorfietta. “Entrambi?”
Albus sospirò. “Passiamo al consiglio, okay?”
Un mugugno non impegnativo. Lo interpretò come un assenso. “Ascolta … Sören non è Scott.”
Lily, prevedibilmente, si inalberò. “Cosa c’entra…”
Sören non è Scott.” Ripetè paziente. “Scott era un colletto bianco, il massimo problema che doveva affrontare in capo alla giornata era discutere con il proprio capo. Sören è un poliziotto.”
“Non è questo…”
“ … il punto.” Terminò per lei. “È vero. Il punto è che non puoi aspettarti che Sören si comporti come una persona normale. Perché non lo è.” E lo disse con tutto l’affetto che provava per Prince. “È stato cresciuto in un certo modo, ha avuto delle esperienze che la maggior parte dei maghi … degli esseri umani … sente solo raccontare. Non puoi tarare le sue reazioni su quelle del mago della strada. Non è che non capisce la pericolosità delle sue decisioni. È che non ritiene il pericolo un motivo valido per non prenderle.”
Lily non disse niente, quindi il concetto doveva essere arrivato.
“È anche questo il motivo per cui ti sei innamorata di lui, no?” Le sorrise. “Non puoi prendere solo la parte buona di una persona. Devi prenderla tutta … anche quella che ti fa infuriare o ti spaventa a morte.”
“Come fai tu con Tom…” Mormorò.
“Come faccio io con quell’idiota.” Concordò. “E come fa lui con me. A modo suo.” Aggiunse perché non gliel’avrebbe mai data vinta.
Lily annuì, afferrando un cuscino e sprimacciandolo, come faceva sempre quando aveva bisogno di riflettere. “Ho paura di perderlo.” Sussurrò. “… e non solo per la missione.”
Le accarezzò la testa, come la bambina che sarebbe sempre stata, almeno per lui: la piccola Lils tutta smorfie e fossette. “Tutti abbiamo paura che le cose con la persona che amiamo non vadano. È normale. Di solito lottare perché non succeda aiuta.”
“… sto lottando.”
“E ne vale la pena?”
Lily fece un piccolo sorriso. “Cavolo, sì.”  
La lasciò in salotto, con la promessa che una volta ripresa se ne sarebbe andata senza salutarli. Tornato in camera scivolò dentro il letto, dove Tom aveva già sparso fogli di chissà quale ricerca stava scrivendo con Stevens. “Grazie per aver aspettato.” Lo apostrofò.
L’altro non alzò lo sguardo dalla pergamena che stava leggendo. “Non sei l’unico ad essere paziente.”
Aspetta, ha davvero imparato la Legimanzia?
“No.” Sbadigliò l’altro con suo sommo orrore. “Per la milionesima volta … non ho imparato la Legimanzia.” Inarcò un sopracciglio. “E ci hai davvero usato come paragone positivo per spiegare le difficoltà della vita di coppia?”
“Hai origliato!”
“Voi Potter non parlate, urlate.”
Albus sbuffò, strappandogli di mano la pergamena. Ignorò le sue proteste e gli si spalmò contro, seppellendo il viso contro la sua spalla. “L’ho fatto … ma non pavoneggiarti. È una gara tra zoppi.”
Tom gli passò un braccio attorno alle spalle e gli premette un bacio sulla testa. “Sì, ma comunque vinciamo.”
“Non è questo…”
“Primi in classifica.”
Sbuffò trattenendo una risatina. "In un certo senso."
"Nel senso migliore."
Non l'avrebbe avuta vinta stavota. Ma era disposto a lasciar correre.
 
****
 
Diagon Alley, Finnigan’s Wake pub
Sera
 
Il Finnigan’s era il posto giusto per i grandi annunci. Rumoroso quanto bastava, con luci soffuse atte a nascondere espressioni e musica in costante diffusione.  
Rose pensava fosse perfetto per L’annuncio.
“Ricordami perché siamo venute qui a cenare?” Brontolò Violet al suo fianco.
Non aveva idea del perché l’avesse invitata. O forse sì: alla fine dei salmi la francese era l’amica più cara che avesse.
Il che è ironico considerando che quando l’ho conosciuta la odiavo.
Non poteva non darle la Notizia assieme a suo cugino. Erano le persone che avrebbe voluto avere a fianco se fosse mai mancato Scorpius.
Non che debba mancare. No, tante grazie.
È per dire.
“I cocktail costano poco.” Le fece notare.
“Pezzente.” La apostrofò affettuosa. “Se eri a corto di soldi potevi chiedere a me … O al tuo fidanzato. Non lo sposi perché è schifosamente ricco?”
“Falla fini … ah, ecco Al!” Fece un cenno al cugino, che si stava facendo spazio tra i tavoli. Essendo privo di Tom a seguito, quella sera esibiva una camicia in sgargiante fantasia a pois fluo. Avvicinandosi si rese conto che si trattava in realtà di volpi su sfondo verde.
“Questa camicia…”
“È bellissima.” Ribatté sedendosi davanti a lei. “Ho chiesto a zia Robin, ora vanno così!”
“In quale universo parallelo?” Sibilò Violet come se l’avesse personalmente offesa. “Mettiti di lato così non ti vedo.”
L’altro gli rivolse una smorfia poco impressionata e prese il menù. “Sto morendo di sete. Offri tu Letty, vero? Da serpe velenosa a serpe velenosa.”
“Con i denti da latte che ti ritrovi, fiorellino, non credo…”
“Offro io stasera, siete miei ospiti.” Tagliò corto perché quelle schermaglie, per quanto non veramente astiose, sfociavano spesso in vere e proprie bisticci. “Un Mangiamorte e un Patronus liscio, giusto?”
Al annuì occhieggiando verso il palco. “Grazie, Rosie. Stasera c’è la serata a microfono aperto.” Aggiunse allegro. “Andiamo a fare le Sorelle Stravagarie?” Guardò Violet. “Tu puoi fare Irsuta.”
“Crepa.”
“Non è quel genere di serata.” Sospirò: del resto, non poteva più bere e solo in caso di completa sbronza avrebbe accettato di rendersi ridicola davanti ad una platea di completi estranei. “Vi devo parlare.”
“E non siamo qui per questo?” Dietro il tono da presa in giro Al mostrava preoccupazione.
Beh, il Codice Potter Weasley viene tirato fuori solo per le cose gravi.
E le serate karaoke, anche.
Prese le ordinazioni salutando Fergus che gli gridò dietro qualcosa, ma considerando che un ragazzotto barbuto stava letteralmente strillando sul palco, non tentò neanche di decifrarlo. Tornò indietro e posò i cocktail davanti agli amici.
“Me l’hai fatto fare doppio!” Esclamò impressionato il cugino. “Cosa vuoi farmi digerire?” Ne diede un sorso. “Sei incinta per caso?”
“In effetti sì.”
Ecco, detto.
Fu più facile di quanto avesse previsto. Per una volta infatti non doveva sganciare una bomba spiacevole, come sul lavoro o nella infinita giostra che era la sua multiforme famiglia.
Non era una brutta sensazione.
Le reazioni non tardarono a mancare. Al quasi schizzò a sedere, coprendosi la bocca con le mani. “Merlino Benedetto!” Esclamò, tutto occhi enormi.
Violet sorseggiò il suo drink senza scomporsi. Non avrebbe mai tradito il suo aplomb. “Però … e chi avrebbe detto che i pallidi geni Malfoy sarebbero riusciti a sfangare un'altra generazione.”
“Letty!” Esclamò divertita. “Scorpius è un ragazzo perfettamente in salute e…”
“Vigoroso? Lo credo bene.” Ora che l’aveva attirata nella sua piccola trappola le mise una mano sulla sua. “Congratulazioni Weasley. Spera che non sia maschio.”
“Scorpius sarà al Settimo Cielo!” Gli sorrise Al, andando ad abbracciarla stretta. “Sono così contento!”
Sì, ci voleva una bella notizia …
il Mondo Magico avesse una resilienza notevole, il clima che si respirava per strada, al lavoro e in casa era sempre contaminato da una sottile inquietudine.
Il Demiurgo.
Anche se non se ne parlava sembrava sempre essere lì.
La paura del contagio.
Il San Mungo stava perfezionando una cura, ma non c’era ancora niente di certo, nonostante l’ottimismo di Al e colleghi.
Nel mio piccolo …
Si rese poi conto di quanto appena detto dal cugino. “Scorpius ancora non lo sa.” E alle espressioni stupefatte che ne conseguirono aggiunse. “Non voglio rischiare di distrarlo dal lavoro.”
“Questa è la cosa più stupida…” Iniziò Al.
“Rose ha ragione.” Le venne in soccorso, a sorpresa, Violet. “Se Malfoy sapesse che sta per diventare padre mollerebbe Pluffa e Boccino per seguirla come un’ombra!”
“Ma figurati!”
“Mi scordo sempre che vieni da una famiglia di eroi, Potter.” Violet giocava con la propria cannuccia, essendosi già scolata il suo Patronus con la grazia di chi reggeva meglio di un Battitore ungherese. “Scorpius è un Malfoy. Per quella famiglia non esiste niente più importante del proprio sangue.”
“Scorpius non è un Purosangue razz…”
“Nessuno ha detto questo.” Sbuffò l’altra infastidita. Comprensibile visto che l’aveva, di striscio, appena insultata. “Non si tratta di una questione di casata, ma di famiglia. I Malfoy mettono i Malfoy al di sopra di tutto. Non hai letto di come Lady Narcissa mentì a Lord Voldemort per salvare suo figlio? Il padre di Sy?”  
Albus aggrottò le sopracciglia confuso. “Non capisco questo cosa c’entri.”
“Se Weasley informasse il novello paparino, il suddetto finirebbe per dare le dimissioni pur di non rischiare di rendere orfano suo figlio.”
Al fece una smorfia voltandosi verso di lei. “La pensi così?”
“Non credo darebbe mai le dimissioni, ama troppo fare l’auror.” Specie alla luce della conversazione di quella mattina. “Ma voglio comunque dirglielo quando avrà la mente più sgombra.” Soggiunse. “Per quanto ho capito non si tratta di aspettare molto. Vogliono tentare una nuova operazione a breve.” Fece una pausa. “Troppo breve.”
Al annuì. “Beh, non sei di molte settimane, vero?”
“Quattro.” Pronunciò orgogliosa, ed era una sensazione strana: non era una cosa per cui aveva studiato, lavorato e per cui si era rotta la schiena. Era una cosa che il suo corpo portava avanti da solo, senza il minimo contributo da parte del suo cervello sgobbone.
Eppure era come se avesse appena conseguito undici MAGO.
Al dovette intuire il suo stato d’animo perché le strinse una mano con affetto. “Sarai una mamma meravigliosa, Rosie.”
“Ansiosa e protettiva al punto giusto.” Convenne Violet. “Povero bambino. Con un genitore demente e uno apprensivo diventerà schizofreni…” Si bloccò soffocando un’imprecazione in francese. “Potter!”
Al, che doveva appena averle rifilato un calcio nello stinco, scrollò le spalle. “Pensaci, sarà il primo Weasley biondo!”
“Domi è bionda.”
“È argento. È la sua eredità Veela.” Rimbeccò Violet indignata. “Comunque cos’è, maschio o femmina?”
“Non ne ho idea.” Si strinse nelle spalle. “È troppo presto.”
“Magari sono gemelli! Come Molly e Lucy!”
“O trigemini, Weasley. Pensaci.
“Non ci allarghiamo.” Li mise in riga, ma non riusciva a contenere il sorriso.
A proposito di contenere…
“Vi chiedo di tenere la bocca chiusa, almeno finché non potrò dirlo a Scorpius … Ce la fate?” Chiese: dirlo a sua madre e pregarla di non spifferarlo a suo padre era stata dura, ma sapeva che avrebbe mantenuto il segreto.
Papà non ne sarebbe in grado. E sapermi incinta prima di vedermi sposata quando ancora non ha digerito del tutto il matrimonio …
La testa gli esploderebbe come un calderone.
Al si fece una croce sul cuore. “Mettici pure sotto Voto Infrangibile!”
Violet alzò il mento imperiosa. “Io riesco a tenere un segreto anche senza bisogno di un incanto che preveda la mia morte in caso di rottura.”
“Come sei riuscita a mantenere segreta la tua sessualità per anni? In effetti è un buon parago… ahu!” Al si massaggiò dove il pugno di Violet lo aveva colpito. “Era un complimento!”
Violet lo ignorò. “Weasley, conta pure su di me.” Fece un cenno in direzione di Al. “Se vuoi gli faccio una Fattura Mollelingua.”
Al gli mostrò la suddetta. “Preferirei rimanesse integra. Mi serve.”
Sorrise ad entrambi. “Grazie.” Erano sicuramente gli ormoni ma si stava commuovendo. Ingoiò un paio di lacrime ed accettò l’abbraccio avvolgente e familiare del cugino. “Sono felice…” Disse piano, perché non erano cose da dire ad alta voce.
“Certo che lo sei.” Al le baciò la testa. “E lo siamo anche noi. Un brindisi!” Alzò il proprio calice. “Al piccolo Weasley-Malfoy!”
“Malfoy-Weasley.” Ribattè Violet che si sentiva parte di quella famiglia allucinante forse persino più di lei, che lo sarebbe stata presto legalmente. “Che non sia maschio.”
“Ma abbia i capelli biondi!”
Rose rise e alzò il calice. Segreto o meno, la sua nocciolina un alzare di calici se lo meritava proprio.
 
****
 
 
Note:


Ormai un mese (e qualche giorno in più…) è diventato un appuntamento fisso.
La mia Real Life pretende giornalmente la mia testa e una buona parte del mio cuore, quindi sostanzialmente scrivo nei ritagli di tempo. E cerco di mantenere le fila unite.
A questo punto – lo so, lo ripeto da mesi – non manca davvero molto prima della “battaglia finale”. Un capitolo.
Anticipo che il prossimo vedrà molto Jeddy e molto LiRen.
Ah, sì: questa la canzone del capitolo.
 
 
 
 
  
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